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Strutture della composizione. Architettura e musica
Nel corso del loro sviluppo storico, tanto l'architettura quanto la musica hanno avuto costantemente bisogno di definire dei principi tipologici e formali, desunti dall'osservazione di esempi già realizzati, per avere un valido criterio di supporto alla progettazione e alla composizione. In queste due discipline, dunque, è sempre possibile individuare i criteri costruttivi ricorrenti sulla base dei quali le note, i volumi o le forme acquisiscono determinate strutture, storicamente fondate su presupposti di ordine logico e geometrico. Persino nel Moderno, infatti, che pure rappresentò un momento di rottura totale con i sistemi precedenti, è possibile cogliere dei ritmi di fondo, generatori della produzione artistica. Secondo Daniel Libeskind, «il rapporto tra musica e architettura è probabilmente il più profondo, perché è il più complicato da immaginare. E proprio perché è complicato da immaginare molta gente pensa che non esista o che esista unicamente in senso concettuale». Il volume intende appunto approfondire ed aggiornare la riflessione sull'analogia fra composizione musicale e architettonica. Prefazione di Stefano Catucci. -
Nuove terre. Architetture e paesaggi dello scarto
Questo saggio si interessa dello spazio residuo, ovvero degli scarti: il risultato di un affastellarsi di più disegni o di un'assenza di significato e di conseguenza del ruolo del progetto. Sotto questa prospettiva diviene allora concreta la possibilità che il progetto possa assorbire le dinamiche del tempo, elaborando strategie in grado di annettere, selezionare o abbandonare, e in ultima analisi di dialogare con lo scarto piuttosto che escluderlo a priori. Ecco che allora si aprono nuovi scenari operativi, nuove terre che in realtà esistevano già: «Non si vogliono scoprire o scrivere nuove parole ma trovare nuove terre in quelle che ci sono già, leggendole come enunciati di costruzioni e processi». Il futuro di queste zone bianche, palinsesti sempre in attesa di un ruolo preciso, può dunque essere quello di formare aree di cambiamento: pronte a rientrare in gioco in caso di necessarie revisioni della struttura esistente, assecondando così quella che l'autore definisce «identità mutevole dei luoghi». Esperienze dell'arte concettuale, progetti di architettura e alcuni frammenti letterari e filosofici vengono dunque scelti e montati allo scopo di fornire modalità interpretative e trasformative che pongano lo scarto come materiale del progetto. In tal modo Paul Auster, Ed Ruscha, Gordon Matta-Clark, Konstantin Melnikov, Kevin Lynch, Jean Baudrillard, fra gli altri, vengono riletti secondo una visione comune che in ultima analisi cerca di rispondere alla questione sollevata da Gilles Clément: «Le aree lasciate incolte, sono sempre esistite. La storia le denuncia come una perdita di potere dell'uomo sulla natura. E se si posasse su di loro uno sguardo diverso? Non sono forse le pagine nuove di cui abbiamo bisogno?». -
La caduta e il ritorno. Cinque movimenti dell'immaginario romantico leopardiano
Cosa accade se si “aprono gli occhi” sul mistero del mondo? Se il desiderio di conoscere oltrepassa i limiti del sensibile, e si spezza l’equilibrio tra mente e corpo? Il grande tema antropologico affrontato qui attraverso l’analisi di molti testi è il dramma dell’uomo, un animale “trasposto” (secondo la formula di Leroi-Gourhan) che ha scoperto l’infinito.rnIl pensiero romantico usa il racconto biblico della Caduta per rispondere al trauma dell’illuminismo e della modernità. Il vertiginoso sviluppo della ragione ha reso sì l’individuo più autonomo e critico ma ha annichilito la vitalità e la speranza: è quel che Leopardi, anticipando Nietzsche, chiama “strage delle illusioni”. Poeti, filosofi, romanzieri cercano la via del Ritorno a un mondo pieno di senso. Con loro anche Giacomo, che nei canti pisano-recanatesi ritrova la via di casa e di se stesso. È un viandante ormai stanco, ma riesce a rigenerarsi attingendo energia vitale dall’ingenua semplicità di una fanciulla chiamata Silvia. Silvia, ovviamente, c’est lui.rnQuesto libro vede Leopardi nell’orizzonte di poeti e pensatori post-illuministi e post-rivoluzionari. Da Coleridge a Novalis, da Sade al Goethe del Faust, fino a Henry Adams – sullo sfondo l’antesignano Rousseau – si snoda un racconto fatto di trame, motivi, immagini, idee, lemmi. Ne emerge il nucleo misterioso e inquietante dell’opera leopardiana, in cinque movimenti dell’immaginario che sono comuni a un’intera epoca: l’Inizio, il Consumo, il Vortice, l’Equilibrio, la Spirale. Ma il discorso torna poi sempre a un unico canto, A Silvia, storia dell’umanità caduta, e risorta solo in ombra. -
Attraverso la storia dell'estetica. Vol. 1: Dal Settecento al Romanticismo.
Si apre con il presente titolo una Storia dell'estetica moderna che proseguirà con altri due volumi: Da Kant a Hegel e Dall'Ottocento a oggi. Non si pensi però ad una storia di impronta manualistica, che si limiti a enumerare pedissequamente tutti gli autori e tutte le correnti. L'opera è infatti costruita per singoli saggi, e non mira quindi a una impossibile completezza, quanto piuttosto all'approfondimento di alcune questioni rilevanti, in grado però di far luce sull'intero campo delle idee estetiche di un'epoca. Così Dal Settecento al Romanticismo comincia - dopo una necessaria premessa metodologica sulla storia dell'estetica che è anche un piccolo periplo attraverso le altre storie della disciplina - con la ricostruzione genealogica di tre temi centrali dell'estetica illuministica: il tema del gusto (inseguito a ritroso fino alle sue origini), quello del Je ne sais quoi (riscattato da facili irrisioni e liquidazioni) e quello del caratteristico (nella sua dialettica con la bellezza ideale). Tale approccio consente di recuperare autori appartati ma tutt'altro che secondari, come Spalletti o Arteaga - dietro i quali, comunque, si intravede un gigante come Winckelmann - e permette di collocare nella giusta luce figure talora fraintese, come Moritz, troppo spesso appiattito sui suoi ingombranti contemporanei, Kant e Goethe. La seconda parte del volume è dedicata ad alcuni problemi fondamentali dell'estetica romantica, quali il primato della pittura rispetto alla scultura, l'esaltazione dell'immaginazione, la teoria del romanzo e l'enigmatico statuto dell'ironia. -
New perspectives in the studies on Matteo Ricci
Matteo Ricci (Macerata, 1552 – Beijing, 1610) was the first Westerner to establish a deep reciprocal relationship of knowledge and friendship between Europe and China. He still remains today, for the two civilizations, a symbol and a model of mutual relations. This volume proposes new studies in three research areas. The first deals with new or unpublished documents in Chinese concerning Matteo Ricci and his interlocutors. The aim of this investigation is to provide a more nuanced and precise reconstruction of Ricci’s experience by relying on a full knowledge of events and records. Secondly, the volume suggests new ways of analysing Ricci’s works by examining a number of topics that have never been explored before, or by focusing on writings that still need to be properly understood. The third theme of the volume is the effort in self-understanding among European scholars prompted by Ricci and later Jesuits, as well as by other religious orders, especially during theseventeenth and eighteenth centuries. As a whole, the volume is an essential reference work for those who want to have a better understanding of Matteo Ricci and of the first significant encounter between Europe and China. -
Il dispositivo Morandi. Arte e critica d'arte 1934-2018
Tutta la scena culturale italiana del Novecento.rn«Valorizza snodi della fortuna critica morandiana inattesi e ancora inesplorati» – AliasrnLa figura suprema di Giorgio Morandi, la sua presenza/assenza nelle trame dell'arte e della critica italiana del Novecento, è l'oggetto della proposta di Massimo Maiorino. L'autore ricostruisce ed evidenzia, attraverso la lente teorica del ""dispositivo"""", mutuata da Gilles Deleuze, le voci e le differenti prospettive, i racconti e le genealogie che l'opera di Morandi ha sollecitato. Muovendo dal seminale scritto di Roberto Longhi del 1934, il saggio ripercorre, chiamandone a raccolta i protagonisti, tutta la scena culturale italiana del Novecento, spingendosi poi fino al primo scorcio del nostro secolo, al fine di dar conto anche delle riletture proposte nel 2014, in occasione delle celebrazioni per i cinquant'anni dalla morte dell'artista. A emergere dall'esame dell'eterogeneità delle analisi e delle ipotesi critiche - espresse in una pluralità di linguaggi che oscillano tra parola e immagine, restituendo così l'ampiezza del sistema dell'arte - è la proteiforme vitalità dell'eredità morandiana e l'inesauribile attualità dell'artista italiano e della sua opera."" -
Le sublime enclos. Le récit de la nature américaine au défi des parcs nationaux
Depuis la création du Yellowstone en 1872, le parc naturel apparaît comme un objet ambigu, à la fois virginal et cadastré, ouvert et clôturé, dont le paradoxe topologique n’a jamais cessé de troubler les écrivains. Fort de ce constat, cet essai interroge, de façon théorique et analytique, l’obstruction spécifique que causent les parcs naturels à nombre d’écritures de la nature, en l’occurrence de l’Ouest américain. Comment traduire une expérience de la nature malgré cette interface tierce ? Quelles stratégies les écrivains mobilisent-ils pour la contourner, l’affronter ? À ces questions, on voudra donner des réponses variées et complémentaires en puisant dans un corpus contemporain de récits de voyage français et de nature writing américains.Since the creation of Yellowstone National Park in 1872, natural parks appear as highly ambiguous lands, at the same time virginal and registered, open and fenced, whose topological paradox keeps upsetting or obsessing many writers. This essay considers the influence of natural parks on some representative writings featuring the American West. How do writers describe their experience of wilderness despite this third mediator? We would like to give some varied and complementary answers to this question, drawing on a contemporary corpus of French travel writing and American nature writing. -
Bande dessinée et littérature: intersections, fascinations, divergences
FR. Cet essai se penche sur les rapports entre bande dessinée et littérature en privilégiant les discours tenus par la critique, ou par certains praticiens relevant des milieux de la nouvelle « bande dessinée d’auteur », pour revenir sur la question longtemps débattue, et toujours pas résolue, de savoir ce qui distingue et ce qui rapproche ces deux modes d’expression. On y analyse les aspects techniques identifiés comme propres au « roman graphique » moderne (utilisation du noir et blanc, longueur dépassant le nombre de pages standard imposé par les éditeurs commerciaux, division en chapitres), pour en vérifier la pertinence à la lumière d’une comparaison avec d’autres traditions nationales que la franco-belge (en particulier la tradition italienne) et sur un laps de temps dépassant la période où l’on situe généralement leur adoption : les années soixante-dix. Une attention particulière est réservée au cas de Hugo Pratt, dont La Ballade de la mer salée et considérée comme étant le premier « roman graphique », ainsi qu’à la question des contraintes formelles et éditoriales, à la notion problématique de « bande dessinée adulte » et aux rapports de la bande dessinée avec les avant-gardes artistiques et littéraires. Au bout de ce parcours, on note, dans les débats opposant les tenants d’une bande dessinée résolument littéraire et les praticiens d’une BD populaire d’inspiration feuilletonesque, un décalque remarquable des arguments ayant opposé jadis les réalistes aux romantiques. La question du positionnement symbolique du médium au sein du monde de la culture semble alors prendre le dessus sur toute autre considération.EN. This essay deals with the relationship between “bande dessinée” and literature based on contemporary academic critical discourse, and on the writings of those authors belonging to the new wave of “literary bande dessinée”. Its goal is to delve once again into the vexing question of the differences and similarities between these two related but independent modes of expression. Certain technical aspects deemed typical of “graphic novel” aesthetics (the use of black and white, the length of the works, the use of chapters) are analyzed in comparison with national traditions other than the Franco Belgian one (in particular, the Italian tradition). This is followed by an analysis of the case of Hugo Pratt, who is widely considered the father of the “graphic novel” with his Ballad of the Salt Sea. Thereafter is a discussion of formal and editorial constraints, of the controversial notion of “adult bande dessinée” and of the relationship between “bande dessinée” and artistic and literary avant-garde movements. The conclusion notes the striking resemblances between present debates and those that opposed realist and romantic authors in the mid-nineteenth century. The real crux of the matter seems then to be the question of the symbolic positioning of “bande dessinée” within the cultural world. IT. Questo saggio esamina i rapporti tra fumetto e letteratura, privilegiando i discorsi sostenuti dalla critica o da alcuni addetti ai lavori ponendo l’accento sugli ambienti del nuovo “fumetto d’autore”, per ritornare sulla questione a lungo dibattuta, e mai risolta,... -
Catalogo delle religioni nuovissime
Oltre a contenere storie buffe e curiose, questo catalogo ci porta a riflettere sul persistere del fenomeno religioso nel mondo dominato da scienza e tecnica, nonché sulle questioni di diritto che la pluralità religiosa pone a uno Stato laico.rn«Nel vasto mondo proliferanornreligioni le più bizzarre. Graziano Graziani,rncritico e autore teatrale, ne harnfatto una sorta di inventario il «Catalogorndelle religioni nuovissime» censendonern42 anche se pare ne circolino molte dirnpiù.» - Alberto Fraja, il Temporn«Dicono ""Ramen"""" invece di """"Amen"""" e adorano un essere superiore che risponde al nome di Prodigioso Spaghetto Volante». rnrnrnrnOgni anno in giro per il mondo spuntano nuove religioni come funghi. In questo libro Graziano Graziani ne ha catalogate e raccontate quarantadue, tra le più sorprendenti: si va dalle religioni parodistico-paradossali come il Pastafarianesimo, i cui adepti adorano un essere superiore (il «Prodigioso Spaghetto Volante») alla Chiesa del Giovedì Scorso, che sostiene, con irreprensibile argomentazione logica, che Dio ha creato il mondo giovedì scorso; dalle religioni pop (il Googleismo, l'Iglesia Maradoniana) a quelle di natura artistica (la Chiesa di John Coltrane), o contestatrice (il Kopimismo, la Chiesa dell'Eutanasia). Ma anche le religioni più serie, come quelle generate dalla scienza (la Religione della Scienza o il Cosmismo) e dalla politica (il Culto di Putin), sono parodie; e forse nel mondo secolarizzato finiscono per esserlo anche quelle tradizionali."" -
Incompiute, o dei ruderi della contemporaneità
Il volume fornisce una lettura dello stato dell'arte per quanto attiene il tema delle ""architetture incompiute"""" e al contempo si pone l'obiettivo di sollecitare la cultura architettonica, urbanistica e politica a confrontarsi con questi spazi dello scarto, attraverso la costruzione di strumenti idonei alla loro trasformazione. Il lavoro, muovendo dall'analisi del concetto di rovina nella società moderna, esplora i paesaggi dell'incompiuto e, di seguito, segnala le ricerche e le esperienze che in tale ambito si stanno producendo, anche al di fuori del contesto italiano. Prefazione di Stefano Catucci, saggio di Barbara Elia."" -
Rigenerare la città media. Piazza dell'Olmo di Terni
Nel volume, i due autori, diversi per genere, età, formazione e percorsi professionali – l’una sociologa urbana, l’altro architetto e progettista della piazza – avviano un serrato confronto sulla gestione dei processi di innovazione urbana in contesti marginali e una riflessione generale sul destino delle città medie europee.rnrn«Questo libro nutre l’ambizione e un retropensiero inespresso, perché inconsapevole, di dare nuova vita all’esperienza ternana del Villaggio Matteotti, progettato da Giancarlo De Carlo, che mise al lavoro architetti e sociologi, dando luogo a quell’originale esperienza che abbiamo imparato a riconoscere come progettazione partecipata»rnrnPiazza dell’Olmo di Terni ha un pregio singolare: è uno di quei fortunati esempi di rigenerazione urbana che – pur realizzato in una città media dell’Italia centrale particolarmente segnata dall’identificazione con la produzione dell’acciaio, un’attività sempre più rara in Europa – è riuscito a infondere nuova vita a uno spazio, vuoto e di servizio, del centro storico della città, trasformandolo in un inedito luogo pubblico del loisir giovanile. Piazza dell’Olmo ha dunque rinnovato la sua funzione ospitando una movida, che, almeno qui, ha avuto l’effetto di affrancare la notte dall’identificazione con il turno notturno dell’acciaieria.rnNel volume, i due autori, diversi per genere, età, formazione e percorsi professionali – l’una sociologa urbana, l’altro architetto e progettista della piazza – avviano un serrato confronto sulla gestione dei processi di innovazione urbana in contesti marginali e una riflessione generale sul destino delle città medie europee, rinnovando l’antico e fertile connubio fra architettura e sociologia inaugurato proprio a Terni da Giancarlo De Carlo e Domenico De Masi nel quartiere Matteotti agli inizi degli anni Settanta. -
Come il gesso sulla lavagna. Curzio Malaparte polemista e teorico della politica
Curzio Malaparte non si è mai sentito un intellettuale italiano . La sua cultura, anche considerando il numero notevole di lingue che parlava (dal francese all’inglese al tedesco di famiglia al russo che masticava così come il polacco), era decisamente europea. Lo stesso si può dire delle sue letture che andavano dai maggiori poeti francesi (tradusse Eluard e Pierre-Jean Jouve) alla À la recherche du temps perdu di Proust (cui ha dedicato un singolare quanto ammiccante pastiche teatrale, Du côté de chez Proust, messo in scena nel 1948 a Parigi) e alla produzione letteraria anglo-americana del tempo. Ma, ancora più importante come riscontro oggettivo della precedente affermazione, è il fatto che Malaparte scrisse per l’editore Grasset di Parigi, tra il 1931 e il 1932, due saggi direttamente in francese che poi ripubblicò nel 1948 traducendoli in italiano con l’apporto di traduttrici professioniste: Technique du Coup d’État e Le Bonhomme Lenine. Sempre in francese nel 1948 pubblicherà per Denoël una raccolta di saggi vari (Deux Chapeaux de paille d’Italie) che, invece, non ripropose in italiano. L’uso della lingua francese non aveva mai rappresentato un problema per lo scrittore pratese anche se il suo idioma francese fu contestato in diverse occasioni (come nel caso del testo dell’opera teatrale Das Kapital considerato un po’ troppo dur dal direttore del teatro in cui la pièce fu rappresentata per la prima volta e che gli propose di riadattarlo – Malaparte si rifiutò con sdegno). Ma l’importanza dei due saggi citati precedentemente non si ferma alla sua costruzione linguistica e letteraria (peraltro magnifica e coinvolgente). In essi, Malaparte analizza la presa del potere da parte di illustri personaggi storici (da Napoleone Bonaparte a Mussolini a Lenin e a Trockij) e si concentra sulla costruzione del partito bolscevico da parte di Lenin, verificando il corso del suo pensiero e della sua azione fino alla presa del Palazzo d’Inverno nel 1917. Ne emerge un’elaborazione originale della teoria delle élites e del rapporto tra intellettuali e masse, in parte mutuato dal pensiero del Piero Gobetti di La Rivoluzione Liberale, in parte dalla conoscenza dell’opera di Pareto (la teoria del “residuo”) che Malaparte applica al progetto leniniano del controllo del partito in vista della presa del potere. Analizzare queste due opere, quindi, può fornire un contributo originale alla conoscenza migliore di un Malaparte scrittore compiutamente europeo e ricostruire in maniera più adeguata il suo pensiero politico e il suo contributo alla cultura non solo italiana. -
L' ordinamento giuridico
Pubblicato per la prima volta nel 1918 e riedito con un poderoso apparato di note e commenti nel 1946, ""L'ordinamento giuridico"""" è uno dei libri più influenti della cultura giuridica italiana. «L'ordinamento giuridico è un testo denso, spigoloso, pensoso, che fotografa e profetizza la crisi dello stato, del parlamentarismo e del panlegalismo» - Andrea Zandomeneghi, Il FogliornSanti Romano, tra i fondatori del diritto costituzionale e del diritto amministrativo in Italia, unisce in una trama densa e avvincente due famiglie nobili del pensiero giuridico: istituzionalismo e pluralismo. Con forza anticipatoria, Romano elabora una concezione in cui il diritto viene affrancato dai limiti concettuali che lo hanno vincolato al suo contenitore storico, lo Stato, e avanza una prospettiva destinata a segnare un punto di non ritorno: il diritto è quella serie di protocolli d'esperienza pratica mediante cui un gruppo si dà una forma organizzata e separa la propria esistenza come organizzazione da quella transeunte dei propri membri. L'esito è dirompente: almeno da un punto di vista concettuale, lo Stato è considerato, in rapporto al diritto, al pari di una Chiesa, di una qualsiasi associazione sportiva, e persino di un'organizzazione criminale."" -
L' avventura del giglio selvatico
L'avventura del giglio selvatico è una di queste fiabe straordinarie e spietate, che non fa sconti, da contrapporre alla svenevolezza dei brutti anatroccoli e delle sirenette.rn«Andersen non ha idea di cosa sia una fiaba, ha un buon cuore e basta, ma cosa c'entra questo con la poesia?».rnConterranei e quasi coetanei, il filosofo Søren Kierkegaard e il favolista Hans Christian Andersen si scambiarono poche parole e pochi complimenti. Tuttavia, quasi in competizione con Andersen, che stava diventando, non solo in Danimarca, sempre più famoso e riconosciuto come insuperabile autore di favole, Kierkegaard meditava segretamente una propria maniera di scrivere favole: storie severe, dure, inesorabili, indagatrici del profondo e capaci di sfiorare ogni volta la tragica poeticità della vita. Ne tratteggia il paradossale programma in un passo dei suoi Diari: «Andersen può raccontare la fiaba delle scarpette della felicità, ma io sono in grado di raccontare la fiaba della scarpa che stringe, che fa male». -
I turcs tal friul-I turchi in Friuli
Il libro presenta il testo originale nell’autorevole revisione critica di Graziella Chiarcossi, accompagnata dalla traduzione in versi di Ivan Crico, uno dei più sensibili poeti friulani di oggi.rn«Un Pasolini ""laterale che presenta non pochi motivi d'interesse» - Blow Uprn«L'italiano è stato per secoli una lingua divisa in stanze magari comunicanti ma distinte: la lingua della prosa e quella della poesia; lingua scritta e quella parlata; l'italiano letterario e i dialetti... Contro questa tendenza Pier Paolo Pasolini ingaggiò una lotta nelle sue opere, praticando tra l'altro un plurilinguismo intenzionale ed esibito, e tentando di porre un argine a quella lingua comune sì, ma un po' insipida e culturalmente pericolosa che egli chiamava italiano tecnologico, """"tipico e necessario del capitalismo tecnocratico""""» - Lorenzo Tomasin, Il Sole 24OrernNel 1944, nel Friuli percorso dalle truppe naziste e devastato dai bombardamenti anglo-americani, il giovane Pier Paolo Pasolini scrive in friulano un dramma, a metà fra la tragedia e la sacra rappresentazione, che contiene, in una drastica e quasi profetica abbreviazione, tutti i temi della sua opera futura. Soggetto del dram ma è l’invasione dei Turchi in Friuli del 1499, testimoniata da una lapide che il giovane poeta poteva leggere nella chiesa di Casarsa; ma, sotto l’apparenza di un’evocazione storica, è tutto il mondo di Pasolini che I Turchi in Friuli mette in scena in un inestricabile ordito di elementi personali (i protagonisti portano lo stesso nome della madre Susanna Colussi) e motivi ideali: l’appassionata fede religiosa e la rivolta contro la Chiesa, l’amore per la vita e la fascinazione per la morte (l’uccisione di Meni Colùs alla fine del dramma sembra annunciare quella del fratello Guido solo un anno dopo), l’impegno nell’azione e la fuga nella preghiera. E non è certo un caso se tutti questi motivi, almeno in apparenza contraddittori, si compongono in una parola che è la stessa che il poeta molti anni dopo avrebbe proposto come titolo per la raccolta delle sue poesie complete: bestemmia.rnIl libro presenta il testo originale nell’autorevole revisione critica di Graziella Chiarcossi, accompagnata dalla traduzione in versi di Ivan Crico, uno dei più sensibili poeti friulani di oggi."" -
In nessuna lingua In nessun luogo. Le poesie in dialetto (1938-2009)
Questo libro inaugura la possibilità di una nuova lettura di uno dei grandi poeti del nostro tempo.rn«""In nessuna lingua in nessun luogo"""" raccoglie l'integrale della produzione in trevigiano del poeta di Pieve di Soligo, estrapolando i testi dai contesti originari e costruendo un vero e proprio """"canzoniere"""" parallelo all'opera italiana» - Blow UprnPer definire il dialetto, Zanzotto si è servito più volte dell'espressione che nei Vangeli e nell'Apocalisse designa il messia: logos erchomenos, """"parola che viene"""", veniente - ha aggiunto - «di là dove non è scrittura né grammatica», parola che rimane per questo «quasi infante nel suo dirsi». Il dialetto non è, cioè, per Zanzotto, una lingua accanto alle altre, ma l'esperienza della stessa sorgività della parola, qualcosa come la struttura stessa del linguaggio nel suo nascere, nel punto in cui il parlante «tocca con la lingua (nelle sue due accezioni di organo fisico e sistema di parole) il nostro non sapere di dove la lingua venga, nel momento in cui viene, monta come il latte». Per questo la pubblicazione di tutte le poesie in dialetto di Zanzotto, qui raccolte insieme per la prima volta accompagnate dalla traduzione in lingua e con in più la straordinaria Ecloga in dialetto per la fine del dialetto, sfuggita alle sillogi precedenti, segna un evento importante nella storia della poesia italiana del Novecento. Se la poesia, secondo il verso di Filò che dà il titolo al libro, non è «in nessuna lingua, in nessun luogo», qui il poeta si misura in uno straordinario corpo a corpo con l'evento preistorico e immemoriale da cui proviene ogni poesia. Nota introduttiva di Giorgio Agamben. Prefazione di Stefano Dal Bianco."" -
Quando le ombre si staccano dal muro. Testo veneziano a fronte
"Quando le ombre si staccano dal muro"""" permetterà a un pubblico più ampio di conoscere una voce originalissima nella poesia italiana tra i due secoli.rn«Capace di densità ritmiche e semantiche notevoli, specie sul versante dialettale» - Blow UprnFrancesco Giusti appartiene a una generazione che segue quella dei poeti nati negli anni Venti, come Pasolini, Loi, Pedretti. La sua è una generazione che scrive tanto in dialetto che in lingua, una generazione, cioè, per la quale il movimento e quasi l'andirivieni da una lingua all'altra è connaturato al gesto poetico. Le due lingue si nutrono l'un l'altra e vivono così intimamente l'una per l'altra, che anche quando una delle due sembra assente, essa dev'essere considerata virtualmente presente. Giusti scrive soprattutto in un inconfondibile, asintattico, rigoglioso italiano, ma c'è sempre dialetto nella sua poesia in lingua, così come c'è sempre lingua nel suo liquido dialetto veneziano. In questa ultima e più matura raccolta, il poeta, con una novità forse senza precedenti, può così invertire il movimento abituale della traduzione, che va dal dialetto alla lingua, e traduce in dialetto alcune delle sue poesie in lingua, come se la poesia non potesse più dimorare nell'identità di una sola lingua e, in una sorta di trafelato bilinguismo, si muovesse incessantemente da una lingua all'altra, quasi a significare che il suo vero luogo è nello spazio bianco che le unisce e divide. Prefazione di Giorgio Agamben. Con un saggio di Elenio Cicchini." -
Mozziconi
«Le parole sono il luogo su cui Mozziconi ha un potere, mentre tRoma è una città ingovernabile, anche se noi vorremmo affidarla a uno, dieci, mille Mozziconi e alla loro poetica marginalità» - Nadia Terranova, Il Foglio""Mozziconi è uno straccione che vive sotto i ponti del Tevere, una specie di filosofo anarchista, che pensa e mette i pensieri in bottiglia e li affida alle acque del Tevere; un poveraccio, d'animo aristocratico, che non fa lega con gli altri barboni, ignoranti e di scarso pensiero, che neppure leggono i giornali vecchi trovati in mezzo al pattume, come fa lui. Mozziconi è in fondo una specie di filosofo cinico, come l'antico Diogene, che viveva in una botte ad Atene facendo a meno di tutto, a cui perfino Alessandro Magno portava rispetto; al giorno d'oggi la filosofia cinica non è più di moda, solo Malerba le ridà dignità, mettendo in bocca a Mozziconi discorsi che somigliano a profonde verità o a stupidaggini, difficile dire cosa prevale, sempre però con la leggera comicità e divertimento, come è nel suo stile migliore. La prima e unica edizione è stata Einaudi 1975."""" (E. C.)"" -
Møllergata 19. Diario dal carcere
Trascritto faticosamente dopo la guerra, il diario venne pubblicato in Norvegia nel 1949 e poi tradotto in molte lingue. Questa è la prima edizione italiana del testo.rn«Esce in Italia il drammatico diario spirituale che Petter Moen, figura di spicco della resistenza norvegese, tenne nel 1944 durante la dura reclusione nel carcere nazista di Møllergata» - Alessandro Zaccuri, Avvenirern«Una storia, quella di Moen, da percorrere con una riflessione su cosa significhe ""eroe"""", una parola che la nostra società oggi usa con esasperante superficialità, ed è invece, qui visibilmente, nel segno del silenzio e della coscienza, quando non ha confronto che con se stessa» - Marta Morazzoni, Il Sole 24 OrernPersonaggio centrale della resistenza norvegese, Petter Moen fu arrestato nel febbraio 1944 e imprigionato nel carcere di Oslo, sede della Gestapo, il cui indirizzo è rimasto tristemente famoso: Møllergata 19. Qui, in cella, iniziò a comporre questo straziante diario incidendolo con una punta di metallo sulla carta igienica. Scritte cinque pagine, le raccoglieva in un sesto foglio chiudendone le estremità a formare un involto, che infilava poi nell’apertura della presa d’aria della cella.rnMoen scrisse così un migliaio di pagine, tra il 10 febbraio e il 4 settembre 1944: dagli appunti presi giorno dopo giorno, al buio, senza possibilità di essere riletti, traspare l’autentica sofferenza nella vita di un prigioniero, tra paura, speranza e umiliazione, il rimorso per aver tradito i compagni rivelandone i nomi e un sofferto confronto con l’idea di fede.rnIl 6 settembre 1944 Petter Moen è condotto sulla nave tedesca Westfalen insieme ad altri prigionieri per essere deportato in Germania. L’8 settembre, nello stretto di Kattegat, lo scafo della Westfalen colpisce due mine: anche a causa delle pessime condizioni del mare, la nave affonda rapidamente.rnFra i sopravvissuti vi è un deportato cui Moen aveva confidato di aver scritto questo diario: grazie a lui, dopo la guerra, sotto il pavimento delle celle in cui Moen era stato rinchiuso la polizia norvegese troverà intatti tutti i fogli."" -
Tesoretto dell'amico di casa renano
Nel 1811 è lo stesso Hebel a pubblicare in volume il Tesoretto, con una scelta delle sue prose. Il libro è sempre stato molto ammirato dai massimi scrittori di ogni tempo (tra cui Goethe, Kafka, Walser, Benjamin, Canetti) per la sua prosa garbata e di inarrivabile incanto.rn«Tratta di tutto: prose didattiche sugli animali e la natura, sull'astronomia e i fenomeni dell'universo, semplici storie popolari d'almanacco, genere molto diffuso nella Germania di allora» - Marco Filoni, Il Venerdìrn«La prosa di Hebel è incantevole: che inventi raccontini edificanti o ammannisca minime moralità quotidiane, si pone comunque sotto il segno di una grazia e di un candore in cui anche la didascalia conquista una levità d'arabesco» - Blow Uprn«Il fascino maggiore di Hebel sta nella sua capacità di parlare, con acutezza, delle capitali del mondo, e delle piccole città di provincia in cui trascorse la sua vita» - Aliasrn«Le persone istruite non sanno poi tutto, e spesso vanno alla cieca»rnrnQuesto è un libretto da leggere un po’ tutte le sere a letto, per addormentarsi poi estasiati e sereni. Sono le storielle che Hebel scriveva per un calendario molto diffuso soprattutto tra i bassi ceti sociali, «L’Amico di casa renano», con una lingua semplice, pulita, incantevole, che vuol farsi capire da tutti. Sono racconti di fatti insoliti, informazioni naturalistiche e astronomiche, insegnamenti per la vita di tutti i giorni, esercizi di calcolo elementare, casi di imbrogli e scaltrezze, disgrazie e straordinarie vicende, fatti storici e fatti insignificanti, aneddoti su personaggi famosi e non, sempre divertenti e che destano stupore.rnNel 1811 è lo stesso Hebel a pubblicare in volume il Tesoretto, con una scelta delle sue prose. Il libro è sempre stato molto ammirato dai massimi scrittori di ogni tempo (tra cui Goethe, Kafka, Walser, Benjamin, Canetti) per la sua prosa garbata e di inarrivabile incanto.