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Vermeer
"Vermeer è giunto a noi dal passato in un modo del tutto nebuloso, vago, come Shakespeare. Sembra che la storia sia passata su di loro come la luce di un faro che ruoti nella notte: a lampi. Vediamo Vermeer d'improvviso illuminato dalla fama e altrettanto rapidamente scomparire nel nulla. I documenti sono contraddittori e le notizie scarne. Si esita a porre gli atti pubblici in relazione con i dipinti: la parabola del pittore Vermeer ha solo qualche fragile legame con la vita del cittadino di Delft""""." -
Il Vittoriale degli italiani
"Nel gennaio 1921 Gabriele d'Annunzio, eroe di guerra e reduce dall'impresa di Fiume, decide di abbandonare Venezia, ormai 'città del silenzio' e non più del 'fuoco', non più città imaginifica, ma soltanto legata ai ricordi di guerra e dei compagni comparsi durante le azioni aeree. A Olga Brunner Levi - l'amante con cui ha diviso gli anni del conflitto che chiamava appunto 'la rosa della mia guerra' - scrive del profondo turbamento che sta vivendo: 'Cara Venturina , non ho osato e non oso venire a vederLa [ ... ] nella bella casa non dimenticata mai. Sono qui per poche ore in cerca di un rifugio. Non vedo nessuno. E muoio di malinconia [ ... ] Che terribile turbine è passato su la mia vita!'. Pochi giorni dopo questa lettera il Poeta lascerà definitivamente Venezia e il palazzo Barbarigo della Terrazza che aveva affittato - la Casetta rossa era tornata agli Hohenlohe - per riporvi mobili, libri, suppellettili e le preziose carte giunte dallo chalet di Arcachon. A vegliare sul palazzo e soprattutto su tutto ciò che contiene sarà Aélis Mazoyer, la fidatissima governante-amante del periodo francese che, in seguito, lo raggiungerà anche al Vittoriale e lo assisterà fino alla fine. Gabriele potrà così raggiungere il suo nuovo 'rifugio' sulla costa bresciana del lago di Garda che, nel frattempo, gli aveva trovato Tom Antongini, suo segretario dai tempi della Capponcina. Si tratta della villa Cargnacco a Gardone Riviera appartenuta al defunto Dottor Thode.""""" -
L'arte dell'Islam
"Se alla domanda """"cos'è l'Islam?"""" si rispondesse indicando semplicemente uno dei capolavori dell'arte islamica, come ad esempio la moschea di Cordoba, quella di Ibn Tûlûn al Cairo, una delle mederse di Samarcanda o anche il Taj Mahal, questa risposta, per quanto sommaria, sarebbe peraltro valida, poiché l'arte dell'Islam esprime senza equivoci quel che denomina. [...] Non è stupefacente né assurdo che la manifestazione più esteriore di una religione e di una civiltà come quelle dell'Islam rifletta a suo modo quel che vi è di più interiore in questa stessa civiltà. La sostanza dell'arte è la bellezza; la bellezza è una qualità divina e comporta in quanto tale un duplice aspetto: nel mondo essa è apparente; riveste, per così dire, le creature e le cose belle. Mentre in Dio, o in se stessa, è beatitudine inferiore; tra tutte le qualità divine che si manifestano nel mondo, la bellezza è quella che più direttamente richiama il puro Essere. Questo significa che lo studio dell'arte islamica, come di qualsiasi arte sacra, può condurre, quando viene intrapresa con una certa apertura di spirito, verso una comprensione più o meno profonda di verità spirituali che sono alla base di tutto un mondo al tempo stesso cosmico e umano. Considerata in tal modo, la 'storia dell'arte' supera il piano della storia pura e semplice, fosse solo per porre queste domande: da dove proviene la bellezza del mondo di cui stiamo parlando?"""" (dall'introduzione)" -
Scritti di estetica
"È facile riconoscere un atteggiamento generale costante, nei diversi momenti della molteplice azione di rinnovamento intrapresa da Diderot: è l'esigenza profonda di conferire all'arte una nuova dignità, una serietà, un'autorevolezza maggiore, un più alto potenziale rivoluzionario. È tutto qui il senso della sua iniziazione, e poi della sua prolungata, ostinata applicazione ai problemi tecnici dell'espressione artistica (nella pittura, nella scultura, nella musica, nel teatro) e, insieme, della passione e dell'insistenza con cui non cessò di richiamarsi al contenuto, alla funzione e all'effetto morale dell'opera d'arte. Sarebbe un errore voler restringere alla sola pittura il significato di questa sua frase famosa: 'Due qualità sono essenziali all'artista, la morale e la prospettiva'. Non si tratta certo di una formula di tipo precettistico, ma di un affermazione di principio espressa. se si vuole. in modo sintetico e paradossale - sullo sforzo necessario per conquistare, e continuamente riconquistare, all'arte i suoi valori, il suo ruolo insostituibile nei progressi del consorzio umano."""" (dallo scritto di Guido Neri)" -
Scritti sull'arte
"In quel frammento un poco più lungo, ma chiuso e denso, che s'intitola 'Sull'arte e sullo spirito dell'arte', ed è come un solido mosaico di aforismi, scritti col tono dell'esortazione, della regola, anzi del comandamento, Friedrich ha concentrato tutto il suo pensiero sull'arte; tanto da farne una specie di manifesto non solo per sé, ma per l'intera arte romantica originaria. Frantumandolo, quasi riga per riga, se ne possono trarre tutte le indicazioni, le conoscenze e i riferimenti, per lui stesso, per la sua vita e la sua pittura, come se avessimo tra le mani la ponderosa sapienza di un trattato. Condizione preliminare è consacrare la vita all'arte; nient'altro dev'essere possibile, né scrivere, né insegnare, né viaggiare, né svolgere alcuna attività che non sia nell'intimo inerente all'arte; solo il rapporto con la natura, il cammino entro la natura, la penetrazione della natura, allo scopo di poterne assorbire lo spirito e trasferirlo nel quadro, è possibile, come atto complementare e preludente a quello del dipingere. Di questa consacrazione Friedrich è stato un esempio totale e supremo, e poiché essa comporta la solitudine, la lontananza dagli uomini, della sua vita e delle sue parole restano solo poche testimonianze."""" (dallo scritto di Roberto Tassi)" -
Hokusai
"Non ci fu cosa o soggetto che non ebbe posto nell'immensità dell'arte di Hokusai, pari all'immensità dell'universo. Si può dire che l'artista fu inebriato dallo spettacolo della vita e dalla molteplicità delle forme e che, neppure nei periodi di intenso naturalismo, l'arte giapponese aveva conosciuto qualcosa di simile. [...] Gli uomini e gli animali, gli umili testimoni dell'esistenza quotidiana, la leggenda e la storia, le solennità mondane e i mestieri, tutti i paesaggi, il mare, la montagna, la foresta, il temporale, le tiepide piogge delle primavere solitarie, l'alacre vento agli angoli delle strade, la tramontana sull'aperta campagna, tutto questo più il mondo dei sogni e il mondo dei mostri costituisce il regno di Hokusai, se alla parola è dato di segnarne i limiti. [...] Vita e movimento, studiati nella fatica o nella gioia degli uomini, come nel brulichio del mondo animale, nel brusco scatto che fa saltare l'insetto, in un nervoso colpo di pinna, ecco il grande principio che governa la curiosità dell'artista e la tiene desta ovunque una forma organica si muove, si agita, si dimena e si contorce. La cultura di una sensibilità delicata, la meditazione dei grandi esempi ereditati dal passato, la ricerca di uno stile che risiede nella ponderazione o nell'immobilità non potevano soddisfare l'artista. Hokusai ha voluto che la sua arte fosse pari, non alla creazione di uno splendido sogno solitario, ma pari al fremito e all'energia delle forme viventi.""""" -
Alberto Giacometti
Quello che qui viene presentato è uno dei numerosi saggi che lo scrittore Yves Bonnefoy ha dedicato all'opera di Giacometti. Poiché il testo si concentra sull'interpretazione del periodo definito 'surrealista' all'interno della parabola creativa dell'artista, sono stati riportati in Appendice due degli scritti di Giacometti vicini alle tematiche del periodo in questione: 'Il sogno, lo Sphinx e la morte di T.' e la 'Lettera a Pierre Matisse', una sorta di autobiografia spirituale dell'artista, in cui si evidenziano le tappe che lo condussero ad abbandonare 'la costruzione di oggetti in sé stessi' a favore di un rinnovato avvicinamento alla realtà. Il saggio è accompagnato dalle riproduzioni delle opere dell'artista citate da Bonnefoy. -
Lettere
Picasso non si chiamava semplicemente Pablo. Quando era nato, nel 1881, era stato battezzato, secondo le usanze ridondanti della Spagna dell'epoca, con nove nomi, una carovana di appellativi che rappresenta quasi un presagio, perché non c'è stato un solo Picasso: ce ne sono stati una decina. Nella prima metà del Novecento l'artista spagnolo è stato realista, simbolista, espressionista, primitivista, è stato (con Braque) il padre del cubismo, ha ripensato il classicismo, ha interpretato il surrealismo. Questo atteggiamento proteiforme si ritrova anche nelle sue lettere, di cui il presente volume propone un'emblematica antologia. Sembra quasi che Picasso si comporti coi suoi amori sentimentali come coi suoi amori intellettuali e che, ad esempio, quel suo fuggire a Céret con Eva senza chiarirsi con Fernande, o quelle sue profferte a Marie-Thérèse mentre è in vacanza con Dora Maar, nascano dalla stessa spregiudicata libertà che lo porta a dipingere alla Ingres e alla cubista in uno stesso periodo, in uno stesso momento, in uno stesso quadro. Picasso, però, è un maestro di pittura, non di vita. E la pittura, che preferisce chiamare col nome più dimesso ma più concreto di ""lavoro"""", non solo è la sua più grande passione, ma è anche l'unica cui sa rimanere sempre fedele. In questo senso le sue lettere ci offrono una cronaca non dei suoi amori, ma del suo amore: per l'arte."" -
La sfera dei colori e altri scritti sul colore e sull'arte
La saggistica sul colore conosce nei primi decenni dell'Ottocento punte di interesse e di diffusione mai più raggiunte in seguito. Riferimenti alle valenze simboliche del colore, ai suoi significati ideologici e persino etici si ritrovano in Novalis, Wackenroder, Tieck, Brentano e Goethe; in filosofi o scienziati come Schelling, Schopenhauer, Steffens, Hegel; in musicisti come Berger e Beethoven; nella cerchia di pittori concettuali come i nazareni di Overbeck e Pforr. Se la Farbenlehre di Goethe è forse il testo più noto di questa stagione, La sfera dei colori (Farben-kugel, 1810) e gli scritti sull'«arte nuova » del pittore romantico Philipp Otto Runge (1777-1810) rappresenteranno ancor più di quelli di Goethe, come scriverà Paul Klee, «un insegnamento imprescindibile per tutta la pittura a venire », incidendo profondamente sulla elaborazione teorica delle avanguardie artistiche degli inizi del Novecento. Le sue pagine, sempre percorse da una fortissima tensione intellettuale e morale, restituiscono i trasporti, le passioni, le utopie del romanticismo tedesco e rivelano la natura essenzialmente letteraria di Runge, testimoniata, oltre che da tutta l'opera pittorica, anche dalle due splendide fiabe (Il ginepro e Il pescatore e sua moglie) da lui composte nel dialetto della Pomerania, che nel 1811 i fratelli Grimm proporranno, nell'appello all'invio di Märchen per la loro raccolta, come archetipo strutturale e linguistico cui attenersi con la massima aderenza. (Carmen Flaim) -
Hieronymus Bosch: il regno millenario
È proprio dei grandi spiriti sollecitare indagini e interpretazioni talvolta antitetiche tra loro, soprattutto quando, come nel caso di Bosch, la loro opera è enigmatica e la loro vicenda umana rimane avvolta in un alone di leggenda impenetrabile. Wilhelm Fraenger coglie nell'arte di questo ""Virgilio della pittura olandese"""" una proiezione del messaggio religioso e rituale della comunità adamitica dei """"fratelli del Libero Spirito"""", ai cui misteri il pittore sarebbe stato iniziato ricevendone la commissione del Trittico del Regno millenario, concepito dunque con intenti e finalità pedagogiche, in quanto documento da """"leggere"""" secondo la libera e personale interpretazione degli adepti-osservatori. Secondo questa tesi Bosch non è dunque soltanto uno straordinario inventore di immagini: la sua è una visione del mondo che in ogni particolare obbedisce a un disegno allegorico di vaste dimensioni, in cui fonti teologiche, tradizione ermetica e metamorfosi alchemiche sono evocate con immagini di eccezionale pregnanza figurativa. La tesi si precisa quando Fraenger dietro al trittico, e più in generale dietro l'intera opera di Bosch, adombra la presenza di un mentore dai vastissimi orizzonti, il Gran Maestro del Libero Spirito, """"artefice di un progetto tanto ambizioso quanto articolato in ogni minimo dettaglio"""", nel quale si sarebbe configurato un sistema spirituale fondato su una triplice istanza: teologica, filosofica e pedagogica."" -
Storia della pala d'altare italiana dalle origini al Rinascimento
«""Un crocifisso romanico non era in origine una scultura né la Madonna di Duccio un dipinto..."""", osservava André Malraux. Ci proponiamo di capire cosa fossero, prima di divenire """"dipinti"""", i pannelli assemblati nei polittici dell'Europa meridionale, e più precisamente italiani, del Quattrocento e degli inizi del Cinquecento, cui può convenire il termine generico di """"pala"""". Quel che ci attrae è la qualità essenziale della pittura, quel che ci affascina sono l'autorevolezza dei grandi stili, il prestigio dei grandi nomi. Un'interpretazione puramente formale non basta tuttavia a soddisfare le nostre attese. Ci si trova dinanzi a continui interrogativi: a cosa corrisponde la distribuzione dei pannelli? Cosa si cela dietro la rappresentazione? Cambiamenti spettacolari scandiscono la storia del Quattrocento, ma chi ne è l'artefice? A quali esigenze rispondono dunque tali e tante peculiarità? È a questi quesiti che cercheremo di rispondere. Sono la filigrana del nostro lavoro»."" -
Aforismi
A Parigi, dove giunge nel 1904, Brancusi partecipa a ogni avanguardia, frequenta Picasso, Modigliani, Rousseau, Delaunay, Léger, Tzara, Man Ray, è amico di Satie e Duchamp. Ma i legami sono personali, ai movimenti rimane esterno, non interviene sulle riviste, non sottoscrive dichiarazioni. E tuttavia lascia una singolare opera di pensiero sull'arte e sulle cose. Sono frasi che troviamo annotate su taccuini, fogli sparsi, pagine di cataloghi, o ricordate dagli amici e ricorrenti nelle interviste. E una materia di sostanza orale, sovente con il sapore della massima, fatta per essere tenuta a mente e ripetuta. La si chiama, per consuetudine, col nome di « aforismi ». Radicata nelle origini rumene, nella preistoria contadina e pastorale dei Carpazi, entra con colta consapevolezza nel dibattito artistico moderno. Brancusi ebbe con poeti e letterati relazioni di consuetudine, da Apollinaire a Radiguet. Il primo saggio sulla sua opera è scritto da Ezra Pound, e una lirica di Lucian Blaga, L'Uccello sacro, è forse il testo critico più significativo sulla Maiastra. A New York, nel 1926, è presentato da Paul Morand alla personale della Brummer Gallery. Nello studio di impasse Ronsin stava appeso il ritratto di Joyce, tra la gente di casa c'era Henry-Pierre Roche, e l'ultimo incontro importante sarebbe stato con Ionesco. Presentiamo, oltre agli Aforismi di Brancusi, alcuni degli scritti più significativi di letterati e artisti suoi contemporanei, dove tra ricordi dell'uomo e narrazioni di ambiente si aprono scorci sulla poetica di uno dei massimi artisti del Novecento. -
Caravaggio. Delle sue incongruenze e della sua fama
"Questa volta mi occuperò del Caravaggio. Finora, sia me ne mancasse l'agio, sia la mia curiosità non fosse stimolata abbastanza, o forse per la combinazione delle due cause, non mi sono mai dato la pena di entrare in dimestichezza col Caravaggio. Accade, nella vita, di sentir parlare di questa o quella persona che gli amici reputano affascinante, e tuttavia essa non viene a far parte della nostra intima cerchia anche dopo ripetuti incontri. Poi, un caso fortunato dissipa il velo opaco che ci tratteneva dall'approfondire quei rapporti saltuari, e viene il gusto e la voglia di contatti più stretti e di una conoscenza completa. Comincerò con l'esaminare le opere superstiti del nostro pittore. Fino a pochi decenni or sono, la sua personalità di artista era nebulosa come quella di un Leonardo o di un Giorgione prima degli studi morelliani. Qualsiasi tela presentasse, in forti contrasti di luce, volgari e obesi giganti sacrilegamente atteggiati a Cristo o ad apostoli, figure con piumacci, baraonde di uomini e di donne dall'aspetto vizioso e alticcio, giovinastri occupati a giocare ai dadi o a barare alle carte, o più dignitose scene di concerti, veniva senz'altro attribuita a lui. Non così oggi. Il Caravaggio ha cessato d'essere una categoria o una specie, e ha riacquistato una personalità artistica definita quanto quella di Leonardo, o almeno quanto quella di Giorgione. Studierò soltanto i quadri che gli appartengono in modo indiscusso, secondo il giudizio dei più competenti.""""" -
Albrecht Dürer
"Dürer porta dentro di sé due età, due specie di uomini, e la contraddizione eterna dei grandi artisti. Due passioni, ugualmente forti, lo possiedono: nessuno più di lui fu sensibile alla particolarità dell'oggetto, al carattere della forma, alla violenza e alla complessità delle cose naturali, al vasto e poetico caos dell'universo, e nessuno tentò più energicamente di ridurli a pura intelligibilità. Questo cesellatore di fiammeggianti fogliami, questo calligrafo ornamentale, che si attarda in un labirinto di intrecci e di foglioline, ha voluto costruire un immagine dell'uomo che fosse l'esempio e il modello dei procedimenti della ragione. Egli è un poeta e un matematico dello spazio, un teorico e un ispirato."""" (Henri Focillon)" -
Ninfa moderna. Saggio sul panneggio caduto
Aby Warburg, indagando l'arte dalla prospettiva delle ""sopravvivenze dell'antichità"""", riservò particolare attenzione a un'immagine conturbante, una figura femminile ornata di panneggi alla quale diede il nome di Ninfa. Questo studio prolunga la ricerca warburgiana di Ninfa e interroga il motivo del corpo femminile e del panneggio attraverso le sue metamorfosi contemporanee. A partire dalle figure languide delle Veneri rinascimentali e dalle sante martiri barocche, si delinea un movimento che culminerà in artisti quali Brassäi, Moholy-Nagy, Alain Fleischer, Atget e Picasso. Gli artisti moderni, volgendo lo sguardo agli scarti e alle figure miserevoli che giacciono sui marciapiedi delle grandi città, riveleranno le ultime incarnazioni di Ninfa."" -
La grottesca
"Che ne è stato di quella specie di euforia davanti all'ornato, del piacere di accogliere le bizzarrie e l'assurdo, del divertimento e della canzonatura mescolati alla decorazione che abbiamo creduto di intravedere come una componente della cultura e dell'allestimento delle dimore nel corso dell'età detta classica? Una volta svilita e banalizzata la decorazione degli interni, la fantasia evapora per far posto, in tutto l'Ottocento, alla pedanteria. Se però ammettiamo che le """"follie"""" della grottesca fanno parte di una tentazione permanente che rimbalza, di epoca in epoca, ci si deve chiedere che cosa sia diventata nell'arte questa propensione al comico. [...] L'arte detta moderna potrebbe essere interrogata a tal proposito nelle sue fondamenta e nel suo """"subcosciente"""": Aubrey Beardsley, Schnitzler, i disegnatori della Secessione, esponenti dell'arte grafica in Gran Bretagna e in Germania, meritano di essere interpellati. E perché non andare oltre? Nelle forme in sospensione, in lievitazione, in corso di metamorfosi di Paul Klee, nei giochi caricaturali pieni di ghirigori e di meandri dovuti alla penna di Steinberg, e addirittura nei mobiles di Calder, che disegna con l'aiuto di falsi rami metallici sinuosità aeree affascinanti e impreviste..., si possono palesare legami familiari, reminiscenze, un bisogno di esilarante leggerezza, tutti impulsi e virtù che nulla perdono se collegati nella prospettiva storica della grottesca """"." -
Diari
L'angoscia, la vulnerabile sensibilità, il carattere sempre insoddisfatto nel valutare i raggiungimenti della propria arte espressi da Boccioni nei ""Taccuini"""", con l'adesione al futurismo del 1910 si incanalano in una direzione rivoluzionaria. """"Ora comprendo la febbre, la passione, l'amore, la violenza delle quali si parla quando si dice creare!"""" scrive nel 1911. Interrotti nel 1908 i """"Taccuini"""" autobiografici, non è facile ricostruire i motivi dell'adesione al futurismo. Alla scrittura autobiografica Boccioni tornerà nel 1915, con il """"Diario di guerra"""", quando l'avventura del futurismo sembra non soddisfarlo più. Tra i """"Taccuini"""" e il """"Diario di guerra"""" non c'è collegamento, così come non c'è possibilità di comunicazione fra arte e vita."" -
Rembrandt. Un saggio di filosofia dell'arte
Partendo da una libera indagine su alcuni aspetti centrali dell'estetica di Rembrandt, Simmel sviluppa una riflessione sul rapporto tra individuo e religione. L'arte del pittore olandese è vista come caso emblematico di affermazione dell'essere dell'individuo, non in opposizione alla pietà tradizionale, ma come capacità di ricondurre il religioso nella sfera del destino soggettivo. ""La religione viene concepita da Rembrandt"""" scrive Simmel """"nel suo senso spiritualmente funzionale come religiosità, prescindendo da qualsiasi tradizione ecclesiastica e dal suo contenuto terreno; e questo soggettivismo radicale si manifesta ovunque come valore oggettivo."""""" -
Kandinskij e io
Per ventisette anni, dal 1917 al 1944, Nina Kandinskij ha vissuto costantemente con un uomo geniale, non facile, molto più vecchio di lei e celebre ovunque. ""Ho sposato un essere di rara nobiltà, un grande artista, una personalità d'eccezione"""" scrive Nina. """"Una donna che ama davvero un uomo deve saper mandare avanti la casa e cucinare bene: deve annullarsi davanti a lui ed essere disposta a molti sacrifici per permettergli di compiere il suo lavoro senza problemi. Io l'ho fatto con Kandinskij: per questo abbiamo formato una coppia così felice, per questo non ci siamo mai separati, neppure per un giorno, in tutta la nostra vita in comune. Ho sempre cercato di rendere più facile la vita di Kandinskij e ho dovuto eliminare molti ostacoli sul suo cammino"""". Nina ha dunque dedicato a Vasilij Kandinskij la sua vita: prima, quando il marito era vivo, """"annullandosi""""; poi, dopo la sua morte, difendendone con feroce accanimento la memoria e il patrimonio artistico. E, ormai anziana, ha voluto ripercorrere, in queste vivacissime pagine, l'esaltante avventura vissuta al fianco di uno dei protagonisti della splendida fioritura artistica dei primi decenni del Novecento."" -
Lettere e testimonianze
Fondatore della Secessione Viennese, protagonista della pittura della Vienna imperiale agli inizi del Novecento, nell'epoca cioè in cui l'Austria fu definita «il laboratorio dell'Apocalisse», Gustav Klimt (1862-1918) è stato uno dei maestri dell'arte europea del ventesimo secolo. Il volume riunisce organicamente, per la prima volta in Italia, le sue lettere più significative, molte delle quali ritrovate solo di recente. Delinea così un suggestivo ritratto psicologico dell'artista: prima turbato dalla relazione clandestina con Alma Mahler, allora minorenne; poi legato a Marie Zimmermann (una modella da cui ebbe due figli) e alla stilista Emilie Flöge, la donna che frequentò tutta la vita, con cui intrattenne un carteggio fittissimo e inspiegabilmente distaccato. Oltre alle lettere sono raccolte le testimonianze di amici, familiari, artisti che gli furono vicini, e che gettano luce sui suoi rapporti con Rodin, Schiele e l'ambiente viennese. «Non valgo molto con le parole, non sono capace di parlare e di scrivere, soprattutto se devo dire qualcosa di me o del mio lavoro. Anche se devo scrivere una semplice lettera mi prende l'angoscia, come se avessi la nausea» confessa Klimt stesso, in una pagina qui pubblicata. Ma proprio le sue difficoltà e le sue reticenze ci fanno capire qualcosa di lui, che altrimenti non avremmo potuto conoscere. (Elena Pontiggia)