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Lodi del corpo femminile. Poeti francesi del Cinquecento. Testo francese a fronte
Può una poesia parlare del corpo senza nasconderlo, fagocitarlo, distruggerlo, senza inghiottirlo nell'ombra del suo proprio corpo? La domanda non esige né, forse, consentirebbe risposta, vuol essere solo un piccolo cenno d'intesa, scherzosamente ""problematico"""", a chi s'accinge alla lettura di queste quaranta poesie nelle quali troverà sì nominate e decantate le parti più adorabili del corpo femminile, ma assisterà nel contempo, come dice benissimo, nelle esaurienti pagine finali, Aurelio Principato, alla loro trasformazione """"in marmo, corallo, smalto, ematite, giaietto"""", cioè, appunto, alla loro scomparsa. Senza contare che, già nella scelta degli oggetti da """"blasonner"""", fra le parti del corpo si insinuano oggetti """"vicini al corpo"""": l'anello, lo specchio..., con uno scarto a priori verso lo stemma, il rebus, la natura morta. Ma non voglio, con queste seriosità, rovinare una festa che s'annuncia, ed è, tanto insolita quanto preziosa. Frutto singolare di una sensibilità e di un gusto al tempo stesso ingenui e squisiti, punto d'incontro instabile, e proprio per questo affascinante, fra una cultura goliardico-carnevalesca in via d'estinzione e l'eterno petrarchismo in attesa d'una delle sue più gloriose reincarnazioni, quella della Plèiade, i """"Blasons du corps féminin"""" non sono trofei o reperti per soli specialisti ed eruditi, si offrono anche a una lettura lieve, svagante, divertita."" -
Il diario fiorentino
"Il soggiorno di Rilke a Firenze non fu lungo; ma l'attività svolta dovette essere intensa. Musei, chiese, palazzi, conventi, gallerie (persino quella del principe Corsini, di difficile accesso), nulla rimase inesplorato. Furono fatte escursioni non solo a Bellosguardo, a Fiesole, a Settignano e alla Certosa, ma a Maiano, a Rovezzano, a Bagno a Ripoli. Il frutto di tale primo contatto con realtà profondamente diverse da quelle conosciute sino allora non fu tanto l' albo o quaderno di riflessioni e ricordi che riempì per donarlo, testimonianza di amore e di ammirazione, a Lou Salomé, la donna amata, quanto un nucleo di idee e di concezioni che attraversano in modo più o meno visibile tutta la sua opera e alimentano la fase estrema della sua poesia."""" (dalla postfazione di Giorgio Zampa)" -
Da un'opera abbandonata
"Per intuire quello spirito singolare e isolato che è Beckett, bisognerebbe insistere sull'espressione """"tenersi in disparte"""", motto silenzioso di ciascuno dei suoi istanti, su ciò che essa presuppone di solitudine e di ostinazione sotterranea, sull'essenza di un essere situato al di fuori, che prosegue un lavoro implacabile e senza fine. Di colui che tende all'illuminazione si dice, nel buddhismo, che deve essere accanito come 'il topo che rosicchia una bara'. Ogni vero scrittore compie uno sforzo simile. È un distruttore che accresce l'esistenza, che l'arricchisce scalzandola. [...] Credo che sia pertinace come un fanatico. Neppure se il mondo crollasse, abbandonerebbe il lavoro in corso o cambierebbe argomento. Nelle cose essenziali non è certamente influenzabile. Per il resto, per l'inessenziale, è senza difesa, probabilmente più debole di noi, più debole perfino dei suoi personaggi... Prima di redigere queste note, mi ero proposto di rileggere ciò che, in prospettive differenti, Meister Eckhart e Nietzsche hanno scritto sull''uomo nobile'. - Non ho realizzato il mio progetto, ma non ho dimenticato un solo istante di averlo concepito."""" (Dallo scritto di E.M. Ciorari)" -
Su Nietzsche
«L'aspirazione estrema, incondizionata, dell'uomo è stata espressa per la prima volta da Nietzsche a prescindere da un fine morale e dal servizio di un Dio. Nietzsche non può definirla con precisione ma essa lo anima, egli la assume sotto tutti gli aspetti. Ardere senza rispondere a qualche imperativo morale, espresso drammaticamente, è certo un paradosso. È impossibile predicare o agire partendo da queste premesse. Ne deriva un risultato sconcertante. Se di uno stato d'ardore noi non facciamo più la condizione di un altro, successivo e dato come bene attingibile, lo stato proposto sembra una pura folgorazione, uno struggimento vuoto. [...] Nietzsche non ebbe chiara coscienza di questa difficoltà. Dovette constatare il suo fallimento: seppe alla fine che aveva parlato al deserto. Eliminando l'obbligo, il bene, denunciando il vuoto e la falsità della morale, distruggeva il valore d'efficacia del linguaggio. La fama tardò e poi, quando venne, egli non poté più far nulla. Nessuno rispondeva alla sua attesa. Oggi credo di dover dire: quelli che lo leggono e lo ammirano, lo scherniscono, ed egli lo seppe, lo disse. Escluso me? (semplifico). Ma tentare di seguirlo come lui chiedeva significa abbandonarsi alla stessa prova, allo stesso suo smarrimento. [...] Oggi trovo giusto affermare il mio smarrimento: ho cercato di trarre da me stesso le conseguenze di una chiara dottrina, che mi affascinava come la luce: ho ricavato quasi sempre angoscia e l'impressione di soccombere. Ma anche soccombendo non lascerei l'aspirazione di cui ho parlato. O piuttosto questa aspirazione non potrebbe lasciarmi: morirei, ma non tacendo per questo (credo almeno): augurerei a quelli che amo di resistere o di soccombere a loro volta. C'è nell'essenza dell'uomo una tensione violenta, verso l'autonomia, la libertà dell'essere. Libertà certo interpretabile in diversi modi: ma chi oggi si stupirebbe che si muoia per essa? Le difficoltà che incontrò Nietzsche - abbandonando Dio e il bene eppure continuando a bruciare del fuoco di coloro che per Dio e per il bene si fecero uccidere - le incontrai anch'io a mia volta. La solitudine scuorante ch'egli ha descritto ora mi toglie le forze. Ma la rottura con le entità morali dà all'aria che respiro una verità così grande che preferirei vivere da paralizzato o morire piuttosto che ricadere nella schiavitù». Postfazione di Maurice Blanchot. -
Lettere alla cugina. Testo tedesco a fronte
Le vicissitudini della pubblicazione di queste lettere di Mozart sono state illustrate dalla moglie Constanze: ""Anche le lettere alla cugina, di gusto certo discutibile, ma molto spiritose, meritano una menzione, ma non devono essere pubblicate"""". Anche molti biografi e studiosi di Mozart rinunciarono a una pubblicazione delle """"Lettere"""" per ragioni di decoro. Per la """"pruderie"""" dell'Ottocento le """"audaci espressioni"""" di Mozart non erano ammissibili. Ancora nel 1914 la """"prima completa edizione critica"""" delle lettere di Mozart e dei suoi familiari espunge le parti incriminate per """"ragioni estetiche"""" e solo nelle edizioni successive verranno pubblicate, sia pur parzialmente."" -
La tazza e il bastone. Storie zen narrate dal maestro Taisen Deshimaru
In queste storie Zen, raccolte e narrate dal maestro Taïsen Deshimaru (alcune di esse risalgono a duemilaseicento anni fa), la straordinaria carica di umorismo e la potenza dello spirito fecondo dello Zen trovano una perfetta esemplificazione. Perché, senza dubbio, ciascuna di esse ci apre una porta e racconta un modo di vedere la realtà. La storia e la leggenda qui sfociano in una verità profonda e racchiudono un significato eterno. Dice un proverbio Zen che, quando ci viene indicata la luna, dobbiamo guardare quest'ultima e non il dito che ce la mostra: ecco un buon metodo da seguire anche nella lettura di questo libro. -
Riccardo II
Inghilterra, 1939. L'ultimo sovrano per diritto divino, Riccardo II, viene deposto e assassinato. Intorno alla figura dell'ultimo discendente di Riccardo Cuor di Leone e Guglielmo il Conquistatore si crea ben presto un alone di mistero: Shakespeare si propone di rappresentare quell'atmosfera, cercando per essa un'adeguata giustificazione psicologica e una solenne espressione poetica. La leggenda di re Riccardo viene narrata nel quinto dei ""chronicle plays"""" shakespeariani, la cui composizione risale al 1595-1596."" -
Caste e razze seguito da «Principi e criteri dell'arte universale»
«Nel dominio delle forme come in quello dello spirito, è falso tutto ciò che non si armonizza né con la natura vergine, né con un santuario; ogni cosa che sia legittima ha qualcosa della natura da un lato, e del sacro dall'altro». -
Eugénie de Franval
«Ponendosi fuori dell’umanità, Sade ebbe nella sua lunga vita una sola occupazione, che decisamente lo avvinse: quella di enumerare fino alla stanchezza le possibilità di distruggere degli esseri umani, di distruggerli e godere al pensiero della loro morte e della loro sofferenza. Una descrizione esemplare, fosse stata anche la più bella, non avrebbe avuto grande significato per lui. Soltanto l’enumerazione ininterrotta, monotona, aveva il potere di aprire davanti a lui il vuoto, il deserto al quale la sua furia tendeva. […] Ma Sade si trovava in questa situazione morale: molto diverso dai suoi eroi, nel senso che spesso dimostrò sentimenti umani, conobbe degli stati di sfrenatezza e di estasi che gli sembrarono prova di alta sensibilità, se paragonati alle possibilità comuni. Egli ritenne di non potere o dovere eliminare dalla sua vita questi stati d’animo pericolosi, ai quali lo costringevano i suoi desideri invincibili. Invece di dimenticarli, come avviene di solito nei momenti di normalità, egli osò guardarli bene in faccia e si pose la domanda abissale che in realtà essi pongono a tutti gli uomini.» (Dallo scritto di Georges Bataille) Scritto in sei giorni nel marzo del 1788, ""Eugénie de Franval"""", il trionfo dell’incesto, com’è stato definito, e il miglior racconto di Sade, fu così giudicato dal suo autore: «Non c’è racconto o romanzo in tutta la letteratura europea in cui i pericoli del libertinaggio siano illustrati con altrettanta forza»."" -
Il supermaschio
"Come gli eroi di Sade, come Saint-Fond, come Clairwill, come l'incredibile Minski, Marcueil non è Surmâle soltanto per il suo eccezionale vigore sessuale, ma anche perché, attraverso l'esplosione di un'infinita energia, egli fa in sé l'esperienza della morte di Dio e si abbandona per un attimo all'orgoglio incontenibile di essere il primo esemplare di una razza nuova, l'uomo post deum mortuum di cui parla, nei Demoni, Kirìllov quando dice: «la storia sarà divisa in due parti: dal gorilla fino alla distruzione di Dio, e dalla distruzione di Dio fino alla trasformazione fisica della terra e dell'uomo». Quando Bathybius entra nella stanza in cui si è svolto il parodistico superamento dei limiti delle forze umane, un tale abisso separa Marcueil da «quella creatura vestita, canuta e con una barba scimmiesca», che egli lo saluta come un dio saluterebbe un comune mortale: «Chi sei, essere umano?». E questa sovrana integralità dell'Energia sta anche al fondo della passione di Marcueil per l'infinito numerico, simile al furore che muove i personaggi di Sade verso le loro vittime, come se la loro riduzione a numero fosse una delle forme principali della voluttà dei carnefici: «Rien n'amuse, rien n'échauffe la téte comme le grand nombre». L'uomo integrale dell'Energia è l'uomo-dio della tecnica, l'uomo che nel massacro divino scopre la sua infinità e pensa coerentemente la propria essenza a partire dalla nuova prospettiva che l'assenza di dèi gli rivela. Nella sua aspirazione a nascondersi per sopravvivere, Marcueil non sarebbe allora altro che una specie di negativo del Superman della tecnica, e, nell'insolenza del suo riso, suonerebbe l'antica pretesa titanica al potere celeste degli dèi."""" (Dallo scritto di Giorgio Agamben)" -
L' eterno marito
"'L'eterno marito' è la storia di Pavel Pàvlovièc Trusockij, un notabile di provincia che dopo la morte della moglie parte per Pietroburgo allo scopo di ritrovarne gli amanti. Il racconto mette pienamente in luce il fascino che esercita sui protagonisti dostoevskijani l'individuo che li umilia sessualmente. Per capire questo masochismo bisogna dimenticare il bagaglio medico che abitualmente lo oscura al nostro sguardo e leggere, molto semplicemente, """"L'eterno marito"""". In Trusockij non vi è un desiderio di umiliazione nel senso consueto del termine. L'umiliazione costituisce, piuttosto, una esperienza così terribile che inchioda il masochista all'uomo che gliel'ha inflitta o a coloro che gli somigliano."""" (René Girard)" -
Nuovi versi. Testo francese a fronte
"Tradurre i """"Vers nouveaux"""" di Arthur Rimbaud può costituire l'equivalente di una sfida sconfinante nell'autolesionismo più sconsiderato, arrogante. Del resto, il semplice fatto di leggerli più volte nel corso della vita favorisce attitudini già rischiose nei confronti di una provocazione proprio lì al suo innesco. Poiché è indubbio che queste poesie suscitino nel lettore una sorta d'accanimento voluttuoso obbligandolo a calarsi negli strati più sotterranei del linguaggio fino alle sue radici amare, agli etimi sonori, affettivi, concettuali, ai semi di tale avventura."""" (Marica Larocchi)" -
La rima del vecchio marinaio. Testo inglese a fronte
"La rima del vecchio marinaio"""" vide la luce nel 1798, l'anno della straordinaria simbiosi poetica di Coleridge con Wordsworth. Nella Rima, capolavoro del romanticismo, l'epopea del Marinaio è essenzialmente una variazione del topos del viaggio circolare alla scoperta di se stessi, modellato sull'episodio biblico della Caduta: novello Adamo, il Marinaio contravviene alla legge del Padre uccidendo una delle sue creature - un uccello marino, l'albatros -, sperimenta dunque la condizione di tormento, di isolamento che ne deriva e impara la lezione dell'unità e santità del creato, che diventa il suo messaggio al mondo. Il grande poema, con testo a fronte e un vasto apparato di note, è arricchito dalle trentaquattro tavole di Gustave Doré, che ripercorrono fedelmente e potentemente i passi salienti del testo." -
I beati
"Come leggiamo nell'introduzione, anche 'Los bienaventurados', 'I beati', l'ultima opera di Maria Zambrano pubblicata prima della sua morte (1991), vuole realizzare una 'conoscenza poetica', ossia un genere di sapere che nasce dalla simbiosi di ragione e passione, lucidità intellettuale e trasporto emotivo. Un sapere, un pensiero, dunque, che potremmo definire 'creaturale', anzi, con la Zambrano, 'viscerale', e il cui organo a un tempo conoscitivo e creativo è una 'ragione poetica' che applica un metodo 'totale', valorizzando l'intuizione e la rivelazione senza rinnegare l'esigenza di chiarezza da cui è da sempre animata la filosofia. Una ragione così intesa, che Maria Zambrano chiama anche 'logos sotterraneo' o 'logos embrionario', alimenta l'opera della pensatrice andalusa sin dai suoi inizi. Le pagine de 'I beati' mostrano molto efficacemente come la ragione poetica trovi il suo veicolo ideale nella messa a fuoco e nell'interpretazione di alcuni simboli fondamentali: la serpe-vita, il ponte-speranza, l'esilio come espressione della perdita di identità necessaria all'acquisizione di un'identità più intera, i 'beati' come incarnazione del superamento dell'antitesi tra pensiero e vita. Nel loro scaturire dall'azione congiunta di riflessione e immaginazione, e come mette esemplarmente in chiaro un altro di essi, il simbolo della bilancia, questi simboli sono insieme seme e frutto della simbiosi, anzi della 'danza', tra sentire e capire, tra poesia e filosofia."""" (Carlo Ferrucci)" -
Dell'amore
«Il presente libro spiega semplicemente, ragionevolmente, matematicamente, per così dire, i vari sentimenti che l'un l'altro si succedono e il cui assieme si chiama la passione d'amore. Immaginatevi una figura geometrica un po' complicata, disegnata col gesso su una grande lavagna: ebbene! io intendo di spiegare quella figura, ma è condizione necessaria che essa esista già sulla lavagna; non posso disegnarvela io stesso. È proprio quest'impossibilità a far sì che sia tanto difficile scrivere sull'amore un libro che non sia un romanzo. Perché il lettore segua con interesse un esame filosofico di questo sentimento, gli si richiede ben altro che l'intelligenza: è assolutamente necessario che egli abbia visto l'amore. Ora, dov'è che si può vedere una passione? Questa è una cagione d'oscurità che non potrò mai eliminare. L'amore è simile alla via lattea nel cielo, un insieme risplendente formato da miriadi di piccole stelle, delle quali ognuna è spesso una nebulosa. [...] La vita laboriosa, attiva, tutta stimabile e positiva d'un consigliere di stato, d'un fabbricante di tessuti di cotone o d'un banchiere accorto nei prestiti, è ricompensata dai milioni, e non da teneri sentimenti. A poco a poco il cuore di quei signori si ossifica: l'utile e il positivo sono tutto per essi, e l'anima loro si chiude al sentimento che ha il maggior bisogno di tempo disponibile, e rende più d'ogni altro incapaci di qualunque occupazione ragionevole e costante. Tutta questa prefazione non è fatta che per gridare che questo libro ha la disgrazia di non poter essere inteso altro che da coloro che hanno avuto la possibilità di commettere qualche follia. Molte persone si sentiranno offese, e spero che non continueranno la lettura». -
Aforismi sulla radice degli ortaggi
"Aforismi sulla radice degli ortaggi"""", testo affascinante ed enigmatico, sin dal titolo, apparve in Cina nel XVII secolo, e la figura stessa del suo autore, Hong Zicheng, è avvolta nel mistero e nella leggenda. Al crocevia delle tre grandi correnti spirituali (confucianesimo, taoismo e buddhismo) che dominarono, con alterne vicende, in Cina nel corso della dinastia Ming (1368-1644), quest'opera """"sincrética"""" testimonia sia l'altissimo grado a cui erano giunte la filosofia e la letteratura, sia la profonda crisi, morale e sociale, che caratterizzò il tramonto dei Ming. Quel che costituisce il fascino e la complessità di questo testo è la sua ambiguità, quel continuo alternarsi di osservazioni sulla vita sociale e meditazioni mistiche, di riflessioni mondane e precetti religiosi, di considerazione per i rapporti umani ed esortazione al distacco dal mondo, di rispetto per la ragione e affermazione del primato del cuore. L'elemento unificante è lo stile: concisione, leggerezza, ritmo, discrezione, suggestione fanno degli """"Aforismi sulla radice degli ortaggi"""" una delle opere più alte della letteratura classica cinese." -
L' Upanisad nel gran libro anacoretico
«La suprema felicità umana è di esser ricco e di aver successo tra gli uomini, di imperare sugli altri e largamente disporre di tutti gli umani godimenti. Orbene, cento gioie umane equivalgono a una sola gioia dei Mani che hanno raggiunto la loro sede, e cento gioie dei Mani giunti alla loro sede equivalgono a una sola gioia del mondo dei Gandharva. Cento gioie dei Gandharva equivalgono a una sola gioia degli dèi per merito, in quanto ottengono la divinità in virtù delle buone opere, e cento gioie degli dèi per merito equivalgono a una sola gioia degli dèi per nascita, (la quale è premio) del brahmano sincero e privo di desideri. Cento gioie degli dèi per nascita equivalgono a una sola gioia del mondo di Prappati, (la quale è premio) del brahmano sincero e privo di desideri, e cento gioie del mondo di Prappati equivalgono a una sola gioia del mondo del brahman, (la quale è parimenti premio) del brahmano sincero e privo di desideri. E questa è la suprema beatitudine, o gran re; questo è il mondo del brahman». -
Al faro
In una sera del settembre del 1914, la famiglia Ramsay, in vacanza in una delle isole Ebridi, decide di fare l'indomani una gita al faro con alcuni amici. Per James, il figlio più piccolo, quel luogo è una meta di sogno, piena di significati e di misteri. La gita viene però rimandata per il maltempo. Passano dieci anni, la casa va in rovina, molti membri della famiglia sono morti. I Ramsey sopravvissuti riescono a fare la gita al faro, mentre una delle antiche ospiti finisce un quadro iniziato dieci anni prima. Passato e presente si intrecciano, il tempo assume un diverso significato. -
Verso la libertà
Arthur Schnitzler è sicuramente, tra tutti gli scrittori della Vienna fin-de-siècle, colui che con maggiore intuizione e senso di realismo registra i molteplici fermenti che percorrono la sua tormentata epoca. Schnitzler percepisce le contraddizioni della realtà che lo circonda, e palesa il «vuoto di valori» individuandone la presenza nella dimensione del quotidiano, facendolo scaturire dall'osservazione di tutto lo spaccato della società viennese e austriaca del tempo. Ciò emerge forse con più evidenza e profondità nel grande romanzo pubblicato nel 1908, Der Weg ins Freie (Verso la libertà), una delle opere in prosa più importanti di Schnitzler, ma anche un documento in cui l'autore analizza con acutezza impareggiabile la situazione di una componente essenziale della società asburgica, la borghesia liberale ebraica che, incapace di comprendere le contraddizioni provocate dall'evoluzione dei tempi, brucia le sue ultime energie in un patetico solipsismo, rispecchiando così esemplarmente quel processo di dissoluzione dei valori che è la realtà tragica di una profonda e irreversibile crisi. Schnitzler ha descritto in questo romanzo tale realtà e ne ha messo a fuoco con lucidità le motivazioni storiche e le componenti psicologiche, il che dà la misura della sua presenza nell'epoca e forse giustifica il suo orgoglio per quest'opera, se è vero che, nel corso della sua composizione, poté annotare nel Diario il 6 gennaio 1906: «Questo romanzo si porrà nella grande tradizione dei romanzi tedeschi: Wilhelm Meister di Goethe, Enrico il verde di Keller, I Buddenbrook di T. Mann, Le dee di H. Mann», e affermare in un'intervista concessa nel 1931, poco prima della morte: «C'è un libro nel quale mi riconosco pienamente e sono quasi fiero di aver scritto: è il mio vecchio romanzo Verso la libertà. Presto lo metterò sulla mia scrivania fra quei libri che vorrei appena possibile rileggere». (Giuseppe Farese) -
Le vicinanze di Van Gogh. Testo francese a fronte
«...Sottosuolo non è affatto rifugio, ma corpo aperto, accerchiato d’alba lasciva...». Il bagliore degli astri e del cielo, il buio più segreto della terra e la sua notte, costituiscono i due termini di un unico percorso nel quale René Char ci introduce con questo suo libro. Nel presentimento della morte, nella veglia senza paradiso della vecchiaia, il viaggio estremo, tra memoria del passato e lucido sguardo su un presente sempre più spento e demente, si compie attraverso ineliminabili presenze in cui forte continua a pulsare «materia indubitabile» la vita. Luoghi familiari e nomi familiari di animali, spazi siderali e spazio domestico, tutti racchiudono con la stessa intensità un’unica passione: il «rosso degli uomini», fuoco e luce che conobbero anche Georges de La Tour e Vincent Van Gogh. Con uno scritto di Georges Poulet