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Narrative in fuga
Quattordici saggi di Gianni Celati sui suoi autori stranieri d’affezione.rnIl Bartleby di Melville (che proprio a Celati deve la sua divulgazione in Italia), Céline, l’amatissima Certosa di Parma di Stendhal, il Gulliver di Swift, l'Ulisse di Joyce, e altri ancora. Sono saggi densi e illuminanti, ma anche emozionanti e belli da leggere. Perché scritti con l’inconfondibile tono di Celati; ossia il tono di chi ti mette a tuo agio raccontandoti una storia.rnPubblicati come introduzioni o postfazioni, sono stati nella maggior parte riscritti rispetto alle versioni stampate. -
Il diavolo innamorato
Un romanzo breve, su un tema eterno: l’abisso pericoloso che si nasconde dietro un viso incantevole. Borges ha sostenuto che è il diavolo per una volta ad essere stato sedotto e a finire innamorato.rnrn«Getto uno sguardo al mio fianco... è l’orribile testa di cammello»rnrnInizia tutto vicino a Napoli, a Portici, tra le antiche rovine, dove don Alvaro invoca Belzebù: compare una spaventosa testa di cammello. «Che vuoi?» chiede. E così il diavolo entra al servizio di don Alvaro, ma è diventato Biondetta, una bellissima giovinetta, pallida, dolce, amorosa, che gli dorme accanto, vorrebbe essere amata, e piange per la diffidenza di lui, che ne è attratto, tentato, a poco a poco anche lui innamorato; se non gli tornasse in mente la testa orribile di cammello. Ma Biondetta è bellissima, e l’avventura continua, in una Venezia del Settecento, in un viaggio palpitante di desideri attraverso l’Italia e l’Estremadura. -
Mister Jelly Roll. Vita, fortune e disavventure Jelly Roll Morton, creolo di New Orleans, «inventore del jazz»
Mister Jelly Roll è uno dei documenti più appassionanti di tutta la storia degli Stati Uniti, una descrizione schietta e viva come un romanzo. rn«Un libro così lo chiami saggio, ma gli fai un torto perché è narrativa pura» - Sole24orern«Metafora dell'epopea americana, la vita di Ferdinand Lamothe sarebbe rimasta un mito se un certo giorno non fosse stata raccolta da Alan Lomax» - Il Venerdìrn«Un racconto mirabilmente ricamato e armonizzato» - Minimaetmoraliarn«Lo senti questo riff?», disse. «Ora lo chiamano Swing, ma è solo una piccola cosa che ho inventato un sacco di tempo fa.»rnrnrnNel 1938 il grande etnomusicologo Alan Lomax (colui che fra gli altri scoprì Woody Guthrie e Muddy Waters) incontrò in un piccolo club di Washington il pianista di New Orleans Jelly Roll Morton, che sosteneva con assoluta sicurezza di avere inventato il jazz. Lomax gli chiese un’intervista; Morton parlò per settimane. Il risultato ossessionò per anni l’intervistatore, che dopo la morte del pianista ne approfondì i racconti andando a cercare i veterani di New Orleans e i parenti di Morton. Nel 1950 il libro era finalmente pronto: non c’era solo il jazz, ma l’intreccio di razze che permea gli Stati del Sud, la vita irregolare fra bordelli di lusso e saloon, la nascita dell’industria discografica e della cultura popolare fra Otto e Novecento. Un affresco corale, con la vera voce di Morton a dominare, rimasto finora inedito per il lettore italiano.rnNella sua introduzione, lo studioso Stefano Zenni ha appositamente aggiornato l’opera facendo il punto sulle più recenti ricerche che riguardano la figura, lungamente avvolta nella leggenda, del grande pianista di New Orleans.rnData la loro importanza per la cultura americana, le interviste originali a Morton sono conservate nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti a Washington. -
Il furibondo cavallo ideologico. Scritti sul Novecento
Tenere a bada il «furibondo cavallo ideologico» fu forse il dovere che Delio Cantimori impose più costantemente al suo lavoro di storico. Come testimoniano gli scritti qui raccolti, stesi tra il 1946 e il 1965, il compito fu tutt'altro che semplice per lo storico degli eretici e degli utopisti dell'età moderna. La prima metà del Novecento aveva lasciato tracce profonde nel suo percorso umano e intellettuale. Per lui, mazziniano per tradizione familiare, poi fascista, quindi comunista e iscritto al Pci sino alla svolta del 1956, riflettere su quel recente passato non fu un esercizio dettato da narcisismo. Frammenti di memoria personale si mescolano alla storia collettiva, mentre il filo rosso dell'autobiografia (che unisce buona parte degli scritti qui presentati) gli consente di tracciare, sia pure di scorcio, il ritratto di personalità centrali della cultura storica del Novecento, da Johan Huizinga a Federico Chabod. Per Cantimori, che in gioventù aveva registrato in presa diretta gli umori di un'«Europa sotterranea» di cui si erano nutriti nazismo e fascismo, tornare su quegli anni a distanza di tempo comportò perciò il passaggio dalla testimonianza alla storiografia, il tutto all'insegna di una spietata autocritica. -
Soldati e altre prose
«Perché Trasanna rimane ancora nell’ombra?». Se lo chiedeva nel 1939 Giorgio Caproni recensendo entusiasta Annate, l’opera poetica con cui esordì questo pugile friulano, divenuto scrittore dopo la folgorante scoperta della cultura e dei libri, appassionatamente divorati tra un ring e l’altro. Giulio Trasanna da quel cono d’ombra non uscirà mai, neppure nei decenni successivi, e la sua vita sarà sempre quella di un irregolare, di un intellettuale e artista borderline, si direbbe oggi. Eppure, instancabile animatore della vita culturale milanese fra gli anni Trenta e i primi Sessanta, fu conosciuto e ammirato da molti protagonisti del Novecento italiano per la natura libera e appassionata, sempre controcorrente, del suo percorso umano e artistico.rnSoldati e altre prose (1941) è il suo libro maggiore, e uno dei più interessanti della tarda età fascista: un’opera di rara potenza espressiva, ricordo della Grande Guerra, della ritirata del Friuli e dei giorni di Vittorio Veneto vissuti da bambino; ma anche rilettura di quei fatti alla luce delle successive vicende italiane. Una storia che lo interessava in quanto documento della vita delle masse, degli ultimi e dei dimenticati, esemplare per capire l’Italia intera e non solo il suo amato Nord-est; una storia che seppe restituire in una prosa scarna, essenziale, vibrante di tensione nervosa e tenerezza trattenuta. «Non amare la letteratura ma servitene per te e per gli uomini»: era questa l’idea che della cultura aveva Giulio Trasanna. -
Distratti dal silenzio. Diario di poesia contemporanea
I poeti meritano ascolto? O qualcuno sta abdicando al proprio ruolo? Questo libro raccoglie le diverse meditazioni di uno dei protagonisti della poesia italiana dagli anni Ottanta a oggi.rnSaggi, interventi a convegni e seminari, prove di autoanalisi, interviste, occasioni in cui la consapevolezza sul proprio fare non impedisce di parlare anche a nome dei compagni di strada. Ne risulta un quadro, ordinatamente cronologico, delle questioni che via via si sono poste come centrali per la poesia italiana degli ultimi trent'anni: la reinvenzione di un lettore, le istanze del quotidiano, il significato del classico, le forme chiuse e la metrica libera, il rapporto tra realtà e verità, che cosa sia l'impegno nella polis. Dagli interventi che diedero vita alla poetica di «Scarto minimo», una delle riviste di culto della seconda metà degli anni Ottanta, ai più recenti affondi su ritmo, sintassi, intonazione dei testi, il poeta apre senza riserve le porte della sua officina e ci fornisce gli strumenti per penetrare il segreto di una tecnica che diventa stile, al confine di etica ed estetica. Una forma rara di testimonianza, che oscilla tra la dedizione al silenzio e la volontà di condivisione del dire, come fa la poesia. Un libro per tutti e per nessuno. -
Il primato dell'occhio. Temi e metodo della storia dell'arte in età moderna
Le opere d’arte parlano da sole e, a secoli di distanza, gli antichi maestri «continuano a inviarci il loro inconfondibile raggio di luce». È importante però esaminare dipinti e sculture nella loro dimensione più concreta, leggere in modo corretto il linguaggio figurativo che li caratterizza. Questo libro ambisce quindi a essere una guida per comprendere meglio i lineamenti fondamentali, i temi e i contenuti della storia dell’arte nella prima età moderna – dal Rinascimento all’Illuminismo – e a illustrare al lettore i primi strumenti di un appropriato ed autonomo metodo di studio. Il titolo, Il primato dell’occhio, allude alla testimonianza figurativa come documento primario di per sé, legando idealmente le riflessioni di Leonardo sulla vista come strumento fondamentale di giudizio alla tradizione dei conoscitori, le analisi di Vasari agli attuali metodi attributivi ed esegetici. Queste pagine intendono però anche far riflettere su alcuni grandi temi, come la periodizzazione della storia dell’arte moderna, i mutamenti che si registrano nei rapporti tra artisti e società, pittura e cultura umanistica, produzione figurativa e dibattito religioso nel Cinquecento. -
Forme del paesaggio 1970-2018. Ediz. a colori
Il tema del paesaggio, che Tullio Pericoli aveva affrontato fin dagli esordi della sua carriera, è tornato da alcuni anni al centro dell’opera dell’artista, restituendo nuova vita al rapporto – comunque mai interrotto – con la sua terra natale. Sono però ora le “parti senza un tutto” del territorio marchigiano a dar forma alla sua pittura, sempre tuttavia plurale, soggetta a continue e imprevedibili variazioni.rn«Dopo il terremoto che l’ha investita nel 2016, Ascoli Piceno celebra se stessa attraverso il lavoro dell’artista che più ha reso omaggio a questa terra» - Il Maschile del Sole 24 Orernrnrn “Costruiti mutando il punto di vista ma non lo spirito sperimentale, questi dipinti, se presi tutti insieme, acquistano, anche senza volerlo, un marcato carattere inventariale. Sono il repertorio, il registro, il lessico di un linguaggio: la lingua madre di Tullio Pericoli, delle sue Marche. E, per sineddoche, della nostra Italia”. Salvatore SettisrnIl presente volume accompagna la mostra ospitata ad Ascoli Piceno presso Palazzo dei Capitani dal 22 marzo 2019 al 3 maggio 2020 e propone un percorso antologico con una selezione di 168 opere realizzate dal 1970 al 2018, un viaggio a ritroso nei quasi cinquant’anni di ricerca che l’artista ha dedicato al paesaggio.rnIl periodo iniziale si identifica nel ciclo delle “geologie” (1970-1973), costituito da immagini stratificate, sezioni materiche, strutture sismiche. La fase successiva (1976-1983) pone in evidenza un diverso trattamento del tema paesaggistico con vedute luminose e lievi – acquerelli, chine e matite su carta –, spazi aerei che l’artista concepisce come orizzonti immaginari, memorie di alfabeti, tracce di antiche scritture. L’esplorazione di nuove morfologie paesaggistiche si avverte in un consistente gruppo di opere (1998-2009) che, dopo aver rappresentato lo scenario dei colli marchigiani, va progressivamente esplorando i dettagli della natura, i segni e i solchi delle terre. Il paesaggio, dipinto per frammenti, è una mappa costruita con equilibri diversificati, rapporti instabili che l’artista coglie nella trama di stratificazioni materiche. L’esposizione documenta infine in modo ampio e articolato la stagione più recente (2010-2018) in cui Tullio Pericoli ha individuato nuove profondità del paesaggio, con continui rinnovamenti dell’esperienza pittorica. -
Strategie imperiali. America, Germania, Europa
Come scriveva Umberto Eco, l’Europa non è che la «periferia» dell’Impero Americano.rn«Legga il nuovo piccolo densissimo libro di Flavio Cuniberto per cominciare a sospettare di musei ed enoteche» – Il FogliornrnCon i suoi poderosi strumenti retorici (i media, le nuove tecnologie), l’Impero promuove da decenni la propria ideologia come un sistema di pseudo-valori – la crescita illimitata, la bulimia del consumo tecnologico, la religione dei diritti «universali», i «crimini contro l’Umanità» a senso unico, la religione del «gender» –, che il crollo del sistema sovietico ha trasformato in una egemonica e sedicente «democratica» visione del mondo. Questo piccolo libro intende richiamare l’attenzione su una «zona di resistenza» che può sembrare tutta interna ai confini dell’Impero (e non lo è): la Germania e la Mitteleuropa di cultura tedesca. Questa vasta area – la Kerneuoropa dei geopolitici – è refrattaria sotto svariati punti di vista ai dogmi dell’«ideologia atlantica». Se la Germania riuscirà ad addomesticare i fantasmi del proprio passato e a guarire dal suo latente titanismo (l’utopia autodistruttiva della «scalata al Cielo»), potrà svolgere un ruolo essenziale di mediazione e di arbitraggio tra il vecchio impero marittimo in declino e il nuovo impero terrestre che si profila ad Oriente. -
Scritture in ascolto. Sentimenti e musica nella prosa francese contemporanea
Secondo quali modalità la musica entra nel romanzo? Quanto può modificare la scrittura contemporanea? Esiste un’efficacia della parola letteraria, soprattutto se intessuta col sonoro, per cogliere alcune sensibilità rappresentative dei nostri giorni? Da sempre la musica attraversa la scrittura, ma è solo di recente che la parola si mette «in ascolto» della musica, come pure di altre arti, per elaborare una forma letteraria più vicina ad una diversa pratica dell’arte e della vita che ad un genere letterario in senso stretto, e capace di «esprimere» le emozioni e i sentimenti, dilatandoli nella concisione. Dalla voce al silenzio, la «musica verbale» si rivela una forma di narrazione possibile, non un’aggiunta alla narrazione, ma un dispositivo critico in sé, che conferisce dinamismo ed energia al testo. Lungi dall’essere una trama ispirata alla musica, la presenza del suono in queste scritture è da leggersi come complemento dell’operazione di scrivere in funzione di una diversa esperienza artistica e umana, per meglio «sentire» il mondo e le sue complessità. -
Traiettorie. Studi sulla letteratura tradotta in Italia
A partire dal caso della letteratura tedesca, sette studi affrontano altrettanti snodi della storia letteraria italiana, intrecciando ricostruzione storica e riflessione teorica: dalla diaspora europea dei romantici nel 1821 alla consacrazione del romanzo nel decennio delle traduzioni, fino ad arrivare al presente.rn«Quali studiosi si sono occupati e si occupano dell'influenza esercitata in contesti letterari di vari paesi nelle traduzioni? Il libro di Sisto si pone come un primo tentativo di remediare a questa mancanza, studiando da germanista alcuni episodi dell'impatto che hanno avuto nel campo della nostra letteratura e le traduzioni dal tedesco fra Otto e Novecento» - il FogliornE se la letteratura italiana includesse anche le traduzioni, il Faust accanto ai Promessi sposi, Così parlò Zarathustra accanto a Un uomo finito, l’Opera da tre soldi accanto a Sei personaggi in cerca d’autore? Attraverso la sociologia di Pierre Bourdieu si può leggere la storia letteraria nazionale in modo nuovo, considerando ogni traduzione come una presa di posizione nel campo di forze di chi fa la letteratura: scrittori, editori, traduttori, accademici e registi con le loro riviste, collane, cattedre e teatri. Le traiettorie italiane di Goethe, Büchner, Mann o Brecht dipendono, per tratti decisivi, da quelle di Giovita Scalvini, Giuseppe Antonio Borgese, Piero Gobetti, Paolo Grassi o Franco Fortini, ma anche di Le Monnier, Bompiani, Frassinelli o Einaudi. -
Wittgenstein. Un'introduzione
Il volume offre una presentazione generale dei principali nodi teorici dell’opera di Ludwig Wittgenstein, dal Tractatus agli ultimi scritti. rn«Il commentatore austriaco propone una ricostruzione più tradizionale ma non per questo piatta» - AliasrnA partire da una ricostruzione, basata sulle principali fonti documentarie, della vita e degli anni di formazione tra Austria, Germania e Inghilterra, il libro ripercorre in cinque capitoli concettualmente densi ma di agevole leggibilità l’itinerario filosofico wittgensteiniano, le cui tappe sono scandite e discusse per temi o, meglio, per concetti-chiave: da quelli logici degli scritti giovanili a quelli grammaticali della transizione, dalla concezione dei giochi linguistici alla critica dei fondamenti della matematica e infine dall’analisi della certezza ai concetti di Weltbild e di Lebensform. La Postfazione, aggiunta alla ristampa tedesca del 2016 e alla presente edizione italiana, costituisce non soltanto un prezioso aggiornamento delle tematiche svolte nel libro, ma fornisce anche istruttive informazioni sulle acquisizioni della più recente esegesi wittgensteiniana. Di particolare interesse e attualità la discussione sui problemi connessi a un’auspicabile edizione critica degli scritti, pubblicati per lo più postumi e selezionati nel corso degli anni da vari curatori, e sui criteri per determinare quale sia da considerare un’“opera” di Wittgenstein. -
Roofs. Local materials, simple technology, sophisticated ideas
“Housing problems are not restricted to the poor. The solutionswe want to put forward concern all societies. But since we haveto set priorities, emphasis was put on techniques accessiblefor the poor members of society. The general problems of housingcan be classified into three principal domains: that of social,environmental and technical criteria.”Written from the 1970s onwards, Roofs collectspractical information (tested for UNESCO bythe author himself) on the construction of roofsand shelters, which were intended to meet thematerial needs of the poor in the global South.It consists of manuals written independently ofeach other, and is happily representative of thematurity of Friedman, who in those years hadalready decided to focus his interventions onhow to include the inhabitants in the design oftheir habitat, because “participation is notspontaneous and cannot be claimed out ofthe blue.” While Utopies réalisables (literally,“Achievable Utopias,” 1975 – no English editionto date) represents the theoretical summa ofthis intense period, the manuals are the maincommunicative tool the Franco-Hungarianarchitect created, which was aimed at makingsuch utopias concrete.The manuals are composed of essential“blackboard” sketches, which can also be readand interpreted by illiterate people – a featurethat convinced Indira Gandhi to print a largenumber of copies, and also contributed to theestablishment of the Museum of SimpleTechnology founded by Friedman in Madras(currently Chennai), in the mid-eighties.In Roofs, the author brings to the attention ofhis readers the fact that the various problemsof modern cities are the result of irresponsibleattitudes towards the Earth. This thesis wasperfectly in line with the thinking of somearchitects (including Christopher Alexander,Enzo Mari, Victor Papanek and BernardRudofsky), who at the time, and each in his ownway, expressed strong criticism of industrialsociety. -
La Comune di Parigi e l'Europa della comunità? Briciole di immagini e di idee per un ritorno della «Commune de Paris» (1871)
«Un'indagine che assume,rncon toni anche monelleschirn(et voilà l'altra faccia del ""birichino"""":rnil monello, la birba, il discolo),rnle forme di autocoscienza di unarnclasse intellettuale novecentescarnche ha reagito malamente alle pulsionirnpiù profonde del 1870». - Massimiliano Tortora, Indice«Un'intensa e appassionata riflessione sulla Comune di Parigi e sulla sua attualità come possibile modello per l'Europa» – Il Manifestorn«Notevole e assolutamente originale» – AliasrnQuesto libro è una scommessa, è una specie di corda tesa tra due momenti-monumenti diversi della nostra storia moderna, che abbiamo celebrato e celebreremo di recente, ovvero il Trattato di Roma, del 1957, e la Commune de Paris, del 1871: è un filo quasi invisibile, allungabile, su cui l'autore, come un saltimbanco, cerca di camminare avanti e indietro, recuperando un certo numero di corrispondenze immaginarie e ideali tra la Comune di Parigi e l'Europa della Comunità. Sono briciole di immagini e di idee che provano a """"inventare"""" – tra noticine d'utopia e sassolini nelle scarpe – un ritorno della Commune. Detto questo, non è il solito libro da anniversari, bucati o anticipati peraltro: è il libro di un italiano all'estero che è deluso dall'Europa della Comunità – una specie di madre senza figli e senza futuro, sempre incinta di popoli che vuole """"sterilizzati"""" o sulla via di esserlo, anche e soprattutto da un punto di vista storico-culturale e linguistico – ma che ama l'Europa in sé e vive nel cuore della stessa, e più per necessità che per potersene vantare (o per dirsi – come altri vorrebbe – in geniale esilio); non mira con sdegno un paese né si arruffiana le sue corti per essere dentro o fuori l'Europa; cerca più semplicemente un'altra Europa. Ed è per questo che ha sentito la necessità di coniugare con una certa, problematica urgenza, la Comune di Parigi e l'Europa della Comunità. Sa bene che corre il rischio di presentare la Commune come proto-europea malgrado sé stessa. Anche se stralciando e valorizzando – a partire dalla loro fermezza (specie se pensiamo al disimpegno facile, codardo, di molti altri scrittori) – certi partecipi appelli e lettere che Victor Hugo (1802-1885) elabora in diretta nei giorni della paura dell'assedio e poi dell'«insurrection parisienne», dove il rapporto tra Parigi, l'Europa e la Commune c'è («nous écrivons sur notre drapeau : États-Unis d'Europe» ; «Paris veut, peut et doit offrir à la France, à l'Europe, au monde, le patron communal, la cité exemple»), l'autore cerca di intercettare, nei dintorni, tra Occidente e Oriente, tra Ottocento e Novecento, una serie di dettagli testuali che rischiano di fare sistema, come quella Rêverie d'un fédéraliste libertaire, relativa al sogno di un'Europe parallèle (1976) di Denis de Rougemont (1906-1985) che è vicino alle posizioni federaliste di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), cioè al punto di vista di uno dei pensatori che hanno maggiormente ispirato la Commune. E in quel mezzo e in prospettiva, Curreri, da saltimbanco birichino, chiama a raccolta, in chiave interdisciplinare e comparata, tanti altri autori, tra loro più o meno diversi: Agamben, Bachtin, Benjamin, Bensaïd, Boucheron, Cassou, Chabrol, Cioran, Fournier, Harvey, Hazan, Herzen,... -
Per voci interposte. Fortini e la traduzione
Saggi di: Fabio Scotto, Elisa Donzelli, Gabriele Fichera, Gioanna Tomasucci, Irene Fantappiè, Matilde Manara, Nino Muzzi, Alberto Toscano, Andrea Cavazzini, Julien Bal, Alessandro Niero, Edoardo Esposito, Thomas Peterson, Giovanni La Guardia, Maria Vittoria Tirinato, Francesco Diaco. -
La città adattiva. Il grado zero dell'urban design
«Il grado zero della modernità, quello che oggi gestiamo, non coincide affatto con un periodo di crisi. Siamo al servizio di un mondo drammatico ma vitale e lieto, in crisi ma carico di valori» - Bruno ZevirnrnI cambiamenti climatici pongono una nuova questione ambientale di interesse planetario, con importanti ricadute su contesti locali sempre più incerti: è una condizione che mette sotto accusa i comportamenti e gli stili di vita di una società fragile, una cultura dell’abitare che si è rivelata fallimentare perché ci ha consegnato territori e città incapaci di adeguarsi al cambiamento in atto.rnIl grado zero che questo libro auspica allude alla costruzione di una nuova visione, di una nuova idea di città. L’adaptive urban design interpreta infatti la geografia del rischio come traccia di progetto per traguardare e realizzare un’inedita idea di paesaggio, che ponga al centro degli interventi l’adattabilità, contro ogni rigidità.rnÈ questione «transcalare» e «reticolare» da affrontare nei tessuti, lungo i telai degli spazi aperti e pubblici, sui singoli manufatti, nei margini dove la mutazione è prossima. Ciò che è in discussione è la forma complessiva della città, il sistema dei valori culturali sui quali costruire un’idea condivisa di sviluppo sostenibile.rnAttraverso un complesso palinsesto di argomentazioni – sul piano teorico, pratico e applicativo – il libro delinea il profilo della città adattiva, destinata alla prima linea nella lotta «contro» il mutamento del clima – una città che non intende esprimere un linguaggio estetico sulla base di un modello predefinito.rnIl volume – che ospita la prefazione di Flemming Rafn Thomsen, architetto danese co-fondatore dello studio Tredje Natur – invita a un nuovo «rinascimento urbano», lontano da qualsiasi forma di predeterminazione formale e in grado di produrre una flessibilità che abiliti il futuro in tutti i suoi possibili scenari, per costruire città a immagine del mondo. Un imperativo necessario, al quale affidiamo il riscatto delle nostre discipline, la vita e il futuro del pianeta. -
Contro l'oggetto. Conversazioni sul design
«""È impossibile definire il design"""". Sempre più spesso ci imbattiamo in questa affermazione, da parte di critici e storici del design. Un vezzo? O l'ammissione di un'impossibilità reale di identificare e delimitare le frontiere di un fenomeno troppo esteso o sfuggente? Come se non si trattasse più di una disciplina all'interno di un sistema delle arti, di un settore professionale e produttivo all'interno di un sistema economico, di un campo di tecniche, concetti, pratiche e tradizioni all'interno di un orizzonte culturale, ma al contrario di una nozione a cui si presta una forma di universalità: il design è tutte queste cose, e molto di più». L'autore, che da tempo risiede e insegna in Francia, fa dunque il punto sul design degli ultimi anni, sfruttando la propria formazione artistica per decifrarne i processi creativi. Le personalità internazionali qui esposte vanno dai veterani Giovanni Anceschi e Ugo La Pietra fino a Martino Gamper o Didier Fiuza Faustino. Attraverso una serie di interviste viene data la parola direttamente ai designer."" -
Tom Kundig e la meccanica romantica. Una lettura critica dell'architettura dei gizmo
Le sperimentazioni fuori dagli schemi e la postura scanzonata, da ragazzo di campagna, hanno favorito l’affermazione sulla scena americana prima, ed internazionale poi di Tom Kundig. Nato nel 1954 in California e cresciuto a Spokane (Washington), la sua parabola di architetto deve molto ad un esordio formativo – gli studi geofisici – inizialmente incerto ed erratico che incrocia anche l’inesausta passione per l’arrampicata d’alta quota. Il suo profilo è quello di un outsider, arrivato all’architettura dopo una cultura non accademica e a tratti pop, intuitiva e genuinamente creativa; anche per questo i suoi edifici hanno incontrato un rapido riscontro di pubblico, dalla Studio House a Seattle, alla cantina Mission Hill Winery in Canada fino alla più celebrata Chicken Point Cabin in Idaho, residenza che gli è valsa una fama internazionale.rnL’inquadratura critica proposta nel volume mette a fuoco l’architettura di Kundig in termini di meccanica romantica. Con questa formula si tenta di restituire quella declinazione poetica del movimento e della costruzione che è, forse, il suo contributo più significativo. Oggetto privilegiato dell’indagine è il prodotto più originale di Kundig: i gizmo – scenografici dispositivi mobili che sollevano grandi vetrate, spostano muri scorrevoli, aprono e chiudono il volume architettonico. Talvolta complessi come sculture cinetiche, questi rappresentano uno sforzo coraggioso – e al contempo un’occasione preziosa – per ampliare la ricchezza percettiva ed emozionale dell’esperienza architettonica. -
Intuizioni sulla forma architettonica. Alessandro Anselmi dopo il GRAU
Alessandro Anselmi (1934-2013), maestro dell’architettura del secondo ’900 italiano, è stato un astuto inventore di forme, capace di trasformare i segni stratificati della storia in nuove configurazioni formali.rnCome molti progettisti impegnati culturalmente nella pubblicistica e nell’attività accademica, Anselmi affianca la scrittura alla professione. Meno noti rispetto agli esiti progettuali, i suoi testi non risultano inferiori per numero ai progetti; più di cinquanta scritti dopo il distacco dal Gruppo Romano Architetti Urbanisti (GRAU). Se fino ad ora la critica si è occupata esclusivamente dell’Anselmi architetto, rimane quasi inesplorata l’altra componente dell’opera: la scrittura. Come i progetti disegnati anche i testi anselmiani sono pure intuizioni, annotazioni sparse che, direttamente o indirettamente, fanno capo alla questione della qualità figurativa dell’architettura. L’indagine qui proposta consiste nel tentativo di ordinare alcune intuizioni scritte attorno al problema della forma architettonica, utilizzando queste come apparato per rileggere alcuni degli esiti progettuali. L’operazione di confronto tra gli scritti e l’architettura si configura quindi come una selezione di testi “parafrasati” e progetti “ridisegnati” dell’opera di Anselmi post GRAU. -
Frammenti di un dizionario giuridico
Frammenti di un dizionario giuridico si compone di ventuno voci redatte tra il 1943 e il 1946. La prima edizione venne licenziata dall’autore nel gennaio del 1947, poco prima della sua scomparsa, e fu pubblicata nello stesso anno. Se il testo presenta un andamento ritmato dalla naturale scansione per voci disposte entro un ordine che adotta come indice classificatorio il solo alfabeto, i fili teorici che lo percorrono risultano tuttavia unitari e ricollegano le riflessioni di Santi Romano alle opere che l’hanno reso il giurista italiano più influente del Novecento, come Lo Stato moderno e la sua crisi e L’ordinamento giuridico.rnFrammenti restituisce dunque un’immagine straordinariamente attuale del diritto, incentrata su un’idea rivoluzionaria, tenacemente perseguita dall’autore: «Il diritto crea delle vere e proprie realtà che senza di esso non esisterebbero, delle realtà, quindi, che il diritto non prende da un mondo diverso dal suo per appropriarsele con o senza modificazioni, ma che sono esclusivamente e originariamente sue».rnRomano concepiva il diritto come un campo di sapere che si fa produttore di una realtà per lo più indipendente dalle altre realtà non-giuridiche. Al contempo, egli, con la verve del polemista, difende con tenacia la propria concezione del diritto pubblico e costituzionale all’interno del dibattito con le nuove generazioni di giuristi che avranno il compito di stendere la Costituzione repubblicana.rnFrammenti di un dizionario giuridico è un momento essenziale per la piena comprensione di una teoria robusta e coerente dell’ordine sociale, che mostra oggi una sorprendente capacità di presa sulle trasformazioni del rapporto tra diritto e politica.