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Proust e Monet. I più begli occhi del XX secolo
«Proust condivideva con Monet l’idea che l’impressione è la materia prima dell’opera d’arte, ciò da cui è necessario partire per decifrare e dare espressione al rapporto di ciascun artista con l’universo in cui vive: il cielo, la terra, le acque, gli esseri e le cose». Il ruolo decisivo di Claude Monet nella formazione estetica di Marcel Proust e i punti di contatto tra le loro poetiche: ecco l’itinerario lungo il quale l’autrice di queste pagine ci accompagna, ripercorrendo le tappe più significative dei due percorsi creativi – dall’incompiuto Colazione sull’erba del giovane Monet all’incompiuto Jean Santeuil del giovane Proust, sino ai loro massimi capolavori, Le grandi decorazioni dell’Orangerie di Parigi e Alla ricerca del tempo perduto. Scopriamo così che l’elaborazione dei grandi temi proustiani – il tempo, l’oblio, la memoria involontaria – si è costantemente intrecciata alle meditazioni dello scrittore sulla pittura di Monet, dai primi dipinti impressionisti all’invenzione delle «serie», in particolare quelle delle Cattedrali, dei Mattini sulla Senna, delle Ninfee. Con straordinaria acutezza e in ragione di profonde affinità, Proust intuiva che il vero «soggetto» di quelle serie meravigliose, che lui vedeva trascorrere da una tela all’altra, era il tempo, il tempo «sovrano reggitore e regolatore della nostra vita e dell’universo», che nel suo flusso nascosto trasporta in un perenne andirivieni, dal nulla verso il nulla, esseri e cose. Consapevole di quanto effimero fosse lo splendore dell’attimo che subito si spenge, Monet cercava con le «serie» di vincere – attraverso la durata – la caducità e l’oscura morte che l’accompagna. Dunque, per Monet come per Proust, l’opera d’arte diventa il luogo in cui fissare «una realtà che sta per lasciarci per sempre» e per ritrovare, nel felice presente della creazione, il tempo perduto. -
Prove tecniche di resurrezione
Grazie sorella sconfittami hai dato gli occhi e tre piaghe nel cuoree nessun filo per poterle cuciree il coraggio per poterle cantare Grazie sorella sconfittami hai dato gli occhi e rubata la vocemi hai schiaffeggiato sull’ultima guancianon mi restava null’altro da offrire Un affannato percorso di dolore quello compiuto da Massimo Zamboni attraverso le parole delle canzoni di tre album - Sorella Sconfitta, L’inerme è l’imbattibile, L’estinzione di un colloquio amoroso -, pubblicati come solista tra il 2004 e il 2010, dopo la ventennale esperienza di fondatore e compositore di CCCP e CSI. Tre opere intimamente legate tra loro, complementari, dove l’esperienza umana si consolida attraverso la ricerca e la scoperta dei denominatori comuni tra gli uomini: l’accettazione della Sconfitta come Sorella e compagna di strada, l’offrire la propria inermità scavata a fondo fino a cogliere i segni della forza, l’accogliere l’estinzione come sorgente di nascita. Un percorso di parole nato attraverso la musica che prende adesso la forma della poesia, e si alterna alla prosa, tracciando quasi un intimo diario. “Per chi conosce Massimo Zamboni, - scrive Emilio Rentocchini nella prefazione a questo libro - non è semplice separare le parole delle sue canzoni dalla pigra e struggente monodia della musica, ferita di quando in quando dal fremente barrito della chitarra elettrica o sgranata nel frullo misterioso e concavo delle voci di contorno, sostenuta dal ritmo addolcente della ripetizione. Nelle sue composizioni, le parole abitano una doppia musica. Stanno in se stesse e in un alone ulteriore che le avvalora e allo stesso tempo ne devìa il respiro naturale, puro. Sulla pagina è invece la parola nuda, il verso sobrio, la strofa esatta a cantare il senso, la poesia delle cose, in un percorso sofferto di scrittura sempre più rarefatta e sentimenti meno corrisposti”. Nessuna attrazione per la sofferenza come catarsi quella di Zamboni; ma una partecipazione accorata verso tutte le cellule di sopravvivenza che sempre ricominciano a tessere il mondo dopo l’abbattimento. Una riflessione sul valore più alto della missione umana, lì dove se non è possibile aspirare al carattere completo e infinito di una resurrezione divina, si possono e si devono intraprendere continuamente le prove tecniche per il nostro compimento. -
Il vagabondo. Sociologia dell'uomo senza dimora
Hobo è, nel gergo americano, il termine che indica i vagabondi, i lavoratori senza fissa dimora. Nels Anderson, allievo atipico della Scuola di Chicago e hobo lui stesso in passato, compie una ricerca tra i vagabondi, giovani e meno giovani, che popolano Hobohemia, nelle aree tra West Madison e Jefferson Park, della Chicago degli anni venti. Gli hobos, lavoratori migranti posseduti dalla smania del viaggio, erano espressione contraddittoria della mobilità interna alla frontiera americana e del processo di industrializzazione in atto, di un contesto in cui si mescolano modernità e preindustrialismo. Di tale esperienza Anderson dà conto in questo volume che nel 1923 inaugura la «Sociological Series» del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Chicago, e che rappresenta un autentico antesignano della moderna etnografia urbana. Con un metodo nel quale si uniscono testimonianza personale e approccio etnografico, tra interviste, osservazioni e materiale documentario, Anderson racconta quell’esperienza anche nella speranza che il proprio lavoro spinga i Comitati di assistenza di Chicago a intervenire per il miglioramento della condizione degli hobos. La vita di quegli uomini sarà il tema, odiato e amato, che ritornerà periodicamente nella sua vicenda di sociologo. Ma questo suo primo libro, allegro e preciso, documentatissimo e insieme caldo e spiritoso come un romanzo, resterà un esempio insuperato, un vero e proprio «classico» della sociologia contemporanea. -
Il cantiere federale
Comuni e province sono ormai abbandonati a se stessi in un sistema sempre più complesso e articolato, caratterizzato da una rete di reciproche influenze e interdipendenze. È questo uno dei principali effetti della riforma del 2001 del Titolo V: la frammentazione delle competenze normative in materia di ordinamento degli enti locali. Si è prodotto il superamento del potere ordinamentale generale e uniformante dello Stato e si è creata una situazione in cui è arduo stabilire di volta in volta quale sia il «garante» degli enti locali: a volte lo Stato, a volte le regioni. Proprio quest'ultima è la strada che sembra essere quella maggiormente battuta. Vi sono infatti spazi di intervento che la riforma attribuisce, oltre che alla potestà normativa locale, anche alle regioni; spazi che potrebbero aprire la strada a una differenziazione dei sistemi regionali delle autonomie locali. È questo il cantiere ancora aperto in cui prendono corpo, seppur lentamente, i tentativi di dare attuazione alla recente riforma costituzionale. Che si tratti comunque di un percorso accidentato è testimoniato dai ripetuti interventi della Corte costituzionale, che ha sanzionato l'illegittimità di alcune leggi regionali. Questione fondamentale è interrogarsi su quali siano gli strumenti e le modalità da porre a presidio dell'autonomia locale, in uno scenario delimitato -
Obbedire o negoziare
La disciplina famigliare rappresenta uno tra i primi insiemi di norme sociali, valori, sanzioni, pratiche di gestione dei conflitti con cui i bambini e i ragazzi vengono in contatto. Infatti, proprio l’apprendimento di questi elementi normativi e valoriali trasmessi in ambito famigliare è in grado di determinare lo sviluppo degli orientamenti normativi successivi, anche di carattere giuridico, fornendo i tratti fondamentali di una struttura regolativa utilizzabile nel corso dell’intera esistenza. È attraverso la partecipazione attiva ai processi di socializzazione che i bambini e gli adolescenti impegnati a esplorare le possibilità di relazione e di comportamento concesse, auspicate o stigmatizzate dalla società di appartenenza, interiorizzano e rielaborano le varie dimensioni del «dover essere», ossia le dimensioni normative e valoriali riguardanti ciò che essi debbono essere nel presente e diventare nel futuro, in che modo e quando. Di fronte alle incertezze che connotano attualmente i ruoli genitoriali e i contenuti dell’educazione, quali sono le caratteristiche che assume la disciplina famigliare, considerato che, diversamente da un tempo anche recente, l’accento si pone non tanto sulla capacità dei genitori di ottenere l’obbedienza alle regole, quanto sulla capacità di negoziare? E ciò tenendo conto che l’autorità dei genitori e il loro potere di imporre regole e comminare sanzioni sono ridimensionati dalla centralità dell’opera di ascolto e di «svelamento del sé del figlio». Il volume, basato su una ricerca empirica condotta su famiglie e adolescenti, esplora gli aspetti normativi della socializzazione, perché il «senso del giusto» che ispira l’agire degli adulti si costruisce fin dall’infanzia e dall’adolescenza. -
La fabbrica del convento. Memorie storiche, trasformazioni e recupero del complesso di San Francesco a Ripa in Trastevere
Il volume espone e illustra l’articolato percorso compiuto durante un ricco trentenniod’esperienze di studio, di conoscenza e di lavoro, rivolte al grande complesso trasteverino dell’ex convento di San Francesco a Ripa a Roma: una storia di passate destinazioni d’uso, religiose e militari, mai completamente abbandonate. Ancora oggi, alcuni frati francescani occupano una parte modesta delle costruzioni, e i militari – non più i bersaglieri, ma i carabinieri del Nucleo tutela del Patrimonio artistico – sono insediati nell’ampia porzione loro destinata. Il quartiere di Trastevere (pianura di deposito alluvionale compresa tra l’ansa del Tevere e il Gianicolo), anticamente molto popolare, era, e in parte è tuttora, caratterizzato dalle vaste aree degli antichi conventi protetti da mura rustiche, da tracciati viari di ascendenza romana e medievale perfettamente leggibili, e dalla presenza del serrato borgo operaio, generato dall’intensa attività intorno al distrutto porto fluviale di Ripa Grande. Non che questo quartiere «povero» della Roma antica non abbia subito i suoi oltraggi nei secoli e decenni passati, a partire dall’inserimento della Manifattura tabacchi già sotto Pio IX.Lo studio preliminare all’intervento è riuscito a ricostruire, attraverso un accurato lavoro di indagini archivistiche, bibliografiche, archeologiche, decorative, artistiche e materiali, la secolare storia di vita del complesso, orientando di conseguenza le scelte architettoniche e strutturali. Ma la vecchia divisione tra una parte ancora d’uso religioso (la parrocchia che sostituì il convento) e una parte a uso pubblico (militare una volta, culturale oggi), sancita all’epoca delle soppressioni degli ordini religiosi dopo il 1871, è stata riproposta nel progetto in corso d’esecuzione. I progettisti hanno avuto cura di non realizzare delle separazioni fisiche dannose per la comprensione della struttura architettonica, della quale gli architetti hanno mirato a recuperare i valori spaziali e urbanistici, avviando così un processo di ricostruzione di un’identità. Nello stesso tempo, però, hanno ricercato anche le tracce di testimonianze decorative che arricchivano un convento volutamente disadorno, poiché destinato a una delle correnti più rigorosamente osservanti della povertà francescana. Spicca, infatti, nel pieno sfarzo della febbre edilizia della Roma rinascimentale e barocca, e nella frenetica attività degli architetti all’opera per la corte papale, la quasi totale assenza del nome di un qualche celebre architetto, mentre ci s’imbatte continuamente in nomi di capomastri o appaltatori più o meno oscuri, riconoscibili nella povertà e nella semplicità delle tecniche edilizie impiegate, nel continuo riuso dei materiali e nelle estemporanee soluzioni tecniche.I curatori Paola Degni e Pier Luigi Porzio, unitamente agli autori degli altri saggi qui hanno dato prova di una pregevole capacità analitica, interpretativa e progettuale per aver saputo cogliere a pieno l’importanza di questo intervento eminentemente urbano, quale segno distintivo della genesi e dello sviluppo di una città come Roma, che si caratterizzava anche per l’alternanza delle grandiose costruzioni principesche e degli ordini religiosi trionfanti con una prassi edilizia comune, più dimessa, ma non per questo meno significativa. -
Istituzioni locali, performance, trasparenza
Nel corso degli ultimi due decenni le riforme amministrative hanno promosso negli enti locali l’introduzione del controllo di gestione con l’obiettivo di accrescerne efficienza, efficacia e qualità delle prestazioni fornite a cittadini e imprese in un contesto di rigido controllo della spesa pubblica.Già dall’inizio degli anni ottanta comuni e province sono stati i laboratori in cui le amministrazioni pubbliche hanno iniziato a sperimentare il controllo di gestione perché, in quanto istituzioni più a contatto con cittadini e imprese, per prime hanno avvertito la necessità di incrementare le proprie performance. La riforma Cassese, in parte anticipata per gli enti locali dalla legge n. 142/1990, ha rappresentato un punto di svolta rispetto ai sistemi di controllo, e la riforma Bassanini del 1999 ha quindi cercato di renderli conformi a un’amministrazione «pluralista», accrescendone il livello di articolazione funzionale e organizzativa. Tuttavia, come evidenzia la ricerca i cui risultati vengono presentati in questo volume, nella maggioranza degli enti locali lo sviluppo di strumenti e pratiche manageriali è ancora nullo o carente, il sistema di controllo interno, anche laddove è stato impiantato e ha attecchito, fatica a produrre report e, comunque, le informazioni generate sono poi raramente utilizzate per operare scelte gestionali.Le ragioni di questo (parziale) insuccesso sono diverse e soprattutto riconducibili al fatto che si è preferito, sotto l’incalzare delle difficoltà della finanza pubblica, introdurre meccanismi di contenimento della spesa piuttosto che la sua riqualificazione. È quindi evidente che la riforma dei controlli rischia, ancora una volta, di produrre solo un limitato adempimento dei precetti normativi, ma non un effettivo miglioramento del modo di gestire le amministrazioni locali, ed è probabile che i tagli imposti ai fondi in materia di formazione e di consulenza rappresenteranno un impedimento notevole all’attuazione della riforma.In questa situazione l’unica alternativa praticabile sembra essere quella di valorizzare al massimo i giacimenti di conoscenze e capacità di cui le amministrazioni pubbliche già dispongono al proprio interno, a partire da quelle dei network che legano tra loro le persone che lavorano negli enti locali. -
Le parole e le figure
C’è stata una «rete» capace di connettere il mondo molto prima di internet. «L’intera superficie del paese – sosteneva infatti Samuel Morse nel 1873, a proposito del telegrafo e degli Stati Uniti – sarà solcata da quei nervi che hanno il compito di diffondere, alla velocità del pensiero, la conoscenza di tutto quello che accade in tutto il territorio, cosa che trasformerà l’intero paese in un unico grande quartiere»: ecco le fondamenta della contemporanea comunicazione di massa, di quello che McLuhan avrebbe definito «villaggio globale». Il libro ripercorre, in un continuo confronto con i modelli internazionali, la nascita e l’evoluzione in Italia di un sistema dei media fondato sulla parola e l’immagine. Parole scritte e lette, attraverso l’industria del libro e della stampa quotidiana e periodica, ma anche ascoltate, attraverso gli strumenti per la riproduzione meccanica del suono e la radio. E immagini, figure che occhieggiano ammiccanti dai manifesti suggerendo nuovi consumi, o che vengono disegnate dalla luce, dalla «matita della natura», come uno dei primi sperimentatori, William Talbot, definiva la fotografia. O, ancora, che iniziano ad animarsi nelle sequenze fotografiche di Muybridge e stupiscono il mondo con i primi rulli cinematografici dei fratelli Lumière. Intrecciando prospettive diverse – dalla storia della tecnologia a quella sociale, dalle trasformazioni dei linguaggi alla costruzione dei pubblici – prende forma, in queste pagine, l’avvincente ricostruzione del lungo processo di formazione del sistema delle comunicazioni di massa nel nostro paese. -
Rispettare le regole
Quale rapporto c’è tra socializzazione e norme nei contesti della scuola e della famiglia? Come si comportano bambini e adolescenti rispetto al sistema di regole che viene loro imposto e proposto? Il volume, illustrando esperienze di ricerca sul campo promosse dall’Università di Urbino, approfondisce i diversi momenti della socializzazione normativa: per esempio, le difficoltà che incontrano i giovani nell’orientarsi all’interno di un mondo di regole e divieti spesso contrastanti tra loro si specchiano in quelle che i genitori affrontano nel fornire ai figli un orientamento. I cambiamenti nella relazione tra genitori e figli hanno prodotto forme di autorità genitoriale più incerte rispetto al passato: solo analizzando in concreto pratiche e interazioni educative, e osservando il tipo e la forma delle norme prodotte, è possibile comprendere il rapporto che bambini e ragazzi stabiliscono con tutti i tipi di autorità. Accanto all’ambito familiare, l’altra fonte di norme e regole è la scuola: in questo senso, copiare i compiti può essere assunto come paradigma di un comportamento che poggia sulla violazione delle regole sociali. Le ricerche presentate nel volume si concentrano proprio su questo aspetto, anche allo scopo di sviluppare le competenze degli insegnanti nel mettere in atto strategie capaci di ingenerare rispetto e accrescere il senso di responsabilità sociale e il senso civico dei giovani. -
Reti rurali
Le aree rurali sono i luoghi dove si realizza un’interazione tra uomo e natura che porta a una reciproca trasformazione che si concretizza attraverso pratiche diverse, localmente e temporalmente specifiche. Sono pratiche che non si limitano alla sola agricoltura, ma riguardano tutte le attività economiche e sociali che avvengono in una certa area e utilizzano risorse naturali che attraverso di esse sono riprodotte e trasformate in una varietà di forme e di usi. Queste trasformazioni, che si sono succedute nel tempo, sono avvenute all’interno di ambienti istituzionali e di relazioni città-campagna che ne hanno determinato gli esiti facendone elementi di identità territoriale. Trasformazioni che nel libro sono ricollocate all’interno del nuovo paradigma dello sviluppo rurale che si pone come alternativa al paradigma agroindustriale e a quello post-produttivista. Il paradigma dello sviluppo rurale è basato sulla ricostruzione dinamica delle risorse attraverso la loro mobilitazione all’interno di reticoli socio-economici. In questo volume l’attenzione è rivolta proprio all’individuazione di tali reticoli, dei processi che portano alla loro nascita, consolidamento e sviluppo nei diversi territori utilizzando nuove definizioni, come il «web rurale», quali strumenti di analisi e di interpretazione di tali processi che stanno caratterizzando le dinamiche di transizione delle aree rurali europee. L’immediata conseguenza è l’introduzione di un approccio territoriale e multisettoriale allo sviluppo rurale, pur partendo dalla centralità dell’agricoltura come principale utilizzatore dello spazio, ma focalizzando l’attenzione sulle interrelazioni tra questa, le altre attività socio-economiche e le risorse naturali e ambientali del territorio in un’ottica di coproduzione di tutti gli attori (materiali e immateriali) in esso presenti. È proprio questa l’essenza della multifunzionalità dell’agricoltura, cioè quella capacità di far evolvere i sistemi agricoli differenziandoli non più solo in funzione delle loro specializzazioni produttive, ma anche in funzione del complesso di relazioni socio-economiche e ambientali del contesto in cui evolvono. -
Il cambiamento possibile
Saggi di: Laura Azzolina, Carlo Colloca, Alessandro Lattarulo, Stefano Neri, Emmanuele Pavolini, Stefania Profeti, Onofrio Romano,Massimo Tagarelli. Nell’ultimo ventennio la sanità è diventata l’attività di maggior rilievo – sia in termini di competenze che di spesa – delle Regioni. Quali conseguenze ne sono derivate per la finanza pubblica e per la qualità delle prestazioni? Le distanze tra le Regioni si sono ridotte o sono invece aumentate? E che effetto hanno avuto i recenti tentativi del governo centrale di contrarre il deficit e controllare la spesa?Partendo dall’esperienza emblematica della Sicilia, la ricerca della Fondazione Res ha messo a confronto Regioni del Sud e del Centro-nord. Non solo il divario tra le due aree è marcato, ma è cresciuto nel tempo, sia dal punto di vista finanziario che delle prestazioni offerte. Nelle Regioni meridionali la sanità è arrivata a svolgere maggiormente funzioni improprie, più legate alla creazione di occupazione e alla distribuzione di risorse pubbliche per motivi di consenso politico, che alla sola promozione della salute e della cura. Questo fenomeno ha coinvolto una molteplicità di attori: dagli amministratori pubblici ai professionisti del settore (in primis i medici) alle imprese private erogatrici di servizi. Questo scenario è stato messo in discussione negli ultimi anni dal tentativo dei governi nazionali di porre sotto controllo la spesa regionale con lo strumento dei Piani di rientro. Non tutte le Regioni hanno però risposto secondo le attese ai nuovi vincoli (che prevedono tra l’altro sanzioni fiscali per i contribuenti). In alcuni casi gli amministratori locali hanno utilizzato consapevolmente i Piani per cercare di ristrutturare i propri sistemi sanitari, in altri casi hanno deciso di limitarne la portata. Su questi esiti hanno pesato molto le scelte strategiche delle leadership politiche maturate nei diversi contesti. Quanto avvenuto in Sicilia è particolarmente significativo. In pochi anni si stanno riportando sotto controllo i conti di una delle Regioni con più elevati deficit e con forti inefficienze. Dunque, il cambiamento è possibile, anche nei contesti più disagiati. Resta però da vedere in che misura si estenderà anche alla qualità delle prestazioni per i cittadini. -
Il flauto magico a colori
«Vogliamo la felicità dipinta con colori chiari, libera dai tumulti della terra. Così questa forma d’arte potrà entrare in paradiso, come ci è entrato Il flauto magico di Mozart». In occasione dell’apertura della sua nuova sede al Lincoln Center, il Metropolitan di New York propose a Marc Chagall – divenuto ormai newyorkese d’adozione, da quando negli anni della guerra si era trasferito nella Grande Mela – di consacrare il suo rapporto con la città e con la musica, dipingendo due grandi murales per la Hall del teatro, e disegnando le scene e i costumi per l’opera che ne avrebbe suggellato l’inaugurazione: Il flauto magico di Mozart. Chagall si mise febbrilmente a lavorare a quella che sarebbe rimasta una delle sue realizzazioni più importanti. I due dipinti di grandi dimensioni, Le fonti della musica e Il trionfo della musica, inaugurati nel 1966, campeggiano ancora nella sede del grande tempio della lirica newyorkese. I disegni e le scene per i costumi del Flauto magico riempirono dei loro incontenibili colori la produzione dell’opera, che debuttò con un memorabile successo il 19 febbraio 1967. I bozzetti originali di Chagall sono ora conservati al Centre Pompidou di Parigi. Si tratta di 47 schizzi, realizzati con tecnica mista, spesso incollando piccoli campioni del tessuto prescelto, e riportando ai margini, a matita, appunti, notazioni, misure. Sono materiali che rappresentano una testimonianza veramente unica di sensibilità e fantasia creativa, come potrà constatare il lettore di questo volume, che per la prima volta al mondo li riporta tutti insieme alla luce. L’incontro del genio della pittura con il genio della musica non potrebbe essere più felice. «Tutto sulla scena sembra sospeso – ebbe a scrivere un estasiato critico musicale, il giorno dopo la prima –, nulla poggia per terra. Tutto galleggia in un tripudio di colorata leggerezza». Ma le magiche sorprese di questo Flauto non si fermano qui: pochi, anche tra i melomani più accaniti, ricordano che il libretto dell’opera mozartiana si ispirò alla fiaba Lulu o il flauto magico, pubblicata nel 1789 da un grande favolista tedesco, August Jakob Liebeskind: un classico racconto di fate e di maghi, considerato «pericoloso» dal potere imperiale asburgico e perciò censurato. Il libretto scritto da Schikaneder nel 1791 riprende coraggiosamente quella fiaba troppo «popolare» e, con una geniale trasposizione, nel passaggio dal primo al secondo atto, ne trasforma il significato, facendola divenire la grande parabola dell’iniziazione massonica che introduce i protagonisti Pamino e Tamina allo splendore della conoscenza, mentre i loro omologhi popolari, Papageno e Papagena, rimarranno beati nella propria ingenua piccola felicità. Il lettore potrà qui trovare la traduzione italiana integrale della fiaba, e del libretto dell’opera, di cui è riprodotto anche l’originale tedesco. -
Il padre della sposa
Povero Mr. Banks! Non ha ancora fatto in tempo a capire che la sua amata Kay è in età da marito, che si ritrova per casa il promesso sposo. Ma che tipo sarà mai? Da dove viene? E soprattutto, sarà all’altezza della sua Kay? Una temperie di sentimenti sconquassa il suo animo – orgoglio, gelosie, timori, nostalgie – quand’ecco che l’inesorabile turbine dei preparativi della cerimonia si abbatte impietoso sulla sua tranquilla routine. A tappe forzate, Mr. Banks si vedrà trascinato dall’entusiastica moglie nella trafila del tipico matrimonio medio-borghese – la conoscenza dei consuoceri, le liste d’invitati da sforbiciare, le partecipazioni da mandare, i conti da saldare, il diluvio dei regaliper casa, e poi l’abito della sposa, le prove in chiesa…Un vero incubo, a cui Mr. Banks proverà fino all’ultimo a sottrarsi ricorrendo a un disperato sotterfugio: alla vigilia delle nozze, offre di nascosto ai promessi sposi 1500 dollari purché scappino e vadano a sposarsi da soli e lontano da casa. Niente da fare, neppure così riuscirà a sfuggire alle peripezie che lo attendono in quanto padre della sposa. Un romanzo esilarante che dosa sapientemente ironia e tenerezza, e mette argutamente a nudo i tic e le manie della tipica famiglia media americana (e non solo) alle prese con un rito senza tempo né confini. Ecco perché, tra il 1949 e il 1950, Il padre della sposa divenne per ben due volte un caso: dapprima letterario, scalando in poche settimane la classifica dei best seller, e subito dopo ai botteghini del cinema, grazie a Vincente Minnelli che ne fece una delle sue più brillanti commedie, affidandosi all’interpretazione di uno Spencer Tracy da Oscar e di una giovanissima Liz Taylor. Come se non bastasse, il celebre papà continuò a flirtare col grande schermo, prendendo i panni di Steve Martin nel popolarissimo remake del 1991. Motivo in più per riscoprirlo oggi, intatto nel suo smalto e nella sua verve e arricchito da un imperdibile contrappunto: le illustrazioni di Gluyas Williams, uno dei maggiori talenti del «New Yorker», chefirmò la prima edizione del romanzo di Streeter contribuendo al suo clamoroso successo. -
Pietre per le mie tasche. Testo inglese a fronte
Frammenti del passatomi finiscono nelle tasche luminosi come gli occhi dei cani randagi,imploranti e feroci. Per simpatia il presente si spacca in mille pezzie ci s’infila dentro. -
Approssimazioni alla città
Da più di vent’anni il progetto della città contemporanea sta mettendo a fuoco uno spazio, il periurbano, che si colloca tra la città e ciò che la circonda. Una geografia che negli stessi luoghi si confronta con ordini di problemi a differenti livelli di complessità – l’approvvigionamento di cibo, il decentramento di funzioni urbane, le reti infrastrutturali, i cambiamenti climatici, i grandi rischi ambientali – e, insieme, questioni più vicine e ordinarie – la riqualificazione delle aree periferiche e dei loro margini, la sostenibilità dei tessuti a bassa densità e la loro maggiore qualità e abitabilità.Perché parliamo di periurbanità? Perché crediamo che lo spazio intorno alle città, invaso dalle urbanizzazioni ma costruito ancora dall’agricoltura, sia investito da un processo di grande rinnovamento, mentre le categorie dell’urbanità e della ruralità hanno perso il loro potenziale euristico per descriverlo. Una cospicua parte di umanità abita e lavora nel periurbano, lo attraversa e lo modifica incessantemente. Ma il periurbano rimane ancora uno spazio senza autore. Il periurbano si fa leggere criticamente come spazio multispaziale. Non uno spazio topografico o metaforico ma uno spazio progettuale che nasce dal bisogno di ricostruire nuove condizioni di comfort e di benessere, che riesce a veicolare simboli, valori e desideri collettivi.Dentro un’angolazione paesaggista, il periurbano può diventare un laboratorio formidabile di idee e progetti. In esso spazi e valori possono essere messi a fuoco rendendoli più riconoscibili; in esso trova espressione quel «besoin de campagne» – inteso come desiderio di una natura fuori porta, più vera di quella che ha potuto offrire fino ad ora il parco urbano – che la società sempre più manifesta. -
Zucchero italiano
Nel 1806 Napoleone decise di imporre il blocco continentale alle navi inglesi nei territori di dominio francese, dando così avvio alla produzione dello zucchero di barbabietola in Europa, che divenne antagonista a quello di canna. Anche l’Italia fu coinvolta e, sul finire del XIX secolo, nacque e si sviluppò un fiorente settore industriale che, incentivato poi dalla politica autarchica del regime fascista, giunse a contare nel 1957 ben ottantadue zuccherifici in attività.Cosa ne è oggi di questo importante settore? Qual è il futuro produttivo di quel bene prezioso che Alessandro Magno definiva «un miele che non ha bisogno di api»? L’Unione europea si colloca senz’altro tra i principali protagonisti del mercato, nonostante si sia assistito, con la riforma del 2006, a un ridimensionamento della capacità produttiva dagli oltre ventidue milioni di tonnellate del 2001 a poco meno di quindici milioni nel 2009-2010. Di conseguenza, dopo varie vicende spesso complesse della storia imprenditoriale e politica del nostro paese, come quella di Raul Gardini e della Montedison, le industrie zuccheriere si sono ridotte a poche unità, anche a causa del cambiamento d’indirizzo della politica economica europea. Esse si trovano dunque di fronte a una sfida importante, che poggia sui successi del passato e si proietta in un futuro in gran parte da inventare, ma a partire da solide basi. Nel libro si ricostruisce l’affascinante storia economica e sociale dello zucchero, e si svelano le strategie attraverso le quali il maggior gruppo saccarifero italiano, di matrice cooperativa, l’emiliana Coprob, intende agire nel nuovo scenario internazionale. -
Dall'isola al mondo. L'internazionalizzazione leggera in Sicilia
La grave crisi finanziaria che ha colpito l'economia mondiale dopo il 2008 non ha fatto che accentuare l'esigenza di internazionalizzazione delle imprese. In effetti, le aziende che hanno affrontato meglio le pesanti conseguenze della recessione sono generalmente quelle più capaci di esportare o di operare sui mercati esteri. Le difficoltà a percorrere la strada dell'internazionalizzazione sono più marcate nelle regioni arretrate. È noto, per esempio, come la capacità di esportare sia molto bassa in Sicilia e, più in generale, in tutto il Mezzogiorno. Da che cosa dipendono queste difficoltà? E come si possono superare? Questo volume analizza il fenomeno mettendo a fuoco le caratteristiche dei principali protagonisti: le imprese e gli imprenditori. Pur muovendosi in un contesto economico difficile, ci sono infatti anche in Sicilia aziende e imprenditori che riescono a ""uscire dall'isola"""", a muoversi nel mercato aperto e a proiettare le proprie attività in contesti lontani, definendo strategie e affrontando investimenti per superare le barriere all'ingresso in mercati nuovi. Il fattore chiave dell'internazionalizzazione sembra essere la capacità degli imprenditori di mettere in collegamento le opportunità offerte dalla domanda internazionale con le risorse naturali e umane locali."" -
Arrivederci e grazie
"Arrivederci e grazie"""" è un'opera ironica che descrive le emozioni e le paure di un fortunato giocatore. L'autore riesce a condurre il lettore nella mente contorta e confusa del protagonista facendogli vivere le sue contraddizioni. Maurizio Pierattoni è nato e vive a Pesaro, dove si occupa da sempre di consulenza del lavoro. Probabilmente è proprio grazie a questa sua occupazione e al contatto intenso con la vita di tante persone che ha sviluppato l'attento senso di osservazione e la profonda conoscenza dell'animo umano, essenza primaria di questo suo primo libro." -
Rosso cupo
In una Urbino di fine Cinquecento, dove decadenza e povertà sono alle porte a causa del trasferimento della sede ducale nella vicina Pesaro, accadono cose strane. Una maledizione sembra aleggiare sulla città, percorrerne gli scorci fascinosi, insinuarsi nei vicoli, dentro le case e nel profondo delle anime: chi uccide, una dopo l'altra, le spose dotate dalla Confraternita del Corpus Domini? Tra i dipinti splendidi del grande Federico Barocci e i capricci funesti dell'ultimo Duca, Guidubaldo, i personaggi si muovono, si temono e si interrogano dentro la trama di un affresco che non è solo giallo; l'autrice intreccia i colori morbidi della quotidianità e dei desideri semplici della gente del popolo con pennellate dense di inquietudine, sospetto e paura, gettando uno sguardo discreto ma lucido sulla parte cupa del cuore degli uomini. -
Da quanto tempo
Da quanto tempo è l'incontro di un giornalista-scrittore e un prete impegnato nel sociale che per la prima volta si confessa ad un uomo. Un sacerdote che ripone la sua croce per sfogare la rabbia, la frustrazione e per svelare i suoi dubbi; legato al filo della speranza, apre al mondo il libro della sua vita spesa per combattere l'indifferenza, la crudeltà di una società insensibile ai tanti drammi dell'infanzia negata e violata in Africa come in Italia, nelle fogne di Bucarest o della Moldova o nei sogni spezzati e contaminati dei bambini di Chernobyl. Una testimonianza forte che il giornalista-scrittore, su richiesta del sacerdote, fa scivolare attraverso l'inchiostro su pagine da sfogliare. Il lettore, accompagnato nel viaggio della testimonianza può specchiarsi, ritrovarsi e riconoscere il confine dell'uomo nell'uomo in un insolito e riuscito connubio tra romanzo e realtà.