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Lo scroccone
""Il parassita che nel 1892 Jules Renard elesse a protagonista di un suo romanzo (...) non ha nulla dei suoi antenati, o non gli resta dei suoi antenati che quel maledetto vizio di ogni tempo di sedere alla tavola degli altri e diventare 'il convitato abituale'. Per raggiungere i suoi scopi (che non si limitano al mangiare e dormire) si serve della letteratura (...) Henri (è questo il suo nome) aspira a divenire l'idolo ben remunerato di una brava famiglia borghese, di un marito lavoratore, di una moglie attenta, che il profumo di una vita diversa, di esistenze godute e perdute alla fiamma della poesia, getta senza alcun bovarismo e col massimo controllo in uno stato di lieve abbandono, di stordito turbamento (...) L'impegno che lo sovrasta è quello d'incantarli, soffiando con abilità in quella specie di flauto dolce che è la poesia per chi non la conosce; di trasportarli sul suo illusorio palcoscenico, ov'egli, recitando una vita che non esiste e mai smettendo via via di complimentarsi con se stesso per l'ottimo lavoro che sta eseguendo, potrà cantare alla fine la sua vittoria."" (Giovanni Macchia) Con un saggio di Alfredo Giuliani e una recensione di Marcel Schwob. -
L' altra madre
Genny ha sedici anni e lavora in un bar dalle parti di via Toledo; gli piace giocare a pallone e fare il buffone sul motorino. Perché, dicono gli amici, come lo porta lui, il mezzo, non lo porta nessuno. Tania di anni ne ha quindici, va ancora a scuola e dorme in una stanza che ""tiene il soffitto pittato di stelle""; le piacciono le scarpe da ginnastica rosa e i bastoncini di merluzzo. La madre di Genny ""ha quarant'anni, forse pure qualcuno in meno, ma il viso è segnato da certe occhiaie scure che la fanno sembrare più vecchia""; passa le giornate a fare gli orli ai jeans: venti orli ottanta euro; ogni tanto si interrompe, prende le carte e fa i tarocchi; e ogni tanto, quando non riesce a respirare, si attacca all'ossigeno. La madre di Tania fa la poliziotta, ha un corpo asciutto, muscoloso, e vicino all'ombelico ""la cicatrice tonda di quando l'hanno sparata""; ed è una che se qualcosa va storto non esita a tirare fuori la pistola. Un sabato pomeriggio, in una strada del Vomero, le vite di Genny e di Tania si incrociano in modo tragico: e una madre decide di fare giustizia. A modo suo. Come già in ""Dieci"" con quella scrittura spigolosa e incalzante che riesce, è stato scritto, ""a riattivare ciò che giace inerte nel linguaggio collettivo e privato"", Andrej Longo ci racconta una certa Napoli, e gli uomini e le donne che la abitano: protervi e feriti, crudeli e generosi. -
Il dottor No
Nel sesto episodio della serie di 007, Fleming ripropone la sua formula ormai collaudata: ragazze nude, spie, e armi nucleari.rnrnDopo cinque romanzi, Ian Fleming confessò al suo amico Eric Ambler di avere finalmente capito quali fossero gli ingredienti base per una delle sue (delle loro) storie: «ragazze nude, spie, e armi nucleari», meglio se ospitate sulla stessa isola. Di isole adatte al sesto episodio di 007 Fleming ne aveva visitate parecchie, e la più attraente era senz'altro Great Inagua, nelle Bahamas: colonie di uccelli rari protetti dalla Audubon Society, grandi paludi, mangrovie, granchi giganti assai temibili – e guano ovunque. Anche la trama era già pronta, bastava prendere un trattamento per la televisione americana di qualche anno prima, mai realizzato, in cui Fleming aveva ipotizzato che una misteriosa, potentissima organizzazione criminale possedesse apparecchiature in grado di deviare i missili intercontinentali americani. Bisognava solo trovarle un capo, magari prestandogli qualche tratto di un cattivo per antonomasia, il dottor Fu Manchu, e il gioco era quasi fatto. Cosa mancava? Ah già, le ragazze nude, almeno una. Be', qui Fleming giocava sul sicuro, tanto da potersi permettere di non aspettare gli arzigogolati rituali di accoppiamento del suo 007, presentandoci Honeychile, appena uscita dall'acqua, nella stessa veste in cui, da allora, è impossibile non continuare a immaginarla. -
Il libro contro la morte
Il libro più importante della sua vita, Canetti lo portò sempre dentro di sé ma non lo compose mai. rnrnPer cinquant'anni procrastinò il momento di ordinare in un testo articolato i numerosissimi appunti che, nel dialogo costante con i contemporanei, con i grandi del passato e con i propri lutti familiari, andava prendendo giorno dopo giorno su uno dei temi cardine della sua opera: la battaglia contro la morte, contro la violenza del potere che afferma se stesso annientando gli altri, contro Dio che ha inventato la morte, contro l'uomo che uccide e ama la guerra. Una battaglia che era un costante tentativo di salvare i morti – almeno per qualche tempo ancora – sotto le ali del ricordo: «noi viviamo davvero dei morti. Non oso pensare che cosa saremmo senza di loro».rnSospeso tra il desiderio di veder concluso Il libro contro la morte – «È ancora il mio libro per antonomasia. Riuscirò finalmente a scriverlo tutto d'un fiato?» – e la certezza che solo i posteri avrebbero potuto intraprendere il compito ordinatore a lui precluso, Canetti continuò a scrivere fino all'ultimo senza imprigionare nella griglia prepotente di un sistema i suoi pensieri: frasi brevi e icastiche, fabulae minimae, satire, invettive e fulminanti paradossi.rnQuel compito ordinatore è assolto ora da questo libro, complemento fondamentale e irrinunciabile di Massa e potere: ricostruito con sapienza filologica su materiali in gran parte inediti, esso ci restituisce un mosaico prezioso, collocandosi in posizione eminente fra le maggiori opere di Canetti. -
Babilonia
Torna l'autrice de Il dio del massacro - da cui Carnage di Roman Polanski - con una feroce variazione sulla solitudine, la vita di coppia, l'abbandono.rn«Se dovessi isolare una sola immagine tra tutte quelle che mi sopravvivono in testa, sarebbe quella di Jean-Lino seduto quasi al buio sulla sedia marocchina, con le braccia inchiodate ai braccioli in mezzo a un ingombro di sedie che non aveva più ragione d'essere. Jean-Lino Manoscrivi impietrito su quella sedia scomoda, nel salotto dove, allineati sulla cassapanca, c'erano ancor ai bicchieri che avevo freneticamente comprato per l'occasione, le vaschette di sedano, le patatine light, tutti i residui della festicciola organizzata in un momento di ottimismo. Chi può stabilire il punto di partenza delle cosa? Chi sa quale oscura e forse remota combinazione ha governato i fatti?»rnIn un posto chiamato Deuil-l'Alouettern(che, tradotto alla lettera, sarebbe «Lutto-rnl'Allodola»), un posto qualunque nellarnperiferia di Parigi, una donna qualunque,rncon un buon lavoro, un marito, unrnfiglio, una sorella e dei vicini di casa, si lasciarncoinvolgere, nel corso di una stranarnnotte di quasi primavera, in una faccendarnche potrebbe costarle assai cara. Perrnaffettuosa solidarietà con un uomo di cuirnnon sa molto, tranne che è solo, profondamenternsolo. O forse perché, di colpo,rnha voglia, foss'anche per un'ora, di respirarernfuori dalla soffocante banalità delrnquotidiano, di farsi un giro «on the wildrnside» – di immergersi in una «dimensionerndi tenebra». Tirando con la consueta,rnstupefacente maestria le fila di una vicendarnin cui il comico e il tragico si mescolanornin maniera inestricabile come in unarnsorta di perverso vaudeville, Yasmina Rezarndà voce alle angosce più segrete, e metternin scena il suo beffardo teatrino dellarncrudeltà scavando ancora una volta inrnquello spazio di connivenze e mostruositàrnche può diventare la coppia; e ci ricordarnche – non diversamente dagli ebrei, chern«sulle rive dei fiumi di Babilonia» sedevanorne piangevano «al ricordo di Sion» –rnciascuno vive in esilio: da se stesso, da ciòrnche avrebbe voluto essere, e dagli altri. -
Lettere. 1929 - 1940
«Per me è davvero sempre più difficile, anzi inutile, scrivere in un inglese formale. E sempre più ho l'impressione che la mia lingua sia un velo che va strappato per arrivare alle cose (o al niente) che stanno dietro. Grammatica e stile! Mi sembrano diventati inconsistenti quanto un costume da bagno Biedermeier o l'imperturbabilità di un gentleman. Una maschera. Speriamo che per la lingua arrivi il momento, e grazie a Dio in certi ambienti è già arrivato, di essere usata meglio là dove se ne abusa in modo più efficace. Siccome non possiamo liquidarla di punto in bianco, non lasciamoci almeno sfuggire ciò che può contribuire al suo discredito. Scavarci dentro un buco dopo l'altro finché ciò che vi sta acquattato dietro, che sia qualcosa oppure niente, non comincia a filtrare - per lo scrittore di oggi non so immaginare un fine più alto.»rnrnrnrnSamuel Beckett è stato a lungo conosciuto, e venerato, anche per la sua aura, dovuta all'aspetto fisico, all'inaccessibilità e al singolare dono per cui certe sue battute – scritte o recitate che fossero – entravano subito nella leggenda e nell'uso quotidiano. Ma soprattutto colpiva, intorno a lui, una zona di silenzio, che era in primo luogo una cifra stilistica. Così, di fronte alle sue lettere straripanti torna in mente il celeberrimo slogan inventato dai produttori di Ninotchka per la Garbo: Beckett parla! Sì, perché nelle sue lettere Beckett parla, moltissimo, e di tutto: del suo primo datore di lavoro, «Mr Joyce»; delle regioni più impervie della psiche, che esplorava con l’aiuto di Wilfred Bion; delle numerose lingue che abitava, e da cui spesso si sentiva posseduto; della miseria in cui era costretto a vivere; della stupefacente quantità di rifiuti editoriali accumulati dal suo primo romanzo, Murphy; e dei suoi viaggi in Europa, su cui spicca una straordinaria esplorazione della Germania di Hitler, in cui Beckett si addentra con il proposito di vedere quadri degli antichi maestri ma anche dei moderni, esattamente quelli che i nazisti, ritenendoli degenerati, avevano appena tolto dalla circolazione. A tratti, le pièce che il giovane viaggiatore avrebbe scritto dopo la guerra sembrano ispirate a fatti realmente accaduti e il «Fallire ancora, fallire meglio» appare qualcosa di più che un programma estetico. E, a libro chiuso, si ha la sensazione rara che, con Beckett, le sorprese siano appena cominciate. -
Il libro di sabbia
Nel febbraio del 1969, a Cambridge, su una panchina davanti al fiume Charles, Borges incontra un uomo che ha la sua stessa voce e gli è più intimo di un figlio nato dalla sua carne. L'uomo è Borges ventenne, a Ginevra, seduto su una panchina davanti al fiume Rodano. Comincia così, con un vertiginoso ritorno al «vecchio tema del doppio» e alle atmosfere lucidamente visionarie degli scritti degli anni Quaranta, ""Il libro di sabbia"", che raccoglie tredici, memorabili, racconti - cui se ne aggiungono qui, in appendice, altri quattro. Racconti di carattere fantastico. O forse sogni. O forse incontri con apparizioni spettrali. «In questi esercizi da cieco» scrive Borges «ho voluto essere fedele all'esempio di Wells: la congiunzione di uno stile piano, a volte quasi orale, con una trama impossibile» - e il risultato è una prosa pacata ed essenziale, ma come non mai modulata e musicale. -
Il latte dei sogni
Una delle stanze di casa Carrington, in Messico, era coperta di disegni di Leonora, che facevano paurissima ai bambini. Per tranquillizzarli, allora, la mamma cominciò a raccontare (e a illustrare) storie molto fantastiche e molto buffe, via via raccolte in un quadernetto privato. Che ora, tanti anni dopo, è diventato un libro diverso da tutti. Età di lettura: da 6 anni. -
I Maigret: Il mio amico Maigret-Maigret va dal coroner-Maigret e ...
Settimo volume della raccolta delle opere di Maigret.rnrnIl mio amico Maigretrn«Lei era all’ingresso del suo locale?».rn«Sì, dottore».rnInutile correggerlo. Quattro o cinque volte Maigret aveva cercato di fargli dire «commissario». Ma che importanza aveva? Che importanza aveva tutto questo?...rnrnMaigret va dal coronerrn«Ehi! Dico a lei!».rnMaigret si girò, come a scuola, per vedere chi stessero chiamando. «Sì, proprio lei, laggiù...».rnUn vecchietto pelle e ossa, con degli enormi baffi bianchi, che sembrava uscito dalla Bibbia, tendeva il braccio tremante. Ma verso chi?...rnrnMaigret e la vecchia signorarn Scese dal treno Parigi-Le Havre nella piccola, desolata stazione di Bréauté-Beuzeville. Si era alzato alle cinque, e dato che non si trovava un taxi aveva dovuto prendere il primo métro per la Gare Saint-Lazare...rnrnL’amica della signora Maigretrn La gallina era sul fuoco, con una bella carota rossa, una grossa cipolla e un mazzetto di prezzemolo, i cui gambi spuntavano dal bordo della pentola. La signora Maigret si chinò per controllare che il gas non si spegnesse, visto che era al minimo. Chiuse tutte le finestre, tranne quella in camera da letto... rnrnLe memorie di Maigretrn Era il 1927 o forse il 1928. Non ricordo con esattezza le date, e non sono di quelli che conservano scrupolosamente una qualche traccia scritta di ogni minimo fatto che li riguardi – abitudine, peraltro, piuttosto diffusa nel nostro mestiere, e che per qualcuno si è rivelata molto utile, talvolta persino proficua... -
Andrea o I ricongiunti. Nuova ediz.
Andrea o I ricongiunti è uno dei grandi romanzi del nostro secolo.rn«Ad ogni rilettura l’incanto della prima volta si ripresenta intatto. Adelphi ristampa la classica e bellissima traduzione di Gabriella Bemporad, che risale al 1948.» – La Letturarn«Alcune pagine del libro, specialmente le scene veneziane, come quella inattingibile in cui la donna cambia volto e appare dall'alto del piccolo cortile coperto di vite, appartengono alle cose supreme del nostro secolo. Come un narratore classico, Hofmannsthal non vuole rendere il rilievo della realtà, non interpreta, non indugia, non costruisce prospettive; corre via, sempre rapido, sobrio e lieve, naviga sulla superficie della narrazione come sopra la corrente di un fiume che superbamente e delicatamente egli non si cura di esplorare. Tutto è evidente e nitidissimo: appena presentati, ci sembra che gli enigmi siano già risolti. Ma come è illusoria questa nitidezza! Chi fissi la trasparenza della superficie, scoprirà dietro ogni segno un altro segno che accenna, dietro ogni parola un nodo di altre parole taciute: finché gli accadrà di naufragare in questa liquida limpidezza come nel mobile incantesimo della luce» (Pietro Citati).rnCome L’uomo senza qualità di Musil, esso nasce nel clima della rovina asburgica, nel crollo di quella tradizione aristocratica dell’Austria che trovò in Hofmannsthal la sua espressione suprema. Iniziata nel 1912, quest’opera avrebbe accompagnato Hofmannsthal fino alla sua morte, avvenuta nel 1929, rimanendo incompiuta e insieme perfetta, chiusa. Nelle sue pagine sembrano tessersi tutti i fili di quella tela misteriosa che fu Hofmannsthal stesso: nitida, rilucente, intatta superficie nella prima parte, distesamente narrata; tenebra geroglifica nella seconda parte, formata dai meravigliosi frammenti dove Hofmannsthal ha svelato le ramificazioni senza fine del pensiero che sottende la sua narrazione.rnHofmannsthal definì l’Andrea come luogo geometrico dei destini, e di fatto egli è l’unico fra i grandi narratori moderni ad aver riconquistato la nozione del destino in tutta la sua arcaica vastità. Ma l’accesso a questa cifra nascosta non è certo immediato: guidandoci nel paese delle maschere, Hofmannsthal ha scelto accuratamente la sua, e così ha dato al suo romanzo l’ingannevole aspetto di un nuovo Bildungsroman.rnIl giovane Andrea muove dalla sua Vienna verso la Venezia settecentesca, perché, là, «la gente è quasi sempre in maschera». Il lettore scoprirà gradualmente che questo viaggio educativo è un vero iter iniziatico. Dopo una prima rivelazione, durante il viaggio, dell’estasi e dell’infamia, Andrea si trova subito preso, a Venezia, in un quadrilatero di enigmi, di cui occuperà uno dei vertici, mentre sugli altri compariranno Sacramozo, il Cavaliere di Malta, intelletto platonico che regge le trame degli incontri, la cortigiana Mariquita, «una specie di turbine», e la dama Maria, volutamente separata dalla vita. Ognuno di questi personaggi è sdoppiato, ogni gesto appartiene all’insieme dei quattro e a nessuno, secondo le leggi di una alchimia che qui si presenta sotto specie di racconto. Il trasparente percorso rettilineo della prima parte si trasforma così in una immensa tavola del possibile: il tempo si blocca e balena istantanea l’immagine della totalità dove i personaggi, nelle loro forme distinte, si incontrano una volta per... -
Le leggende degli ebrei. Nuova ediz.
Ricercatore appassionato e acutissimo, ma anche narratore di straordinaria efficacia, nelle Leggende degli ebrei Ginzberg è riuscito a dar conto della vertiginosa stratificazione delle storie, delle parabole, delle divagazioni che la tradizione ebraica ha tramandato in margine al testo biblico in un racconto affascinante che dalla creazione e dal diluvio si dipana fino al ritorno dalla cattività babilonese e alla strabiliante avventura della regina Ester, passando per le vicende dei patriarchi e delle loro molte spose, le aggrovigliate storie dei dodici figli di Giacobbe, la tormentata epopea di Mosè, la lunga erranza del popolo d’Israele nel deserto e il suo ingresso nella Terra Promessa.rnIl primo volume contiene l’intero corpus delle leggende, il secondo l’apparato critico costituito dalle Note con i riferimenti e il commento dell’autore, dal Repertorio bibliografico e da un Glossario dei termini ebraici, cui si affiancano qui, per la prima volta, un corposo Indice analitico e un Indice delle fonti. -
Archivio e camera oscura. Carteggio 1932-1940
L'amicizia fra Benjamin e Scholem spicca, nel Novecento, come una tra le più affascinanti e vitali. E quando nel 1980 Scholem pubblica questo carteggio, che copre gli ultimi otto anni della vita di Benjamin, vuole rendere giustizia a un rapporto complesso e non privo di contrasti, ma improntato a una profonda fedeltà. Grande studioso della Qabbalah e della mistica ebraica, Scholem è, nel 1932, già da tempo in Palestina e ormai a un passo dalla cattedra; la vita di Benjamin, cabbalista in incognito e profondo innovatore del pensiero, attraversa invece la sua fase più tormentata: ospite di volta in volta a Ibiza, Parigi, Sanremo e in Danimarca, è costantemente alla ricerca di una base di sussistenza. Tra i due, fortemente segnati dalla formazione nella Berlino di inizio secolo e subito attratti dalle ricerche l'uno dell'altro, si sviluppa un confronto incessante che investe l'attualità politica, i libri letti, le comuni conoscenze (da Buber a Bloch, da Brecht ai francofortesi), e che trova il suo fulcro nei densissimi scambi a proposito di Kafka. Un dialogo a distanza – se si esclude il breve incontro parigino dell'inverno del 1938 – e non di rado drammatico, intessuto com'è anche di malintesi, puntute allusioni, eloquenti silenzi, ma che resta una prova convincente delle parole con cui Benjamin definì il suo rapporto con Scholem: «fra Gerhard e me le cose stanno così: ci siamo persuasi a vicenda». -
Koh-i-nur. La storia del diamante più famigerato del mondo
Tra le storie più affascinanti di sempre merita senza dubbio un posto quella del Koh-i-Nur, il diamante dal valore stimato «in due giorni e mezzo di cibo per il mondo intero», la gemma portentosa contesa nel corso dei secoli da un numero impressionante di re, conquistatori, principi, razziatori, ladri e imperatori, le cui morti truculente ne alimentarono la fama di pietra maledetta: accecati, avvelenati, torturati, bruciati nell'olio bollente, 'incoronati' con il piombo fuso o uccisi dai familiari. Nel riscrivere questa storia, William Dalrymple e Anita Anand la sottraggono alle brume del mito e la ricostruiscono meticolosamente a partire dalle fonti originali (persiane, afghane, urdu, in parte tradotte per la prima volta). E mostrandoci, tra l'altro, come la 'maledizione' non abbia nulla di soprannaturale, ma sia la concreta manifestazione della cupidigia e della furia omicida che questo gioiello inestimabile ha suscitato, storicamente, in tutti coloro che lo hanno bramato. E quando il Koh-i-Nur trovò in Inghilterra «la sua dimora definitiva», lo seguì il suo ultimo proprietario indiano, Duleep Singh, che nacque sovrano del più potente regno dell'India e morì, abbandonato da tutti, in un hotel di Parigi, mentre la gemma che un tempo aveva fieramente indossato faceva bella mostra di sé sulla corona della regina Vittoria. -
Legge e caso
«Pensiero concretissimo, pensiero che ha illuminato l'essenza del nostro presente più di centurie di economicismo e sociologismo. Che ne ha messo in luce il radicale, compiuto nihilismo, che lo ha affrontato nelle sue origini storiche e metafisiche. Il nihilismo che ci mette costantemente in debito, abitanti una vita che non è nostra, che è destinata a dissolversi come dal nulla è venuta. Il nihilismo che non ci permette neppure di pensare alla Gioia, alla Gloria, all'Eterno. Inattualità poderosa, monumentale della grande opera di questo Maestro. Cosa è possibile comprendere del dramma dell'epoca se non si legge Heidegger contra Severino? Manca il controcanto a tutte le correnti fondamentali della filosofia o post-filosofia del Novecento, se non si comprende Severino... di Verità era affamato Severino. E questa fame ha cercato, disperatamente forse, di comunicarci lungo tutta la sua vita, con le migliaia e migliaia delle sue pagine che vivono e vivranno». (Massimo Cacciari) -
La settimana bianca
La storia di un bambino che vive sotto il peso dei suoi incubi - e che vedrà materializzarsi il più orrendo che si possa immaginare.""Ero solo, in una casetta in Bretagna, davanti al computer,"" ha raccontato una volta Emmanuel Carrère ""e a mano a mano che procedevo nella storia ero sempre più terrorizzato"". All'inizio, infatti, il piccolo Nicolas ha tutta l'aria di un bambino normale. Anche se allo chalet in cui trascorrerà la settimana bianca ci arriva in macchina, portato dal padre, e non in pullman insieme ai compagni. E anche se, rispetto a loro, appare più chiuso, più fragile, più bisognoso di protezione. Ben presto, poi, scopriamo che le sue notti sono abitate da incubi, che di nascosto dai genitori legge un libro, dal quale è morbosamente attratto, intitolato Storie spaventose, e che, con una sorta di torbido compiacimento, insegue altre storie, partorite dalla sua fosca immaginazione: storie di assassini, di rapimenti, di orfanità. E sentiamo, con vaga ma crescente angoscia, che su di lui incombe un'oscura minaccia - quella che i suoi incubi possano, da un momento all'altro, assumere una forma reale, travolgendo ogni possibile difesa, condannandolo a vivere per sempre nell'inferno di quei mostri infantili. Questo perturbante, stringatissimo noir è da molti considerato il romanzo più perfetto di Emmanuel Carrère - l'ultimo da lui scritto prima di scegliere una strada diversa dalla narrativa di invenzione. -
La difesa di Luzin
Una storia di scacchi. Una storia costruita con sottile, deliberata ironia, come una lunga partita giocata contro la vita, che si dipana lungo l'arco di vent'anni tra una luminosa Pietroburgo imperiale.La difesa di Lužin, primo capolavoro di Nabokov, è la storia di un conflitto insanabile tra genio e normalità, volontà e predestinazione, ragionevole esistere quotidiano e leggi del Fato, geloso delle prerogative che gli competono. Ed è anche – lo rivela già il titolo, che allude a un'immaginaria mossa inventata dal protagonista – una storia di scacchi. Una storia costruita con sottile, deliberata ironia, come una lunga partita giocata contro la vita, che si dipana lungo l'arco di vent'anni tra una luminosa Pietroburgo imperiale, località termali tedesche e la Berlino degli anni Trenta, con i suoi ricchi emigranti russi. Al centro del romanzo, la figura del giovane Lužin: inerme di fronte agli altri, consegue attraverso il suo genio per gli scacchi un misterioso, insondabile potere che lo sospinge molto al di là del mondo ordinario. Ma l'ascesa e la caduta di Lužin – da bambino svagato e geniale a campione perdente e suicida – sono anche l'occasione per delineare in controluce, con raffinata sequenza di mosse, tra arrocchi, stalli, prese e abbandoni, una tessitura narrativa in cui dominano l'ironia che investe l'illusorietà delle scelte libere e virtuose, contrastate dal disegno del caso, e l'intuizione di una dimensione futura, al di là dell'umano. Il paradosso del libro è che l'algido nitore degli scacchi converge con un alto pathos, come indicò lo stesso Nabokov: «Fra tutti i miei libri russi, La difesa di Lužin contiene e diffonde il ""calore"" più intenso, cosa apparentemente strana se si pensa quale supremo potere d'astrazione si attribuisca agli scacchi». -
Ciò che si trova solo in Baudelaire
A duecento anni dalla sua nascita, Baudelaire è il caso molto raro di uno scrittore che ha mantenuto intatta la sua forza di penetrazione intellettuale e la capacità di scardinare ogni forma di pensiero sclerotico. Dopo La Folie Baudelaire, che era un vasto libro non solo su Baudelaire ma su tutta la Parigi intorno a lui, Roberto Calasso ha voluto concentrarsi su ciò che costituisce la singolarità irriducibile dello scrittore - innanzitutto il taglio della sua intelligenza e quel gusto che ha dato un'impronta definitiva a ciò che si è poi chiamato il moderno. -
Ritratti di ritratti. Ediz. illustrata
Come nasce un ritratto e cosa c’era prima? Come si forma l’immagine mentale di un volto – non meno geroglifica della sua controparte fisica – e quali sentieri deve percorrere la mano di un disegnatore per tentare di raggiungere quella verità nascosta e inafferrabile? -
Metafisica concreta
Un fuggire che, a furia di decostruzioni, oltrepassamenti, dichiarazioni di morte o di inesorabile, fatale compimento nelle forme della razionalità scientifica, ha finito col diventare una sorta di habitus del pensiero contemporaneo. E tuttavia, ripercorrendo contropelo le filosofie classiche e i grandi sistemi del razionalismo moderno, così come le più ardite e recenti teorie della scienza, è possibile riscoprire ciò che di quel termine rimane inaudito: la tessitura che collega l’essente in quanto osservabile e determinabile allo s-fondo della sua provenienza e del suo imprevedibile avvenire; la relazione tra la theoría della cosa sotto l’aspetto della sua caducità, nell’ordine di Chronos, e quella che cerca di esprimerla nella sua relazione al Tutto e in tale relazione giunge a considerarla res divina. Nessun ‘al di là’, nessuna Hinterwelt, o mondo ‘dietro’ tà physiká, dietro il manifestarsi di Physis. Questo mondo, e il soggetto che intende conoscerlo conoscendo sé stesso, il cui essere-possibile non si arrende al Muro dell’Impossibile, esigono di essere interrogati anche secondo una tale prospettiva. Metafisica concreta, dunque, come Florenskij, scienziato, filosofo e teologo, voleva intitolare l’opera che avrebbe dovuto concludere la sua ricerca. Filosofia e scienza possono in essa ritrovarsi ed esprimere insieme, in forme distinte e inseparabili, l’integrità e inesauribilità della vita dell’essente. -
Novantanove giochi. Per la scuola, il teatro, l'azienda... il gruppo
99 giochi per gli operatori, gli attori, i formatori, gli psicologi, gli insegnanti, gli animatori, i... ""giocatori"". 99 giochi per chi con i gruppi o in gruppo lavora, intrattiene, forma, immagina... ""gioca"". 99 giochi da considerare un punto di partenza, una proposta un input al servizio della realtà di applicazione, mai una formula chiusa, un'incontestabile norma, una ricetta immodificabile. 99 giochi alla ricerca del centesimo non ancora scritto, con la proposta a chi si ingaggia in questa lettura, ma specie in questo ulteriore, definitivo gioco, di scrivere il N° 100 o se si preferisce i 99 giochi nuovi, con la speranza, la certezza che non si raggiunga mai il numero completo.