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Delegati a Milano. Il «capitale sociale» del sindacato nel cuore padano
Chi sono i delegati sindacali delle aziende milanesi? Cosa pensano, come agiscono, quali ideali e quali propositi condividono gli esponenti di un mondo del lavoro dipendente che è stato, in un passato non lontano, un grande fattore di identità sociale e politica della metropoli milanese, e che sembra oggi avere sfumato la sua funzione di orientamento e di rappresentanza? Il volume, che raccoglie i risultati di una ricerca condotta su un ampio campione dei delegati sindacali di base nell'area milanese, giunge a conclusioni inattese, e per certi versi sorprendenti. Viene infatti alla luce l'esistenza di una forte mobilitazione, sia quantitativa che qualitativa, difficilmente sospettabile in una zona del Paese che ormai da qualche tempo appare attraversata dal vento della destra. I delegati sono numerosi, e di norma sono stati eletti nei luoghi di lavoro dopo una campagna elettorale molto partecipata. Essi non si limitano a interpretare in modo notarile la loro funzione di micro-rappresentanza, ma mostrano una disponibilità a impegnarsi in modo volontario sui grandi temi della condizione di lavoro, e anche su più generali nodi di interesse pubblico. -
Arcipelago malinconia. Scenari e parole dell'interiorità
L'arcipelago è un insieme di isole tra loro separate, ma connesse da una comunanza geografica e geologica. È il modo di essere della «malinconia», mondo di comportamenti, idee e sentimenti apparentemente frammentari, ma legati da una storia e una fenomenologia che accompagna la cultura e la civiltà da cui tutti proveniamo. La malinconia è la Dea della cultura occidentale antica e moderna. Arcipelago Malinconia è il titolo del volume tratto dal Convegno tenuto a Roma al Teatro Argentina il 10, 11 e 12 novembre 1999. Il volume è introdotto da James Hillman, famoso maitre à penser e ultimo allievo vivente di Jung. La prima parte riguarda tre grandi Scenari della malinconia («Il corpo malinconico», «La mente malinconica» e «Malinconia dei molti: ovvero malinconia e comunità») sui quali riflettono psichiatri e psicoanalisti (E. Borgna, M. T. Colonna), studiosi dell'antichità greca (A. Roselli), storici della cultura e delle idee (A. Prosperi, G. Ferroni, M. Galzigna, M. Ciavolella, A. Quondam, J. Clair, J. Schiesari), critici letterari e saggisti (A. Berardinelli, N. Fusini, A. Dolfi, J. Risset, P. Fasano, G. Patrizi, S. Perrella, P. Matvejevic), teorici della politica e politici (R. Esposito e R. Rossanda). Il volume, curato e prefato da Biancamaria Frabotta, si conclude nella seconda parte con una originale rassegna di saggi che esemplificano quattro parole-chiave della malinconia: Umori (J. Schiesari), Specchi (M. Fusillo), Travisamenti (D. Del Corno), Lontananze (A. Prete). -
Errare e perseverare. Ambiguità di un Giubileo
Dalle parole e dagli atti della Chiesa cattolica nell'anno giubilare emergono contraddizioni teologiche e politiche: da un lato la Chiesa confessa gli errori del passato, dall'altro, beatificando Pio IX o il cardinale Stepinac', propone a modello dei fedeli chi da quegli errori non era affatto immune; da un lato promette di correggersi, dall'altro riconferma la propria infallibilità e continuità, e pretende supremazia. Ambiguità e pretese che, mentre manifestano contrasti interni irrisolti, compromettono il dialogo ecumenico e interreligioso promosso dallo stesso Papa Giovanni Paolo II, e incidono sui rapporti tra Chiesa e Stato, tra credenti e non credenti, tra maggioranza e minoranze.Il punto di vista da cui Stefano Levi Della Torre osserva i fatti e i documenti è quello di un cittadino italiano, laico, appartenente alla minoranza ebraica; e da anni impegnato attivamente nei colloqui ebraico-cristiani. Se pure critica e senza reticenze, la sua riflessione intende proporsi a laici e credenti in modo interlocutorio. -
Sicurezza e giustizia. Conversazione con Paolo Borgna
Esiste un'emergenza giustizia nel nostro paese? È vera la rappresentazione diffusa che dipinge il nostro sistema giudiziario come affetto da un'endemica inefficienza? E cosa si deve fare per restituire ai cittadini la fiducia necessaria in questo grande bene collettivo? Piero Fassino, guardasigilli e dirigente della sinistra, si confronta sul funzionamento della giustizia con Paolo Borgna, pubblico ministero a Torino. Da un lato, il politico, responsabile del ministero della Giustizia in un momento di complesse e controverse riforme e di continue e opposte sollecitazioni. Dall'altro, il magistrato impegnato nella procura di una grande città del Nord, investita dai fenomeni di criminalità urbana connessi in parte non secondaria ai forti flussi migratori di questi anni. Ne nasce una discussione serrata, giocata sul filo della passione civile. E il confronto parte proprio dalla sicurezza: dalla denuncia dell'inadeguatezza, giudiziaria e culturale, ad affrontare il fenomeno e del ritardo nel comprendere quanto questa sottovalutazione contribuisca a deteriorare il rapporto fra cittadino e istituzioni. Ma la denuncia del ritardo non basta se non se ne affrontano, senza paura di scavare a fondo, le radici culturali. È forse vero - come molti sostengono - che una specifica resistenza va ricercata proprio nella cultura diffusa della sinistra? E peraltro, che uso ha fatto la magistratura italiana della sua straordinaria indipendenza di fronte alle richieste di giustizia dei cittadini? Da queste domande il confronto si estende ai temi più generali della giustizia: al ruolo della magistratura, alle scelte e responsabilità dei capi degli uffici, ai rapporti con le sollecitazioni della politica, sino a toccare le riforme più recenti e quelle sul tappeto. -
Povera scuola! Promesse e realtà di una resistibile riforma
Dove va la scuola italiana? La recente riforma pretende di averne individuato i mali endemici e profondi, e promette con toni trionfalistici un rapido e radicale rinnovamento. Autonomia, riordino dei cicli, moduli, competenze sono presentate come parole magiche in grado di mettere la scuola al passo con i tempi e trasformarla in un mondo operoso e funzionante. Quello che viene proposto agli insegnanti è uno schema implicito, presentato come incontrovertibile: la riforma si muove nella direzione del cambiamento, e dunque opporvisi significa restare ancorati al passato, non essere consapevoli dei mutamenti culturali e sociali in atto.Questo libro è di tutt'altro avviso, e mette la riforma sotto accusa su un triplice piano: organizzativo, dei contenuti e delle metodologie. In primo luogo, secondo gli autori, è la riforma a porsi in assoluta continuità con il vecchio; è l'ultimo passo di un'impostazione più che ventennale che ha sistematicamente ignorato i drammatici problemi che il cambiamento del mondo contemporaneo ha posto alla scuola. Di fronte alle trasformazioni di grande portata che hanno investito a un tempo la composizione sociale e i modelli stessi della conoscenza, l'istituzione non ha voluto o saputo farvi fronte, ed è caduta in un drammatico stato di degrado culturale e organizzativo. Di conseguenza, non si sfugge alla sensazione che i mutamenti proposti dal nuovo ordinamento siano di pura facciata, e che tendano a dare una parvenza di novità e scientificità a un mondo in frantumi. Sulla base di questi convincimenti, maturati dalla trincea di un'esperienza vissuta con grande passione civile, gli autori scagliano la loro accorata invettiva. Dove condurrà questa riforma? È proprio fatale rassegnarsi a un modello di scuola-azienda, in cui gli studenti siano trasformati in «utenti» o «clienti»? E cosa pensare della novità più clamorosa, quella che punta a una riduzione dei contenuti, a un sempre più esasperato tecnicismo e strumentalismo? Qual è l'obiettivo? Fare degli studenti altrettanti competenti del nulla? O è ancora possibile, nella scuola italiana, pensare in termini di valori, di etica condivisa, di rigore conoscitivo? -
Se il nord. Bossi, Berlusconi e le sirene del federalismo fiscale
C'è un asse «nordista» nella piattaforma politica con cui il Polo delle Libertà si candida a governare per i prossimi anni il nostro paese? Qual è il contenuto del «patto segreto» stilato tra Berlusconi e Bossi, e depositato presso un fantomatico notaio milanese?L'autore di questo libro, ministro per gli Affari regionali del Governo Amato, coinvolto in prima persona nel difficile ruolo di raccordo tra lo Stato centrale e i poteri delle Regioni, è convinto che quel patto riguardi la sostanza strategica, più che piccoli aspetti tattici.La questione essenziale è quella che in gergo burocratico va sotto il nome di «fondo perequativo». Di quali entità devono essere i trasferimenti che le regioni più ricche si impegnano a erogare a favore delle regioni meno ricche? Su questa percentuale, che ovviamente il patto nordista vuole ridurre al minimo, si giocano in primo luogo le sorti di un equilibrato sviluppo economico nazionale. Come il libro dimostra attraverso un'accurata simulazione statistica, le conseguenze che si avrebbero da una riduzione al minimo dei trasferimenti sarebbero disastrose, e non solo per il Mezzogiorno.Ma l'attuazione di simili propositi avrebbe effetti assai più vasti - è la tesi di Loiero - di quelli puramente economici. Le poste vere della partita sono il destino civile del Mezzogiorno, il modello di Stato, l'unità del paese. Più ancora, è lo stesso vincolo di solidarietà che lega gli individui all'idea di cittadinanza ad essere messo a rischio: una sorta di «secessione di fatto», non meno pericolosa di quella altre volte proclamata e teorizzata. -
Filosofia dell'amore
L'eredità teorica di Georg Simmel è stata a lungo condizionata da giudizi pesantemente riduttivi: filosofo del «pressappoco», teorico dell'«impressionismo», cultore di una filosofia giornalistica. Si tratta di giudizi che non colgono la profonda capacità del pensatore tedesco di rappresentare le tensioni e i rovelli di un'epoca. Il suo rifiuto di ogni razionalismo universalistico, il suo relativismo individualistico esprimono qualcosa di più che un semplice schematismo di tipo descrittivo, sono il portato di un disagio di cui non può sfuggire il profondo significato storico.Ne sono una manifestazione esemplare gli scritti sull'amore, qui per la prima volta raccolti in edizione italiana nella loro versione completa, che comprende l'importante Frammento postumo sull'amore, mai fin qui tradotto in italiano.Simmel considera l'amore come il frutto di una motivazione primaria, estranea alla contrapposizione tra azione egoistica e azione altruistica. L'eros abolisce ogni distanza tra l'io e il tu, in virtù di una proiezione di sentimenti che determina la completa solidarietà, l'assoluta adesione dell'oggetto al soggetto. L'essenza dell'amore è dunque unitaria, non è la sintesi di fattori eterogenei, pur manifestandosi in una pluralità di modi e attributi differenti: sensualità e sentimento, istinto e affetto, attrazione e simpatia.Così inteso, l'amore è innanzitutto un rapporto che l'individuo intrattiene con se stesso, una sorta di sfida individuale irrisolta verso la propria realizzazione, che sortisce l'effetto di una continua tensione erotica, come l'«avventura» è una via intermedia nella dialettica tra vita e forma che l'amore incarna. -
Roma quanta fuit. Tre pittori fiamminghi nella Domus Aurea
Prima di questo volume, poco si conosceva dei rapporti tra l'arte fiamminga e quella italiana nella prima metà del secolo XVI. Il vasto reticolo dei rapporti di reciproca influenza, di condizionamenti e di «risposte» tra le due tradizioni artistiche, che ebbe certamente in Roma il suo punto di incontro e scontro, restava per molti versi oscuro, impenetrabile. Partendo da un paesaggio di rovine romane - con una data, 1536 e una firma, Herman Posthumus - Nicole Dacos ha collegato quel quadro a un nome apparso, con quelli di Maerten van Heemskerck e di Lambert Sustris, tra i graffiti della Domus Aurea. Allievi di Jan van Scorel, che a Roma lavorava per Adriano VI prima del rientro a Utrecht, e venuti dall'Olanda «per imparare», Posthumus, Heemskerck e Sustris nelle loro scorribande romane sono legati direttamente alla veduta, genere destinato a un avvenire straordinario di cui qui si analizza la formazione. Il filo rosso dell'indagine è Posthumus, del quale si ricostruisce grazie a documenti, e soprattutto all'analisi stilistica, la vita errabonda: dal viaggio a Tunisi insieme a Jan Vermeyen al soggiorno a Roma, dove lavorerà all'ingresso trionfale di Carlo V, dall'attività a Landshut in Baviera sino al ritorno ad Amsterdam. La nuova edizione di questo libro apprezzato fortemente dalla critica e dal pubblico (la prima edizione, andata presto esaurita, era uscita nel 1996) aggiorna e integra l'indagine. Così un quadro inedito permette di rivisitare la formazione di Sustris dall'Olanda a Roma, a Padova. Viene altresì arricchita la conoscenza dell'allievo tedesco di Scorel, Calcar, che in quella città lo aveva preceduto, anche lui dopo un soggiorno romano. -
Lo specchio. Scritti di critica d'arte
La pubblicazione delle ""Opere in prosa di Carlo Levi"""", inaugurata con il volume """"Le mille patrie. Uomini, fatti, paesi d'Italia"""", prosegue ora con """"Lo specchio"""", che raccoglie gli scritti sull'arte del grande artista torinese: riflessioni teoriche e annotazioni critiche, sviluppate - dal 1926 al 1970 - con tono appassionato e partecipe, ma anche con lucida capacità di giudizio. Cifra comune di queste pagine è un'idea dell'arte come momento creativo che, ispirandosi al mito di Narciso, guarda alla realtà come in uno specchio, ed è cartterizzata da una dimensione poetica ed etica insieme, dato che l'arte si fonda sull'uomo quale """"misura di libertà morale"""".Levi sviluppa così riflessioni sulla sua stessa pittura e, più in generale, sul significato del fare pittura nella società moderna, ma i saggi documentano anche i variegati interessi dell'artista verso il cinema, la scenografia, l'architettura, il design, la fotografia, i cartoni animati e persino il fumetto.Sono qui raccolti infine gli scritti dedicati a varie e significative personalità dell'arte antica e contemporanea, in un itinerario ideale che accoglie al suo interno i fartelli Carracci, Manet e Cézanne, Mondrian e Picasso, fino agli amici e sodali: Casorati, Guttuso e Manzù."" -
Nel paese dei balocchi. La politica vista da chi non la fa
Nell'ultimo decennio del Novecento i nostri rapporti con la politica sono profondamente cambiati. E chiunque viva fuori dell'universo politico tende a chiedersi sempre più spesso: «Che cos'è la politica? Cosa dovrebbe essere? Perché pensarci?». I capitoli del libro nascono da questi interrogativi elementari e decisivi, formulati ogni volta da angolazioni diverse nel corso di un processo di trasformazioni difficili da definire e tuttora in corso. Usando anche differenti espedienti stilistici, Berardinelli ci offre una serie di quadri che segnano altrettante tappe della storia recente: dagli anni della partitocrazia alla caduta del Muro e al declino internazionale della cultura comunista, dalla modifica del sistema politico italiano dopo Tangentopoli alla scesa in campo di Berlusconi, dalla prolungata e irrisolta crisi della sinistra alla difficoltà di capire davvero la portata di conflitti internazionali drammatici, anche molto vicini ai nostri confini, come la guerra del Kosovo, fino ai più recenti e terribili esiti del terrorismo internazionale, con le incognite politiche e militari che ne seguono.Alfonso Berardinelli non è né uno storico, né un politologo. Non è uno specialista della politica, e questo gli dà qualche vantaggio: anzitutto un distacco spietato e ironico che ci restituisce un'immagine insolita dell'oggetto-politica. Scrittore e critico, l'autore è attento alle trasformazioni della cultura e del linguaggio, della mentalità e delle idee. I suoi dubbi e interrogativi sono quelli di un comune cittadino, ma anche di un intellettuale che guarda sempre di più «come dalla luna», o da fuori e dal basso, gli scenari politici, in particolare quelli italiani. Ne nasce un libro in cui alla politica vengono rivolte domande provocatorie e radicali, in una scrittura fantasiosa, aforistica, «straniante», nella quale si esprime ancora una volta e sempre di più l'idea che la politica sia una cosa troppo importante per essere lasciata agli esperti e agli addetti ai lavori. -
Prima e dopo le parole. Scritti e discorsi sulla letteratura
In questa raccolta di scritti di teoria e critica letteraria compaiono alcune significative testimonianze del rapporto di Levi con la creazione artistica in generale, nelle sue prime o più compiute manifestazioni. Si susseguono dunque, nella prima parte, scritti di teoria, compresi in un arco temporale che va dagli inizi degli anni cinquanta ai primi anni sessanta, riflessioni sul linguaggio, sull'arte moderna, sulla poesia, sull'""arte del tradurre"""".Nella seconda parte compaiono invece testi di differente natura: veri e propri saggi critici o recensioni, ricordi, presentazioni, discorsi, attraverso i quali si delinea il confronto di Levi con i suoi scrittori, quelli che lo hanno segnato. In questo sguardo a largo raggio Levi restituisce contemporaneità alle grandi opere del passato, stabilendo con esse un rapporto di scambio e un dialogo che le pone come possibili risposte alle domande del presente e alle esigenze esistenziali dell'io. Dietro a ognuno di questi saggi critici è implicito, insomma, il modo leviano di fare arte e d'intenderla.Levi si muove nella letteratura del Sette e Ottocento europeo fino ai suoi termini di crisi, ne riconosce i momenti essenziali via via fino al Novecento (Sterne, Stendhal, Tolstoj, Cechov, per fare alcuni esempi), si confronta con le voci poetiche che sentiva più prossime, Saba e Scotellaro. E scrive pagine penetranti, per quel suo pensare grande, guardando come dall'alto intere parabole di storia, e insieme da vicino, per il bisogno di scoprire la sua consanguineità con quel mondo, la sua simpateticità con certe opere, guadagnandole al presente, cointeressandole a una vicenda ancora in atto."" -
Demetra e Clio. Uomini e ambiente nella storia
Una nuova branca delle scienze storiche sta prendendo forma, in questo tormentato avvio del nuovo millennio: è la storia dell'ambiente, una disciplina che tenta di incrociare i tempi e i ritmi degli assetti ambientali con l'azione plasmatrice (o disgregatrice) delle comunità umane. Tradotto nell'evocativo, affascinante linguaggio della nostra tradizione mitologica, il problema è di coniugare Demetra e Clio: la dea della Terra fertile, dotata di autonoma forza creativa, e la musa che s'incarica di rappresentare l'opera storica delle società umane.Piero Bevilacqua, che di questo nuovo approccio degli studi storici è stato in Italia l'antesignano ed è forse il più autorevole sostenitore, sviluppa in questo volume la sua riflessione focalizzandola su cinque parole-chiave: le razionalità, le politiche, le cronologie, le risorse, il lavoro. Ciascun capitolo del libro tenta di ricostruire i temi del rapporto economia-ambiente in prospettiva storica: le politiche con cui di volta in volta si è tentato, in Europa, di regolare l'impatto delle attività produttive sul mondo fisico, le scansioni temporali entro cui si è venuta svolgendo la crisi ambientale del XX secolo, le risorse naturali concepite come partner creativo della vita produttiva, e infine il lavoro riconsiderato nella sua doppia faccia di umana operatività, tecnologia, cultura, ma anche di «natura» che trasforma il mondo fisico circostante.L'ambiente esaminato nei vari capitoli, dunque, non è mai la natura primigenia e incontaminata, ma sempre la terra modificata e resa produttiva dall'opera dell'uomo. È il tentativo di guardare alla storia del rapporto uomo-ambiente dal punto di vista di quello che l'autore chiama un «antropocentrismo sostenibile»: un approccio che non scada in una ricostruzione meramente naturalistica delle vicende del passato, e che tuttavia sappia riconoscere alla natura, nei processi economici e sociali, un'autonoma presenza e una incoercibile creatività. -
Bambini e clandestini
«Le poesie di Ennio Cavalli sono telegrammi di romanzi», scrive Erri De Luca nella nota critica che accompagna il libro. Ricordi, rancori, paure, avventure e poi viaggi, mestieri, misteri, col debito di un sogno sempre da finire e un pizzico di indomita follia. Inerme e sfrontato, graffiante e tenero, il puer aeternus di Cavalli non è un fanciullino astorico. A volte ricorda l'Oskar Matzerath di Günther Grass, sfida anche lui l'umanità a colpi di tamburo. A volte è il supplemento d'anima che consente di confessarsi.Grilli nell'erba della storia, bambini o clandestini. Tra questi ultimi, il venditore di fiammiferi, «spirito faustiano», capace di sedurre con «virgole di fosforo». O l'impresario della Sirena, piombatagli tra le braccia «in aggiunta a una cassetta di granchi, / l'ultima notte d'asta». L'arrotino «legge sulle lame romanzi di vita criminale / e sgarri urgenti». Salvo immaginare, in un'altra sequenza, che le stelle, «tutte assieme, anche se soffocate nella culla / o disegnate dai bambini, / fin dove non c'è sguardo, / in ordine innocente, / formino ardentemente / lo scheletro di Dio».Non è una poesia che fa il baciamano al lettore. Gliela stringe, la mano; qualche volta gliela graffia. E alla fine gliela legge. Con ironia e partecipazione, inventando fatalmente destini. -
Professionisti e mediatori per una riforma delle libere professioni
I lavori presentati in questo libro cercano di dipanare la contraddizione che si stabilisce tra il fatto che gli ordinamenti considerino alcune attività professionali meritevoli di particolare protezione (attraverso la costituzione degli ordini) e il fatto che alcuni tra i professionisti tutelati (o per essere più precisi un non irrilevante numero di essi) si adoperino per mettere in contatto economia legale ed economia illegale, organizzando per conto di soggetti legali operazioni illecite o incaricandosi della gestione dei patrimoni criminali. Definendo le attività in cui questi servizi ricadono come intermediazione d'affari, il primo saggio, di Ada Becchi, si interroga sui fattori che alimentano la domanda di tali servizi e influenzano la definizione dei confini che delimitano «sopramondo» e «sottomondo», individuandone le conseguenze sotto il profilo del benessere sociale. Il secondo contributo, di Alessia Cassetta, analizza i suggerimenti forniti dalla scienza economica per la tutela di determinate professioni. Infine, la terza parte, stesa da Elisabetta Cassese e Elena Cocchi, insiste sui caratteri degli ordinamenti che definiscono la tutela, anche attraverso un'analisi comparativa che prende in esame, oltre all'Italia, la Francia e l'Inghilterra. Nell'ultima parte del volume, una ricca e documentata appendice a cura di Ada Becchi analizza partitamente la situazione italiana. -
La politica perché? Riflessioni sull'agire politico
Quali sono le ragioni della politica? Con quali motivazioni e con quali strumenti l'agire politico si misura oggi con i temi della modernità, dell'etica, del lavoro e della sovranità nazionale? Domande non rituali, in un tempo nel quale l'antipolitica sembra farsi più forte di fronte ai mutamenti delle identità sociali e alle difficoltà dell'innovazione. Undici personalità della ricerca e della politica, raccolte attorno all'iniziativa lanciata dalla Fondazione Italianieuropei, tracciano un percorso di risposte possibili. -
Le vie del Mezzogiorno. Storia e scenari
Un connotato accompagna implacabile ogni rappresentazione spaziale dell’Italia meridionale nel nostro mondo contemporaneo: la perifericità.Implicita o esplicita che sia, prevale, a proposito del Mezzogiorno, l'idea di una faticosa distanza, di una qualche irrimediata marginalità, di una lontananza dal «centro», ovunque quest'ultimo venga ad essere situato. A ben vedere, la «distanza dal mondo» è forse una delle raffigurazioni mentali primarie, uno degli archetipi dell’universo meridionale contemporaneo, di certo la sua più forte metafora. Trasferita dal terreno spaziale a quello delle rappresentazioni allargate, la distanza infatti si fa «divario», e ancora, associata all'idea di una sua percorribilità nel tempo, diviene «lentezza», «ritardo», «arretratezza».Al tema della distanza si associa l'idea, pur essa intimamente radicata negli strati più profondi delle nostre rappresentazioni mentali, dell'attraversamento e del passaggio, del «transito». Privo ormai da tempo di una sua riconosciuta autoconsistenza, lo spazio meridionale diventa un accidente sulla via di una comunicazione tra i mondi esterni limitrofi; una barriera. Solo apparentemente questo insieme di raffigurazioni mentali contrasta con un altro luogo obbligato della nostra rappresentazione collettiva, e cioè con l'idea di una indiscussa, antica e perdurante centralità del Mediterraneo.Una centralità che ha attraversato tutta la sua storia, dalle vicende delle grandi civiltà che vi si sono affacciate in antico alla complessa evoluzione che lo ha visto teatro e fulcro del più vasto tra gli imperi, e poi terreno di contesa e di scontro tra le più grandi religioni, e ancora luogo cruciale di ogni corrente di traffico a lunga distanza, fino al tempo dell’avvento dell’età moderna.Mediterraneo al centro, dunque, e Mezzogiorno in periferia. La contraddizione, si è detto, è solo apparente. -
Roma fuggitiva. Una città e i suoi dintorni
«La notte, a Roma, par di sentire ruggire leoni». Il folgorante inizio de L’Orologio contiene in sé la cifra del rapporto tra Carlo Levi e la città che forse più amò e che più fu sua. Una città, insieme, eterna e «fuggitiva», nobilissima e plebea, continuamente in bilico tra il cammeo e la patacca. In questi scritti, dedicati a Roma tra il 1951 e il 1963, si dipana il filo di un giudizio critico che coglie la città in una fase cruciale di trasformazione. Levi sente tutto il fascino di una Roma in cui vede convivere i tempi diversi di una vita popolare e quotidiana, che s’intrecciano con quelli di una storia tanto ricca da essere vissuta come «natura». Sfila così nelle sue pagine una moltitudine di tipi e personaggi, veri ritratti parlanti e gesticolanti di un mondo popolare «differenziato», di antichissima civiltà, dotato di sorprendente vitalità e insieme della più flemmatica e scettica filosofia di vita. Si sente il respiro di una città bellissima, in cui risplende tutta l’autenticità di una «umile Italia», non ancora oppressa dal degrado, e tuttavia già insidiata dalle trasformazioni sempre più accelerate degli anni sessanta, sotto i colpi della speculazione e della cattiva politica, di una frettolosa e incolta modernità.Vissuta dall’interno, nella sua più viva concretezza, la Roma degli anni cinquanta e sessanta appare una «meraviglia» minacciata, quasi mitica, che tuttavia ancora ci incanta con il suo fascino di cose perdute.Carlo Levi ci accompagna per le strade di questa città di sogno: dalle feste popolari di San Giovanni e della Befana a Piazza Navona al frastuono della fine dell’anno, al teatrino di Pulcinella al Pincio, all’umanità di un piccolo negoziante e della sua botteguccia piena di meraviglie, al vuoto affascinante del Ferragosto, al tripudio delle Olimpiadi e alle giornate della protesta civile del luglio 1960. -
Fiabe piemontesi
È proprio vero che «chi racconta fiabe si racconta, si svela». Nell’introduzione a questa inedita raccolta di fiabe piemontesi, Bruno Gambarotta si sbizzarrisce a inseguire i mille indizi attraverso i quali le fiabe possono contribuire alla definizione di un’identità regionale. Nella fattispecie, l’oggetto è qui la piemontesità, quell’elemento insieme corposo e impalpabile, solido e indefinito che va sotto il nome di «carattere piemontese». Ad oltre un secolo di distanza dal pionieristico lavoro etnografico compiuto da Giuseppe Ferraro, il repertorio qui presentato viene ad aggiungere un tassello essenziale alla ricognizione sul patrimonio della fiaba piemontese. Raccolti da Maria Luisa Rivetti, e inquadrati da Gian Paolo Caprettini nel solido telaio di un accurato impianto semiologico, questi sessanta racconti inediti vengono presentati con un rigore filologico pari alla godibilità della lettura: ripresi, come si sarebbe detto un tempo, dalla viva voce del popolo e trasposti dal dialetto originale in una lingua anche sintatticamente vicina al parlato. I ventiquattro narratori che hanno dato voce a queste storie – operaie, contadini, casalinghe – appartengono al territorio di Alba, tra Langhe e Roero: un’area che non aveva sinora conosciuto lavori di prima mano di tale vastità.Ma alla testimonianza etnologica e folklorica si somma in questo caso la forte caratterizzazione «drammaturgica» dei testi, a dimostrazione che le fiabe non sono soltanto testimonianze di letteratura orale, ma costituiscono la traccia di una teatralità della parola che è eredità culturale e sociale irrinunciabile. Ed è il dosaggio di una simile teatralità a riportarci al connotato più fortemente identitario. A ben vedere, l’aspetto più importante della piemontesità di queste fiabe è anche il più nascosto. «È un elemento – nota ancora Gambarotta – che, come un fiume carsico, le percorre quasi tutte. Potremmo chiamarlo distacco, understatement: un incrocio fra la litote e l’eufemismo».Prendiamo, per esempio, una fiaba tra tutte, Il lupo e la volpe. Naturalmente, il lupo vuole a tutti i costi mangiare la volpe. E la volpe come reagisce? Il fatto è che «a lei rincresceva anche fare quella fine lì». Non sia mai che l’astuto felino si ribelli o faccia fuoco e fiamme minacciando sfracelli. No. Alla volpe piemontese, semplicemente, rincresce fare quella fine lì… -
La mucca è savia. Ragioni storiche della crisi alimentare europea
Il fenomeno della «mucca pazza» costituisce uno dei più straordinari paradossi del nostro tempo. Uno dei più ricchi continenti della terra si vede minacciato nella base elementare della propria esistenza: l'alimentazione. Il cibo, la condizione primaria della vita, nelle società ricche dell'Occidente, è diventato a rischio, è fonte di allarme e di inquietudini. Ma il fenomeno della «mucca pazza» non è un episodio casuale, l'esito di una qualche frode alimentare. E' il risultato conseguente dell'evoluzione storica dell'agricoltura in età contemporanea, il culmine di un titanismo tecnologico che ha voluto asservire distruttivamente la natura alle ragioni del profitto. La storia stessa dell'agricoltura e della zootecnia in Europa nel corso dell’età contemporanea mette in luce i limiti invalicabili cui è giunta la produzione agricola chimica e degli allevamenti intensivi, mostrando al tempo stesso quali siano i possibili sviluppi di un'attività economica più salubre, in grado di realizzare un rapporto più ricco e saggio con gli equilibri ambientali. Costituisce infatti una vana e grave illusione l’idea che più rigorosi controlli possano garantire un'alimentazione più salubre e sicura. Il compito è ben più vasto. Si tratta di rimettere sui piedi un mondo che è stato interamente capovolto. Occorre bandire i veleni chimici dalle campagne, ridare agli animali d’allevamento una condizione di normalità biologica. Un obiettivo che impone a partiti e movimenti la scoperta di una nuova dimensione dell'interesse generale. Il tema della salute e quello connesso delle strategie alimentari, che saranno sempre più cruciali nelle scelte individuali e collettive di ciascuno di noi negli anni a venire, diventano così i nodi di una nuova e concreta consapevolezza ecologica. -
Uguaglianza
Che cos'è veramente l'uguaglianza? E ve n'è poi davvero solo una? O non bisogna piuttosto cercarne la definizione all'interno delle singole situazioni e dei particolari contesti? In base aquali criteri si può stabilire se certe ineguaglianze siano o meno legittime? Ai criteri della prospettiva temporale o generazionale nella quale le ineguaglianze vengono valutate, a quelli della riduzione ad un indice unico di un sistema di ineguaglianze complesso o a quelli degli ambiti territoriali e politici di riferimento?L'analisi di questi temi si intreccia con quella delle posizioni e delle tesi degli autori che negli ultimi decenni hanno dato i contributipiù significativi alla teoria della giustizia e dell'uguaglianza: Rawls, Sen, Dworkin, Nagel, Walzer e molti altri ancora.L'autore ci offre così un punto di vista in grado di integrare la riflessione teorica sul versante della filosofia politica e quella di carattere concretamente politico-economico: dalle politiche di lotta alla povertà, alla cosiddetta «azione affermativa» nella sferadei rapporti tra generi o nei confronti di individui appartenenti a minoranze svantaggiate, al «reddito minimo garantito», alle misure di sostegno delle retribuzioni più basse, all'idea proposta di una sorta di lascito sociale e cioè di una dotazione patrimonialeuniforme che lo Stato dovrebbe garantire ad ogni giovane al raggiungimento della maggiore età.