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Rimproveri e lodi
Lodi e rimproveri richiedono abilità e competenze, la cui acquisizione è quanto significa essere adulti. Rimproverare è difficile e viene a volte frainteso con l’arrabbiarsi con i bambini. Strumenti come «Così non si fa» o «Devi fare così» non soltanto sono sovente inefficaci e non portano alcun miglioramento alla vita dei bambini, ma feriscono anche nello spirito, tanto chi rimprovera quanto chi è rimproverato. Un rimprovero mal posto può essere dannoso e gli adulti, se anche esprimono malcontento sulla via che i bambini hanno intrapreso in modo autonomo, spesso non conoscono le tecniche per intervenire con efficacia. Lodare, invece, è qualcosa di semplice, perché coincide con lo stato d’animo dell’adulto. Se però si fa un uso smodato delle lodi, si indebolisce l’indole dei bambini e li si porta a pensare che la vita sia semplice. Al giorno d’oggi sono tanti i bambini intossicati da troppe lodi che di conseguenza ignorano gli adulti e rifiutano qualsiasi imposizione. Questo libro sviluppa il tema dell’educazione dei bambini sulle basi della concezione seitai elaborata dall’Autore, proponendo una visione unitaria della loro psicologia e fisiologia, e riflettendo sul corretto atteggiamento educativo da parte dei genitori e degli educatori in genere. -
Pasolini e la tradizione
Negli scritti dei suoi ultimi anni di vita, tanto nelle poesie e nel teatro, quanto negli articoli giornalistici, Pasolini evoca ripetutamente il tema della «tradizione». Non è in realtà un tema nuovo, perché fin dalle splendide liriche della prima giovinezza egli aveva cantato il mondo tradizionale del Friuli, luogo di una regressione alle Origini in cui dialetto e religione si fondevano in una «rustica e cristiana purezza». Un sogno presto svanito a contatto con la dura realtà della storia. Dopo la contestazione giovanile del ’68 e quella che egli ha chiamato la «rivoluzione antropologica» italiana, anche un’altra tradizione gli è apparsa drammaticamente minacciata: quella della grande cultura umanistica borghese, della sua letteratura, della sua arte, del suo pensiero. Il saggio esamina la riflessione pasoliniana su questi aspetti della tradizione con riferimento soprattutto a due testi poetici fondamentali, la Poesia della tradizione, inclusa in Trasumanar e organizzar, e Saluto e augurio, una sorta di congedo o di testamento che chiude La nuova gioventù e che Pasolini definì profeticamente come la sua «ultima poesia in friulano»: un ritorno amaro e disperato ai temi e ai luoghi della giovinezza. Pur senza trascurare la problematicità di alcune posizioni dello scrittore, il saggio mette in luce anche l’attualità politica e culturale delle severe critiche da lui mosse nei confronti della sinistra italiana. -
Il leopardo che mangiava gli uomini
Arriva inaspettato, silenzioso e invisibile e semina morte. A ogni suo passaggio, un uomo, un bambino, o una donna è afferrato, trascinato via e sbranato nel più totale silenzio. Il leopardo di Rudraprayag è il terrore dell’intero distretto, l’incubo della notte di ogni villaggio. Per questo motivo, l’arrivo di Jim Corbett, preceduto dalla sua fama di esperto e infallibile cacciatore, chiamato dalle autorità coloniali della zona, è salutato con speranza e fiducia dagli abitanti, ormai prostrati dal terrore e dalla rassegnazione fatalistica. Non è frequente che un leopardo diventi un mangiatore di uomini. Infatti, benché si stenti a crederlo, è un animale saprofago e solo eventi eccezionali possono portarlo a questa “devianza” dalla sua natura. Ciononostante, il leopardo mangiatore di uomini di Rudraprayag dimostra un’abilità e una destrezza diaboliche nel rapire, uccidere e sbranare gli esseri umani, talvolta anche più grandi e pesanti di lui. Jim Corbett racconta qui la sua avventurosa caccia a questo divoratore di uomini. Nella quasi totale solitudine, potendo contare solo su sporadici e improvvisati aiuti, con pochi mezzi e armato, oltre che del suo fucile, di un’esperienza senza pari, inizia una serie di innumerevoli appostamenti, inseguimenti, allestimenti di trappole, in una sorta di duello a distanza, per la vita o per la morte, con il leopardo che rivela improvvisamente un’astuzia e una scaltrezza quasi incredibili. Vedrà morire altri essere umani, sbranati dalla belva sfuggita ai suoi appostamenti, e quando finalmente, alla vigilia del termine del suo mandato, quando tutti (e lui per primo) davano per fallita la sua missione, raggiunge lo scopo, è premiato, oltre che dalla soddisfazione personale, anche dalla imperitura e incondizionata gratitudine della popolazione locale che trasmetterà alle generazioni successive la venerazione per il sahib che li ha liberati dall’infernale leopardo. -
La luce, il vento, il sogno
Nel 1940-41, all'alba dell'entrata in guerra da parte di un Impero giapponese all'apice della sua espansione e aggressività, Nakajima Atsushi, appena trentenne e con ancora un anno e una manciata di mesi di vita davanti a sé, decide di tuffarsi in un mondo e in un'epoca lontani per raccontare le isole Samoa di fine Ottocento e gli ultimi anni di Robert Louis Stevenson che lì si era trasferito, anche lui poco prima di morire. Mondi ed epoche lontani, ma non troppo; le Isole Samoa sono terreno di sfruttamento coloniale da parte delle grandi potenze europee e degli Stati Uniti: anche lì c'è guerra, tracotanza, scontro di civiltà e sottomissione, un Altro che ci guarda e il cui sguardo non riusciamo a sostenere, preferendo rivolgerci alle minacce incombenti e al clima di ansietà per un futuro già troppo vicino e già così incerto. -
Ricordi d’un ottuagenario
Ritiratosi tra le montagne prospicenti Procaria, a partire dalla fine del 1944 – durante l’infuriare degli ultimi mesi di guerra – Vittorio Cian iniziò a riannodare i fili della sua lunga vita, iniziata in Veneto nel 1862 e terminata pochi anni dopo l’avvio della stesura delle memorie, nel 1951. Nascevano così, da questa personale e meticolosa esperienza meditativa, i Ricordi d’un ottuagenario, un documento intimo e al contempo uno spaccato della storia d’Italia, colta nel cruciale periodo di transizione dal lungo Ottocento al turbinio del secolo breve. Il manoscritto, conservato dal 1984 nell’archivio della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice grazie al lascito di Maria Luisa Cian Gazzera e qui riprodotto nella sua versione integrale, restituisce al lettore, unitamente al sotteso tratto psicologico, il peculiare punto di vista di un uomo legato ai valori ottocenteschi e, diviso tra l’accademia e la politica attiva, trovatosi a vivere da osservatore privilegiato tutti i passaggi chiave della prima metà del XX secolo: dall’emergere del nazionalismo alla Grande Guerra, dall’avvento del fascismo alle drammatiche conseguenze del declino seguito al secondo conflitto mondiale. -
Storia dei vampiri e degli spiriti malefici
Collin de Plancy in questa ""Storia dei Vampiri"""" ci presenta una accuratissima disamina e analisi dei vampiri e dei casi di vampirismo, veri o presunti che fossero, e nella sua prefazione afferma che «Se il vampirismo avesse qualche fondamento, si dovrebbe credere che Dio sia stato spodestato e che sia Satana a governare ora questo sfortunato mondo sublunare». Sul finire del Settecento e per tutto l’Ottocento, in particolare in Francia e Inghilterra, si sviluppò la ricerca quasi ossessiva delle forze dell’occulto, che coinvolse persone di ogni ceto sociale, portando alla produzione di molti testi che ancora oggi dominano e suscitano terrore, sia sui vampiri sia su personaggi “malefici” nati proprio in quel particolare momento storico culturale. Questo libro, pubblicato nel 1820 a Parigi solo un anno dopo The Vampyre di John Polidori e due anni dopo Frankenstein, or the modern Prometheus di Mary Shelley, anticipa di due secoli i moderni studi sul vampirismo e sulle “presenze” dell’occulto, oggi argomento totalmente sdoganato e di comune accettazione, ed è la base e il fondamento di tutti gli studi successivi. È singolare il fatto, osservato dallo stesso Plancy, che fosse stato proprio il secolo di Voltaire eCollin de Plancy in questa Storia dei Vampiri ci presenta una accuratissima disamina e analisi dei vampiri e dei casi di vampirismo, veri o presunti che fossero, e nella sua prefazione afferma che «Se il vampirismo avesse qualche fondamento, si dovrebbe credere che Dio sia stato spodestato e che sia Satana a governare ora questo sfortunato mondo sublunare». Sul finire del Settecento e per tutto l’Ottocento, in particolare in Francia e Inghilterra, si sviluppò la ricerca quasi ossessiva delle forze dell’occulto, che coinvolse persone di ogni ceto sociale, portando alla produzione di molti testi che ancora oggi dominano e suscitano terrore, sia sui vampiri sia su personaggi “malefici” nati proprio in quel particolare momento storico culturale. Questo libro, pubblicato nel 1820 a Parigi solo un anno dopo The Vampyre di John Polidori e due anni dopo Frankenstein, or the modern Prometheus di Mary Shelley, anticipa di due secoli i moderni studi sul vampirismo e sulle “presenze” dell’occulto, oggi argomento totalmente sdoganato e di comune accettazione, ed è la base e il fondamento di tutti gli studi successivi. È singolare il fatto, osservato dallo stesso Plancy, che fosse stato proprio il secolo di Voltaire e degli enciclopedisti a registrare il maggior numero di racconti sui vampiri. Ciò, tuttavia, non dovrebbe stupire, in quanto, come già enunciava Edmund Burke, con la sua teoria del delightful horror – proprio nel XVIII secolo – ciò che suscita terrore può nondimeno affascinare, come dimostra il fortunato filone dell’horror, dal primo romanzo gotico del Walpole a oggi."" -
Poesie
Queste poesie di Mao Zedong sono una “ri-scoperta”, dal momento che da quasi 50 anni non vengono ristampate né tradotte in Italia nonostante la notorietà a livello mondiale del loro autore. Le poesie raccolte in questo volume furono composte tra il 1925 e il 1965. Le prime diciotto furono pubblicate per la prima volta nel 1957 sulla rivista “Shi Kan” alle quali seguirono via via le altre, e in tempi brevissimi comparvero traduzioni in tutte le lingue. Eppure, il Presidente Mao tutto ciò non lo avrebbe voluto, ufficialmente perché, come da sempre ha fatto ogni cinese di elevata cultura, aveva composto le poesie seguendo metri e schemi prosodici della migliore tradizione antica. Non avrebbe voluto correre il rischio di fornire un modello così superato ai giovani concittadini che, a suo avviso, avevano invece il dovere di esplorare percorsi nuovi per aprirsi alla modernità e per traghettare la Cina nel mondo contemporaneo. Probabilmente l’iniziale diniego dell’autore nasceva anche dal fatto che non aveva mai considerato le sue composizioni poetiche come “scritti ufficiali”, ma piuttosto come personali espressioni dei propri pensieri e delle emozioni più intime. C’è tutto Mao in queste poesie: gli ideali politici, i sentimenti più profondi, l’entusiasmo per i successi, le speranze per le sorti del popolo, le nostalgie malinconiche, i ricordi… Comprensibile la sua ritrosia nel renderle di pubblico dominio. Questa nuova traduzione condotta sul testo originale cinese e l’Introduzione di Oliviero Diliberto – che impreziosisce il volume fornendo una dettagliata panoramica di tutte le traduzioni italiane delle Poesie del Grande Timoniere – ci offrono la possibilità di ricordare la figura di Mao Zedong, riscoprendo e mettendo in luce, al di là del personaggio politico, l’uomo e il poeta. -
Edgar Allan Poe. La sua vita e le sue opere
Nel 1847 Charles Baudelaire scopre Edgar Allan Poe: è una folgorazione. Ne diverrà il traduttore e primo vero divulgatore in tutta Europa tanto da scrivere in una lettera «Occorre cioè desidero che Edgar Allan Poe, che non è gran cosa in America, diventi un grande uomo per la Francia». Nel 1852, tre anni esatti dopo la tragica fine di Poe, pubblicando su la “Revue de Paris” il saggio che qui viene proposto in una nuova traduzione, il ventunenne Charles Baudelaire manifesta apertamente tutto il suo entusiasmo per la scoperta del grande poeta americano. Fin da questo primo articolo traspare una vera e propria profonda immedesimazione con Poe, come se Baudelaire avesse trovato in lui, finalmente, «un artista da poter chiamare mon semblable, mon frère…», come scrive Anna Pensante nell’Introduzione. Cosa accomuna i due grandi poeti? Sono entrambi attratti dall’occulto e dal bizzarro, sono devastati da una profonda solitudine e attratti dai paradisi artificiali, sono ossessionati dalla morte e provano repulsione per la poesia moralizzatrice. Entrambi hanno vissuto anni travagliati, hanno conosciuto la povertà, l’alcol, gli amori infelici, l’ostilità della famiglia; hanno dovuto lottare per affermarsi, per far riconoscere il loro genio e sono stati sottovalutati. Infine - ma Baudelaire allora non poteva certamente immaginarlo – hanno entrambi avuto un fine vita tragico e denso di sofferenza. -
Le più belle pagine scelte da Gaetano Salvemini
«La coscienza nazionale è come l'io degli ideologi, che si accorge di sé nell'urto del non io. Ella si svolse prima in coloro che avevano più bisogno di libertà negli studi, nei commerci, nei viaggi. Poi si destò mano mano, anche nei magistrati, ch'erano pure accuratamente spiati e trascelti a essere arnesi di obbedienza; nei sacerdoti, benché domati dall'episcopale superbia a tradurre anche l'evangelio in dottrina di servitù; nei contadini, benché tenuti dagli avari e gelosi padroni quanto più vicino si potesse alla natura di bestiami; per ultimo nei cortigiani medesimi, a cui le dovizie e la nobiltà non sembravano presidio alla dignità del vivere, ma diritto ad andare innanzi a tutti nella viltà. Questa mutazione degli animi era lenta, ma continua, universale, irreparabile a qualsiasi scaltrimento di polizia. Che anzi, dopo qualche tempo, cominciò ad accelerarsi, come certe velocità, in ragioni geometriche, mentre le forze morali del governo declinavano visibilmente, come la velocità dei proiettili da guerra. Intanto nel governo austriaco l'odio contro la nazionalità italiana si faceva più aspro e cavilloso. Gli spiaceva perfino il nome d'Italia; lo voleva dissimulato nei libri, cancellato nelle carte. E al contrario lo scolpiva viepiù nelle menti; lo chiamava sulle labbra; se lo vedeva scritto da mani notturne sulle muraglie delle città. Una indomita riluttanza serrava sempre più il fascio dei popoli italiani; era come la polve di platino che s'incorpora sotto il martello». (Carlo Cattaneo). Carlo CATTANEO (1801-1869) presiede un'area assai particolare della cultura e della storia italiana. Il molto citato e poco studiato protagonista del Risorgimento «perdente», federalista e democratico, apparteneva a una rara specie di intellettuale e scienziato sociale. Allievo e interprete di Gian Domenico Romagnosi, avvocato che mai esercitò, politico coerente e audace, trascinato ad una non amata politica più dal rigore morale che dalla eccezionalità degli eventi, creatore della rivista più moderna ed europea che l'Ottocento italiano abbia potuto vantare, quel «Repertorio mensile di studi applicati alla cultura e alla prosperità sociale» cui altri darà il nome di Politecnico, fu un grande studioso e al tempo stesso un acuto e partecipe testimone dell'economia e della società ottocentesche. Cattaneo attraversa il suo tempo con un'idea semplice e magnetica: il motto «scienza è forza», che riecheggia il Knowledge is power di Francis Bacon, costituisce il punto vero di raccordo di interessi e ricognizioni che spaziano in campi così diversi. Quello stesso motto attraversa anche la raccolta di testi scelta da Gaetano Salvemini e pubblicata nel 1922 presso l'editore Treves di Milano, in una prestigiosa e fortunata collana diretta da Ugo Ojetti, con un'introduzione che è a sua volta un piccolo classico della riflessione civile della nostra Italia.Un «fardello di stracci» - come il grande lombardo definiva la propria produzione con sincero e affatto ingiusto rammarico - in cui ritroviamo le strade ferrate e le monete, le città e le nazioni armate, la letteratura «non ciarliera» e la vita civile, le mentalità e le istituzioni, la scuola e la milizia, i «frammenti di storia universale» e l'avvento del... -
Il salotto, il circolo e il caffè. I luoghi della sociabilità nella Francia borghese (1810-1848)
Con questo libro Maurice Agulhon per primo dettò le regole per lo studio della sociabilità borghese ottocentesca, aprendo un filone di ricerche tra i più nuovi e fortunati della storiografia europea. Pubblicato nel 1977 come cahier delle «Annales e.s.c.» e divenuto ben presto un piccolo ma quasi introvabile classico della storiografia contemporanea, lo studio di Agulhon analizza le vocazioni associazionistiche della borghesia di primo Ottocento, rivelatrici sia delle inedite forme di uno scambio sociale collettivo, egualitario e pubblico, sia di una più generale «tensione» verso la democrazia. Sorto per la lettura dei giornali e il gioco delle carte, spesso identificato con il «caffè», egualitario ma rigorosamente maschile, il circolo ottocentesco diviene ben presto la forma più moderna e aperta della sociabilità borghese. Contrapposto al gerarchico salotto - fulcro della mondanità nobiliare d'Antico Regime fondato sulla disuguaglianza tra chi riceve e chi è ricevuto - il democratico circolo assunse ben presto pericolose valenze politiche che gli valsero le preoccupate, costanti attenzioni delle autorità di polizia.Un libro innovativo, ancor oggi di grande freschezza narrativa e originalità metodologica. Una «piccola storia» che rivela aspetti poco conosciuti e per molti versi sorprendenti della Francia ottocentesca: nella corsa verso la modernità le città periferiche dettano legge ad una capitale le cui classi medie sembrano ancora prigioniere di vischiose logiche imitative dei comportamenti e delle mentalità nobiliari. -
Storia dell'inquietudine. Metafore del destino dall'Odissea alla guerra del Golfo
Odissea, catastrofe e apocalisse sono parole del nostro linguaggio quotidiano, che hanno un denominatore comune: implicano tutte l'idea di uno sviluppo inquieto verso un futuro segnato. Che si trattasse all'origine del nome legato alle vicende dell'eroe omerico, o di un termine della drammaturgia greca allusivo di un sovvertimento finale, o ancora di una parola di ascendenza evangelica destinata a indicare la fine del mondo e del tempo, in ciascuna di esse persiste soprattutto l'idea di uno svolgimento contrastato e di un fatale destino.Ma quelle parole non hanno avuto sempre lo stesso valore. Il loro significato attuale ha origini molto recenti e si è venuto precisando a mano a mano che si è ampliato a dimensioni planetarie lo scenario della sofferenza e della paura. Fino a qualche generazione addietro, l'angoscia e il timore di un uomo o di una donna avevano un orizzonte familiare: vicino, caldo, consueto. Nel nostro quotidiano Occidente, invece, i mezzi di comunicazione offrono a ognuno, con l'inesorabilità del tempo reale, lo spettacolo di ingiustizie, violenze, sofferenze e atrocità di ogni tipo; laddove la morte personale, variamente esorcizzata, è rimossa dal nostro immaginario quotidiano. Sono le sventure collettive, le atrocità di fatti tragici, e tanto più evocati quanto più tragicamente ridondanti, a riempire le nostre vite: l'odissea della Iugoslavia; la catastrofe del comunismo; l'apocalisse di Cernobyl.Di queste tre parole il libro di Augusto Placanica rivisita la storia nel tempo; anzi la preistoria, rispetto a un oggi così lontano dalle origini. Il loro antico significato letterale, la loro specifica valenza, vengono descritti nel corso di una vicenda bimillenaria che solo di recente ha conosciuto l'enfasi della metafora, che solo negli ultimi decenni si è fatta specchio del nostro collettivo turbamento. -
Civiltà ebraica. L'esperienza storica degli ebrei in una prospettiva comparativa
L'enigma più grande della civiltà ebraica risiede, paradossalmente, nella sua stessa sopravvivenza a dispetto di esilio, discriminazione e sterminio. Un enigma che il libro di Eisenstadt illumina con forza, in una prospettiva scientifica che diviene anche alta lezione umana e politica: lì dove esorta a pensare l'esperienza storica ebraica come storia di una civiltà, e non solo di un popolo, o di un gruppo religioso, etnico o nazionale. Ricorrendo con leggerezza e maestria allo strumento disciplinare più raffinato della sociologia storica, l'analisi comparativa, Eisenstadt ricostruisce anzitutto le caratteristiche fondamentali della civiltà ebraica nei suoi periodi formativi del Primo e Secondo Tempio e del lungo esilio medievale, per soffermarsi poi diffusamente sul periodo moderno, quando i rapporti tra gli Ebrei e le società «ospiti» mutano radicalmente. Il libro svela così i differenti percorsi di «incorporazione» degli Ebrei non solo nelle società europee, ma anche in quella americana: una «società ideologica di coloni» per tanti versi simile a quella di Israele, a cui sono dedicate pagine illuminanti. Eisenstadt analizza infine sia i movimenti nazionali ebraici, e in particolare quello sionista, sia le caratteristiche strutturali dell'odierna società israeliana e della sua cultura politica, dando ragione della cruciale eterogeneità della vita ebraica moderna, sostenuta dalla «esistenza simultanea di tutti questi modelli diversi di esperienza storica». Sta in ciò, come scrive David Meghnagi nella prefazione, una delle ragioni principali «del fascino dell'Ebraismo e dell'inquietudine che suscita per il suo essere allo stesso tempo dentro e fuori, lontano e prossimo, così da rappresentare nell'immaginario collettivo occidentale e cristiano un fantasma delle origini». -
Bambini
«La conversazione sulla natura di Dio imboccò allora meandri vaghi, perché, essendo lui stesso un uccello, e per di più trasparente, Dio non sapeva fare altro che cantare e i suoi poteri si limitavano alle chiacchiere.Marco, Luna e Chicca scivolarono insieme nel sonno, sui letti di gommapiuma poggiati a terra, i capelli umidi forse per aver troppo pensato, urtandosi nei sogni, qualcuno rovesciandosi finiva con i piedi sul cuscino. Così fino all'indomani mattina.Dio è un uccello trasparente». Una giovane edicolante romana, Giovanna, grande passione per i bambini e vocazione di maestra d'asilo, riesce finalmente a fare ciò che ha sempre desiderato, viene chiamata a insegnare in una scuola materna del centro. La sua solitudine si riempie della vita e delle storie dei piccoli protagonisti di questo libro.Ma la comparsa di un topo altera irrimediabilmente il panorama idilliaco e la tranquillità piccolo-borghese del microcosmo scolastico. La scuola chiude, la vita di mamme e di bambini si confonde, la storia di Giovanna-ragazza normale che ama i bambini si carica di contraddizioni. Anche il «vero grande amore» di Giovanna sboccia e appassisce nel corso di un anno scolastico particolare. Anche di questo, come degli altri, dirà «mi copriva di fiori... mi sembrava di essere un cimitero».Un miracolo di grazia e di equilibrio, ha scritto «Le Monde» a proposito di Bambini. Sei capitoli per sei protagonisti grandi e piccoli, intorno a cui si dipana una Roma verissima eppure «fabulosa», su cui si posa con grande ironia e tenerezza lo sguardo di Visage. La logica spiazzante dei bambini, la freschezza delle loro parole, il rovesciamento delle prospettive rimbalzano contro il muro di gomma e di banalità degli adulti, mettendone a nudo lo smarrimento. -
L' evoluzione umana. Vol. 1: La scimmia e il cacciatore. Interpretazioni, modelli sociali e complessità nell'Evoluzione umana.
La nostra storia evolutiva affonda le sue radici in un lontano passato, in cui, tra gli otto e i cinque milioni di anni fa, fecero la loro comparsa i primi ominidi. Che cosa è possibile ricostruire di questa lunga storia? Di alcuni suoi protagonisti, grazie ai numerosi ritrovamenti di fossili, è possibile ricostruire almeno in parte l'aspetto fisico, mentre le nuove tecniche molecolari ci dicono sempre di più sul complesso quadro che ne regolava i rapporti genetici e la successione evolutiva. Ma nelle pieghe delle più avanzate ricerche attorno alle nostre origini, altri temi entrano prepotentemente in campo: in particolare la possibilità di ricostruire, sia pure parzialmente, le antiche modalità di vita, i modelli di socialità originaria propri della nostra specie.Un compito difficile in cui il lavoro di Francesca Giusti si avventura con sicurezza disciplinare e limpidezza di stile, proponendo i termini di un dibattito che coinvolge vari ambiti scientifici e si dimostra spesso intricato e complesso, ma sempre appassionante. Dati e interpretazioni provenienti dagli studi sui primati non umani, dalla biologia e dall'ecologia evolutiva, dall'archeologia preistorica, dagli studi sulle popolazioni moderne di cacciatori-raccoglitori si confrontano e si contrappongono in un quadro in continuo movimento, dove le certezze sono poche, dove sempre più viene meno la possibilità di ricomporre uno scenario definito e rassicurante per le nostre origini, ma dove piccoli frammenti di conoscenza si vanno continuamente aggiungendo al nostro sapere e ci permettono di affrontare in termini naturalistici e scientifici, ma non per questo riduttivi, la nostra storia evolutiva. -
L' erba è veramente verde? Wittgenstein e la modalità della certezza
«""In primavera i prati si tingono di verde"""": il bambino palermitano di periferia legge con stento la frase del sussidiario e si ferma perplesso. Riflette e poi si chiede: """"Ma come fanno? I prati a primavera li verniciano?"""".Per il bambino di Palermo dove ben spesso prato si riferisce a una spianata desolata di detriti perennemente grigiastra e polverosa, come la frase del sussidiario, anche la frase che dà titolo a questo libro ha un senso necessariamente spiazzante: l'erba è verde o non è verde? Nella sua Lebensform, nell'intreccio dei suoi trainings, l'erba, semplicemente, non c'è. E i prati possono essere verdi solo se ne viene appaltata la tinteggiatura ad apposite ditte specializzate. I bambini di Palermo sono bravissimi nel mettere in crisi le sedimentazioni delle banalità degli adulti, quelle banalità che nell'insieme diciamo """"senso comune"""". Se le loro domande, invece di spegnerle, le ascoltiamo (come Wittgenstein seppe fare), ci avviamo sulla via della critica del linguaggio e della certezza.Secondo quanto qui mostra assai bene Cristina Baccillieri, l'esito di questa via non è lo scetticismo, come Moore e altri hanno paventato, ma è un rinnovato incontro con le modalità della certezza. Essa non sta in un fondamento psicologico o esistenziale (che a sua volta richiederebbe di trovare un suo fondamento), ma sta nella effettiva enunciazione all'interno di una pratica, di tecniche finalizzate ed efficaci.Così Cristina Baccillieri ci aiuta a liberare la lettura di Wittgenstein da ogni pregiudiziale antiscientifica. La sua radicale messa in discussione di un Ordine, di una Ragione Ultima, è la via per dare riconoscimento effettivo a ciò che effettivamente costruiamo e che ci serve a fare, a sopravvivere e a vivere: gli ordini, le ragioni». (Dalla prefazione di Tullio De Mauro)."" -
Uno schermo contro il razzismo. Per una politica dei diritti utili
Questo libro sostiene una tesi forte, ovvero che la limpida e non ipocrita codifica dei diritti e dei doveri degli immigrati possa costituire uno dei più validi schermi contro il razzismo. Se persino lo stato incorpora nelle sue leggi il disprezzo per gli stranieri poveri e le loro differenti culture, anche l'uomo della strada si sentirà nel giusto a fare lo stesso. Al contrario, si abbassano i rischi di razzismo quando si garantiscono diritti che attribuiscano dignità agli immigrati e ne impediscano lo scivolamento verso quelle condizioni di abbrutimento sociale che favorirebbero sia i comportamenti asociali degli immigrati che il disprezzo dei nazionali. Ma non tutti i diritti vanno bene, alcuni possono generare astio e forse ribellione: grazie anche alle testimonianze raccolte tra i responsabili del «governo» dell'immigrazione, nei partiti come nei sindacati e nella pubblica amministrazione, Giovanna Zincone traccia la mappa dei diritti utili e mette in guardia su quelli controproducenti. -
La favola del cavallo morto ovvero la rivoluzione industriale rivisitata
«Per loro fortuna i paesi continentali che decisero di seguire l'esempio della Gran Bretagna non potevano leggere la New Economic History. Quindi non ritennero di star seguendo la strada giusta, o persino di far meglio della Gran Bretagna, e cioè che importazioni a basso costo, alta cucina e paesaggi pittoreschi potessero rappresentare una compensazione adeguata per salari e redditi più bassi». L'interpretazione della rivoluzione industriale come di un mutamento epocale nella storia del genere umano è, per la New Economic History, un'immagine superata, paragonabile al cavallo della favola, il quale «non voleva rassegnarsi a tirare le cuoia». Nessuna rivoluzione avrebbe proiettato l'umanità in un mondo interamente nuovo, arrampicato lungo le scale di una crescita capace, per la prima volta nella storia, di autoalimentarsi sotto il versante sia tecnologico che finanziario. Ma il cavallo è vivo più che mai, scalcia e risponde. E fa valere le sue ragioni in difesa della discontinuità e contro risultati e metodi di una New Economic History che, con le sue rarefatte manipolazioni statistiche, allontana dalla reale complessità della storia e, tutta concentrata nella ricerca del fattore essenziale, irride al lavoro di quegli storici che sono «lieti di trovare più di una causa», per il semplice motivo che «una buona ragione è sufficiente, ma due sono anche meglio». Le costruzioni cliometriche volte a negare la potenza del mutamento avvenuto sono ingegnose ma temerarie: si fondano su una varietà di assunzioni teoriche, spesso implicite, che modellano - distorcono - la realtà secondo le esigenze del calcolo, combinando dati provenienti da fonti diverse, messi assieme in tempi diversi con scopi diversi; producono dati «in un contesto statico» che non considera le interazioni che hanno luogo all'interno del cambiamento.Un saggio esemplare e di rara forza persuasiva, in cui l'eccezionale erudizione e la dimestichezza disciplinare si coniugano con un gusto ora sornione ora sarcastico della controversia scientifica. Una lezione di metodo che ripercorre le tappe dell'intero dibattito storico-economico sulla rivoluzione industriale, per scaricare la propria energia polemica contro la visione cliometrica dei fatti storici e, senza accontentarsi di confutarla, ricerca le ragioni profonde del revisionismo storiografico che «vuol fare del terremoto un tremito». -
Come la borghesia ha inventato il moderno
«I protagonisti del nuovo rapporto con le arti sono dunque i borghesi. Ma questo imborghesimento dell'arte trasforma la sua relazione con l'esistenza, modifica la vita stessa. L'arte diventa, per così dire, un elemento della domenica, del giorno festivo della vita». Dove si narra come la Borghesia si congiunse con l'Arte, generò il Moderno e fu da questi ripudiata.Thomas Nipperddey, tra i massimi storici dell'Ottocento tedesco, attraverso le forme sociali dell'arte, della musica e della cultura europee dipana le contraddittorie radici delle nostre sensibilità «moderne».Il culto del genio e la professionalizzazione dell'artista; il gusto come autorappresentazione di una classe in ascesa, il mecenatismo e il business; il «furore monumentale» che lega all'arte «politica, patria e storia»; l'invenzione della divinità dell'arte, il suo farsi ora esoterica, ora eroica, ora educatrice; l'irrompere - inconcepibile per le sensibilità d'antico regime - degli stili nella produzione artistica; i paradossi dell'originalità, vero feticcio originale dell'arte moderna che ne scandisce la fruizione e lo smercio; infine, la sedimentazione di una concezione enfatica dell'arte e dell'artista che condurrà, alle soglie del nuovo secolo, alla ribellione dell'arte contro il pavido e filisteo borghese, che prima l'aveva allevata con interessato amore. -
L' Islam nel pensiero europeo
«Separati dal conflitto ma uniti da legami di varia natura, cristiani e musulmani lanciavano gli uni agli altri sfide religiose e intellettuali. Cosa era in grado di comprendere l'una religione delle affermazioni dell'altra?» Una complessa e delicata rete di relazioni e conflitti economici, diplomatici, commerciali e culturali lega il mondo cristiano occidentale alla «enigmatica e maestosa» civiltà islamica. Ma i rapporti si fissano in «visioni», ora banali ora sofisticate, e quasi sempre ideologiche. Quale fu allora in Europa la percezione dell'islam nel corso dei secoli? Quali immagini della religione e della società islamiche elaborarono nei secoli mercanti, viaggiatori, filosofi, teologi e missionari, fino ai moderni professionisti universitari «di area»? In questo breve saggio uno dei massimi specialisti della cultura araba ridisegna i confini del confronto e dello scontro, a partire dalla distorsione del pensiero religioso musulmano e della figura di Maometto nelle diatribe spirituali e nelle confutazioni teologiche d'epoca medievale. All'inizio dell'età moderna, la fine della sfida militare e l'avvio dell'espansionismo commerciale europeo indussero un aumento delle conoscenze e dell'interesse; nel 1587 un regolare insegnamento di arabo venne istituito al Collège de France, e cattedre di arabo sorsero a Leida, Cambridge e Oxford nella prima metà del XVII secolo, divenendo presto fulcri di un dibattito sullo «spirito del mondo» che aveva nell'islam il proprio interlocutore: un confronto che appassionerà filosofi e studiosi, da Kant a Maurice, da Carlyle a Stuart Mill, da Herder a Hegel e a Renan.La Rivoluzione francese accese una discussione - a tutt'oggi più rimossa che conclusa - sull'essenza stessa della religione e delle sue ricadute sociali. Si apriva un'epoca fervida di studi in cui proliferarono anche le immagini degli arabi quali «individui solitari e romantici», mentre Hegel accostava il successo delle origini dell'islam - il «trionfo dell'entusiasmo» - al suo coevo, presunto ritiro dalla scena della storia «nell'inerzia e nella tranquillità orientale».Se Ernest Renan fu forse la figura centrale nella formazione delle idee europee sull'islam, toccò ai linguisti e ai cultori di filologia comparata, nel corso del XIX secolo, il compito di contrastare le indistinte mitologie orientaleggianti, congiungendosi alla critica biblica e discutendo la dimensione «profetica» delle religioni monoteiste. Al contempo, l'atteggiamento di studiosi spiritualisti come Massignon, critici verso l'europeo «secolare furore di penetrare, conquistare, possedere», aprirà le porte allo studio della società islamica nel complesso delle sue articolazioni e differenze, alle più sofisticate e rispettose «visioni» dei mondi musulmani care agli antropologi sociali del XX secolo come Geertz e Gilsenan. -
Economia e sociologia. Conversazioni con Becker, Coleman, Akerlof, White, Granovetter, Williamson, Arrow, Hirschman, Olson, Schelling e Smelser
Come si può comprendere l'economia contemporanea? E come è possibile per gli economisti analizzarne i problemi senza valutarne la ricaduta sul piano sociale, o per gli studiosi dei problemi sociali prescindere dalla dimensione economica? Intorno a questi grandi interrogativi si sta vivendo oggi un appassionante duello tra economisti e sociologi per cercare di superare le vecchie categorie interpretative e arrivare a una nuova definizione dei confini tra le due discipline. Nelle conversazioni raccolte in questo volume, in cui si confrontano alcuni dei principali economisti e sociologi della scena internazionale, Swedberg riesce a toccare i nuclei principali del problema con un linguaggio adatto anche per i non specialisti. Nel tentativo di chiarire le diverse risposte e i termini del dibattito, l'autore spinge i suoi interlocutori a ripercorrere il loro itinerario intellettuale: ne emerge un quadro, spesso inedito, di informazioni e curiosità sui percorsi di formazione e sulla biografia intellettuale dei personaggi intervistati.Il cuore del volume è costituito dal confronto-scontro tra gli esponenti delle due discipline. Da un lato, vi è chi ritiene che occorre andare in direzione di un'analisi economica delle strutture sociali (della famiglia come dello stato). Dall'altro c'è invece chi reagisce al diffondersi di questo «imperialismo economico» contrattaccando sullo stesso terreno tradizionale dell'economia e proponendo un'analisi sociologica delle strutture economiche. Un ultimo gruppo di interventi raccoglie i pareri di autori particolarmente noti e autorevoli, accomunati dall'aver praticato nel loro lavoro l'arte di combinare l’economia con le altre scienze sociali. Anticipatori, in un certo senso, delle questioni oggi in discussione, Arrow e Hirschman, Olson, Schelling e Smelser, hanno dimostrato nei loro studi le grandi possibilità che si offrono quando si ha il coraggio di oltrepassare i confini disciplinari tradizionali.