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Il libro blu di Nebo
Nel giardino in cui Dylan ha piantato un orto, un tempo si aggirava il signor Thorpe, un tipo alto, con i capelli bianchi e un paio di occhiali che riflettevano sempre un po’ di luce, di modo che era impossibile guardarlo negli occhi. A parte il giardino e qualche albero che il ragazzo ha tagliato per procurarsi legna da ardere, la casa è esattamente come i coniugi Thorpe l’hanno lasciata. Un tempo per le strade di Nebo camminavano donne che Dylan vede ora soltanto sulle copertine dei libri: con labbra rosse e carnose, pelle liscia e bianca come il latte, capelli morbidi e ben pettinati. Un tempo lui festeggiava il compleanno con la torta e le candeline insieme con altri bambini, di cui ormai non ricorda più nulla se non il nome, Freddie, Dewi, Ned, Ella. Un tempo… prima della Fine. Dylan se la ricorda la Fine, arrivò all’improvviso mentre lui era a scuola e la madre al lavoro. Rowenna faceva la parrucchiera, tagliava i capelli a bambine e vecchiette nel negozio in cui un giorno annunciarono alla radio sempre accesa che erano state bombardate alcune grandi città americane. Prima della Fine, portava i capelli corti e se li tingeva di biondo, ora li ha neri come la notte. Nella zona morta in cui abitano insieme con la piccola Mona, un posto sperduto dove non viene piú nessuno, madre e figlio si aggirano nelle case abbandonate alla ricerca di piccole cose: libri, fiammiferi, trappole per topi, qualche quaderno, come quello blu che Rowenna ha regalato a Dylan per scriverci sopra, visto che, avendo letto un bel po’ di libri, sa scrivere bene. Dylan lo ha intitolato il Libro blu di Nebo, ricordando i libri in cui gli antichi narravano la loro storia: il Libro nero di Carmarthen, il Libro rosso di Hergest. Il ragazzo scriverà della sua storia, la storia di un sopravvissuto a una catastrofe nucleare. Ma anche Rowenna vi annoterà i suoi pensieri, consegnando al Libro blu di Nebo i ricordi della sua vita, la vita prima della Fine in cui nessuno avrebbe mai immaginato che il mondo sarebbe diventato una terra desolata. -
Il nome e la voce. Per una filosofia dell'inno
La scoperta davvero inedita di Nicoletta Di Vita è che un legame segreto unisce fin dalle origini l’inno alla filosofia dell’Occidente, che esso è stato cioè per il mondo classico la forma per eccellenza del pensiero. Una rigorosa inda¬gine archeologica, che scavalca le false barriere fra le discipline – dalla storia letteraria all’antropologia, dalla linguistica alla scienza delle religioni – mostra cosí non soltanto che Empedocle, Aristotele, Cleante, Proclo e lo stesso Socrate hanno composto inni, ma che l’inno è, insieme al lamento, il luogo in cui l’uomo compie l’esperienza originaria del suo essere parlante. Nella nominazione del dio non è, cioè, semplicemente in questione un genere letterario, che ha caratteri costanti dagli inni omerici ai tardi inni di Hölderlin, ma l’evento stesso del nome, cioè di quell’elemento del linguaggio di cui Saussure diceva che non è possibile fornire una definizione. rnIl lettore che avrà seguito l’appassionante ricerca di Nicoletta Di Vita scopre alla fine che l’inno e il lamento sono ancora oggi le due vocazioni fondamentali dell’essere parlante, in cui l’uomo celebra e custodisce il suo stesso linguaggio, prova a dire lo stesso rapporto – sempre problematico e rischioso – fra le parole e le cose. L’inno è per questo «il piú prezioso esempio di filosofia». g.a. -
Tre sorelle
Nate e cresciute a Manhattan, le tre sorelle Geller hanno davvero poco in comune: Beck, la maggiore, è una giornalista freelance il cui matrimonio assomiglia più a un legame tra fratelli che a un’unione appassionata. Nonostante i suoi successi come cardiologa pediatrica, Claire, la figlia di mezzo, si è sempre sentita la pecora nera della famiglia: è divorziata da poco e l’amore non corrisposto per l’uomo sbagliato la sta lentamente distruggendo. E poi c’è Sophie, la minore, la cui vita da influencer è una folle girandola di viaggi extralusso, incontri con personaggi famosi e sponsorizzazioni di prodotti di alto livello con cui a stento riesce a coprire le spese delle carte di credito. Dopo la morte della madre Marti, le tre sorelle si trovano a fare i conti con uno strano lascito testamentario. Poiché i testamenti servono a tirare le fila che nella vita non hai potuto o voluto tirare, e giacché Marti non aveva alcuna intenzione di confessare, sul letto di morte, il segreto che l’ha sempre perseguitata, ha trovato un modo per riavvicinare le figlie e svelare loro il suo passato: entro un mese dalla sua morte Beck, Claire e Sophie dovranno riunirsi a Mount Desert Island, nel Maine, per vendere l’amato cottage di famiglia. Quello che Marti non ha potuto prevedere, però, è che in quello stesso mese di febbraio l’ex detenuto C.J. Reynolds, un uomo il cui passato ha diverse zone d’ombra, ha deciso di ricostruire la sua esistenza partendo proprio da Mount Desert Island, dove il suo destino si intreccerà in maniera inaspettata a quello delle sorelle Geller. -
Majakovskij. Una vita in gioco
Nessuno scrittore ha avuto un'immagine pubblica plasmata in modo così drammatico come Vladimir Majakovskij. Nato nel 1893 e morto suicida nel 1930, visse con un'intensità estenuante i suoi brevi trentasei anni, colmandoli di poesia, teatro, politica e passioni. Personaggio paradossale, incarnò l'avanguardia politica ed estetica dei primi decenni del Novecento. Al tempo stesso, fu un artista al servizio della Rivoluzione. Il suo destino fu segnato dalla tumultuosa relazione con Lili Brik. Il momento decisivo di tutta la sua esistenza è infatti rintracciabile in quel giorno del luglio 1915 nel quale lesse la sua Nuvola in calzoni nell'appartamento di Lili e Osip Brik. Da quella sera in poi, Majakovskij, Lili e Osip divennero inseparabili. Per quindici anni vissero insieme una delle relazioni più straordinarie. Negli anni Venti, la costellazione Majakovskij-Brik divenne l'incarnazione stessa della provocazione letteraria e di una nuova moralità: Vladimir, ovvero il principale poeta della Rivoluzione; Osip, uno dei massimi critici culturali; Lili, il simbolo della donna moderna liberata dalle catene morali della società borghese. Negli ultimi anni, Majakovskij si rese conto di non avere più un ruolo: non c'era più posto per lui nella società che stava prendendo forma, nella quale la letteratura e la politica letteraria erano dominate da individui le cui «qualità» non erano letterarie. Era l'epoca in cui Stalin terrorizzava il milieu degli artisti e dei dirigenti di partito con le sue purghe. Bengt Jangfeldt ricuce la vita e l'opera del poeta alla luce delle drammatiche turbolenze del tempo: dalle innovazioni estetiche dell'avanguardia prerivoluzionaria alle rigidità del realismo socialista, dalla tragedia della Prima guerra mondiale alla violenza e alla speranza nella Rivoluzione bolscevica, dall'avvento del terrore stalinista alla crescente disillusione per il comunismo russo che portò il poeta a togliersi la vita. L'autore ha fatto riemergere dagli archivi dei servizi segreti sovietici, britannici e francesi documenti e immagini inediti e per decenni ha raccolto di prima mano le testimonianze di persone che conobbero «dal di dentro» Majakovskij, prima tra tutte Lili Brik. Questa biografia è stata definita, nelle varie edizioni all'estero, un capolavoro per stile del racconto e per la luce che pone finalmente su una figura tanto controversa. Bengt Jangfeldt offre la prima biografia completa di Majakovskij, rivelando un uomo travagliato, più sognatore che rivoluzionario, più politico romantico che comunista. Un libro che ci svela un poeta affascinante, contraddittorio e frustrante, con una vita che si concluse drammaticamente: il proiettile che penetrò nel cuore di Vladimir Majakovskij fece a pezzi anche il sogno del comunismo e segnò l'inizio dell'incubo stalinista degli anni Trenta. -
Nel silenzio dei boschi
Senza elettricità, senza famiglia, senza legami con il mondo esterno. È cosí che Cooper e sua figlia Finch vivono ormai da anni, in una casetta immersa nel silenzio dei boschi sugli Appalachi settentrionali. I loro unici mezzi di sussistenza sono un piccolo pollaio sul retro e, soprattutto, Jake, un ex commilitone di Cooper che ogni inverno li raggiunge con il suo prezioso carico di provviste. Cresciuta in quella casa, la piccola Finch, otto anni, ha pochi libri a disposizione, anche se è capace di recitare a memoria poesie di Emily Dickinson e Walt Whitman. La vita di padre e figlia è solitaria e selvaggia, a tratti anche brutale, ma, per Cooper, appartata e lontana com’è dagli occhi del mondo, è in grado di tenerli al sicuro. Al sicuro da una famiglia d’origine che non cessa di rivendicare a sé la bambina; al sicuro dalle intenzioni poco limpide del mondo circostante; al sicuro anche dai ricordi dolorosi che si affollano nella sua mente: innanzi tutto il ricordo della prematura scomparsa di Cindy, la giovane moglie perduta per sempre, e poi degli orrori della guerra in Afghanistan. L’inverno, tuttavia, in cui Jake manca il suo appuntamento annuale, la quiete propria di quel luogo selvaggio viene infranta di colpo. I confini di quell’isola felice diventano labili quando, di lí a poco, una ragazza dai capelli rossi compare nei pressi della loro casa per poi svanire nel nulla. In quei boschi improvvisamente affollati, Cooper è allora costretto a decidere: continuare a nascondersi o affrontare il mondo per liberarsi dei fantasmi del passato che gravano sulla sua anima? Con il rischio di perdere la piccola Finch? -
Amore nero
Quando la protagonista atterra nel 1981 in Alto Volta, quello che oggi si chiama Burkina Faso, non è la prima volta che vede l’Africa. Ci è già stata in precedenza, e ora è tornata per salutare l’amico e batterista Azou. L’Africa da tempo le pare «una grande periferia dove si accumulano i materiali» del mondo che qui sono ancora mobili e non circoscritti, malleabili, carichi di potenzialità infinite e capaci di ricomporsi in infinite varianti. È una terra di sterminata savana e polvere rossa, dove i bambini stanno seduti a grappoli e le donne preparano insieme il tô, una sorta di polenta dura che è la base del pasto quotidiano. Ma anche una società che ha sempre sacrificato l’individuo a sé stessa, liquida, dove i rapporti fra uomini e donne, vecchi e bambini, scorrono come un flusso ininterrotto. La protagonista osserva tutto con l’occhio dell’antropologa, affascinata da quanto le sta intorno e dal proprio modo di reagire a quello, per farne poi un piccolo diario che, ritornata in Italia, affida alle mani di un grande editore. Il quale le conferma che sí, si tratta di un libro, un libro vero, e non solo di un diario senza pretese, e tale che, pubblicato nel 1984, vince nello stesso anno il Premio Viareggio Opera Prima. rnNeri Pozza ripropone oggi quel libro, l’esordio di Maria Pace Ottieri: un volume che contiene un mondo, narrato con una lingua attenta e precisa anche quando è metaforica, in cui lampi di riflessione e consapevolezza si fanno largo tra la fitta descrizione di paesaggi, avvenimenti, villaggi o città, cortili interni o chiese cattoliche. Una dichiarazione d’amore per l’Africa, racconto di un viaggio in quel vasto continente ma soprattutto di un modo di percepire l’altro, di entrare, col cuore prima che con la testa, nella sua cultura. Nelle parole dell’autrice stessa: «Li guardo vivere, mi piace cercare di capire dalle forme, come un disegno di cui si possano leggere solo i contorni, togliere ogni giorno sottili strati di mistero». -
Tra l'oro e l'oblio. Lettere 1959-1970
Il poeta e il critico letterario, Paul Celan e Peter Szondi, si conobbero a Parigi nel 1959. Fino alla morte di Celan, avvenuta nel 1970, si scambiarono, da Zurigo, Berlino, Gottinga, Parigi, oltre cento tra lettere, cartoline, dediche, telegrammi che in questo epistolario sono raccolti integralmente e commentati per la prima volta. Paul Celan, di origini romene poi naturalizzato francese, fu colui che rese nuovamente possibile la «poesia dopo Auschwitz», scrivendo in tedesco, la lingua «dei nostri assassini», come ebbe a dire lui stesso; «un uomo affascinante e impossibile, feroce, ma con accessi di mitezza», come lo definì Emil Cioran, che pur amandolo molto lo evitava «per paura di ferirlo, poiché tutto lo feriva». Peter Szondi, di origini ungheresi naturalizzato tedesco, fu uno dei maggiori teorici, filologi e critici del Novecento. Entrambi scampati alla Shoah, il poeta traduttore di poeti e lo studioso di estetica si scambiarono per anni riflessioni feconde, tra l’altro, sulla letteratura e la poesia, sulle comuni radici ebraiche, sui drammi personali. L’affaire Goll, che vide il poeta coinvolto in una mortificante accusa di plagio e il critico prendere con decisione le sue parti; l’ebraismo di entrambi, identità profonda plasmata dalla sopravvivenza allo sterminio; la depressione di Celan e la comprensione intima della sua poetica da parte del critico, ma soprattutto le istanze etiche che stanno alla base dell’ermeneutica letteraria di Szondi: tutto questo si trova nelle pagine della presente edizione critica. Un epistolario tra due grandi del Novecento alimentato da un legame che si nutrì di solidarietà oltre che di poesia. Una affinità che si protrasse fino al tragico epilogo: Paul Celan si suicidò nella Senna, un anno prima che Peter Szondi cercasse la morte nelle acque di un lago berlinese. -
A Venezia lucean le stelle. Personaggi e storie di una romantica invasione
Nel diciannovesimo secolo la Repubblica non c’è piú ma Venezia c’è ancora e continua a splendere. Questa volta però a illuminarla non è piú lo splendore della sua eccezionale civiltà: la luce proviene da fuori, direttamente dai grandi astri internazionali dell’Ottocento che fanno di Venezia la loro seconda patria ma anche dai grandi veneziani, uomini e donne che lottano per la sopravvivenza della città e, di fatto, la mantengono in vita nonostante il giogo delle potenze straniere che ora la possiedono. Venezia riflette tutte queste luci stellari e le moltiplica: Zorzi la racconta in una serie di storie affascinanti. Giustina Renier Michiel ama cosí tanto la sua patria caduta da affrontare a muso duro uno scettico Chateaubriand e addirittura irridere Napoleone. Lord Byron, che ama Venezia e vorrebbe diventare veneziano, brucia il suo amore nella passione per fin troppe veneziane. Richard Wagner vi sbarca per comporre e morirvi; il dissoluto scrittore Frederick Rolfe, meglio noto come Baron Corvo, consuma la sua vita pur di non abbandonare la città che adora. Poi naturalmente John Ruskin che odia la modernità, mentre D’Annunzio la pilota verso l’azione e Marinetti la invoca. Nella Venezia del XIX secolo, in Piazza e nei palazzi si incontrano scrittori, musicisti e artisti, regnanti detronizzati e pretendenti al trono, grandi dame e grandi provocatrici, acuti osservatori e cinici turisti di rango, soldati che diventano poeti e poeti che diventano soldati, nuovi padroni ed ex padroni e tantissimi altri da ogni parte del mondo, in una colta e raffinata onda che sceglie di fondersi nei canali e talvolta di infrangersi sulle pietre della ex Serenissima. -
Segnali di fuoco
2010, Pennsylvania. Un’antica quercia maestosa si staglia contro la notte stellata di Division Street, nell’elegante sobborgo di Avalon. L’albero magico, lo chiamano da generazioni; col suo tronco immenso, le radici nodose, i grovigli di fiori selvatici ai suoi piedi, domina il suo personale pezzetto di giungla in mezzo alle aiuole pettinate del distinto quartiere. Sotto la quercia sono seduti Ben Wilf, un medico in pensione, e Waldo Shenkman, un ragazzino solitario e geniale, che gli sta mostrando le sue stelle preferite nel cielo nero. Per Waldo, fragile creatura sensibile alla bellezza del mondo, le stelle non sono astri distanti e implacabili, ma amiche, compagne di viaggio che gli illuminano il cammino, segnali di fuoco nella sconfinata oscurità del suo futuro. Waldo non può ricordare che in una notte di dieci anni prima lui e Ben si sono già incontrati; sente tuttavia che parlare con quel signore gentile placa il suo divorante senso di inadeguatezza. Non può nemmeno sapere che continueranno a cercarsi negli anni che verranno, nel tempo e nello spazio, in un destino che li tiene uniti come un filo. In una sera di fine estate di venticinque anni prima, davanti a quella stessa quercia è accaduto un fatto terribile. Da allora, un segreto tormenta il dottor Wilf e i membri della sua famiglia, un segreto di cui non faranno piú parola, nemmeno tra di loro, creando un silenzio che ingoierà per sempre ogni possibile felicità. Anche gli Shenkman, la giovane coppia in attesa di un figlio trasferitasi nel sobborgo molti anni dopo, portano con sé il loro fardello di cose non dette. rnSotto il cielo di Division Street, il tempo corre e i destini delle due famiglie si intrecciano, divergono e poi ancora collidono esplodendo come stelle nelle galassie. Tutti si trovano a fare i conti con i vecchi segreti che affiorano inesorabili e i nuovi che chiedono di essere celati, mentre la vita assegna a ciascuno la sua quota di smarrimento e di perdita ma anche di stupore e speranza, di dolore ma anche di infinita bellezza. -
Papaveri di fuoco
Delan ha ciglia nere sulle guance pallide, capelli scuri, selvaggi, lunghi, con qualche precoce striatura di grigio che gli conferisce una certa raffinatezza, una cicatrice sull'occhio a forma di antica penna d'oca. Delan è come la terra in cui è nato, indomito e rumoroso come il Kurdistan. Quando lo ha conosciuto, Olivia sedeva alla scrivania di un giornale in cui, benché corrano gli anni Settanta, anni di rivolte e ribellioni, le donne sono ancora «mogli prestate all'ufficio», impiegate per ordinare fiori e spedire regali. Il destino le avrebbe certamente riservato il triste «privilegio» di diventare anche lei la segretaria di qualcuno, la moglie di qualcuno, la madre di qualcuno se non avesse incontrato Delan in una casa malandata nel cuore di Hollywood, un luogo di feste per artisti e attori che, come Delan, si pagano i conti lavorando per la televisione, la pubblicità e in piccole parti di film. Olivia cercava l'amore, quello che ti divora, che ti porta con la mente altrove, e le è bastato un solo sguardo di quell'uomo per capire di averlo trovato. Cercava anche qualcuno che potesse comprendere il sogno che coltiva con ostinazione: diventare una fotoreporter capace di scattare fotografie importanti, diverse da quelle del paesaggio appena fuori dalla porta dell'ufficio. E anche in questo Delan si è rivelato come l'uomo del destino. L'inaspettato invito al matrimonio del cugino Ferhad, eccellente suonatore di flauto e fedele compagno d'infanzia, è l'occasione giusta per scattare foto da mozzare il fiato, nel cuore selvaggio del Kurdistan iracheno. Olivia immaginava di trascorrere notti sotto un cappello scuro pieno di stelle, di addentare fichi ancora tiepidi sugli alberi e percorrere i sentieri affollati di un bazar. Una volta nel Kurdistan, scopre un paese splendido, fatto di visioni e profumi inebrianti, di innocenza non ancora compromessa, di piccoli e inattesi atti di gentilezza, ma anche un mondo violento, dilaniato dalla guerra, dove un singolo gesto di un giorno qualunque può fare la differenza tra la vita e la morte. Un mondo in cui ogni cosa prende un significato più vero e profondo: il coraggio, la gentilezza e l'amore, ma anche la paura, il tradimento, il dolore. Un mondo, infine, in cui catturerà l'immagine di un evento tragico e sconvolgente che segnerà la sua vita per sempre. -
L' idea russa. Da Dostoevskij a Putin
Un'idea percorre la storia della Russia e attraversa i secoli per giungere fino a noi, da Dostoevskij fino a Putin: l'idea dell'eccezionalità della Russia, di un Impero che non è né Occidente né Oriente e che, perciò, può congiungere i due mondi in nome di una sua peculiare forza morale e spirituale. «È ora che io passi alla storia» ha dichiarato Putin a un giornalista russo nel lontano settembre 2013. Non vi sono dubbi che l'obiettivo di Putin sia ricostituire l'Impero russo. Su quali basi, su quali idee, però, si fonda questo disegno, oltre che, naturalmente, sulla forza delle armi? La risposta sta, secondo Bengt Jangfeldt, uno dei maggiori studiosi internazionali di letteratura russa, nelle idee sull'identità nazionale russa formulate da filosofi e scrittori sin dalla metà del xix secolo. In Fëdor Dostoevskij, il grande autore di indimenticabili capolavori della letteratura, che scrive: «C'è una sola verità, e solo un popolo può avere un vero Dio. L'unico popolo portatore di Dio è il russo». In Nikolaj Danilevskij, l'autore di Russia ed Europa, che afferma: «La Russia può conquistare un posto nella storia degno di sé e dei popoli slavi solo ponendosi a guida di un sistema indipendente di Stati e agendo da contrappeso all'Europa in tutte le sue manifestazioni». In Nikolaj Trubeckoj, l'inventore del movimento politico-filosofico chiamato eurasismo per il quale il «mondo russo» è uno spazio che comprende Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakistan. E naturalmente in Aleksandr Dugin e il suo sogno della Grande Russia eurasiatica. Attraverso un agile excursus storico, Bengt Jangfeldt mostra come, formulata circa due secoli fa, all'epoca di Nicola I, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, e in particolare nell'era di Putin, l'idea che la Russia sia una civiltà a sé abbia conosciuto «una straordinaria rinascita al punto che, sotto il nome di patriottismo, sia arrivata a sostituire il comunismo come ideologia di Stato». L'«idea russa», la chiamava Dostoevskij. A quest'idea sono dedicate le pagine che seguono, indispensabili per capire realmente che cosa è in gioco nella «terra di frontiera» chiamata Ucraina. -
Sul baratro. Città, artisti e scrittori d'Europa alla vigilia della seconda guerra mondiale
Un continente sull’orlo dell’abisso, incredulo, preso alla sprovvista dall’accelerazione dei fatti e dalla spirale di eventi imprevedibili e ingovernabili che ne derivano. Il 1938 e l’ultimo anno di un’apparente pace nell’Europa che ha vissuto male i vent’anni che la separano dalla fine della Grande guerra. La Germania nazista vuole imporle la sua egemonia. Marina Valensise coglie mirabilmente l’ansia segreta, l’inquietudine, il tormento o la semplice indifferenza che aleggiano sul Vecchio continente. Per farlo, sceglie la chiave solo apparentemente rapsodica di un viaggio attraverso le sue capitali, da Vienna a Budapest, da Berlino a Parigi, da Praga a Bucarest, passando da Vilna e Varsavia, Mosca e Leningrado, e poi ancora da Riga a Drohobyč, da Salisburgo a Lucerna, da Roma sino all’approdo finale a Bruxelles. In ogni città si fa accompagnare da un personaggio che la rappresenti, ricostruendo cosi il destino di quindici scrittori, artisti, poeti, intellettuali, con i loro drammi, le passioni, i sogni, le ambizioni e le angosce nell’imminenza della guerra. Allora molti capirono, alcuni fraintesero, altri fuggirono. I fili di tanti destini si intrecciano di continuo senza mai confondersi. Ci sono amici come Anna Achmatova e Osip Mandel’štam, poeti uniti dal patimento per la persecuzione subita durante il terrore stalinista. Ci sono semplici conoscenti, come Sigmund Freud e Stefan Zweig, l’ebreo viennese esule a Londra già prima dell’Anschluss, che nell’estate del 1938 sarà fra i primi, col pittore Salvador Dali, a dare il benvenuto al fondatore della psicoanalisi espatriato in Inghilterra. Ci sono emuli e seguaci, come Licy von Wolff-Stomersee, l’aristocratica del Baltico e psicoanalista, moglie di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che resistette al cambio di regime psicoanalizzando un bolscevico nel suo castello in Lettonia. Ci sono stranieri in patria come Bruno Schulz, nato polacco nella Galizia orientale consegnata prima all’Ucraina, poi all’Unione Sovietica, e infine ai nazisti, o come Czesław Miłosz, nato suddito dello zar in Lituania e mai diventato del tutto polacco. Ci sono artisti e poeti in fuga come Arturo Toscanini dalla Bayreuth di Winifred Wagner, o come Wystan H. Auden e Alberto Moravia che partono per l’Estremo Oriente e si ritrovano a vagare per le strade di Pechino mentre in Europa sta per scoppiare la fine del mondo. E ci sono apolidi che scelgono l’esilio come Odon von Horvath, nato a Fiume suddito asburgico e morto a Parigi una sera di giugno per un incidente assurdo che è il simbolo stesso del trauma europeo. In questo libro si agitano le anime di grandi intellettuali, scrittori e artisti del Novecento, con i loro sogni, le illusioni, i pensieri. Le loro inquietudini increspano le pagine come fossero onde di un mare sconvolto e ricordano al lettore contemporaneo quanto sia vulnerabile la liberta europea e quanto fragile sia la civiltà che ne e il fondamento. -
Scrittori in armi
Il servizio militare è stato per lungo tempo un banco di prova, un’esperienza, un passaggio per tutte le generazioni di uomini. Per coloro che ambivano magari a combattere e consideravano la guerra igiene del mondo, ma anche per chi non aveva alcuna dimestichezza con fucili a retrocarica, mitragliatori e bombe a mano e si trovava costretto a sveglie all’alba, marce, discipline ferree, bagni comuni e camerate. Tra questi certo gli scrittori, di solito piú a loro agio nei caffè letterari e in biblioteche antiche piuttosto che in stanze fredde e turni di guardia. rnGiuseppe Scaraffia, scrittore raffinato e studioso di letteratura, racconta il servizio militare di molti autori che abbiamo imparato ad amare e a leggere. Attraverso una trentina di esempi, racconta il comportamento di alcuni poeti, scrittori e pensatori che hanno fatto la storia della cultura degli ultimi due secoli: Rimbaud, Nietzsche, Dostoevskij, Proust, Freud, Jarry, Morand, Rilke, Zweig, Thomas Mann, Werfel, Léau - taud, Céline, Savinio, Schnitzler, D’Annunzio, Jünger, Valéry, Fitzgerald, Hemingway, Drieu La Rochelle, Buzzati, Genet, Cioran, Waugh. Un libro sorprendente, un mosaico di ritratti segreti. Un prezioso dizionario di aneddoti e curiosità. -
L' avventuriero. Sulle tracce di Nicolò Manucci da Venezia allo Stretto di Hormuz
Venezia, novembre 1653. Nicolò Manucci sale a bordo di un veliero pronto a salpare e si nasconde tra i sacchi delle provviste. Il vascello lascia a poppa le luci notturne di Palazzo Ducale. Destinazione: l’ignoto. Nel Seicento, Venezia rimaneva, assieme a Lisbona, Amsterdam e Londra, una delle principali porte europee verso le sconfinate terre dell’Asia. Da lì partivano mercanti, ambasciatori, consoli, cartografi, navigatori e spie. Nicolò Manucci non era però nessuno di questi. Aveva quattordici anni, era di umili origini ed era appena scappato di casa. A bordo di quella nave il ragazzo venne reclutato da un aristocratico inglese con un braccio solo: Lord Bellomont. L’antesignano agente segreto di Sua Maestà britannica stava svolgendo una delicata missione diplomatica alla corte di Persia. Una volta approdati nel porto ottomano di Smirne, la destinazione dei due avventurieri sarebbe diventata Isfahan, la capitale dell’impero safavide. Isfahan all’epoca veniva soprannominata in persiano «nisf-i-jahan»: «la metà del mondo». Per arrivare nella «la metà del mondo» Manucci e Lord Bellomont avrebbero dovuto attraversare in carovana la Turchia, l’Armenia e gli sconfinati altopiani desertici dell’Iran. Tre secoli dopo, tra l’estate del 2015 e l’inverno del 2016, l’autore si è messo sulle tracce di Manucci insieme alla fotografa Angelica Kaufmann dopo aver ricostruito le sue avventure negli archivi di mezza Europa. Il viaggio procede da Venezia a Smirne allo stretto di Hormuz, oltre cinquemila chilometri via terra, un lungo e impervio tragitto attraverso le frontiere militarizzate delle più instabili regioni del pianeta. -
Domani a quest'ora
Alla vigilia del suo quarantesimo compleanno, la vita di Alice non è poi così male. Ha un lavoro piacevole nell’ufficio matricole dello stesso college che frequentava da studentessa, vive a Brooklyn, sta bene con Matt, l’attuale fi-danzato, e si gode la propria indipendenza, anche se comporta un lungo tragitto in metropolitana per andare in ufficio o nell’elegante appartamento dell’Upper East Side di Matt. E adora Sam, la sua migliore amica, sposata, con tre figli, una villa a Montclaire e un armadio pieno di costosi abiti firmati che indossa per andare a lavorare in un importante studio legale. rnIn realtà non tutto è roseo: suo padre, Leonard Stern, scrittore di un bestseller di fantascienza, si trova ormai da settimane in un letto d’ospedale, collegato a tubi, sacche e macchine, più di quante se ne possano contare, e sono giorni che non apre bocca. Come sono arrivati a questo punto? C’è ancora tempo per dirsi quello che non si sono mai detti? Ma un mattino, svegliandosi, Alice non riesce a credere ai suoi occhi: non è il suo corpo da sedicenne lo shock più grande, ma suo padre, o meglio, la sua versione più giovane, vitale, affascinante. È il 1996 e tutto è ancora possibile, anche vivere una cotta adolescenziale e costruire un rapporto più profondo con il proprio padre. Armata di una nuova consapevolezza, Alice si chiede: che cosa rifarebbe diversamente? E se avesse più di un tentativo a disposizione, riuscirebbe a costruire la vita perfetta? Con grande ironia e profonda sensibilità, Emma Straub ribalta abilmente il cliché dei viaggi nel tempo esaudendo il desiderio universale di una nuova possibilità, quella di riscrivere momenti cruciali della nostra vita per non perdere occasioni di felicità. -
Fantasmi
All’età di nove anni, Edith Wharton contrasse la febbre tifoidea e rimase confinata nel suo letto per settimane. La sua preghiera era: datemi dei libri da leggere. Fu cosí che la madre le diede una storia di fantasmi. A una bambina poco dotata d’immaginazione una storia del genere poteva fare poca o nessuna impressione, ma sulla piccola Edith ebbe un effetto dirompente: da quel momento si ritrovò a vivere in uno stato di terrore costante, con un senso di minaccia che accompagnava ogni suo passo, incapace di stare al buio, angosciata dalla solitudine. Dovette arrivare ai trent’anni perché, da donna pragmatica qual era diventata, trovasse l’unico modo efficace per gestire, da scrittrice, le proprie paure: diventare maestra nel genere letterario di quelle storie di spettri che tanto a lungo avevano infestato le sue notti. «Se il racconto vi manda un brivido gelato giú per la spina dorsale, ha fatto il suo dovere, e l’ha fatto bene» scriveva. Cosí Edith scrisse le sue storie del brivido, che apparvero in antologie accanto a Edgar Allan Poe e Henry James, in una produzione parallela ai suoi romanzi per tutta la vita: piú di ottantacinque, e molte avevano per protagoniste presenze spettrali. La raccolta Fantasmi fu concepita nella sua forma attuale dalla stessa Wharton prima di morire ma, pubblicata postuma nel 1937, finí ingiustamente dimenticata. In questi piccoli capolavori ritrovati, sottilmente inquietanti, ora presentati nella nuova traduzione di Tiziana Lo Porto, si possono riconoscere tutti i temi cari alla sua letteratura: la crudeltà di certi destini femminili, la costrizione all’interno di matrimoni claustrofobici, lo sradicamento dal paese natio, la prepotenza delle convenzioni sociali. Avvolti nell’abito sontuoso che tanto bene le conosciamo: la prosa nitida e affilata che sa illuminare i territori nascosti della realtà quanto, insospettabilmente, quelli del soprannaturale. -
D'amore e di rabbia
Sicilia, luglio 1922. A Lentini, centro agricolo della provincia siracusana sotto il fiato dell’Etna, avviene un sanguinoso fatto di cronaca, poi sepolto dalla polvere. Tra i protagonisti anche Maria Giudice, fervente sindacalista di origine lombarda e madre della scrittrice Goliarda Sapienza. Alla vigilia della prepotente affermazione fascista, nella cittadina si consuma un’accesa lotta di classe tra la decadente nobiltà latifondista, arroccata nel palazzo baronale dei Beneventano della Corte, e i braccianti. In mezzo, sul confine di quei due mondi, c’è Amelia Di Stefano, una donna fuori posto. rnUn proverbio popolare siciliano recita che un uccello in gabbia non canta per amore ma per rabbia. Amelia è una donna in trappola. Catanese di nobili origini, ha pagato duramente un errore commesso da giovane. Ora, tradita dalla famiglia e dagli amici della Catania dei salotti, si ritrova in esilio a Lentini, dove oscilla tra la relazione clandestina che la vincola a Francesco, primogenito del potente barone Beneventano della Corte, e il carisma della fiamma ideologica di Mariano Fortunato, personalità di spicco del sindacalismo locale. Attorno a lei, il popolino, la putía di Santina, i dammusi umidi, i colori e le voci del mercato, le corse dei devoti a piedi scalzi, le vanedde strette, la Grotta dei Santi e i suoi miracoli. A confortarla saranno l’affetto di Enza, capociurma di campagna dalla forte personalità, il sorriso imperfetto di Tanino, l’amico artigiano, o ancora la presenza di Ciccio lo sciancato, ultimo tra gli invisibili, che c’è sempre. I due universi convivono, si intrecciano. E Amelia sempre in mezzo, sempre in bilico. Fino a quando non si imporrà l’imperativo di una scelta. E allora nulla sarà come prima. -
Mathematica. Un'avventura alla ricerca di noi stessi
Una disciplina elitaria, astratta, che incute soggezione, quando non viscerale antipatia: cosí la matematica è generalmente percepita, come un freddo sapere logico riservato a pochi eletti in grado di esercitarlo.rnLe cose, tuttavia, stanno davvero cosí? Occorre davvero un talento innato per la logica per comprendere la matematica? O una simile percezione non è altro che un luogo comune, frutto di un’errata trasmissione del contenuto proprio di questo sapere?rnNelle pagine di questo libro, David Bessis sfata questo luogo comune e mostra come la matematica riguardi un’attività umana che non ha nulla a che vedere con una disciplina logica (la logica concerne altri campi), ma è una vera e propria pratica, come lo yoga e le arti marziali, per le quali non è richiesto un talento innato. Del resto, è ciò che i grandissimi matematici vanno ripetendo dall’alba dei tempi, con quell’atteggiamento spesso scambiato per falsa modestia. Nessuna dote connaturata, ma soltanto una capacità molto spiccata di esercitare curiosità, immaginazione e intuizione. Doti che, com’è noto, sono alla base dei grandi momenti di apprendimento della vita: parlare, camminare, mangiare col cucchiaio, leggere, andare in bicicletta. Comprendere la matematica è, perciò, come percorrere un sentiero che conduce alla magnifica elasticità mentale di quando si è bambini, a quella condizione, cioè, in cui si è in grado di apprendere, una dopo l’altra, le difficilissime azioni che caratterizzano la nostra specie. rnCerto i matematici hanno inventato una trascrizione tanto precisa quanto ermetica per le loro intuizioni, proprio come i musicisti hanno inventato la loro ermetica notazione. I musicisti, tuttavia, hanno un innegabile vantaggio, basta che suonino e chiunque è in grado di seguirli. Non fosse possibile ascoltarne la musica, ma fosse dato soltanto decifrarla sugli spartiti, i musicisti sarebbero, nella considerazione comune, esattamente come i matematici: una cerchia di eletti guardata con soggezione, se non con inconfessata antipatia. rnLa matematica, tuttavia, si può «sentire», proprio come la musica. È possibile percepire la forza delle sue intuizioni. Questo è almeno quanto, passo dopo passo, si sforzano di trasmettere le pagine di questo libro, per le quali è perfettamente possibile apprendere la matematica esattamente come abbiamo appreso da piccoli a mangiare col cucchiaio senza mai dire «Il cucchiaio mi fa paura». -
L' ufficio degli affari occulti
Un bambino corre, a piedi nudi, nella notte. Corre senza meta nelle viuzze buie e strette della Parigi cenciosa che festeggia l’ascesa al trono di Luigi Filippo. Il suo cuore è un tamburo impazzito. La mente, occupata da un solo pensiero: sfuggire agli artigli del Vicario, che è lì da qualche parte, nell’oscurità, pronto a dargli la caccia tutta la notte. In un vicoletto, il bambino scorge un coccio di bottiglia tra le immondizie. Lo afferra per tagliare il tendone più vicino. Un taglio discreto, giusto per entrare. Una volta dentro, lo accolgono visi da incubo, emersi dal nulla, in un terrificante labirinto di specchi da cui è impossibile uscire…rnDall’altra parte della città, in uno dei quartieri ricchi della capitale, nella residenza di Charles-Marie Dauvergne, deputato alla Camera di fresca nomina, si festeggia il fidanzamento di Lucien Dauvergne con la figlia di un industriale normanno. Lucien è un giovane frivolo, un dandy elegante e bohémien. Nel corso della serata, sale al piano superiore della casa e scompare letteralmente dalla festa. Temendo un capriccio del suo incorreggibile rampollo, Madame Dauvergne si avventura anche lei al primo piano, e vede il figlio inginocchiato dinanzi a un grande specchio di Venezia con la cornice dorata. Il giovane si alza, abbozza un saluto, poi avanza con passo risoluto verso la finestra e si getta serenamente nel vuoto.rnL’inchiesta su una tragica, illogica morte del figlio di un personaggio illustre suscita sempre non pochi timori nelle alte sfere del potere. Alla Süreté viene perciò convocato e istruito in tutta fretta Valentin Verne, giovane ispettore della Buon costume, il servizio di protezione della morale. A Valentin, che sotto la sua apparenza eterea cela una durezza, una determinazione tagliente quanto il filo di una lama, non resta che accettare il nuovo incarico, anche se comporta, per il momento, la rinuncia a venire in aiuto di Damien, un orfano indifeso caduto nelle grinfie del mostro che si fa chiamare il Vicario. -
Il re traditore
L'11 dicembre 1936, con il voto di ratifica dell'abdicazione da parte del parlamento inglese, Edoardo viii decade da monarca dopo 326 giorni di regno. David, così lo chiamano in famiglia, avvera in tal modo la premonizione del padre, secondo cui il figlio si sarebbe «rovinato» entro dodici mesi dalla sua morte. Il neoduca di Windsor, però, non ha alcuna percezione della rovina. Dopo aver trascorso il pomeriggio nella casa di campagna di Fort Belvedere, un capriccio reale finto-gotico con batterie di cannoni, merlature e torrette, in cui è sbocciata la sua storia d'amore con Wally Simpson, la donna per la quale ha rinunciato al trono, ritorna al Royal Lodge, bacia e saluta suo fratello - «alla maniera dei massoni» ricorderà Giorgio VI - e si allontana raggiante. Legioni di detrattori hanno gridato allo scandalo per la sua relazione con la commoner americana divorziata, ma ora, dopo l'accettazione della sua rinuncia alla corona, non resta loro che tacere. David e Wally Simpson potranno finalmente vivere, come si suole dire, felici e contenti. Ma sono stati davvero felici e contenti? Per la maggior parte degli storici l'abdicazione di Edoardo VIII costituisce l'epilogo del caso che sconvolse la monarchia, la società e il governo inglesi (Winston Churchill lasciò Fort Belvedere in lacrime, dopo aver pranzato con Edoardo VIII). Per Andrew Lownie ne è soltanto l'inizio. È lo scandaloso esilio del duca di Windsor e di Wally Simpson a gettare, infatti, luce sulla reale personalità dei due amanti, sulla natura della loro relazione e sugli oscuri rapporti che i due intrattennero nel corso dei loro soggiorni in Europa e alle Bahamas. Celebrati come gli esuli glam per eccellenza dalla stampa dell'epoca, i Windsor si svelano, in queste pagine, come capricciosi «pendolari» tra suntuose dimore provenzali e residenze di lusso, adulterini incalliti ossessionati dalla propria immagine al punto da manipolare i media perché li ritraessero come vittime, attori consapevoli di pagine buie della Storia, dalla faida interna alla famiglia reale inglese al tentativo dei nazisti di fare di Edoardo un Pétain inglese, fino all'insabbiamento da parte del duca, in qualità di governatore delle Bahamas, dell'indagine sulla morte di Sir Harry Oakes, il padrone del British Colonial Hotel, suo caro amico. Dopo aver attinto ad archivi finora inesplorati, Lownie illumina la zona d'ombra dietro lo scintillante, fragile mondo del «re traditore» e della commoner americana che, stando a una giornalista dell'American Mercury, «teneva appesa sopra il tavolo da toeletta... una fotografia autografata di von Ribbentrop».