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The checkered cloth
In presenting the triptych of The Annunciation with St. Margaret and St. Ansanus by Simone Martini, the scholar Gianfranco Contini, confessed his desire to secretly extract from the rich and lush composition of that painting a piece of the flashy checkered fabric lining the Angel’s mantle. These pages describe Isabella Ducrot’s meeting with that painting. Through the enigmatic edge of the Angel’s garment she reflects on that which is the first material of her work: the cloth.For many years Isabella Ducrot has painted and composed in many ways fabrics, textiles, Eastern prayer sashes, attempting each time to demonstrate in those textile structures a “breath”, which crosses and enlivens them. Images, memories and reflections that have stayed with her throughout her work as a painter, are here collected as in a freely composed collage. Isabella Ducrot has written in these pages a confession of poetics.Take any fabric, let it be linen, silk or wool. Stretch it more, against the light and you will be able to see the weft;the original architecture composed of crossing threads and of voids that represent the first object of inspiration toIsabella Ducrot. The fundamental intuition of the author is that human beings, in the contrived textiles that they havecreated and worn for millennia, haven’t done more than duplicating a structure original to the mind, that persists unaltered for millennia. -
Infanzia-Adolescenza-Giovinezza
«Ecco dunque che sono innamorato anch’io» pensai, mentre il mio carrozzino continuava la sua corsa.«Un trittico narrativo di pregevole bellezza» - Avvenire""Infanzia"""" è il primo scritto pubblicato da Tolstoj (1852) quando aveva ventiquattro anni, a cui si aggiungono """"Adolescenza"""" (1854) e """"Giovinezza"""" (1857), che assieme ad una quarta parte mai scritta dovevano costituire il libro """"Le quattro età dello sviluppo"""". Operetta meravigliosa di questo sommo scrittore russo, che racconta l'incanto della vita infantile, «un calmo e inavvertito trascorrere del tempo», come dirà lui stesso. Il racconto è in larga parte autobiografico, e in parte d'invenzione; il protagonista che narra in prima persona è anche un autoritratto, come lo saranno Pierre in """"Guerra e pace"""", o Levin in """"Anna Karenina"""". Tolstoj definì """"Infanzia"""" un romanzo; e il successo immediato che ebbe questo libro lo spingerà con decisione (per nostra fortuna) alle grandi e indimenticabili opere della narrativa maggiore."" -
Malintesi
A metà strada tra autofiction, inchiesta e romanzo, Malintesi è il racconto della difficoltà di scrivere, di essere genitore, di sopravvivere a quei pericolosi e pericolanti castelli di carte che sono tutte le famiglie.rn«Malintesi è unarnstoria universale che racconta la difficoltàrndi essere genitori e di sopravvivererna quei pericolosi castelli di cartarnche sono tutte le famiglie» – Il VenerdìrnrnNato sordo negli anni Sessanta in una cittadina della provincia francese, Julien Laporte viene educato secondo i precetti del metodo «oralista»: lunghe sedute di logopedia, complicati apparecchi acustici, e soprattutto nessun contatto con la lingua dei segni. A diciotto anni fugge di casa e in un bar di Parigi, tra attivisti sordi e militanti gay, scopre l’esistenza della lingua dei segni. Questa è la storia della sua liberazione: da un padre che si ostina a volerlo «guarire», da una madre ammutolita dai sensi di colpa e da tutta una famiglia devastata – non dalla sordità ma dai più banali malintesi, appunto, tra genitori e figli, per l’incapacità dei primi ad amare i figli così come sono. Nella vicenda di Julien la sordità non è solo l’elemento deflagratore di meccanismi solitamente invisibili nel romanzo famigliare, ma è anche il pretesto per raccontare una grande e sconosciuta storia: quella dei sordi e della loro liberazione attraverso la lingua dei segni. Pochi sanno che questo magnifico e inventivo linguaggio, elaborato in pieno Illuminismo, è stato di fatto bandito in Europa per più di un secolo, dopo il Congresso di Milano del 1880. Padre a sua volta di una ragazza sorda, Leclair rivela anche l’impasse in cui è finito: sono i suoi stessi personaggi a tirarlo in ballo, ora per accusarlo, ora per assolverlo. -
Intelletto d'amore
Ciascuno dei due testi che, attraverso un fitto intreccio di rimandi e implicazioni, disegnano la trama del libro, è una meditazione sul fantasma come luogo e soggetto dell’amore. rnrnE lo fanno mettendo a confronto in una prospettiva inedita due eccezionali personaggi: Guido Cavalcanti, il «primo amico» di Dante e maestro ineguagliato della fenomenologia amorosa, e Ibn Rushd, l’Averroè dei Latini, il filosofo arabo che ha più profondamente segnato il pensiero occidentale dal XIII al XV secolo.rnE se, per entrambi, la congiunzione con l’intelletto unico nomina la felicità suprema, è la funzione del fantasma che si rivela ogni volta decisiva. In che modo i pensieri ci appartengono, come può un’idea diventare «mia»? È il fantasma – rispondono il poeta e il filosofo – che, mediante il desiderio, rende il pensiero proprio a un soggetto. Ma, per Cavalcanti, il fantasma deve perire perché la congiunzione amorosa abbia luogo e l’individuo sopravvive solo come un automa «fatto di rame o di pietra o di legno»; per il filosofo, invece, è la specie umana nel suo insieme il soggetto – anche politico – della felicità suprema. -
Escatologia occidentale
Questo libro del 1947 è l'unico testo scritto interamente da Taubes. In esso appaiono quei temi che accompagneranno la sua storia intellettuale e umana.Quale senso può avere la storia dopo l'Apocallisse delle guerre mondiali, la Shoà e Hiroshima? Per rispondere a questa domanda Jacob Taubes ha scelto la prospettiva messianica giudaico-cristiana della fine della storia. Taubes passa in rassegna la storia della coscienza dell'uomo occidentale, a partire da Gesù Cristo attraverso san Paolo, sant'Agostino, Gioacchino da Fiore, Hegel, Marx e Kierkegaard fino a Nietzsche, che chiude senza alcuna possibilità di riapertura questo ciclo «apocalittico». Per questo «apocalittico della rivoluzione» (così si definiva Taubes) che sfida il pensiero del Novecento sia sul versante teologico sia su quello più propriamente filosofico, si tratta di interrogare il percorso della storia in quanto disvelamento della verità, ma usando strumenti al di fuori di essa: il tempo, l'origine, la fine, l'essere. Il destino ultimo si rivela come creazione e redenzione, in mezzo a cui sta la storia che nel suo scorrere è destinata a svelare la verità della coscienza occidentale. -
Il mondo delle terre collettive. Itinerari giuridici tra ieri e domani
Il libro si incentra sul carattere assolutistico dell'individualismo giuridico moderno, che ha preteso elevare a unico modello di proprietà quello della proprietà privata individuale e che ha, nel contempo, preteso di cancellare qualsiasi altro modello alternativo, soprattutto quello incarnato da assetti di proprietà collettiva. Nella seconda metà dell'Ottocento, difatti, si ha l'emersione in Europa occidentale di una coscienza rinnovata e cominciano, pur tra enormi difficoltà e tra atteggiamenti scopertamente persecutori, affermazioni davvero pluralistiche. Si tratta di «un altro modo di possedere» (secondo un risalente insegnamento di Carlo Cattaneo) che pretende una sua legittimazione; la quale avverrà lentamente nel corso di quel secolo post-moderno che è il Novecento. Alla fine di questo si riconoscerà alla appartenenza collettiva il merito di aver costituito realtà spiccatamente sociali e di aver realizzato forme efficaci di tutela ambientale. Fortunatamente, è una consapevolezza culturale che si fa oggi sempre più strada. -
La città e il territorio. Quattro lezioni
Fra le attività che più hanno impegnato Giancarlo De Carlo vi è stata quella dell'insegnamento, sia nella sua forma tradizionale, quella universitaria, in Italia e negli Stati Uniti (Yale, Mit), sia in una forma più sperimentale e itinerante come l'ILAUD (International Laboratory of Architecture and Urban Design). Dopo il lungo periodo trascorso allo Iuav di Venezia (1955-1983), De Carlo si trasferì a Genova, dove insegnò per circa dieci anni, concludendovi la sua carriera accademica. Al momento del ritiro, nel 1993, tenne un corso di quattro lezioni, organicamente interrelate fra loro, in cui ripercorse il complesso, stratificato e indissolubile rapporto fra il territorio - e il paesaggio - e le città sviluppatosi nel corso dei secoli. È un campo d'indagine che l'autore aveva affrontato e rinnovato già a partire dalla fine degli anni Cinquanta, in seguito all'acceso dibattito sorto intorno al Piano intercomunale milanese e, quindi, al tema della città-territorio. Quelle che qui presentiamo sono non solo lezioni di storia dell'architettura o dell'urbanistica (si va dall'età greca e romana fino a quella contemporanea), ma anche quattro racconti in cui De Carlo si giova della sua dimestichezza con i classici della letteratura - «L'unica possibilità per concepire un'idea del territorio che non derivi dalla specializzazione [...] credo sia quella di rivolgersi agli scrittori» - per narrare la vita e il senso della più antica utopia realizzata dall'uomo, la città. Il volume - a cura di Clelia Tuscano, che collaborò con De Carlo alla realizzazione del corso - restituisce dunque questo ciclo unitario di lezioni finora del tutto inedito, consegnandoci una summa inattesa e preziosa per la comprensione dello spazio in cui viviamo. -
Gianni Celati
Gianni Celati, a cui ""Riga"""" dedica un nuovo numero dopo quello del 2008, è oggi uno degli scrittori italiani più importanti e significativi. Questo volume raccoglie suoi testi narrativi e saggistici, interviste e conversazioni radiofoniche, parti dell'inedito Taccuino Siciliano del 1984, brani delle lezioni bolognesi al DAMS dedicate alla letteratura americana, testi sul cinema e la letteratura, su James Joyce, da lui tradotto, su Giacomo Leopardi e Alberto Giacometti, e poi sulle idee di spazio e di paesaggio. Seguono una scelta di recensioni e commenti alla sua opera, dal 1971 al 2008, da Calvino a Manganelli, da Luigi Ghirri a Stefano Bartezzaghi. Completano il volume un Album di oltre quaranta fotografie, dagli anni Settanta al Duemila, e una serie di saggi scritti per l'occasione che approfondiscono l'opera di uno dei maestri della letteratura del secondo Novecento e oltre."" -
Epistolario (1814-1837)
Il libro raccoglie tutte le lettere, molte delle quali inedite, scritte da Giuseppe Gioachino Belli nella prima parte della sua vita (1814-1837), e le accompagna con un ricco apparato di notizie critiche e storico-biografiche. Questi documenti privati ci permettono di ripercorrere il vivace romanzo di formazione d'un giovane impiegato pontificio che compie il suo apprendistato culturale nella variegata realtà dell'Italia primo-ottocentesca, tra esperienze d'accademia, viaggi, relazioni intellettuali e mondane. Da questi molteplici incontri con libri e persone nasce la stagione artistica più fervida di Belli, che negli anni Trenta affianca alla scrittura della maggioranza dei sonetti romaneschi una vivace attività giornalistica e una consistente produzione poetica italiana, avventurandosi in una libera ricerca espressiva drammaticamente ridimensionata nel 1837, dopo la morte della moglie Maria. -
In questo groviglio mortale. Due studi freudiani
"Pronunciata da Amleto nel suo """"ferale"""" monologo, nell'ottica di una liberazione dal viluppo carnale che ci costituisce in quanto mortali umani, l'espressione (in) this mortal coil sembra adeguata ad avviluppare il senso della ricerca dei due studi freudiani qui raccolti: La terribile protesi. Il dottor Freud e l'enjeu della (sua) protesi e Vicissitudini di una sottospecie psichica: la formazione reattiva. Se, come Freud scrive nel suo Compendio di psicoanalisi a proposito dell'apparato psichico, «non c'è altra strada per far conoscere un complicato intrico di eventi simultanei che quella di descriverli nella loro successione», si può ben dire, dato il fattuale coil dell'apparato psichico, che il compito di Freud e della psicoanalisi si è svolto appunto nella direzione della comprensione del nostro umano e mortale groviglio. Il primo studio verte sulla posta in gioco che l'esperienza vissuta della protesi (utilizzata da Freud per gran parte della sua vita) ha proiettato sul suo pensiero, diventando, per lui, quasi una cifra stilistica dell'umano, e per noi, che ne facciamo ampia e partecipata esperienza oggi, cifra assoluta, data la sempre più consistente """"presenza"""" dell'inanimato nella nostra vita quotidiana. Il secondo studio, entrando direttamente nella fabrica concettuale freudiana, raccoglie invece gli elementi strutturali e descrittivi di una sottospecie psichica, la cosiddetta formazione reattiva, per evidenziare quanto questa sottomarca della sublimazione sia in realtà la più frequente maniera umana di abitare l'ambiente naturale e il mondo storico, ridisegnando-rappresentando, l'uno e l'altro mondo, l'una e l'altra scena, a propria esclusiva-inclusiva immagine, nell'intento di potervisi collocare con poco disagio e con nessuna gratitudine - dimentichi, in questo sublime concerto, della verità esposta da Lucrezio nel suo poema: «la vita non è data in possesso a nessuno, ma in uso a noi tutti».""""" -
Bruno Zevi e la didattica dell'architettura
Bruno Zevi (1918-2000) storico e critico dell'architettura, docente a Venezia e a Roma, architetto e uomo politico, è stato una delle figure di maggior rilievo dell'architettura italiana della seconda metà del Novecento. Questo libro analizza in particolare i contenuti della sua didattica insieme alle tecniche di comunicazione e agli specifici caratteri del suo modo di insegnare l'architettura - anche al di fuori delle aule universitarie - attraverso un uso innovativo di strumenti diversi: il timbro della voce, la fotografia, il disegno critico, il collage, il modello fisico, la ripresa video. Il volume si apre con una serie di riflessioni sulla figura e sul ruolo di Zevi come professore, come critico e come nitida e risoluta figura di intellettuale. Il primo capitolo ripercorre il periodo della formazione, gli studi in Italia e negli Stati Uniti e la sua attività nell'immediato dopoguerra; il secondo è dedicato agli anni di insegnamento nello IUAV di Venezia; il terzo all'impegno nella Facoltà di Architettura di Roma. Il volume si conclude con i capitoli ""Architettura Restauro Urbanistica Paesaggio"""" che indaga le relazioni tra lo sguardo critico di Zevi e le diverse declinazioni della disciplina e """"Dall'Europa"""", un'analisi dell'influenza dell'insegnamento di Zevi in Spagna e in Olanda. Il libro raccoglie i contributi presentati alle Giornate di studio dedicate a Bruno Zevi e la didattica dell'architettura, organizzate nel novembre zo18 dal Dipartimento di Architettura e Progetto e dal Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell'Architettura della Sapienza nell'ambito delle celebrazioni per il Centenario della nascita. Testi di Carmen Andriani, Calogero Bellanca, Carlo Bianchini, Orazio Carpenzano, Benjamin Chavardès, Elisabetta Cristallini, Cesare Crova, Roberto Dulio, Francesco Paolo Fiore, Alberto Franchini, Maria Clara Ghia, Massimo Locci, Franco Mancuso, Luigi Mandraccio, Raúl Martinez Martinez, Federica Morgia, Alessandra Muntoni, Caterina Padoa Schioppa, Rosario Pavia, Marcello Pazzaglini, Andrea Placidi, Luca Porqueddu, Franco Purini, Fabio Quici, Antonella Romano, Piero Ostilio Rossi, Antonino Saggio, Guendalina Salimei, Cristian Sammarco, Piero Sartogo, Carlo Severati, Marco Spesso, Gianpaola Spirito, Herman van Bergeijk, Adachiara Zevi, Moira Zuccaro."" -
L' architettura della strada. Forme immagini valori
Il libro affronta il tema della progettazione delle infrastrutture della mobilità come problema di architettura. La strada viene considerata come elemento decisivo del progetto urbano e del rapporto tra architettura e città. È innegabile il ruolo straordinario che essa occupa nella pianificazione territoriale e urbanistica. Tuttavia queste due discipline nel saggio restano solo sullo sfondo, mentre grande rilievo è dato alla forma della strada, nelle relazioni con il tracciato e lo spazio delimitato da sezioni e prospetti, come espressione rilevante dello spirito del tempo, della cultura urbana dominante e anche delle culture figurative di appartenenza. Non deve stupire, pertanto, il frequente richiamo a movimenti artistici nel campo dell'architettura e della pittura e a poetiche di singoli autori che hanno dato contributi importanti nel costruire l'immaginario di queste discipline. All'interno del libro la riflessione sulla forma della strada si dipana in più direzioni, a partire dal suo inestricabile legame con la concezione progettuale, con la cultura della città e con il governo come responsabilità delle amministrazioni ai vari livelli di competenza. Ai nostri giorni un pensiero che tenti di rimettere insieme questi tre fattori costitutivi dell'habitat è molto debole. -
Cinque temi del «modernocontemporaneo». Memoria, natura, energia, comunicazione, catastrofe
Dall'inizio del Novecento innovazioni tecnologiche e condizioni storico-culturali hanno aperto la strada a molteplici sperimentazioni architettoniche e a nuovi indirizzi teorici. Il dibattito disciplinare si è ulteriormente frammentato e articolato a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, quando la pluralità di mezzi di comunicazione a disposizione ha reso ancora più complesse le interferenze tra società, arti e tecniche. Per capire oggi le teorie dell'architettura contemporanea e il pensiero sotteso al lavoro del progettista occorre confrontarsi con materiali molto eterogenei: non solo le opere, i progetti e i manuali come accadeva in passato, ma soprattutto le mostre, le pubblicazioni sulle riviste e sui libri, i film, le fotografie, i modelli e internet. L'ampia ed eterogenea disponibilità di documentazione sull'architettura racconta anche del mutato modo di fare ""teoria"""" e """"storia"""". Lo scenario di riferimento di questo libro sono quindi le idee che interessano l'architettura del Novecento e del nuovo millennio, qui esaminate attraverso cinque temi: memoria, natura, energia, comunicazione e catastrofe. Sono parole che si relazionano a forme del pensiero, a pratiche del progetto e a modi di intervenire sugli edifici e sul territorio e servono a ricostruire storie e geografie del moderno contemporaneo."" -
Maître d'oeuvre. Scritti e conversazioni di architettura
Attraverso tre saggi e tre interviste, tutti finora inediti in italiano, il volume restituisce il pensiero e l’attualità della ricerca in campo teorico e costruttivo di uno dei più controversi e avventurosi architetti del Novecento, che ha scelto di porsi in totale continuità con il lascito dei due grandi Auguste dell’architettura francese, Choisy e Perret.rnrn«La novità ha dell’interesse soltanto quando rappresenta un miglioramento. Se mediocre, la novità è una assurdità» - Fernand Pouillonrnrn«Sul ruolo e la conoscenza della storia nel mestiere dell’architetto, il punto di vista di Pouillon è chiaro. La storia dell’architettura è come una lunga catena di cui non è possibile perdere neanche un anello» - Martina Landsbergerrnrn«Utilizzerò due termini per parlare degli architetti e di volta in volta userò il termine mestiere contrapponendolo a quello di professione. In questo testo la parola professione sarà considerata negativamente perché io credo che un architetto non sia tanto un professionista ma piuttosto una persona che esercita il mestiere, un uomo del mestiere. Non si dice che un artista è un professionista, se non per prenderlo in giro. Si dice al contrario che esercita un mestiere».rnQueste righe fanno parte di una lettera che Fernand Pouillon indirizza ai giovani che si apprestano ad affrontare il suo mestiere. L’architetto, per lui, non è tanto e solo l’ideatore di un progetto, quanto un maître d’œuvre, espressione con la quale nel Medioevo si indicava il capomastro, colui che organizzava il cantiere seguendone lo svolgimento, dirigeva tutte le diverse competenze coinvolte e sceglieva i materiali, tenendo sempre presente l’orizzonte urbano. Tutto il contrario di oggi visto che l’architetto se ne sta perlopiù rintanato nel suo studio «alla stregua di un notaio».rnRem Koolhaas ha manifestato di recente la sua ammirazione per l’impostazione, al contempo modernista e classicista, di Pouillon, osservando come la sua opera in Francia come in Algeria abbia la rara capacità di «fare i conti con la vita e di realizzare [...] una vera integrazione fra la città e l’architettura». -
Giancarlo De Carlo. Visione e valori
Il centenario di Giancarlo De Carlo (Genova, 1919 - Milano, 2005) ha visto tutte le maggiori città italiane (Genova, Milano, Pavia, Venezia, Roma, Ancona, Pescara, Napoli, Palermo) organizzare convegni e cerimonie in suo onore, quasi a restituirgli un'attenzione che, specialmente nei suoi ultimi anni di vita, gli era stata troppo avaramente concessa. Eppure questo fiorire di riflessioni rimarca quanto la sua opera fosse ben presente anche agli occhi di chi dissentiva da lui al punto da ignorarlo volutamente: il rapporto dialettico sia verso il ceto politico sia verso le aspettative dell'uomo della strada, quello distaccato verso l'università (che lo spinse a testare nuove forme di insegnamento itinerante come l'ILAUD), il lavoro di fredda interrogazione della storia e di ridefinizione del ruolo dell'architetto, la sua visione al contempo cosmopolita e vernacolare, la fede nell'unità progettuale tra architettura e urbanistica, ovvero tra città e territorio - tutto ciò è oggi un patrimonio comune della cultura architettonica non solo italiana. Questo volume lo testimonia, chiudendo il cerchio delle celebrazioni proprio in quella Sicilia in cui la famiglia di De Carlo affonda le proprie radici. Introdotto da una riflessione di Antonietta Iolanda Lima, il libro affronta le ragioni dell'autorevolezza e dell'attualità del lascito intellettuale e materiale dell'architetto genovese, con un approfondimento sul contesto etneo, ed è per questo diviso in due parti. La prima, ""Perché una architettura sia credibile"""", è di carattere più generale, mentre la seconda è dedicata alla città in cui De Carlo ha vissuto un'esperienza analoga a quella di Urbino: Catania. """"Come ridare coerenza e senso agli spazi della vita""""."" -
Tempo e identità
Nel presente volume si raccolgono, curati e tradotti per la prima volta in italiano, alcuni scritti di questa prima fase ontologico-epistemologica dell’opera lewiniana. Il volume è preceduto da un saggio introduttivo di Luca Guidetti.L’opera di Kurt Lewin è nota soprattutto per i suoi importanti contributi alla psicologia della forma e alla psicologia sociale. Ma nella sua fase giovanile, come membro del circolo neoempiristico di Berlino, egli si era occupato del problema dell’identità delle cose e degli eventi attraverso il tempo. Come possiamo dire che ogni cosa, cambiando nel tempo, rimane sempre «la stessa»? Come possiamo distinguere la trasformazione di una medesima cosa da due cose del tutto diverse? Qual è il limite del cambiamento che fa perdere l’identità o che consente di mantenerla? Si tratta di un’antica questione, nota come il «paradosso della nave di Teseo», secondo cui le cose conservano la propria identità anche se, in effetti, tutte le loro parti si modificano, come un uomo che, nel corso della sua vita, rimane lo stesso individuo pur cambiando tutte le sue cellule e i suoi organi. A tale questione, oggi al centro dei principali dibattiti ontologici, Lewin risponde mediante il concetto di «genidentità»: per dire che una cosa è sempre la stessa, non bisogna considerare le sue proprietà, ma le relazioni che sorgono e si sviluppano nel corso della sua esistenza.rnPrima di entrare a far parte del dibattito contemporaneo, soprattutto per merito di David Hull e Bas van Fraassen, il concetto di genidentità ha trovato importanti applicazioni all’interno delle indagini scientifiche di Albert Einstein, Hans Reichenbach e Rudolf Carnap. -
Attraverso la storia dell'estetica. Vol. 2: Da Kant a Hegel.
Questo è il secondo tomo di una storia dell’estetica moderna in tre volumi (Attraverso la storia dell’estetica), che, iniziata con Dal Settecento al Romanticismo, si concluderà con Dalla fine dell’Ottocento a oggi. Non si tratta di una storia di taglio manualistico, che aspiri ad una irraggiungibile completezza, dedicando un pur piccolo spazio a quanti più autori possibile. Al contrario, essa si concentra su poche figure salienti, consacrando loro un’ampia trattazione. In questo volume i protagonisti sono i grandi filosofi tedeschi operanti tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Si inizia con Kant, con una lettura genetica della Critica del Giudizio che è anche una guida all’interpretazione di quest’opera fondamentale, e si prosegue con un’analisi puntuale dei paragrafi dell’Analitica del Sublime (sempre dalla terza Critica). Dopo un rapido richiamo a Schiller, molte pagine sono dedicate all’Estetica di Hegel, ricostruita grazie alle testimonianze dirette relative ai corsi tenuti dal filosofo tra il 1821 e il 1829, e resesi disponibili soltanto negli ultimi anni. Il tema hegeliano della «morte dell’arte» è ripreso nel capitolo dedicato a Carl Gustav Jochmann, un autore ancora poco conosciuto in Italia, mentre il punto di arrivo è rappresentato da un filosofo la cui estetica, pur altamente originale, ha raramente ottenuto l’attenzione che avrebbe meritato: Friedrich Schleiermacher. -
Il tempo della storia. Le tesi «Sul concetto di storia» di Walter Benjamin
Tra filosofia ebraica e filosofia marxista, questo libro cerca di delineare un concetto di storia che sia anche una concezione della politica, che l’epoca di Benjamin non è stata in grado di rendere attuale e che ancora oggi conserva intatta la sua potenza.rnrnLe tesi Sul concetto di storia sono l’ultimo scritto di Walter Benjamin, una sorta di testamento che ha voluto gli sopravvivesse; una ultima ratio che potesse varcare i confini della sua epoca che precipitava nella Seconda guerra mondiale, quei confini di Portbou presso cui ha trovato la morte nel 1940.rnQuesto libro vuole essere sia un commento delle Tesi, dispiegandone la concentrazione aforistica nello spazio del complesso e articolato percorso di pensiero di Benjamin, sia una interpretazione, che ricostruisca lo sfondo politico e filosofico entro cui le Tesi si stagliano. Per ricostruirne la vicenda filosofica, Il tempo della storia rilegge a ritroso l’intera opera benjaminiana, confrontandola con i classici della filosofia moderna tedesca, Kant ed Hegel soprattutto; con i pensatori del culmine e del tramonto della modernità, Marx e Nietzsche; e con quei pensatori – non soltanto i “canonici” Scholem e Adorno, ma anche Lukács, Schmitt e Bloch – con i quali Benjamin ha condiviso l’epoca più consapevole di questo tramonto, gli anni Venti e Trenta del Novecento. -
Utopian display. Geopolitiche curatoriali
Che l’arte contemporanea, attraverso biennali, neo-istituzioni museali e mercati finanziari, sia diventata oggi un fenomeno globale, è un dato certo. Molto meno certo è che il paradigma «Arte», per come si è istituito nella sua eredità modernista, appartenga a una moltiplicazione di visioni, a una latitudine di storie diverse e incrociate, a contesti trasversali e differenti. Nella scena artistica contemporanea si ha l’impressione che «essere uguali» non significhi altro che appartenere alla stessa istituzione Arte. Emanciparsi vorrebbe dire allora appartenere all’Arte come a uno stesso mondo, condividere un mondo già istituito che, come tale, non può che riprodurre all’infinito ciò che è già implicito in esso. Nonostante tutto, il nostro modello di arte continua ad essere molto simile a quello di una istituzione in grado di determinare l’integrazione delle minoranze nella misura maggioritaria (nell’identità, nell’unità) oppure la loro esclusione.rnCon un certo scetticismo tanto per gli effetti della globalizzazione che per le più recenti premesse della cosiddetta de-globalizzazione, l’antologia Utopian Display cerca di raccogliere esperienze curatoriali maturate negli ultimi trent’anni in differenti contesti geopolitici, dall’Africa alla Cina, dall’India all’America Latina, dal Medio Oriente fino allo spazio post-sovietico. Gli autori, appartenenti a differenti generazioni, sono tra le voci più importanti e sperimentali della ricerca curatoriale contemporanea. -
On the breadline. Belgrado, Atene, Istanbul, Palermo. Ediz. a colori
Il catalogo racconta il viaggio attraverso le voci dell’artista, della curatrice e dei due storici dell’arte, Stefano Chiodi e Riccardo Venturi.rnrnLa breadline che l’artista segue è sia la linea del pane ma anche la linea di povertà che ha segnato storie e narrazioni di questi paesi segnati dalle “rivolte del pane”, facendo dialogare i luoghi “caldi” che possano raccontare il nostro presente contemporaneo. Il pane non rappresenta infatti solo il momento del convivio e del confronto tra genti diverse, ma è legato alle rivolte popolari che spesso sono state identificate nella storia come movimenti di protesta che hanno unito popolazioni diverse nel nome della giustizia e dell’uguaglianza sociale. In questi posti uniti, la breadline è molto labile. La farina, la polvere di grano, è un valore e rappresenta culture millenarie e tradizioni diverse.rnL’elemento del coro, così come quello del pane, sono essenziali in questo progetto perché diventano lo strumento per raccontare attraverso parole, suoni e immagini le rivolte sociali, politiche che sono nel DNA di ogni paese, in particolare dei paesi legati storicamente e geograficamente al Mediterraneo. Il lavoro finale sarà un’opera video a quattro canali che entrerà a farà parte della collezione permanente delle opere multimediali dell’Istituto Centrale per la Grafica e successivamente presentato in una mostra personale nel 2020. Il catalogo racconta il viaggio attraverso le voci dell’artista, della curatrice e dei due storici dell’arte, Stefano Chiodi e Riccardo Venturi.