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Un pessimo affare. Il delitto Borsellino e le stragi di mafia tra misteri e depistaggi
Alle 16.58 del 19 luglio 1992 in via D'Amelio, a Palermo, scende la notte. Un'esplosione devasta la strada e le auto parcheggiate uccidendo il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. È l'attentato più annunciato della storia. A meno di due mesi dalla strage di Capaci in cui è morto Giovanni Falcone, senza che sia stato fatto nulla per evitarlo. E senza essere arrivati, trent'anni dopo, a una verità definitiva su mandanti e responsabili. Giovanni Bianconi ricostruisce in queste pagine quel tragico evento tra misteri, dettagli e testimonianze inedite o dimenticate: i precedenti tentativi di attentato contro il magistrato, le polemiche sulle protezioni inadeguate, l'ipotesi della candidatura alla Superprocura e poi la bomba, i traffici intorno alla macchina in fiamme, la borsa ricomparsa vuota e l'agenda rossa sparita. Fino al grande depistaggio delle indagini, con la creazione di un falso pentito. Un delitto che porterà all'adozione di nuove norme contro la criminalità organizzata e risulterà un «pessimo affare» per i mafiosi. Ma intrighi e coperture avevano caratterizzato anche le indagini dell'attentato in cui perse la vita il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa dieci anni prima: come e perché sparirono le carte del generale inviato a Palermo a seguito dell'assassinio di Pio La Torre? Chi ha voluto davvero quell'omicidio rivelatosi controproducente per Cosa nostra? Anomalie, interrogativi e false piste che ricorrono in altri episodi della nostra storia, come la strage neo- fascista di Brescia del 1974. Coincidenze che l'autore ricompone come tasselli di un ampio affresco di crimini e complicità che ha segnato indelebilmente il Paese e chiede ancora verità e giustizia. -
Cara Liviuccia. Lettere alla moglie
Il mittente di questa lettera del 1960 è Giulio Andreotti e il destinatario è sua moglie Livia. È la sorpresa postuma che filtra dalla maschera di imperturbabilità del personaggio: il potente politico democristiano scriveva regolarmente, su fatti pubblici e privati, alla moglie, cui lo legava un profondo rapporto di fiducia, in grado di infrangere la sua innata riservatezza. Queste lettere, raccolte per la prima volta a cura dei figli, coprono l’arco di due decenni e portano alla luce una famiglia sempre gelosamente protetta dal leader democristiano, che concludeva le missive con la postilla «baci ai bambini». Raccontano dei viaggi, dei pranzi e degli incontri con ambasciatori o cardinali, delle riunioni in Parlamento o degli impegni di partito e di quando, in assenza della famiglia, andava a dormire dalle suore sopra le catacombe di Priscilla, sulla Salaria. Le confessioni di De Gasperi, l’ictus di Segni o i retroscena dell’elezione di Montini al Conclave del 1963 si mescolano agli aneddoti sul barbiere di Gronchi a piazza Barberini, alle complicità della vita coniugale o all’orgoglio per i risultati scolastici dei figli. «Cara Liviuccia, non preoccuparti per me. Ho raramente il mal di testa piccolo, mentre quello grande l’ho avuto solo sabato mattina, legato alla cena della notte precedente. Del resto, esiste la grazia di stato di cui sono testimone ormai da tanti anni...». -
Contaminazione. La paura dell'altro nel tempo delle fragilità
La contaminazione esprime la paura di essere invasi da qualcosa o da qualcuno e mette in crisi la nostra singolarità. Esiste dai tempi più lontani: la ritroviamo nel Noli me tangere di Gesù nel Vangelo e nel cristianesimo con il rito del battesimo che toglie i peccati dell’uomo, ma anche in altre religioni, nelle caste degli intoccabili, nella presunta purezza dell’ordine nobiliare e nella discriminazione delle razze. Risponde a un bisogno di identità ed è letteralmente esplosa con la pandemia di coronavirus, rispetto a cui i comportamenti dell’uomo sono stati incredibilmente simili in tutto il mondo, sul piano individuale e di gruppo, al di là delle differenze nazionali e culturali. Una concordanza fondata su elementi biologici che la paura del virus ha attivato, facendo presa dunque sulla costituzione generale ed essenziale della specie umana. Come ci ha cambiato questa esperienza collettiva, arrivata in un’era di vera e propria «religione della cute»? E con quali conseguenze per tutti? Vittorino Andreoli spiega, non senza vis polemica, che una di queste è stato il panico che usa la negazione: il no che diventa no-vax, no-lockdown, no-limits, attraverso un processo di regressione mentale che richiede di perdere il pensiero logico e porta ai no dell’infanzia. L’uomo scopre così i propri limiti e deve finalmente affrontare la propria fragilità, la necessità di trascendenza, il bisogno di rimuovere la realtà. -
Un fiore di primavera nato in autunno. Junko Tabei, la prima donna in cima all'Everest
Junko Tabei nasce in Giappone prima della Seconda guerra mondiale. Il padre ha una stamperia e suona il violino. Junko lo adora e lui adora lei. Da bambina eredita la passione per la musica e suona l’arpa, ma presto nasce in lei un nuovo amore, che ha la meglio su tutto: scalare le montagne. Con tenacia e determinazione, unite a una istintiva sensibilità per la natura e per le cose semplici, Junko riuscirà, grazie al suo spirito collaborativo e al suo senso dell’amicizia, a superare pregiudizi e critiche, raggiungendo infine il traguardo: sarà la prima donna ad arrivare sul tetto del mondo, il 16 maggio 1975.rnLa sua è una storia esemplare, la vicenda di una vera eroina capace di inseguire un sogno fino a trasformarlo in realtà. Una bambina volitiva sboccia in una donna che sa organizzare e tenere unito un gruppo; che conosce i suoi limiti, ma non si arrende; che cerca la sfida, ma sa essere prudente. Junko ama ed è amata nonostante sia «diversa» da gran parte delle donne della sua epoca, rimane umile nella sua gloria e soprattutto sa restituire ai giovani la propria esperienza e ciò che ha imparato riguardo all’ambiente e al rispetto che gli si deve. -
Il mistero dei numeri primi. Caccia a un enigma matematico
L’enigma dei numeri primi è uno dei più grandi di tutti i tempi: quelle cifre, divisibili solo per sé stesse, sono infatti gli «atomi» di ogni sistema numerico; su di esse si fonda la validità dell’intera matematica. Nel suo primo libro divulgativo, l’astrofisico veneziano Fabrizio Tamburini svela la sua lunga ricerca verso la dimostrazione dell’ipotesi di Riemann, che potrebbe avere implicazioni non solo in matematica ma anche nel mondo reale: sulla fattorizzazione dei numeri primi sono basate le password criptate utilizzate nella crittografia classica per le transazioni bancarie, le comunicazioni fra cellulari e lo stesso web. Ma il suo libro è anche l’affascinante racconto autobiografico di un veneziano nato da una famiglia nobiliare e di orafi che fin dalla più tenera età ha mostrato una grande vocazione per lo studio delle stelle e dei numeri, che lo ha portato a lavorare con molti celebri scienziati internazionali, a utilizzare i vortici elettromagnetici in astronomia e in astrofisica relativistica. Nella sua narrazione di genio e sregolatezza la magia della matematica si alterna al fascino del violino o degli scacchi, e le ricerche o le scoperte sono condivise prima di tutto con gli amati gatti. -
Cattive ragazze
Fin dai primi miti, il mondo è stato raccontato dagli uomini, e il punto di vista maschile ha indicato alle donne un modello di purezza e docilità come premessa per l'accettazione sociale. Le altre, le ribelli, le irriducibili, le eterodosse erano duramente stigmatizzate, sia che fossero gorgoni vendicative, matrigne crudeli, fastidiose pandore, problematiche Elene o Eve ignare cui addossare la colpa del destino dell'umanità. Da qualche tempo si è aperto uno spiraglio per una narrazione diversa: scopriamo che streghe perverse, cattive madri, femmes fatales, pazze passionali fanno parte di noi, e possono essere più istruttive e ispiratrici delle loro edulcorate controparti. Il racconto di María Hesse ci induce così a specchiarci in un'altra versione della storia, che rappresenta in modo assai più complesso, sfaccettato e aggiornato ai tempi l'«eterno femminino». «Pretendiamo di poter creare le nostre storie e la nostra vita. E se quelle storie turbano e disturbano pazienza. È arrivato il momento di ascoltare, parlare e occupare gli spazi che ci sono sempre stati negati.» -
L' età del cambiamento. Come ridiventare un Paese per giovani
Il momento giusto per cambiare: qual è? E chi deve coglierlo? In Italia, oggi, sembra essere un compito di tutti e di nessuno. I ragazzi si sono «sdraiati», dicono gli over 50; i vecchi hanno fallito, è la risposta. E nessuno mette mano alle riforme. Ci si aspetta che i giovani si accontentino di lavori precari e sottopagati, che le donne facciano i salti mortali per supplire a servizi inesistenti, che le aziende affrontino una corsa a ostacoli burocratica per creare innovazione e occupazione. Intanto, le risorse senza precedenti ottenute con il Pnrr rischiano di andare sprecate, perché il benessere e la competitività delle nuove generazioni continuano a non essere una priorità del Paese. Peccato che siano la chiave per la crescita dell'Italia intera. Dalla «distruzione di massa» della scuola alle scellerate politiche per il lavoro, dalla pervicace esclusione delle donne alla digitalizzazione a singhiozzo, il duro j'accuse di Silvia Sciorilli Borrelli colpisce con precisione ogni bersaglio delle debolezze che non possiamo più permetterci. Ammonendo: non è un problema di età. La classe politica più giovane che sia mai entrata in parlamento sta facendo riforme da anziani. In altre nazioni vediamo affitti e mutui ridotti per poter uscire di casa, prestiti agevolati per studiare e per fare impresa, incentivi a scegliere discipline scientifiche e a intraprendere carriere nei settori ad alto tasso di ricerca e innovazione. L'Italia, invece, perde tempo tra bonus e mance e il dramma non è che all'estero fuggono i giovani, ma che se ne vanno i più brillanti e produttivi. Solo problemi? No: questo libro battagliero, che suona la sveglia tanto per i «vecchi» al potere quanto per i «giovani» che si credono impotenti, propone le soluzioni. Perché esistono. E non ci sono più alibi. -
Cuore del Sahel
Faydé ha preso la sua decisione. Andrà a Maroua, a servizio nella casa di qualche fulani benestante, come hanno fatto le sue amiche, che tornano al villaggio per le festività ben vestite e cariche di doni per le proprie famiglie. Per sua madre, Kondem, la sola idea è insopportabile. Lei sa bene che vita fanno le domestiche in città, e non vuole che sua figlia sperimenti sulla propria pelle la stessa sofferenza e la stessa umiliazione che l’hanno fatta tornare in montagna giurando: mai più. Ma Faydé la riporta alla realtà: che futuro ci può essere dove la terra è arsa, i raccolti sempre più scarsi, la sicurezza minata dall’incalzare dei miliziani di Boko Haram? Il marito di Kondem, Douala, è sparito, nessuno sa dove sia, se rapito, arruolato, oppure morto, e Kondem ha dei figli da sfamare. Col cuore pesante, non può che lasciarla andare. Faydé è sveglia e impara presto, soprattutto la legge antica che governa le relazioni sociali fra i padroni e la servitù: «una domestica resta una domestica, anche se fa un buon lavoro e viene apprezzata. Non farà mai parte della famiglia», le rammenta l’amica Bintou. Con coraggio e intelligenza pian piano trova il suo posto e impara a difendersi dagli occhi che la scrutano e dalle mani che la cercano come una potenziale preda. Il vero pericolo si annida però dentro di lei, in una passione tanto travolgente quanto impossibile che vince la sua anima ancora pura. E lì, a Maroua, persino l’amore più sincero parla la lingua dell’esclusione e del determinismo sociale. Con la scrittura limpida che l’ha rivelata al grande pubblico con Le impazienti, Djaïli Amadou Amal ci consegna un altro potente ritratto femminile e ci conduce per mano in un viaggio al termine di una notte lunghissima e impenetrabile. Ma, nonostante tutto, all’orizzonte scorgiamo una luce di speranza, di fiducia nella forza inesauribile che ciascuna donna sa trovare dentro di sé. E che può cambiare le cose, persino nel cuore spietato del Sahel. -
Come non perdersi in un bicchiere d'acqua
Quando Cara Romero perde il suo posto in fabbrica a causa della Grande Recessione, ha ormai più di cinquant’anni e deve, una volta ancora, ricominciare tutto daccapo. Costretta alla trafila degli uffici di collocamento, in una torrenziale confessione riversa la storia della sua vita su un’anonima consulente del lavoro: le turbolente vicende sentimentali; la nostalgia per la Repubblica Dominicana da cui è fuggita; le relazioni in un condominio newyorkese assediato dalla gentrificazione; la lotta continua per sopravvivere alle difficoltà economiche e alla burocrazia americana. La fiducia in el Obama e nei pastelitos come strumenti per appianare ogni difficoltà e dirimere i conflitti (e quando sembrano non bastare, ci sono sempre le carte e gli oroscopi). I rapporti con la vicina Lulu e la sorella Angela, intensi, litigiosi, indissolubili. E, infine, il tormentato legame con il figlio Fernando, che porta all’estremo il suo viscerale senso materno e la sua capacità di accettare e accogliere l’inconcepibile. Cara si rivela ai nostri occhi come una creatura irresistibile, candida e saggia come può esserlo solo una donna che ha molto sofferto, conservando intatto l’amore per la vita: una combattente che, con l’unica arma di una sapienza antica, ingenua e tutta femminile, tiene miracolosamente la testa a galla nelle acque più tempestose. Senza mai perdere il sorriso. -
Filosofia del suca
Lo ha pensato ogni filosofo, anche se magari non lo ha detto (o lo ha detto in un'altra lingua): suca. Si tratta infatti dell'argomentazione filosofica per eccellenza, perché ha molti significati e si può dunque inserire con profitto in diversi sistemi concettuali. Nel corso della storia, è stata capace di ispirare a Cartesio la prima (e migliore) versione del suo celebre Cogito. Di sedurre Wittgenstein con la sua nitidezza, che si avvicinava al sogno di una lingua perfettamente aderente alla realtà («Su ciò di cui non si può parlare: suca»). E non si tratta solo di un concetto centrale per la cultura del passato, ma anche di uno strumento per disegnare un futuro di armonia tra i popoli. Francesco Bozzi, siciliano e quindi filosofo, affronta in questo libro l'impresa di sviscerare le varie anime del suca, restituendone le molte sfumature ideali e sociali, storiche e psicologiche. Lo fa rinnovando la grande tradizione del dialogo filosofico, con buona pace di Platone. E con rigore concettuale e vis umoristica ci accompagna alla scoperta di una parola magica che ha cambiato la storia e può cambiarci la vita. -
Sarabanda
Quando, un lunedì di ottobre, il mercante d'arte Bastien Scorff sale a bordo di un aereo per Brest, mille pensieri affollano la sua mente. «Non si è mai al riparo da un miracolo»: così commenta, tra sé e sé, l'invito ricevuto via telefono da un certo Abraham Kerven ad andare a valutare niente di meno che... un Gauguin! Il possessore del dipinto è stato molto vago rispetto alle circostanze che gli hanno consegnato tra le mani questa enorme fortuna. Non ha mandato foto, né si è diffuso in dettagli: ha parlato di un «bene di famiglia» e ha richiesto massima discrezione. Bastien è intrigato: se fosse davvero un originale del maestro, avrebbe risolto tutti i suoi problemi e ripianato i debiti. L'occasione è ghiotta, vale la pena di andare a vedere. «Due cosce aperte su una superficie blu, un blu cobalto, simile a un cielo saturo», un omaggio all'Origine del mondo di Courbet: raffigura senza veli un'antenata dei Kerven, Marie-Jeanne Henry, soprannominata Marie la Bambola. È la locandiera di Pouldu, ritrovo di tanti artisti dell'epoca, amante segreta di Gauguin nonché bisnonna dei gemelli Kerven, il cui onore sarebbe stato tutelato nascondendo l'osceno ritratto. Questa è la storia, secondo i proprietari. La firma sembra originale, e il dipinto è sconvolgente. Bastien è combattuto fra il sospetto che nutre per i due fratelli e il desiderio di concludere il più grande affare della sua carriera. Ma mentre, tornato a Parigi, fa le sue prime mosse, la riapparizione del dipinto scatena una serie di conseguenze incontrollabili, come un invito al ballo in una danza in cui i confini tra vero e falso sfumano, le figure si scompongono e ricompongono con furia indiavolata e tutti perdono l'orientamento per fermarsi, alla fine, senza più fiato. Nella Sarabanda di Jean-Luc Coatalem il noir e il grottesco, il pittoresco e l'inquietante si confondono con le atmosfere della lontana Bretagna: una terra dall'aspro esotismo, che prende voce attraverso un coro dissonante di personaggi ambigui e sfuggenti, lanciati in una folle corsa verso il proprio destino. -
L' ebrea errante
Beatrice de Luna Mendes, nata in Portogallo nel 1510, avrebbe potuto essere solo la moglie, assai benestante, di un commerciante di spezie di successo, Francisco Mendes, ebreo «marrano» convertito per aver salvi vita e beni, come tanti in quel tempo fosco di battesimi forzati e condanne per eresia, roghi di sinagoghe e autodafé. Ma quando il marito muore, e lei si trova a gestire la sua immensa fortuna per conto della figlia Brianda di appena sette anni, la vita della donna cambia. Deve dissimulare la sua vera fede, difendersi da chi vorrebbe approfittare di una donna sola, prendere in mano la responsabilità dell’impresa di famiglia, e non solo: decide che porterà avanti anche l’attività più segreta dei Mendes, usando il denaro e il potere di cui dispone per cambiare il destino di altri ebrei perseguitati, meno fortunati di lei. Dapprima si trasferisce nelle Fiandre, dove la stretta dell’Inquisizione è meno forte. Poi, nell’Europa sconvolta dalle guerre di religione, affronta una vita vagabonda: da Anversa a Venezia (dove riprende il suo nome, Grazia Nasi, che le era stato tolto con la conversione), a Ferrara, ad Ancona e infine a Istanbul, dove diventa una figura di rilievo presso la corte di Solimano il Magnifico. Edgarda Ferri anima la storia di una donna libera, disegnandola contro lo sfondo fastoso e fosco del Cinquecento europeo, arricchendola di dettagli in un racconto dagli orizzonti larghi, pieno di profumi, atmosfere e avventura, sfolgorante di coraggio. -
Agnus Dei. Gli abusi sessuali del clero in Italia
Negli ultimi decenni gli abusi sessuali del clero sono stati occasione di scandalo in quasi tutti i paesi cattolici, che hanno avviato inchieste indipendenti per misurare l'ampiezza del problema. Solo in Italia e in Spagna le conferenze episcopali si rifiutano di collaborare, all'interno di una Chiesa in cui l'abuso è tuttora considerato una trasgressione del sesto comandamento senza tuttavia che il diritto canonico ne consideri l'effetto e le conseguenze per le vittime. Le autrici di questo libro, redattrici o collaboratrici di «Donne Chiesa Mondo», mensile dell'«Osservatore Romano», per la prima volta cercano di capire la situazione italiana, confrontandola anche con quella degli altri paesi, a partire dall'unico archivio sugli abusi disponibile in Italia, quello della «Rete L'Abuso», fondata e diretta da una vittima. Ne emerge un quadro molto preoccupante, di fronte al quale la Chiesa sembra non muoversi. Quali sono state le posizioni dei papi degli ultimi anni, Benedetto XVI e Francesco? E da dove possiamo ripartire? Occorre anzitutto l'esplicita condanna degli abusi e un ripensamento della sessualità, cui segua una riconciliazione con le vittime che passi anche da indennizzi economici per aiutare le persone a ricostruire la propria integrità. Solo così la Chiesa potrà riacquistare credibilità di fronte ai fedeli. -
Al di sopra della legge. Come la mafia comanda dal carcere
Nel giugno del 1992, sull'onda dell'emozione e dello sdegno per la strage di Capaci in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone, il Parlamento adottò un nuovo regime di restrizione per i detenuti di mafia. Un passo decisivo ma anche l'inizio di un braccio di ferro tra Stato e mafia che è tutt'altro che finito. Sebastiano Ardita, magistrato in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata, per nove anni al vertice del dipartimento penitenziario, ci accompagna in un viaggio che è una preziosa testimonianza personale e un originale racconto dietro le quinte di vent'anni di giustizia - e ingiustizia - in Italia. Come è cambiata la mafia in questi anni? E chi comanda davvero dietro le sbarre? Come è possibile che si verifichino episodi come le rivolte incendiarie del marzo 2020, con decine di morti ed evasi e scarcerazioni di boss in circuiti di alta sicurezza? E perché potrebbe succedere di nuovo? L'autore ripercorre l'evoluzione della lotta a Cosa Nostra, ricorda il sacrificio dell'agente di custodia Giuseppe Montalto e il suo incontro in carcere con Bernardo Provenzano, spiega la strategia dei Graviano e fa luce sul potere dei leader mafiosi più irriducibili. Ma il suo è anche un atto di accusa sui limiti della classe politica e sulla condizione delle nostre prigioni che sono, ancora troppo spesso, i luoghi in cui comincia una carriera criminale. -
La vita lunga. Lezioni sulla vecchiaia
Hanno pagato «il prezzo più alto» non solo a causa della pandemia, ma anche di una cultura della produttività che li considera troppo spesso un peso. Ma gli anziani, secondo il papa, sono invece «una benedizione per la società». Con diciotto catechesi qui raccolte per la prima volta Francesco ha sviluppato un nuovo importante percorso di riflessione interamente dedicato al senso e al valore della vecchiaia attraverso la parola di Dio, da Genesi ai Vangeli, per spiegarne la ricchezza e trasmettere «saggezza all’umanità». Quello del pontefice è un autentico appello alla riscoperta dell’arte di invecchiare. Perché non può essere solo una questione di «piani di assistenza», ma di «progetti di esistenza» per un’età della pienezza e dell’apporto gioioso. Al centro di queste «lezioni» è il rapporto intergenerazionale, una questione di primo piano in quest’epoca segnata dal calo demografico. Gli anziani sono «un vero e proprio nuovo popolo», osserva il papa, «mai siamo stati così numerosi nella storia umana», eppure «il rischio di essere scartati è ancora più frequente». Ma non ci si può limitare al cambiamento quantitativo, è in gioco «l’unità delle età della vita», ossia «il reale punto di riferimento per la comprensione e l’apprezzamento della vita umana nella sua interezza». Il nuovo libro del pontefice è accompagnato dai suoi più rilevanti interventi sul tema e presentato da Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, che delinea un vero e proprio itinerario storico e culturale nel valore della vecchiaia. -
La mia Babele
Una nascita rocambolesca, un battesimo in articulo mortis che gli regala almeno tre nomi, un’infanzia da predestinato alla gloria in quanto figlio unico, un difficile apprendistato da «sardoparlante» (per di più con gli occhiali) nella scuola di lingua italiana, una precoce lettura del Conte di Montecristo senza sapere cosa fosse un abate... La storia del protagonista di questo libro, che forse ne è anche l’autore, è segnata da un’incessante lotta con l’angelo, e l’angelo è il linguaggio. Inutile stupirsi se, dopo un breve e infelice passaggio a Medicina, la scelta sarà laurearsi in Italianistica, in una Bologna illuminata dalla predicazione laica di Ezio Raimondi, per poi diventare scrittore, per di più tradotto all’estero. Si aprono così le porte di una Babele popolata di esseri strani, i traduttori, il cui compito preciso sembra essere travisare ciò che scrivi, ma nel modo giusto: perché tradurre significa tradire, per far vivere il testo non solo in un’altra lingua ma in un’altra cultura. E il testo, si suppone, ringrazia; ma l’autore? La vita diventa letteratura, che a sua volta innerva la vita: accade nelle pagine di questo memoir letterario in cui si rincorrono ricordi d’infanzia e storia sociale, incontri e autoanalisi, avventure in terra italiana e straniera e riflessioni attraverso le lingue, non solo d’Europa. In un racconto che per esser vero non è tuttavia meno apocrifo, Marcello Fois conduce il lettore all’appuntamento più importante, quello con la parola giusta, capace di illuminare una pagina come una vita.Proposto da Elisabetta Mondello al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:rn«Un memoir intenso e autoironico che, fin dalle prime pagine, coinvolge il lettore in una riflessione profonda sulle parole e sulla scrittura. Sulla difficoltà a trovare una voce, un lessico, un modo per raccontare ciò che si sente e si vuole comunicare. Per tutti concretizzare un’emozione o un pensiero in una frase, cioè tradurre sé stessi in parole, è un percorso da costruire nel tempo. Ma per il protagonista dei primi capitoli del libro, il Fois bambino e poi adolescente cui la sorte, fin dalla nascita, sembra riservare non scorciatoie ma complicazioni, l’operazione di traduzione diviene più complessa: è «sardoparlante», cresciuto in una lingua madre forte. Per lui, la conquista delle parole per raccontarsi vuol dire anche apprendere una seconda lingua, l’italiano, acquisire un vocabolario, una struttura di pensiero, una sintassi. Popolato dai personaggi centrali nella vita di Fois e nel mondo della cultura e dell’editoria del secondo Novecento – Ezio Raimondi, Piero Gelli, Giulio Einaudi -, La mia Babele è un memoir brillante ma intenso che si fa romanzo di formazione e romanzo picaresco, attraversando i vari territori emozionali del lavoro letterario, dalla felicità per la conquista delle parole all’ansia per un loro possibile stravolgimento nelle traduzioni straniere, oggetto della seconda parte del libro, dedicata al mondo della post-scrittura.» -
L' abbraccio di Kiev. Lettera a una bambina rinata
Nell'inverno del 2012, Mariangela e suo marito Michele hanno viaggiato in Ucraina per adottare, nella regione di Luhansk, nel Donbass, una bambina di nove anni, Anastasia: lunghi mesi in un Paese bellissimo e difficile, per tanti aspetti europeo, ma con il sapore di un altrove. Oggi, la guerra in Ucraina porta in Italia l'interprete che li aveva seguiti allora, Elèna, fuggita dalla sua città in fiamme e sfollata a Bergamo. È un ritrovarsi commovente e amaro, segnato dal racconto delle bombe, della paura, dall'angoscia di chi si è lasciato alle spalle tutto, anche un figlio che è rimasto a disposizione del suo Paese, pronto a difenderlo. Mariangela, mentre parla con questa amica di allora, testimone oggi di un atroce conflitto, sente uno strappo al filo della memoria: lei, la sua storia, non l'ha mai raccontata. Quella dell'incontro più emozionante della sua vita, che la lega indissolubilmente a un Paese oggi dilaniato. Così decide di farlo, in una lettera appassionata ad Anastasia, che allora aveva nove anni e ora è una ragazza italiana. Un racconto che ripercorre un'avventura, illumina un popolo e una terra, spiega il senso dell'accoglienza come necessità umana. Madre e figlia, infine, si interrogano insieme: cos'è la pace, cosa l'appartenenza? Queste pagine intense ci offrono uno sguardo intimo e partecipe sull'Ucraina, sulla sua anima e sulle sue tensioni. Una storia che la guerra rende di scottante attualità ma che l'amore rende universale: la maternità come scelta capace di valicare ogni frontiera. -
I milanesi si innamorano il sabato
Questa storia si apre con una donna nuda, morta con la cintura di un accappatoio attorno al collo, ma che non è detto sia stata strangolata. Continua con un sospettato mezzo siciliano, mezzo tunisino e mezzo croato, misterioso per intero. Si inoltra in un'operazione di contrasto al narcotraffico, che potrebbe essere legata al delitto ma anche no. Insomma: è una storia in cui quasi niente è come sembra. Poche le certezze, per il puntiglioso ispettore Giovanni Armani e l'acido procuratore Giacomo Cacciaguerra, che indagano sull'omicidio a fianco - ma preferirebbero starne ben lontani - del disastroso ma inspiegabilmente fortunato agente Salvo Buonfine. E pensare che Armani, quando in seguito a una tragedia sul lavoro ha dovuto farsi trasferire da Milano, aveva pensato che la questura di Como, città d'origine della sua famiglia, sarebbe stata un porto tranquillo. Eppure, forse, tra i colpi di scena di un'investigazione complicata si nasconde anche un colpo di fulmine. Dopo la fortunata tetralogia riminese con protagonista Costanza Confalonieri Bonnet (che torna in un prezioso cameo anche in questo nuovo romanzo), Gino Vignali cambia atmosfere e personaggi ma mantiene intatti il tono scanzonato e il ritmo incalzante che contraddistinguono i suoi gialli. Suspense, erotismo, umorismo sono gli ingredienti vincenti di un romanzo che, giocando abilmente con dubbi e ossessioni, incertezze e desideri, incanta il lettore in un riverbero di luci e ombre. Come l'acqua del lago, quando sembra calma ma non lo è. -
Dicerie della notte
Un fiume che scorre, come il tempo, che trascina via tutto: i giorni, i ricordi, in questo caso anche un uomo e la sua vita. Il fiume è il Tevere e il corpo che si è impigliato tra la vegetazione accanto alla banchina è quello del professor Valerio Borromeo. A trovarsi coinvolto in un'indagine involontaria è un suo ex studente, Gregorio: magistrato a Roma, attraversa un periodo di crisi personale e professionale, tra la separazione che lo ha costretto a tornare a vivere con il padre e un caso mediatico e giudiziario che rischia di rovinargli la carriera. Sulle prime, l'inchiesta sulla morte del suo ex insegnante di filosofia - omicidio, suicidio o incidente? - è un'occasione per sfuggire a un presente che lo preoccupa. Ma il passato in cui viene trascinato è quello dell'anno della maturità e in particolare di una notte che gli ha cambiato la vita, tingendogli di bianco i capelli all'improvviso e stringendo il nodo da cui, forse, ogni possibilità di felicità è stata soffocata. È ancora possibile sciogliere quel nodo? Gli incontri con i suoi amici di una volta - Flaminia, affascinante e capricciosa, e Paolo, brillante e ombroso - non aiutano a risolvere il dilemma. Né a capire cosa sia successo davvero, chi ci fosse su quella banchina, la notte in cui il professor Borromeo è caduto nel fiume. Questo romanzo è un giallo dell'anima prima che dei corpi. Un'indagine, sì, ma sul tempo: sugli amori che non riesce a corrodere, sulle ferite che non è in grado di rimarginare, sul modo in cui torce e sfuma la memoria. Perché il tempo non è un fiume: forse, piuttosto, è un gorgo. -
Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace
La pace è molto più della semplice assenza di guerra. La parola biblica shalom indica una condizione di pienezza di vita che la violenza distrugge e annienta alla radice. Ed è proprio una riflessione radicale quella che Papa Francesco offre in queste pagine, nelle quali dispiega il suo insegnamento sulla necessità della fraternità e l'assurdità della guerra. Pagine intrise della sofferenza delle vittime in Ucraina, dei volti di quanti hanno patito il conflitto in Iraq, delle vicende storiche di Hiroshima, fino all'eredità, purtroppo inascoltata, dei due conflitti mondiali del Novecento. Francesco non fa sconti a nessuno e individua nella bramosia del potere, nelle relazioni internazionali dominate dalla forza militare, nell'ostentazione degli arsenali bellici le motivazioni profonde che stanno dietro alle guerre che ancora oggi insanguinano il pianeta. Scontri che seminano morte, distruzione e rancori e che porteranno nuova morte e nuova distruzione, in una spirale cui solo la conversione dei cuori può porre fine. Il dialogo come arte politica, la costruzione artigianale della pace, che parte dal cuore e si estende al mondo, il bando delle armi atomiche, il disarmo come scelta strategica sono le indicazioni concrete che Francesco ci affida affinché la pacificazione diventi realmente l'orizzonte condiviso su cui costruire il nostro futuro. Perché dalla guerra non può nascere nulla di veramente umano.