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Vita non romanzata di Dino Campana
Pubblicato nel 1938, ""Vita non romanzata di Dino Campana"""", dello psichiatra Carlo Pariani, che qui si propone con una ricca appendice di lettere e di testimonianze, è un documento utile per la conoscenza di uno dei più grandi poeti italiani del Novecento. Pariani incontrò Campana nel manicomio di Castel Pulci dove il poeta, lì ricoverato da anni, ebbe con lui una serie di colloqui tra la fine del 1926 e l'aprile del 1930. La loro trascrizione costituisce la parte centrale del libro, che l'autore concepì come uno studio dell'influenza della psicopatia sull'""""ingegno e il carattere"""" del poeta. Negli anni successivi alla sua pubblicazione, i materiali contenuti nella Vita non romanzata furono utilizzati dagli studiosi secondo due direzioni ben distinte: o per studiare la personalità e la vita di Campana, o per individuare le occasioni e i momenti di nascita di alcuni testi dei Canti Orfici. Troppo scarso rilievo, invece, è stato dato a quelle parti dei colloqui in cui esplode il discorso """"folle"""" di Campana. Una lettura libera e completa delle pagine di Pariani porterà invece a riconoscere, proprio nella compresenza e nell'intersecarsi di oscurità e chiarezza, di ragionevolezza e follia, il più impressionante valore documentario del libro e la sua più intensa carica di suggestione e di senso."" -
Degas danza disegno
"Come accade che un lettore un po' distratto muova la matita sui margini d'un libro e tracci, a capriccio della punta e dell'assenza, piccole figure o vaghe ramificazioni di contro alle masse leggibili, così farò io, guidato dall'estro, tutt'intorno a questi studi di Edgar Degas. Accompagnerò le immagini di poco testo che non si possa leggere, o non leggere d'un fiato, e che non abbia coi disegni se non i legami più lenti e i rapporti meno stretti. Insomma, non sarà che una sorta di monologo, in cui riaffioreranno a loro piacimento i miei ricordi e le diverse idee che mi sono fatto di un personaggio singolare, grande e severo artista, essenzialmente volitivo, d'intelletto raro, vivo, sottile, inquieto; che nascondeva sotto l'assolutezza delle opinioni e il rigore dei giudizi non so qual dubbio su di sé, non so quale disperazione di esser soddisfatto: sentimenti amarissimi e nobilissimi, suscitati in lui dalla raffinata conoscenza dei maestri, dalla cupidigia dei segreti che attribuiva loro e dalla presenza perpetua, nella sua mente, delle loro contraddittorie perfezioni. Nell'arte egli non vedeva che problemi d'una certa matematica più raffinata dell'altra, che nessuno ha saputo rendere esplicita e di cui ben pochi possono sospettare l'esistenza. Parlava volentieri d'arte sapiente; diceva che un quadro è il risultato di una serie d'operazioni... Degas rifiutava la facilità, come rifiutava tutto quello che non fosse l'unico oggetto dei suoi pensieri.""""" -
L' Imam nascosto
"L'avventura spirituale che ci è narrata in queste pagine da Henry Corbin, fra i tanti segreti accanto ai quali ci fa sostare, uno ce ne sussurra, dei più preziosi. Si riferisce al tempo. Noi leggiamo queste storie meravigliose, entro le quali si cullano i sogni della coscienza che si desta alla conoscenza, e subito ci avvediamo che esse non sono l'opera di un arbitrio del fantasticare puro, che i contorni della fantasia che le genera non sono quelli, molli ed evanescenti, del rammemorare mitico. Perché la libertà e l'incanto di ciò che qui si narra sono inscritti, piuttosto, entro le linee ferme e intransigenti di una dottrina, anzi di una religione. Ma al tempo stesso, la ferma sobrietà che, sotterraneamente e senza sforzo, disciplina il rigoglio dell'ispirazione, è come non avesse peso, come si liberasse leggera al di sopra di qualsiasi greve storica puntualità. Gli eventi che si raccontano sono determinati e precisi, hanno un rilievo, non sono fantasmi irreali; il loro profilo, però, è quello immateriale, benché obiettivo, di un viso in uno specchio, di un 'raggio di luce che attraversa una vetrata'."""" (Dallo scritto di Gianni Carchia)" -
Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi
Nel 1880 Antonio Ranieri pubblicò ""Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi"""", rompendo dopo mezzo secolo """"il più religioso silenzio"""" in polemica con scritti fra i più """"indiscreti"""" e """"infausti"""" che cercavano di sminuire il suo """"apostolato"""" e """"l'ineffabile olocausto"""" di sua sorella Paolina al servizio del poeta. Il racconto di quegli anni è in parte una interminabile litania dei """"più grandi sacrifizii"""" che """"due mortali possano fare per un altro"""". Leopardi è lodato in modo generico mentre abbondano le notizie sui suoi """"gravi ed irreparabili disordini fisici e morali"""", dei """"più incredibili eccessi"""". Nonostante i molti """"falsi"""" e l'abitudine di non riferire nemmeno una frase del poeta, la presenza di Leopardi finisce per ammantare di prestigio l'operetta. Con un'introduzione di Giulio Cattaneo e uno scritto di Alberto Arbasino."" -
Puella, surge e altre prediche
"'Conosci te stesso, e conoscerai te stesso e Dio': il precetto dell'Apollo delfico, cifra essenziale della sapienza ellenica e cristiana, può essere considerato fondante anche per l'insegnamento eckhartiano. Esso si muove infatti tutto quanto intorno a questi due poli - che sono poi un'unica realtà: anima e Dio. È la traccia che, nel mondo cristiano d'Occidente, porta soprattutto l'impronta agostiniana; ma si può dire che Eckhart, seguendo Agostino - maestro da lui amato e citato più di ogni altro -, sia andato molto oltre Agostino, riapprodando direttamente all'esperienza stessa di Cristo, che è esperienza di identità tra l'anima e Dio. Infatti il domenicano tedesco non insegna a conoscere l'anima e Dio - come se i due fossero oggetti distinti e separati dal soggetto conoscente -, ma a generare il Logos, ovvero a diventare quello che si è - Logos appunto, spirito - e dunque a vivere la vera vita, che è la vita dello spirito. Come in ogni grande maestro, non vi è in Eckhart un conoscere separato dall'essere, dal vivere: si conosce davvero solo quello che si è, e che si fa - il diverso """"sapere"""" è solo ideologia e mistificazione. Perciò non sono essenziali i libri - nemmeno i libri 'sacri': per quanto il domenicano abbia nei confronti della Scrittura tutto il rispetto che un medievale poteva avere, e al commento della Scrittura stessa abbia dedicato buona parte del suo lavoro intellettuale"""". (dallo scritto di Marco Vannini)" -
Lipika
La parola lipika in bengali, che è la lingua in cui Rabindranath Tagore pensò e scrisse per tutta la sua lunga e straordinaria vita, significa ""piccolo scritto"""", """"biglietto"""". Il libro che presentiamo, infatti, è una raccolta di brevi racconti, in un primo tempo pubblicati su riviste indiane, con il titolo di Kathika. Quando nel 1916, tre anni dopo il conferimento del premio Nobel, Tagore curò l'edizione inglese delle sue novelle per l'editore Macmillan di Londra, inserì in 'Hungry Stones and Other Stories' buona parte di questi racconti brevi che, con l'aggiunta di altri, pubblicò infine nel 1919, a Calcutta, con il titolo di """"Lipika""""."" -
Stadi sul cammino della vita. Vol. 1: Lectori benevolo! In vino veritas. Considerazioni varie sul matrimonio.
"Gli 'Stadi sul cammino della vita', che presentiamo qui nella prima traduzione italiana, sono l'ultima opera pseudónima di Kierkegaard; l'ultimo libro, dunque, dello scrittore giovane, e forse in assoluto il suo più inquietante e più bello. A seguirne la storia nei 'Diari', la vediamo pensata in origine come due libri indipendenti, tutti e due variamente agganciati al modello di 'Aut aut', ma, a differenza di 'Aut aut', collegati da un unico tema: lo stesso del 'Simposio' platonico, la natura e gli effetti dell'amore, cui si aggiunge - nella prima parte - uno studio fenomenologico della «categoria» della donna. I due libri sono il lungo e sofferto 'Colpevole? non colpevole?', progettato in origine come il tassello mancante ad 'Aut aut': un 'Diario dell'amante infelice' in aperto contraltare a quello del Seduttore e con una vicenda di rinuncia erotica simile a quella della Ripetizione, ma scritto, contro le fluviali abitudini di Kierkegaard, lentamente e penosamente in quasi due anni. E il dittico 'In vino veritas' e 'Considerazioni varie sul matrimonio', una nuova versione di quello su cui è costruito 'Aut aut', destinato a chiamarsi 'Il dritto e il rovescio' e a mettere ancora una volta a confronto il mondo «estetico» (rappresentato dal voluttuoso banchetto) e la sfera «etica» (rappresentata dal giudice Vilhelm, sposato, padre e «pilastro della società»). Contro tutte le apparenze, il numero di richiamo del libro - il brillantissimo 'In vino veritas', giudicato da Brandes «non inferiore al suo modello, il 'Simposio' di Platone; e non esiste elogio maggiore» - ha dietro di sé una composizione eccezionalmente faticosa, fra secche dell'immaginazione ed eccessi del pensiero: e tuttavia ne svapora completamente il ricordo fin dalla felice, dubbiosa sospensione dell'attacco."""" (Dall'Introduzione di Ludovica Koch)" -
Stadi sul cammino della vita. Vol. 2: Colpevole? Non colpevole-Epistola al lettore-Conclusione.
Il lungo diario ""Colpevole? non colpevole?"""" (che copre la maggior parte del secondo volume di """"Stadi sul cammino della vita"""") racconta una breve «storia di passione»: nei due sensi, di trasporto e di patimento. Una vicenda d'amore infelice che - Kierkegaard fa di tutto per ricordarcelo, con una curiosa associazione di reticenza e di esibizione - ripete nelle sue linee esteriori quello che il giovane Lukács chiama «il gesto». L'esperienza, cioè, senza confronti più sconvolgente nella vita dello scrittore, già adombrata nella vicenda di rinuncia erotica della """"Ripetizione""""; la sua unica, e fallita, decisione attiva; il solo tentativo di sfidare l'agorafobia che lo sequestrerà fino alla morte nella bella casa paterna; la prima e l'ultima relazione profonda - molto più duratura dell'effimero legame esterno - con qualcuno che non fosse la Riflessione dei giorni e delle notti. E questa, come tutti sanno, la vicenda del tragico e misterioso fidanzamento fra lo scrittore venticinquenne, in realtà «più vecchio di lei di un'eternità», e la diciassettenne Regine Olsen. Che """"Colpevole? non colpevole?"""" - pubblicato probabilmente, come """"La ripetizione"""", con un messaggio cifrato alla fanciulla - sia il più autobiografico dei suoi libri (con episodi reali inseriti e la lettera di rottura fedelmente ricopiata) è dunque Kierkegaard stesso a impedirci di dimenticarlo. Proprio per questo motivo è sicuramente, anche, il suo libro più impersonale e il più astratto."" -
Cinque sante bizantine. Storie di cortigiane, travestite, eremite, imperatrici
Nel Medioevo le Vite dei santi erano raccontate e continuamente rielaborate, arricchite ogni volta di dettagli nuovi e diversi, che diedero corpo a un gran numero di varianti della medesima storia. Alcune leggende agiografiche ebbero un'enorme diffusione, paragonabile a quella che oggi hanno i romanzi, o certe biografie romanzate. I cinque testi tradotti in questo volume sono molto diversi tra loro, sia per il registro linguistico sia perché appartengono a epoche differenti; li accomuna il fatto che le protagoniste sono donne e alcune di esse scelgono di travestirsi da monaco. Proprio in ragione di questa diversità possono offrire un quadro, naturalmente parziale, della santità femminile nel Medioevo greco e della varietà di tipologie che la caratterizza. Ecco allora Pelagia, prostituta convertita e poi redenta. Maria ed Eufrosine, entrambe orfane di madre, compiono la scelta di entrare in un monastero maschile travestendosi, l'una per non separarsi dal padre, l'altra per evitare il matrimonio. Teoctista, presa prigioniera dagli Arabi, riesce a sfuggire in modo rocambolesco ai suoi rapitori e diviene eremita su un'isola deserta. L'imperatrice Teodora, l'unico personaggio realmente esistito, si assicura la santità riabilitando il culto delle icone proibito dagli imperatori iconoclasti. -
Aforismi sulla natura
"Per Goethe la natura è vivente e divina, per la scienza moderna è morta, o comunque inferiore all'uomo: qui sta la frattura. Nei due casi si guarda ai fenomeni con occhio diverso. Da un lato, l'oggetto cui ci si rivolge è res extensa, pura quantità, o comunque una selvaggina da catturare, uno strumento da forgiare secondo l'utilità dell'uomo, da interpretare secondo un finalismo terreno, un problema per l'intelletto, una catena di cause ed effetti; dall'altro, la natura è - spinozianamente - la divinità, l'oggetto limitato contiene, alla maniera rinascimentale, l'infinito, e ogni cosa è, come già pensavano i greci, un'individualità essenziale."""" (Dallo scritto di Giorgio Colli)" -
La camera di Jacob
"Il «romanzo» comincia con un profumo di vecchia Inghilterra, sufficiente a imbalsamare il paesaggio marino e la donna di mezza età che in questo momento sta scrivendo al suo amico, il capitano Barfoot, a Scarborough, e parla della sua situazione di vedova con tre figlioli, ancora piccoli, di cui il secondo, appunto Jacob, si è arrampicato su uno scoglio e traffica col suo secchiello e un grosso granchio. L'inizio è dunque molto semplice e lineare, ma non illudiamoci: da questo punto gli occhi della scrittrice scattano, di secondo in secondo, su tutto il mondo visibile. Anche qui nulla le sfuggiva: l'inchiostro pallido della penna della signora Flanders e il vascello di Connor che, attraverso una sua lacrima, sembra pendere come« una candela di cera nel sole». L'ombra di Archer, il suo figlio maggiore, pare azzurra, stagliandosi sulla sabbia. «Be', se Jacob non vuoi giocare ... Corri a cercarlo. Digli di venir qui immediatamente ». E subito risuona la voce di Archer: «Ja-cob! Ja-cob! »."""" (Dalla Postfazione di Anna Banti)" -
Lettere, riflessioni, testimonianze
"I limiti dell'opera di Pollock sono i limiti stessi del moderno, e insieme i suoi titoli di nobiltà. Pollock rappresenta anzi l'esito finale della pittura moderna: del filone, cioè, che da Cézanne e da Kandinsky, lungo i decenni del secolo, ha lavorato entro i confini della pittura, mentre Duchamp e l'arte concettuale li eludevano, corteggiando la realtà e l'oggetto. Proprio per questa sua radicalità, Pollock è stato un artista che non ha avuto allievi, ma epigoni, non continuatori, ma imitatori. L'unico suo vero erede è stato lui stesso: nelle sue ultime opere tentava di riaprire quella partita che prima aveva chiuso, tentava di riprendere il discorso oltre quel punto fermo che proprio lui aveva segnato."""" (Elena Pontiggia)" -
Rivolta
«Un libro che ha il merito di non ingentilire la rivoluzione bolscevica, ancora oggi troppo spesso presentata come un evento liberatorio per i ceti umili, mentre fu una terribile tragedia, dalla quale scaturì uno dei sistemi politico-sociali più oppressivi e inefficienti del Novecento» – Antonio Carioti, Corriere della SerarnrnUna donna affascinante, coraggiosa e di indubbio carisma, aristocratici di grande conoscenza e coscienza, orribili latifondisti, un clero retrivo, studenti che si trasformano in assassini, proletari rapiti dalla rivoluzione, proletari abbrutiti dall’ignoranza, un ammiraglio visionario, e di profonda levatura morale, alla ricerca di un’isola che c’è, Gennaro, un cuoco del Regno delle Due Sicilie, che sa come cucinare le idee, un marchese dell’epoca Meiji che deve traghettare il suo paese – cartesianamente – da un passato morto ad un futuro incerto, un feroce e sfortunato lupo a due zampe che chiede solo umanità, il piccolo Aleksej Nikolaevič Romanov, lo zarevič, che scrive una lettera, un marinaio siciliano, un contabile buriato e una sciamana del lago Bajkal sono i protagonisti di Rivolta, un’opera che si sviluppa su diversi piani narrativi, tutti intesi a spogliare i fatti dalla mistificazione per tentare di restituirli all’ordine naturale del buon senso e quindi della verità. (Dallo scritto di Fabrizio Catalano, regista e scrittore) -
Il segno rosso del coraggio
"Il segno rosso del coraggio"""" di Stephen Crane (1871-1900) è, da una parte, un libro memorabile della narrativa di guerra e, dall'altra, un classico romanzo di noviziato. Narra infatti la storia di un ragazzo andato volontario fra i nordisti nella guerra civile americana e divenuto uomo affrontando terribili prove. La vicenda si svolge in tre giorni di battaglie: il tumulto della guerra provoca e accompagna il tumulto negli atti e nei sentimenti di quel giovane. Prima la caduta - terrore della morte, fuga, diserzione, angoscia, vergogna -, poi la lenta risalita - pentimento, solidarietà con i compagni, riscatto, lotta contro se stesso prima che contro i nemici - e alla fine la conquista del «red badge of courage», il segno rosso del coraggio. Il coraggio di vivere, di combattere, di vincere le proprie paure e le proprie debolezze, per essere uomo tra gli uomini. Un viaggio iniziatico emblematico e universale." -
Autobiografia di un monaco zen
"Fui pervaso fin nel più profondo del cuore dal sentimento dell'impermanenza di tutte le cose che mi era stato trasmesso da mia madre. La vita umana era effimera come i petali avvizziti, spazzati via dal vento. La nozione buddhista dell'impermanenza (mujo) faceva parte del mio essere più intimo. Niente nell'universo intero può resistere al tempo. Tutto ne viene travolto, tutto è condannato a scomparire o a mutare. Anche lo spirito, come la materia, è chiamato a trasformarsi, senza mai poter raggiungere la permanenza. Per questo l'uomo è costretto ad avanzare in solitudine, senza alcun appoggio stabile. Come è detto nello Shodoka, neppure la morte, che lascia ciascuno solo nella sua bara, è definitiva. Soltanto l'impermanenza è reale.""""" -
Lettere alla madre
"La prima delle lettere raccolte in questo volume è stata scritta da un ragazzo di non ancora tredici anni; l'ultima, da un uomo di non ancora quarantacinque che dopo poche ore sarebbe stato colpito o, come usa dire, offeso dall'attacco di una malattia mortale - la malattia della sua morte. Tra l'una e l'altra, scandito da tante altre lettere ugualmente piene di tenerezza, sgomento e furore, si stende il tempo durante il quale il «grande abbandonato» ha scritto un libro di poesie che inaugura e oltrepassa la storia della lirica moderna, un libro di prose che fissa insuperabilmente il modello di un genere letterario, alcuni saggi che fondano il pensiero estetico e la critica d'arte contemporanei. Non è certo facile, per il lettore di questo romanzo epistolare univoco e involontario, orripilante e sublime, conciliare la pietà suscitata dall'«interdetto» (come egli stesso si definisce, alludendo all'indelebile umiliazione giudiziaria inflittagli dalla madre) torturato dai debiti e dal disamore, dall'incomprensione altrui e dalla propria «svogliatezza», con la venerazione dovuta a uno dei più grandi artisti e dei più lucidi e operosi intelletti che l'umanità abbia mai prodotto. Forse conviene rassegnarsi alla divaricazione, all'acuto senso di vertigine che la cosa comporta. Baudelaire sarebbe stato Baudelaire se non fosse stato, appunto, il grande abbandonato, l'interdetto di cui queste lettere ci mostrano, ci fanno (nel vero senso della parola) toccare con mano l'abissale e consapevole infelicità? Rispondere a questa domanda sarebbe impossibile se non fosse, prima ancora, del tutto inutile. La poesia di Baudelaire è stata (è) ciò che la sua vita ha voluto che fosse, e viceversa; e l'una e l'altra sono state ciò che la sua mente e il suo cuore hanno concepito e nutrito, con riluttanza e terrore pari alla fermezza, giorno dopo giorno."""" (Dalla Postfazione di Giovanni Raboni)" -
Tamara de Lempicka e Gabriele D'Annuzio. Nel diario di Aélis Mazoyer
"L'11 gennaio 1927 Tamara entrava per la seconda volta al Vittoriale e questa volta siamo informatissimi su tutto quanto ella fece e non fece nella casa di Gabriele. Questo soggiorno, infatti, ha trovato una cronista inaspettata in Aélis Mazoyer, una strana figura di donna che, entrata giovanissima al servizio di Gabriele d'Annunzio come cameriera, e ben presto divenuta sua amante, rimase accanto al poeta sino alla morte e tenne per tutto il tempo un disordinato ma eccezionale diario, in cui registrava tutto quel che accadeva intorno a lei. La cronaca dei giorni che Tamara trascorre al Vittoriale è la cronaca di una tentata seduzione; una cronaca precisa e particolareggiata, ma anche sofferta dalla cronista. Aélis è fortemente interessata all'opera di seduzione e, naturalmente, parteggia per il """"Comandante"""": non solo perché è felice di vedere le attenzioni del """"Comandante"""" dirottate su un'altra persona, ma anche perché non vuole ammettere che un uomo come il suo padrone possa fare """"fiasco"""" con una donna. Aélis registra tutto. Le varie situazioni, tutte ambigue e assai piccanti. Le reazioni di Tamara e quelle del """"Comandante"""". Le confidenze dell'uno e quelle dell'altra. Né trascura la puntuale e illuminante raffigurazione della varia umanità, pressoché tutta composta di donne, che ruotava intorno al poeta in quegli anni."""" (Dalla presentazione di Piero Chiara). Con uno scritto di Annamaria Andreoli." -
Tre dialoghi
"L'anima e la danza"""", """"Eupalinos o l'architetto"""" e il """"Dialogo dell'albero"""". Con uno scritto di Giuseppe Conte." -
Fiamma d'amore viva
"Entrano nella vastissima famiglia delle opere che chiamiamo 'mistiche' scritture dallo statuto assai diverso: parole pronunciate nell'estasi e da qualcuno registrate, resoconti autobiografici, trattati o guide al cammino spirituale, ecc. Questo, come gli altri libri di san Giovanni della Croce, contiene una breve poesia e un lungo commento. Sono parti nate in tempi diversi e con intenzioni diverse. Le 'canzoni' raccoglierebbero le parole del rapimento amoroso, o ciò che più da presso si apparenta a quel residuo verbale, a quel margine, che dell'amore il mistico vorrebbe intendere per sé 'y sentirlo y gozarlo y callarlo', mentre le """"dichiarazioni"""" appaiono come scrittura lontana comunque dall'accensione interiore, derivata, esterna. Questo canto e la sua deriva, il commento, si riferiscono nel loro insieme ad una vicenda sprovvista di fatti esterni. Eppure questa che leggiamo non è mera speculazione, ma testimonianza, descrizione e racconto. Colpisce in primo luogo l'assenza di ogni teatro di corpi. Non più che in poche sequenze canoniche è nominata, ma mai presente, l'umanità di Cristo. Nominata, ma neppure per incidente rappresentata o figurata, la beatitudine, o il tormento, del corpo in questo soggetto invaso dall'amore. È protagonista la semplice 'essenza' dell'anima, la cui avventura si esprime nel rapporto fra lo spazio nudo che la costituisce e alcuni grandi simboli di tipo universale."""" (Cesare Greppi)" -
Il duello
«Questo pezzo della storia del veneziano serva a disingannare quelli che bramano ch'egli la scriva tutta. Sappiano che s'ei si disponesse a servirli, non potrebbe mai risolversi a farlo in stile ed in metodo differente da quello di cui questa narrazione offre loro il saggio. Prospetti, riflessioni, digressioni, minute circostanze, osservazioni critiche, dialoghi, soliloqui, tutto dovrebbero soffrire da una penna che non ha, né vuole aver freno, poiché è sicura di non spargere reo o bugiardo inchiostro, atto a macchiar le convenienze della società, a render sospetto l'umil sentimento di suddito fedele, a far rivocare in dubbio i doverosi pensamenti dell'uomo cristiano».