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La scienza della bilancia e le corrispondenze fra i mondi nella gnosi islamica
«Ci è stato detto che la condizione degli umani, lungo la loro esistenza in questo mondo terreno, è quella del sonno. Nel corso di tale sonno potranno essi percepire il senso, comprendere le parabole di cui i versetti coranici ci dicono che solo i Saggi comprendono? Ma chi sono dunque i Saggi? I Saggi sono coloro che in tre meravigliosi capitoli Ibn 'Arabi ci descrive come i ""cavalieri"""" o i """"cavalieri dell'Invisibile""""; è grazie a essi che in questo mondo terreno può esistere una """"scienza delle corrispondenze"""". [.. .] Ta bir al-ru'ya è l'interpretazione delle visioni, dei sogni, ed è una delle applicazioni per eccellenza della """"scienza della Bilancia"""". Essa permette di compiere il passaggio dalle forme percepite nella visione al significato segreto della loro apparizione. Le nostre visioni in sogno nel mondo della Notte. come quelle che percepiamo in ciò che chiamiamo il mondo del Giorno, necessitano del medesimo passaggio, affinché noi possiamo percepirne il significato segreto. La ragione di questo è che sia le une che le altre sono motivate da un'intenzione segreta propria a un altro mondo e da esso proveniente. Ecco perché il mondo del nostro presente, della Notte come del Giorno, è un ponte che si tratta di oltrepassare. Un ponte è un luogo di transito; non ci si ferma, né si prende dimora su un ponte. Lo si varca, e occorre varcarlo per comprendere il significato segreto, la """"corrispondenza"""" invisibile di quel che è trasceso e lasciato da questa parte. Tale è il compito degli interpreti, degli ermeneuti del senso esoterico, promossi al rango di """"cavalieri dell'Invisibile""""»."" -
Drammi celtici. Testo inglese a fronte
Tra il 1899 e il 1904 Yeats, insieme a Lady Augusta Gregory, fonda il Teatro Nazionale Irlandese nella sede dell’Abbey Theatre di Dublino. Nei suoi testi che qui rappresenta negli anni successivi, Yeats mette in scena una drammaturgia severa e rituale, influenzata anche dall’antico teatro giapponese del nō, riducendo al minimo gli scenari reali e concentrandosi nella gestualità e nel linguaggio al tempo stesso poetico e nutrito di tutte le infinite metafore della parlata popolare. Scritti in un unico atto, i quattro drammi che qui si presentano nella splendida traduzione di Giorgio Manganelli (Deirdre, Al pozzo dello sparviero, Sulla spiaggia di Baile, L’unica gelosia di Emer) ruotano intorno alle epopee di mitici eroi irlandesi, tra cui quelle del re Cuchulain e dei tragici amanti Deirdre e Naoise, simboli dell’Irlanda ridotta in schiavitù, ma pur sempre libera nella sua dignità spirituale e morale. -
Il briccone divino
Burlone spesse volte burlato, singolare divinità fallica, forza istintiva della natura, il ""dio Briccone"""" (trasfigurazione del coyote) è l'astuto e maldestro personaggio di questo libro, che presenta e commenta un ciclo mitico degli indiani Winnebago (Sioux). Il Briccone è una divinità che satireggia con i suoi atti le istituzioni e le credenze religiose dei suoi adepti: è natura cieca che crea, riproduce e distrugge, ed è insieme vittima - negli episodi di più marcato umorismo - del suo stesso slancio vitale. Dopo la narrazione delle 49 avventure del dio, tre grandi studiosi analizzano dal punto di vista mitico, psicologico, storico ed etnologico il grande ciclo del Briccone divino. Infatti un saggio di Paul Radin illustra la storia e la cultura dei Winnebago, inquadrandole nella cornice delle tribù indiane del Nord-America; C. G. Jung scopre il filo psicologico che unisce il ciclo del Briccone ad altre figure mitiche e religiose in aree culturali differenti; Karl Kerényi chiarisce infine analogie e diversità tra la mitologia occidentale e quella degli indiani nordamericani."" -
Il mercato dei folletti
"Goblin Market"""" (Il Mercato dei Folletti) costituisce, assieme ad altre poesie, il primo libro pubblicato da Christina Rossetti (era il 1862, e la poetessa aveva 32 anni) e rimane la sua opera più famosa. Apparentemente rivolto a un pubblico infantile (per un certo periodo fu erroneamente considerato «poesia per bambini» come lo sono invece le filastrocche intitolate Sing-Song, di cui qui presentiamo una scelta) è finito perfino, ai nostri tempi, in pasto a interpretazioni dissacratorie in chiave erotica: in realtà si tratta, com'era certamente nelle intenzioni di Christina, di un'allegoria del peccato e della redenzione. La carnalità e l'edonismo con cui Christina descrive i «piaceri proibiti», anche quelli semplici di gola (l'amore per i dolci, succosi frutti mediterranei), dimostrano, oltre al notevole virtuosismo tecnico della poetessa, anche la sua fondamentale innocenza priva di moralismi. Ovviamente, l'allegoria del poemetto è aperta a molte interpretazioni: Laura e Lizzie, le due sorelline legate da indissolubile vincolo di affetto, sono Christina e Maria (la sorella fattasi suora), ma sono anche, verosimilmente, Christina e il fratello Dante Gabriele, di caratteri invece più simili ma di destini diversi. Di Dante Gabriele, il celebre pittore preraffaellita, è nota infatti l'esistenza tumultuosa, mentre la vita casta e quasi monastica di Christina fu come quella di Emily Dickinson: «troppo semplice e severa per mettere in imbarazzo chicchessia»." -
I dialoghi
"Il Lunyu («Dialoghi», «Conversazioni») è attribuito dalla tradizione ai discepoli di Kong Qiu (Kong Zhongni, Kongzi: 551-479 a.C.), da noi conosciuto col nome latinizzato di Confucius, secondo il modo dei missionari cattolici. Si tratta in realtà di un testo composito, pervenutoci nella redazione del II secolo a.C. (dinastia Han) rivista e commentata dal filosofo Zhu Xi (secolo XII), il grande organizzatore del sistema di pensiero noto in Occidente come neoconfucianesimo, che ha costituito l'ortodossia nella classe dominante dal tardo medioevo alla fine dell'impero. Pur non essendo accredita- bile come opera autentica e integrale dei discepoli di Confucio, il Lunyu resta tuttavia, fra i classici indebitamente a lui attribuiti, quello che in modo più diretto reca le tracce del pensiero del Maestro, e nel quale con più immediatezza è rappresentata anche la sua figura d'uomo."""" (Dallo scritto di Edoarda Masi)" -
Poesie e prose. Testo originale a fronte
«Profeta della natura», come disse di lui l'amico Wordsworth, Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) fu grande innovatore della poesia non solo inglese del suo tempo, poiché seppe sostituire al soprannaturale fantastico dei preromantici il soprannaturale psicologico, calato entro la realtà umana, viva e drammatica, e rivestito di una forma lirica ineccepibile. Bastano celebri componimenti come La ballata del vecchio marinaio o Kubla Khan a dare la dimensione cosmica di quest'arte poetica fra le maggiori del romanticismo europeo. Nelle prose (soprattutto nella Biographia Literaria e nei Saggi sulle belle arti, di cui viene presentata una scelta nel presente volume), a cui si dedicò durante l'ultima parte della sua vita, Coleridge tentò di risolvere teoricamente l'esigenza di sintesi tra natura e spirito che la poesia non bastava a esaurire in sé, a esprimere compiutamente, a ordinare. -
La chiave spirituale dell'astrologia musulmana secondo Mohyiddîn Ibn 'Arabî
Titus Burckhardt è considerato da lungo tempo, con Eliade e Guénon, uno dei maestri indiscussi della tradizione spiritualista. Con ""La chiave spirituale dell'astrologia musulmana"""" (1950) ci offre l'occasione di approfondire la storia e i capisaldi di una scienza antichissima, affrancandola così dalle semplificazioni e dagli abusi compiuti dalla cultura occidentale. Scrive Burckhardt nell'esordio del libro: «L'opera scritta del """"più grande Maestro"""" sufi, Mohyiddîn Ibn 'Arabî, comporta alcune considerazioni sull'astrologia che permettono d'intravedere come questa scienza, giunta all'occidente moderno in modo frammentario e ridotto a certe sue applicazioni contingenti, potesse riallacciarsi a principi metafisici, dipendendo, dunque, da una conoscenza a sé stante. L'astrologia quale fu nelle civiltà cristiana e islamica, e come ancora sussiste in certi paesi arabi, deve la sua forma all'ermetismo alessandrino. Essenzialmente non è dunque né cristiana né islamica, e non potrebbe d'altra parte trovar posto nella prospettiva religiosa delle tradizioni monoteiste, dato che questa prospettiva insiste sulla responsabilità dell'individuo davanti al suo creatore»."" -
Diari intimi
«È impossibile scorrere una qualsiasi gazzetta, di non importa che giorno, mese o anno, senza scoprirvi ad ogni riga i segni della più spaventosa perversione umana e, al contempo, le più stupefacenti vanterie di probità, di bontà, di carità con le affermazioni più sfrontate circa il progresso e la civiltà. Ogni giornale, dalla prima all’ultima riga, non è che un contesto d’orrori. Guerre, delitti, furti, impudicizie, torture, crimini nazionali, delitti privati, un’ubriacatura d’atrocità universale. Ed è con un simile disgustoso aperitivo che l’uomo civile accompagna la sua colazione d’ogni mattina. In questo mondo tutto trasuda il delitto: il giornale, i muri e il volto umano. Non capisco come una mano pura possa toccare un giornale senza provare un brivido di disgusto». -
Nuove letture talmudiche
«Secondo la sapienza dei rabbini, nulla è più autorevole dell'insegnare in presenza dei propri maestri. L'eccellenza del maestro e l'elevazione dell'allievo - e i suoi doveri - hanno inizio laddove un elemento sia pur isolato del sapere si sia trasmesso da spirito a spirito. Considerate dunque i miei scrupoli! Se ho accettato di fare questa lettura talmudica senza l'erudizione tradizionale, senza l'acutezza di spirito che essa presuppone o anche contribuisce ad affinare, è unicamente per testimoniare che un ""dilettante"""", purché attento alle idee, può trarre anche da un superficiale approccio a questi ardui testi - senza i quali non vi sarebbe giudaismo, ma la cui lingua e i cui interessi appaiono al principio così singolari che noi, ebrei d'oggi, abbiamo qualche difficoltà a rivendicarli - suggerimenti essenziali per la sua vita intellettuale intorno a questioni che agitano l'uomo di tutte le epoche, ovvero l'uomo moderno»."" -
L' amicizia
«Quel che è importante mostrare, attraverso questo esemplare scritto di Bataille, è come il pensiero possa, con il più grande rigore, parlare di ciò che di questo rigore è la continua messa in crisi. L'esistenza, l'infinita ricchezza dell'esistenza, compresa la sua ""parte maledetta"""", non è l'opposto del pensiero, ma il bordo di uno stesso limite. Il pensiero più rigoroso è esattamente quello che sa stare sul limite. Come esso ci stia poco importa. Quel che conta è quanta libertà mostra e fa respirare, quanta gioia sa trasmettere (la gioia di cui parla Bataille alla fine de L'amicizia). Ed è per questo che il pensiero, la pratica di pensiero, ad avviso di Bataille può essere soltanto una pratica dell'amicizia, intesa come un sottrarsi e un esporsi ai propri limiti per aprirsi all'altro.» (Dallo scritto di Federico Ferrari)"" -
Lettere di un maestro sufi
«La prima cosa che appresi dal mio maestro - Iddio sia soddisfatto di lui - fu questa: mi caricò di due ceste colme di prugne. Io le presi in mano anziché pormele sulla nuca, come m'aveva indicato, ma nondimeno la cosa mi affliggeva grandemente e mi era così penosa che la mia anima si contrasse; essa s'agitava, si umiliava e si turbava oltre misura, a tal segno che quasi ne piangevo - e, nel nome di Dio, avrei davvero pianto per tutte le umiliazioni, il disprezzo e il dispetto che avrei dovuto subire in quella prova -, giacché la mia anima non aveva mai accettato una cosa simile né piegato la testa, e fino a quel momento ero stato inconsapevole del suo orgoglio, della sua rivolta e della sua corruzione; ignoravo se fosse orgogliosa o meno, e nessuno tra i teologi di cui avevo seguito le lezioni - ed erano numerosi - m'aveva ragguagliato al proposito. Mentre mi dibattevo in questa perplessità e in questa pena, ecco che il maestro, con la sua profonda intuizione, venne verso di me, mi prese le due ceste dalle mani e me le posò sulla nuca dicendo: ""Fa' in tal modo la prova del bene per scacciare un po' d'orgoglio!"""". Con queste parole mi aperse la porta della rettitudine, poiché così appresi a distinguere gli orgogliosi dagli umili, i seri dai frivoli, i sapienti dagli ignoranti, gli uomini di tradizione dagli innovatori e quelli che possiedono la scienza e l'applicano da quelli che si limitano a possederla senza metterla in pratica. [...] Infatti il maestro - sia Dio soddisfatto di lui - m'aveva insegnato a distinguere la verità dalla vanità e ciò che è serio dalla farsa; Dio lo ricompensi di ciò e lo protegga da ogni male!»."" -
Chiari del bosco
"Le caratteristiche di Chiari del bosco corrispondono a quelle della 'guida', un genere di testo passato in Spagna dall'Oriente, che è composto di figure alimentate dalla fantasia piuttosto che da argomentazioni, che è insieme comunicativo ed enigmatico, che suggerisce più di quanto non dica perché vuole che le sue verità rinascano e rivivano il più direttamente possibile nell'interiorità del lettore. Questi viene condotto, così, non tanto a condividere un sapere, quanto ad assimilare un'esperienza di tipo iniziatico, alimentata da una scrittura fortemente ellittica, lampeggiante, ora fin troppo coordinata ora bruscamente scoordinata, che lo obbliga a farsene coautore, a esporsi con tutto se stesso azzardando significati che il testo non garantisce. E che confluiscono in un 'logos sommerso' o 'logos del pathos', come la Zambrano ha chiamato in un'altra opera questa forma di comprensione inseparabile dalla situazione vitale di quanti si trovano a parteciparne. Di qui il riecheggiare, in queste pagine, della visione sapienziale dei presocratici, delle religioni salvifiche greche e romane, della tradizione gnostica, dell'idea - mutuata tra l'altro da Nietzsche - della filosofia come 'trasformazione'."""" (dallo scritto di Carlo Ferrucci)" -
Conversazioni
In queste intense conversazioni radiofoniche del 1948, l’allora quarantenne Maurice Merleau-Ponty traccia, per un grande pubblico, le linee direttrici di gran parte del suo lavoro successivo: il mondo della percezione, l’arte, la politica, l’animalità, l’uomo, la follia. Con un linguaggio limpido e immediato viene qui tratteggiata l’esigenza indemandabile di un pensiero che ritorni alle cose stesse, a quel mondo accessibile ai sensi che in ogni istante incontriamo. Inizia così a delinearsi un modo di far filosofia che influenzerà profondamente il pensiero contemporaneo. Merleau-Ponty, con lucidità e forza, e al di là di ogni pensiero nostalgico, ci pone di fronte alla necessità di restituire al nostro tempo una verità adeguata e, per questo, ancora e per sempre da scoprire. Poiché, come egli scrive, «la verità è che il nostro problema consiste nel fare nel nostro tempo, e attraverso la nostra esperienza, quel che i classici hanno fatto nel loro». -
Parmenide ed Eraclito. Empedocle
«Sono qui da 100 ore, e appena mi sto riscotendo dallo stupore, e comincio a sbatter gli occhi, a poter pensare e scrivere, a riadattarmi alle cose di qua, a riprender l'istinto dei gesti, delle abitudini, delle frasi. E così la testa è libera e non è costretta a pensarci su per ogni minimo atto [...]». Così inizia una lettera di Michelstaedter a Chiavacci scritta a Gorizia il 29 giugno 1909. Quell'estate appena iniziata sarà decisiva per Michelstaedter e non solo perché si sta accingendo a scrivere la tesi di laurea, ""La persuasione e la rettorica"""", ma anche perché ritrova la sua famiglia e gli amici, rivede i luoghi dell'infanzia, mentre si acuisce in lui un senso profondo di prostrazione e gli si rivela l'urgenza di un «dovere» che sembra balenare tra le pieghe stesse del dolore. Tutto questo in Michelstaedter si accompagna, come sempre, all'esercizio del pensiero che comincia a prender forma soprattutto attraverso la meditazione sui frammenti dei prediletti Presocratici, come testimoniano questi """"Appunti"""". Si tratta di fogli di annotazioni e di idee, un esempio di scrittura «privata», irrequieta, apparentemente disadorna, dove il greco, il latino e il tedesco si combinano senza cesure con l'italiano, e in cui la vita stessa (o il suo anelito) dà spesso l'impressione come di schiudersi in un lampo."" -
Il romitaggio della dimora illusoria
«Gli haikai sono fastidiosi, come erbe sul sentiero della vita» confidò Bash? a Inen. Sembra inoltre che talvolta si lasciasse sfuggire con i discepoli parole dileggianti gli haikai. Parole del tutto logiche in un uomo che aveva abbandonato il mondo e che considerava la vita un sogno incessante. Ma non v'è dubbio che nessuno si appassionò con altrettanto fervore a simili «erbe sul sentiero». Perciò potrebbe essere lecito domandarsi se tale affermazione non sia che un vezzo. Toh? racconta: «Il vecchio affermò che v'è sempre qualcosa da imparare. ""Quando compongo non v'è spazio, neppure per un capello, tra me e il tavolino, e i pensieri fluiscono rapidi, non ho più dubbi. Ma quando mi allontano dal tavolino, non sono altro che cartacce"""" ammonì poi con severità. Proseguì dicendo che talvolta comporre era come tagliare un grosso albero. Bisognava essere capaci di colpire al limite dell'elsa con un fendente, come quando si spacca in due un melone. Come quando si affondano i denti in una pera». Con tale impeto si espresse Bash?, quasi stesse insegnando l'arte della spada. Non sono certamente, le sue, parole di un uomo che ha abbandonato il mondo e che considera gli haikai un gioco. (Dallo scritto di Ry?nosuke Akutagawa)"" -
Kappa
«Prima di procedere nel racconto, penso di dover dire qualcosa sugli animali chiamati kappa. Taluni ancora dubitano della loro esistenza, che invece è reale, com’è vero che io stesso ho vissuto tra loro. Hanno capelli corti, e le dita delle mani e dei piedi congiunte da una membrana […]. In media, sono alti poco più di un metro. Secondo il dottor Chack il loro peso oscilla tra i nove e i dieci chili, ma alcuni eccezionalmente grossi raggiungono i venticinque chili. La parte superiore del loro cranio è concava, rotonda come una scodella, e pare che diventi sempre più dura col passar degli anni. […] Ma ciò che più colpisce nei kappa è la facoltà, ignota agli uomini, di cambiar colore a seconda del luogo in cui si trovano. […] I kappa devono avere un considerevole deposito di grasso sotto la pelle. Infatti non usano nessun indumento nonostante la temperatura piuttosto bassa – circa 10 gradi – del loro paese sotterraneo. Invece usano occhiali e portano con sé portasigarette, libri in edizioni tascabili e cose del genere, ma non per questo hanno bisogno di vestiti e di tasche, giacché, come i canguri, sono naturalmente forniti di una graziosa borsa sul ventre. La cosa che mi sembrò più curiosa è che essi non si coprono neppure con un perizoma». Pubblicato nel 1926, un anno prima della morte dell’autore, Kappa è il capolavoro di Ryūnosuke Akutagawa, qui riproposto nella versione di Mario Teti. -
Nel labirinto
“Nel labirinto”, il quarto romanzo di Alain Robbe-Grillet, fu pubblicato per la prima volta nel 1959. Erano gli anni in cui si stava raccogliendo intorno a una piccola casa editrice (Les Éditions de Minuit) e imponendo ai lettori il più prestigioso gruppo di scrittori in lingua francese del dopoguerra (oltre a Robbe-Grillet, Michel Butor, Claude Simon, Samuel Beckett, Nathalie Sarraute). Considerato il capofila del «nuovo romanzo», Robbe-Grillet ebbe con “Nel labirinto” la sua definitiva consacrazione. Opera di compiuta maturità espressiva, questo romanzo si rivela forse il più felice e coinvolgente tra quelli scritti dal grande narratore francese. Oggi, ormai distante dalle accese discussioni che “Nel labirinto” provocò, il lettore può finalmente valutare senza pregiudizi l’intatta novità del romanzo e cogliere, nella «parabola» del soldato che erra in una città deserta alla ricerca di una persona che non conosce, la metafora di un percorso che ciascuno di noi, anche oggi, compie tentando di decifrare i segni e le tracce enigmatiche che esso incessantemente ci propone. -
Friedrich Nietzsche
Mia cara Lou, la Sua idea di una riduzione dei sistemi filosofici ai documenti personali dei loro autori è davvero il pensiero di una «mente sorella»: io stesso, a Basilea, ho esposto in questo senso la storia della filosofia antica, e amavo dire a quanti mi ascoltavano: «Questo sistema è stato confutato ed è morto, ma la persona che vi sta dietro non è confutabile, la persona non può considerarsi morta» - Platone, ad esempio [...]. Per quanto concerne la Sua «Caratterizzazione di me stesso» che, come Lei scrive, risponde a verità, mi ha fatto venire in mente quei miei versi della Gaia scienza, [...] dal titolo «Richiesta». Indovini un po', mia cara Lou, quel ch'io richiedo? [...] Ieri pomeriggio ero felice: il cielo era azzurro, l'aria mite e tersa, ero nella Rosenthal, richiamatovi dalla musica della Carmen. Sono rimasto seduto là per tre ore, e ho bevuto il secondo cognac di quest'anno, in ricordo del primo (ah! com'era cattivo!), e intanto meditavo, in tutta innocenza e malizia, se non avessi una qualche predisposizione alla follia. Alla fine mi sono detto: no. Poi è iniziata la musica della Carmen e per una mezz'ora sono stato sopraffatto dalle lacrime e dal batticuore. Quando leggerà queste cose, Lei concluderà di certo: sì! e prenderà un appunto per la «Caratterizzazione di me stesso». Venga presto a Lipsia, ma presto davvero! Perché soltanto il 2 ottobre? Adieu, mia cara Lou! (Lettera di Friedrich Nietzsche a Lou von Salomé a Stibbe, Lipsia, presumibilmente il 16 settembre 1882). -
La condizione operaia
"Il 4 dicembre del 1934, Simone Weil fu assunta come operaia presso le officine della società elettrica Alsthom di Parigi [...]. Inizia così la fase sperimentale della sua ricerca sull'oppressione sociale che si protrarrà fino all'agosto dell'anno successivo, con due pause imposte da una malattia e dalla difficoltà a trovare un nuovo impiego. Ricerca dolorosa, per il corpo sottoposto a una prova durissima, e per il pensiero costretto a verificare fino in fondo lo stato di abbrutimento fisico e morale a cui gli operai erano ridotti, la loro piena soggezione a un meccanismo produttivo impenetrabile al pensiero. Di questa ricerca Simone Weil volle registrare di giorno in giorno, quasi di momento in momento, i dati oggettivi, le reazioni personali, le prove fisiche e psicologiche, i rapporti tra le persone, in una parola la realtà concreta della condizione operaia vissuta dall'interno. Al lettore viene così offerta una rappresentazione della vita di fabbrica condotta al limite della umana sopportabilità. Una rappresentazione fatta di situazioni, di dettagli, di impressioni fisiche e psicologiche, di descrizioni tecniche delle macchine e dei procedimenti di lavoro, di sofferenze e di angosce, ma anche di insperati momenti di gioia per un cenno di solidarietà o per il fugace sentimento di essere partecipi di una operosa vita collettiva piuttosto che succubi di un degradante asservimento al processo produttivo."""" (Dalla postfazione di Giancarlo Gaeta)" -
La disumanizzazione dell'arte
«Isis Mirionima, cioè Iside dai diecimila nomi: così gli egiziani chiamavano la loro dea. Ogni realtà, in un certo senso, è come Iside. I suoi elementi, i suoi aspetti sono innumerevoli. Non è segno di audacia pretendere di definire una cosa, anche la più umile, con un certo numero di denominazioni? Sarebbe eccezionale se, fra gli infiniti discorsi che si fanno sull'arte, le cose dette da noi risultassero effettivamente osservazioni decisive. L'improbabilità aumenta quando si tratta di una realtà nascente, che inizia ora la sua traiettoria nel mondo. È assai probabile, quindi, che questo tentativo di descrivere l'arte nuova non contenga altro che errori».