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Pietro Aretino
Su Pietro Aretino (1492-1556) è pesato a lungo un giudizio morale di condanna e riprovazione, fin dalla messa all’Indice delle sue opere, subito dopo la morte; ed è appena il caso di ricordare il tagliente giudizio del De Sanctis, secondo cui «un uomo ben educato non pronunzierebbe il suo nome innanzi a una donna». In realtà, scrittore fecondissimo, in grado di misurarsi con un ampio ventaglio di opzioni letterarie – pasquinate, rime d’encomio, scritti religiosi, teatrali ed erotici, epica, fino ala geniale invenzione del “genere” epistolare, con ben sei volumi di lettere –, Aretino è stato a torto ridotto, come ora si comincia a riconoscere, al rango di pornografo, autore osceno privo di effettive qualità artistiche. Solo da pochi decenni è in atto un’inversione di tendenza, unita ad un serio tentativo di avvicinare l’attività letteraria dell’Aretino con un piglio libero da pregiudizi moralistici: l’avvio dell’Edizione Nazionale delle Opere, nel 1992, e nel 1995 la pubblicazione degli Atti dei Convegni aretiniani del 1992 (entrambe a cura della Salerno Editrice) ne costituiscono una spia inequivocabile. Mancava però una nuova, esauriente e criticamente affidabile biografia dell’autore “maledetto”, che ne illuminasse insieme l’opera e lo straordinario personaggio che l’ha prodotta: è quella che, dopo anni di lavoro, un eminente studioso francese, nonché uno dei massimi esperti al mondo di Pietro Aretino, Paul Larivalle, presenta ora al pubblico italiano. Una biografia che si colloca a metà strada fra l’erudizione e la divulgazione: nel senso, scrive l’Autore, che intende «proporre ai non addetti ai lavori un testo a sé stante, leggibile senza le note ma non per questo privo di una concreta base documentaria», che però sia al contempo anche «uno strumento di lavoro e di consultazione in cui gli studiosi di Aretino possano in avvenire trovare, ora citati ora analizzati o discussi ora semplicemente segnalati, il maggior numero possibile di documenti, saggi o altri materiali di non sempre facile consultazione». In definitiva, un punto d’approdo, ma anche di partenza per ulteriori approfondimenti, che nel caso di Aretino si rivelano quanto mai fecondi di nuove scoperte. -
Rime
Amore e morte: l’eterno binomio non solo innerva le rime del gentiluomo italo-spagnolo Diego Sandoval di Castro, in quanto scontato topos letterario, ma ne sostanzia tragicamente la vita. Innamorato della giovane e nobile poetessa Isabella di Morra, a lei dedicò ferventi componimenti, nei quali cantava il suo amore e il dolore della separazione. Tanto bastò perché entrambi pagassero con la vita i loro sentimenti: furono uccisi dai fratelli di lei nel 1542, a pochi mesi di distanza l’una dall’altro. -
Il prisma dei moralisti. Per il tricentenario di La Bruyère. Atti del Convegno (Roma-Viterbo, 22-25 maggio 1996)
Nei giorni 22-25 maggio 1996 si è tenuto, presso l’Università della Tuscia (Viterbo) e la Libera Università ss. Maria Assunta (Roma), un Convegno dedicato ad uno dei maggiori “moralisti” francesi del Seicento: Jean de La Bruyère, in occasione del tricentenario della sua morte e dell’ultima edizione dei Caractères apparsa in vita dell’autore. Non per caso, o per capriccio, gli organizzatori del Convegno hanno promosso il prisma a simbolo del Convegno stesso; secondo Pierre Nicole, questo poliedro trasparente – dotato della proprietà di scomporre la luce, a seconda dell’angolo d’incidenza, in diversi colori – è metafora del cuore umano, che si frappone, generando una conoscenza deformata e soggettiva, tra l’io e il mondo. Il fascino del prima e la sua pregnanza simbolica sono dunque legati al gioco fra l’uno e il molteplice, l’assoluto e il relativo, la realtà e l’apparenza. Ma la metafora del prisma può essere anche adattata all’insieme della letteratura morale, con la sua infinita variazione intorno a luoghi comuni del discorso dell’uomo, ove basta un leggero spostamento del punto di vista – o un uso più sapiente di strumenti retorici o simbolici – perché cose note, divenute repertorio impersonale di saggezza, siano fatte proprie da ogni autore e dette come nuove e, in un certo senso, irripetibili. L’arco delle relazioni raccolte in questo volume testimonia l’ampiezza degli argomenti mesi a fuoco durante i lavori; inizia con una sezione dedicata allo studio della tradizione dei trattati comportamentali in Italia tra Cinque e Seicento; si sviluppa con i saggi dedicati a La Bruyère; si prolunga in studi su altri moralisti (La Rochefoucauld, La Mothe Le Vayer, ecc.); si allarga, esplorando zone limitrofe, chiamando in causa il teatro (un genere che, nel Seicento, sentì profondamente la vicinanza della scrittura morale) e aprendo all’orizzonte della modernità, o della postmodernità, con un’interrogazione sui rapporti tra moralistica classica e pensiero contemporaneo). -
Il convivio
Opera centrale sia per per quanto attiene all’evoluzione intellettuale di Dante, sia per quel che riguarda la sua successiva produzione letteraria, il Convivio è qui presentato in una raffinata e preziosa edizione “tascabile”, corredata da un’ampia introduzione e da opportune note di commento. -
I sonetti
Il volume appartiene alla serie “blu” dei “Diamanti” dedicata ai classici delle letterature straniere. Il primo in Italia a tradurre Luis de Gòngora, fu Ungaretti che sul poeta spagnolo disse: “Il merito di Gòngora è di avere, servendosi della tecnica dell’argutezza, ottenuto, come tutto il Barocco migliore, il risultato opposto all’atteso, ridando valore alla verità dei sensi, un valore sclusivo, ossessivo”. Correda l’edizione, un’ampia introduzione e accurate note di commento a cura di Giulia Poggi. -
«Io cupo d'amore...». Tre interventi per Pasolini
Pasolini è stato forse l’ultimo intellettuale “vivo” e attivo sullo scenario italiano del secondo Novecento. La sua vita “violenta” e trasgressiva, le sue posizioni – culturali e politiche – sicuramente non allineate, costruttivamente polemiche verso il potere e il sapere ufficiali, la stessa drammatica morte, ne hanno fatto un personaggio scomodo, ancor oggi guardato da molti con sospetto. I tre saggi in cui si articola questo volume illustrano aspetti diversi e, insieme, costanti della pratica letteraria di Pasolini. Studiato sia come traduttore del teatro greco e latino, sia come critico implacabile delle forme della società contemporanea, Pasolini rivela la continuità di una funzione intellettuale invariabile, fondata sul “coraggio della verità” e sulla pratica sistematica del dissenso. La medesima tensione morale che lo porta a leggere nel teatro antico l’immagine di un conflitto tra civiltà opposte, divise tra barbarie e ragione, si esprime in modi ancora più visibili attraverso gli interventi “corsari” o, anche, l’intera produzione poetica. Nella impietosa e conclusiva analisi della società di massa, in cui l’idoleggiamento della vitalità popolare si rovescia in un’abiura addolorata ed estrema, domina sempre più irreparabilmente «il senso di un disgusto totale, di un’impotenza e di una solitudine ormai irrimediabili», all’ombra di un sentimento crescente di morte. Nemico di un mondo degradato e volgare, Pasolini incarna così il modello di ogni intellettuale autenticamente politico: antagonista del proprio tempo e inattuale rispetto alla storia che egli vive. Queste pagine, dense di pathos e di “amore” per il poeta friulano, escono purtroppo postume e costituiscono l’ultima, alta testimonianza dell’umanità e della dottrina di Vittorio Russo, improvvisamente e immaturamente scomparso mentre il libro era in bozze. -
I salterelli dell'Abbrucia sopra i mattaccini di ser Fedocco
A Firenze, nel Cinquecento, l’interesse di pittori, scultori e architetti per la poesia è più vivo che altrove, e si traduce in una produzione poetica tanto ampia quanto ancora poco studiata dalla critica. Se si eccettuano, infatti, Michelangelo e Benvenuto Cellini, le opere letterarie e memorialistiche di artisti quali gli scultori Vincenzo Danti, Baccio Bandinelli, Bartolomeo Ammannati, i pittori Francesco Lancillotti e Agnolo di Cosimo, detto il Bronzino (1503-1563), ed altri, restano ancora in gran parte da affrontare (in questo “filone” d’interesse si colloca il fac-simile, con commentario, del Diario di Jacopo da Pontormo (1496-1556), che del Bronzino fu il maestro, pubblicato dalla Salerno Editrice nel 1996). Di sicuro rilievo appare allora la presente edizione critica e commentata dei Salterelli dell’Abbrucia sopra i Mattaccini di Ser Fedocco, undici sonetti caudati scritti in gergo jonadattico, composti dal Bronzino tra l’ottobre 1560 e il gennaio 1561, e già compresi – ma senza l’ausilio di un adeguato commento – nel corpus delle Rime in burla del Bronzino pittore curata da Franca Petrucci Nardelli nel 1988. L’obiettivo è quello di offrire un contributo per un’indagine filologicamente, letterariamente e storicamente più approfondita intorno all’opera del pittore-poeta; a tale scopo, l’introduzione provvede innanzitutto a collocare i Salterelli all’interno di un contesto sociale e culturale nel quale videro la luce; procede poi all’esegesi della singolare collana, proponendo a piè pagina la parafrasi di ogni componimento; commenta infine con ampiezza e puntualità i sonetti, nel tentativo di penetrarne la difficile e spesso oscura veste linguistica. Nati in margine a una feroce polemica sorta tra Annibal Caro e Lodovivo Castelvetro a proposito della canzone del Caro Venite all’ombra dei gran gigli d’oro, che infiammò per un intero ventennio i letterati italiani intorno alla questione del primato toscano nella lingua e nella letteratura d’Italia, questi sonetti documentano la maestria di un pittore tra i massimi del Rinascimento, che seppe essere anche poeta burlesco di notevole raffinatezza. -
Apologhi in volgare
Gli sferzanti e ironici apologhi scritti in volgare da Pandolfo Collenuccio (1444-1504), uomo politico e umanista al servizio dei potenti dell’epoca (Giovanni Sforza, Lorenzo il Magnifico, Ercole I d’Este). Nello Specchio d’Esopo, un vivace ricorrersi di favole, proverbi, enigmi e allegorie; nel Filotimo, una pungente satira di costume contro i rituali e le ipocrisie dei rapporti sociali. -
I carmi
In un mondo che assegnava alla donna un ruolo decisamente subalterno e considerava il canto d’amore indegno della gravitas di un cittadino romano, fu Catullo a creare e fissare le linee del discorso amoroso. A partire da Catullo il poeta d’amore colloca la sua vicenda sentimentale al centro della propria esistenza, facendone l’unico motivo di vita. -
L'Odissea di Omero
Il volume appartiene alla serie marrone dei “Diamanti”, dedicata ai grandi traduttori dei classici. La traduzione dell’ Odissea del Pindemonte fu pubblicata a Verona nel 1822 e, nonostante l’alterna fortuna della critica, ancora oggi rimane un testo di riferimento nelle scuole nell’accostamento degli alunni ad Omero. In questa riedizione, Valerio Mariucci, al di là delle questioni relative all’efficacia e alla leggibilità del testo,valuta la traduzione del Pindemonte quale risultato storicamente e linguisticamente significante della propria epoca, così diversamente stimolata da influssi culturali ricchissimi e contaddittori, nel momento in cui si pone a diretto confronto con il proprio ideale passato e con i suoi modelli. -
Cultura e scrittura di Machiavelli. Atti del Convegno (Firenze-Pisa, 27-30 ottobre 1997)
Intenso e sempre fecondo di contributi, anche a livello internazionale, l’interesse degli studiosi intorno alla figura e all’opera di Machiavelli, al quale sono stati dedicati, di recente, ben due Convegni internazionali; Niccolò Machiavelli politico storico letterato (Losanna, 27-30 settembre 1995), i cui Atti sono stati pubblicati dalla Salerno Editrice nel ’96; e Cultura e scrittura di Machiavelli (Firenze-Pisa, 27-30 ottobre 1997), ora agli Atti. Se a Losanna l’intento era quello di “fare il punto” della situazione sugli attuali studi relativi al Segretario fiorentino, a Firenze e Pisa si è lavorato nella prospettiva dell’imminente esordio – previsto per il ’99 – dell’Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli ( il cui Piano completo, con saggio introduttivo di Mario Martelli, è stato stampato nel ’97 dalla Salerno Editrice). Da lungo tempo attesa, tale Edizione appare tanto più necessaria, quanto precaria è la situazione editoriale dei testi machiavelliani. Una parte non trascurabile degli scritti cosiddetti “di governo”, infatti, insieme ad altri minori, sono tuttora inediti o mal editi, mentre opere anche maggiori restano in attesa di un’edizione pienamente soddisfacente, corrispondente alle esigenze di una lettura critica moderna, filologicamente garantita e documentata. La situazione è complicata, poi, da rilevanti problemi testuali, determinati dal fatto che soltanto una piccola parte degli scritti di Machiavelli venne pubblicata in redazioni forse non ancora compiute e definitive. I saggi raccolti in questo volume, di alcuni tra i maggiori studiosi italiani e stranieri dell’opera del Segretario, si propongono di offrire un solido contributo preparatorio ai compiti dell’Edizione Nazionale, e delineare al contempo le premesse dei necessari approfondimenti che seguiranno la disponibilità – entro tempi ragionevoli – di un nuovo corpus integrale e filologicamente garantito dell’opera machiavelliana. -
Petrarca
Il Petrarca che tutti abbiamo imparato a conoscere, fin da banchi di scuola, è il cantore di Laura, il poeta-amante autore di un immortale Canzoniere, i Rerum vulgarium fragmenta. Ma chi fu veramente Francesco Petrarca (1304-1374)? Questa monografia – l’ultima del Millennio, quindi in qualche modo riassuntiva di tutti gli studi novecenteschi sul grande poeta – cerca di ricostruire per intero, e analiticamente, la parabola umana, civile e letteraria. Petrarca non è solo l’aedo di Laura: egli è anche filologo e appassionato raccoglitore e scopritore dei classici; poeta e prosatore in latino; instancabile sperimentatore di nuove forme letterarie; poeta dell’amore, conosce e “canta” anche l’angoscia del tempo che fugge e la vanità del mondo, nel quale però non rinuncia ad impegnarsi sul versante civile e politico. In bilico tra Medioevo e primo Umanesimo, Petrarca sconta nella sua scrittura tutte le contraddizioni di un’età di passaggio, della quale ci ha lasciato, nelle sue “sudate” e travagliate carte, una testimonianza altissima e sofferta. -
La befana e altri racconti
Questa edizione recupera e raccoglie insieme per la prima volta la produzione narrativa di Pascoli fino ad oggi conosciuta: sei racconti, apparsi in riviste locali tra il 1882 e il 1908, dove la scrittura è insieme esorcismo e dichiarazione di poetica. Sei “tappe”, ognuna delle quali legata strettamente a un momento della biografia pascoliniana, con rimandi velati a fatti traumatici della propria esistenza, a desideri inconfessabili, a sogni realizzabili solo sulla pagina scritta. -
Aminta-Il re Torrismondo-Il mondo creato
Raccolte in un unico e raffinato volumetto, tre opere – tutt’altro che minori – del Tasso: l’Aminta, la “favola boschereccia” più celebre del Rinascimento; la tragedia Il re Torrismondo; e il poema sacro Mondo creato che forse ispirò il Paradise Lost di John Milton, ponendo Tasso, ancora una volta, nel cuore della più eletta letteratura d’ogni tempo. -
Poeti greci e latini
Il volume raccoglie le traduzioni composte tra il 1814-1817 e tra il 1823-1824, e presenta importanti novità rispetto ad altre edizioni: l’inclusione, all’inizio, degli Scherzi epigrammatici, generalmente esclusi sulla base di un giudizio estetico e la separazione delle traduzioni dal greco da quelle dal latino, che rimarca così l’assoluta preponderanza dei testi poetici greci. Quest’opera, corredata da un’ampia introduzione e un ricco apparato di note di testo, rappresenta un primo passo verso un’auspicabile futura edizione critica di tutte le traduzioni leopardiane. -
Due baci
Al centro della pièce narrativa (scritta da Tommaseo nel 1831), un tema particolarmente scabroso per l’epoca: come la passione possa insinuarsi – in forma, appunto, di Due baci extraconiugali – nell’animo di una giovane sposa e minare la saldezza di un tranquillo matrimonio borghese. Il racconto – narrato dall’inconsueto punto di vista della donna e seguito nei suoi più intimi percorsi psicologici –, è forse la migliore novella in prosa del primo Ottocento italiano. -
Boccaccio
Su Boccaccio ha sempre gravato una sorta di velata prevenzione critica: se Dante è il “padre” della lingua e della letteratura italiana, se Petrarca è il campione della poesia lirica, Boccaccio, in fondo, resta l’abile narratore di storie sboccate e licenziose. Parziale e tendenzioso, questo diffuso giudizio di sommessa svalutazione rispetto alle altre “corone” due-trecentesche continua a sopravvivere, nonostante che una vera “rivoluzione” abbia ormai cambiato pressoché totalmente lo scenario degli studi sul Boccaccio e la sua attuale percezione. Non più e non solo l’autore del Decameron, e di certo Decameron più trasgressivo e “commerciale”. Ma neppure più soltanto il geniale codificatore di un genere di scrittura, la novella, destinata a grande successo nella letteratura europea dei secoli successivi. Sì piuttosto l’appassionato sperimentatore e innovatore della scrittura letteraria e il versatile intellettuale pronto a indossare, di volta in volta, le vesti di editore di testi, filologo, geografo, agiografo, polemista, dotto mitografo, teorico della letteratura, “grafico”, pensatore, se non, addirittura, filosofo. Un quadro, dunque, ricco di elementi nuovi e talora di contraddizioni, che Lucia Battaglia Ricci riorganizza in un profilo disegnato secondo le più recenti acquisizioni della critica, così da offrire, in apertura di millennio, la migliore base di partenza per ulteriori, stimolanti ricerche sull’opera e sulla personalità del Certaldese. -
Saggio sul Principe
Lo spunto per questo volume è offerto dalla recente edizione del Principe allestita da Giorgio Inglese (Roma 1994), cui è subito seguita l’editio minor commentata (Torino 1995). Argomentando e controdeducendo rispetto ad esse, in un fitto dialogo a distanza, Mario Martelli propone nel presente Saggio una innovativa chiave di lettura del capolavoro machiavelliano e, di conseguenza, una, per molti aspetti inedita, interpretazione generale della sua personalità. La capillare, minuziosa, agguerrita analisi dell’opera in questione conduce l’autore a ribadire la sua tesi, che ormai da tempo egli sostiene, ma che qui per la prima volta dimostra organicamente con eccezionale abbondanza di argomenti e con vasta concretezza di prove: I) il Principe approdato alla stampa, quasi cinque anni dopo la morte di Machiavelli, avvenuta nel 1527, non poté mai godere dell’ultima, necessaria revisione da parte del suo autore; ad andare sotto i torchi fu quindi una redazione provvisoria, una prima stesura ancora bisognosa di molte cure, per potersi degnamente presentare al pubblico; 2) tale stesura dovette avvenire nella seconda metà del 1513, con occasionali riprese (aggiunte ai singoli capitoli, inserimento di capitoli nuovi, innovazioni strutturali) fino al ’16, se non addirittura al ’18; 3) tutte le copie del Principe derivano da una sola copia, redatta, con ogni probabilità nell’ambiente di Biagio Buonaccorsi, amico e collega di Machiavelli, già viziata da errori di trascrizione e da interventi più o meno arbitrari dei copisti; 4) il Principe non fu un trattato teorico ma un manuale, teso ad approntare per un monarca regole concrete onde acquistare e conservare uno Stato. Uno studio di singolare compattezza e forza documentativi, di fondamentale importanza per l’allestimento del testo con cui assumere il capolavoro «Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli». -
Le poesie di Ossian
Il volume appartiene alle serie marrone dei “Diamanti”, dedicata alle grandi traduzioni dei classici. Viene qui riproposta l’edizione delle Poesie di Ossian, antico poeta celtico comparsa nelle Opere pubblicate a Pisa nel 1801. L’originale inglese, in prosa, era stato pubblicato a Londra con titolo Fingal, ad opera di James Macpherson, il quale presentò l’opera al pubblico come traduzione di antichi testi gaelici di nuova scoperta, scritti da Ossian, bardo paragonato a un Omero del Nord (benchè ancora oggi in Italia l’opinione più diffusa è che questri scritti siano un falso storico). L’interesse di Cesarotti per la poesia ossianica, è legata alla querelle sulla presunta superiorità degli antichi e la loro imitazione pedissequa: schierandosi a favore dei moderni, Cesarotti individua in Ossian un primitivo che può scardinare il canone letterario epico, introdurre neologismi, e fondere o inventare nuovi generi. Come sottolinea il curatore, gli studi su quest’opera inducono a pensare che “Ossian sia stata un’esperienza da attraversare (…) per un’intera generazione di poeti”. -
I racconti del Satyricon
Quattro racconti salvati dai frammenti del celebre romanzo petroniano: un geniale artigiano inventa il vetro infrangibile ed è subito decapitato; un soldato, complice il plenilunio, si trasforma in lupo e corre a sgozzar pecore, mentre un Cappadoce soccombe battagliando contro le streghe invisibili; un maestro invita il suo bell’allievo ai piaceri della pederastia, e ne viene stremato; una matrona, infine, si consola della sua precoce vedovanza con il pio aiuto di un aitante soldato. Un ironico e godibilissimo “ritratto”, per medaglioni, della società romana al tempo di Nerone.