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Pablo Reinoso. Ediz. francese
Questo volume è la prima monografia importante dedicata all’opera di Pablo Reinoso, artista e designer franco-argentino, eclettico e curioso autodidatta. Pablo Reinoso formatosi come sculture è di fatto un artista poliedrico. Nato in Argentina da madre francese, si trasferisce nel 1978 a Parigi. La sua opera si articola per serie come per esempio Articulations (1970-1980), Water Landscapes (1981-1986), The Discovery of America (1986-1989), Breathing Sculptures (1995-2002) che rivisita, stravolge, rielabora esplorando mondi e materiali diversi: un work in progress che riflette il suo modo di pensare. In Ashes to Ashes (2002), opera più matura, si confronta con listelli di legno che piega e spezza per liberarli dalla loro funzione originaria. Sempre in questa prospettiva, ma avendo nel frattempo maturato una forte esperienza come direttore artistico e designer presso grandi imprese, dal 2004 lavora a una serie centrata su un’icona del design industriale, la sedia Thonet. Due anni dopo si concentra sulle panchine pubbliche che con il loro design anonimo attraversano tutte le epoche e le culture. Nascono così gli Spaghetti Benches che si diffonderanno e collocheranno nei luoghi più disparati. Nell’ultima serie, Scribbling Benches, alla quale inizia a lavorare nel 2009, Pablo Reinoso cambia ancora e parte dalla putrella d’acciaio: un elemento pesante, destinato a strutturare e reggere l’architettura, che si torce come un filo per creare una panca e disegnare spazi leggeri, trasparenti, luoghi di meditazione. -
Memorie del vaso blu
Il Vaso blu è un ""piccolo"""" capolavoro conservato tra i tanti tesori del Museo Nazionale Archeologico di Napoli. Scoperto nel 1837 a Pompei in una nicchia della piccola tomba a camera prospiciente la Villa delle Colonne a mosaico, ha solo due colori: il cupo cobalto di fondo sul quale l'incisione dello strato vetroso bianco sovrapposto - realizzata proprio come se si fosse trattato di scalfire gli strati di agata o di conchiglia per ottenere un cammeo - disegna fitti tralci di vite sotto i quali dei bambini vendemmiano grappoli. Le azioni e i gesti dei protagonisti sono quelli consueti di una vendemmia, l'importante momento della vita dei campi raffigurato più volte nel corso dei secoli dagli antichi artigiani sulla ceramica, in affreschi, in mosaici o nel marmo. Ma se nella maggior parte delle rappresentazioni di vendemmia è presente il senso della fatica, qui c'è invece un'atmosfera giocosa, i piccoli personaggi sembrano divertirsi nel suonare i vari strumenti e sembrano muoversi con leggeri passi di danza. Oltre ad essi e, ovviamente, ai tralci di vite, ecco maschere su foglie d'acanto, rami di quercia, ghirlande d'edera, uccelli, spighe di grano, capsule di papaveri, mele cotogne, rami di alloro, melograni e tanti altri frutti dell'estate e dell'autunno, contrapposti e mescolati nell'evocazione di una natura feconda e generosa. La scelta delle essenze vegetali non è casuale: ognuna di esse è carica di significati religiosi e simbolici."" -
Prisoners' objects. Ediz. illustrata
Il libro illustrato che presenta una selezione internazionale di artefatti realizzati dai detenuti e raccolti dal Museo Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa nel corso di un secolo. Il museo ospita una collezione unica al mondo di «oggetti dei prigionieri» realizzati dai detenuti e offerti ai delegati della ICRC che li vanno a trovare in virtù del mandato previsto dalle Convezioni di Ginevra. Gli oggetti sono i testimoni silenziosi di numerose situazioni di violenza che scuotono il nostro pianeta da oltre un secolo, dal Cile al Vietnam, dall'Algeria alla Jugoslavia, dal Ruanda all'Afghanistan... Secondo una detenuta libanese «creare è un modo per conquistare una libertà di espressione, per esprimere il proprio pensiero quando tutto intorno ti spinge a tacere e a dimenticare chi sei». Se alcuni oggetti ci colpiscono per la loro semplicità, altri ci sorprendono per la loro bellezza o inventiva. Alcuni portano il segno di una storia personale carica di emozioni e ci invitano a compiere un viaggio nel tempo e nella storia collettiva. -
Ai Weiwei. D'ailleurs c'est toujours les autres. Ediz. a colori
Il catalogo presenta una selezione delle opere del più celebre degli artisti cinesi dal 1995 a oggi e presenta lavori recenti e interventi pensati appositamente per gli spazi del Palais de Rumine, riunendo tutte quelle istituzioni che hanno fortemente contribuito all'identità di questo spazio fin dalla sua nascita, in particolare i musei di archeologia e storia, zoologia e geologia. Opere in porcellana, legno, alluminio, marmo, giada, vetro, bambù e seta, ma anche carte da parati, fotografie, video e un filmato testimoniano la ricchezza dell'opera di Ai Weiwei e la sua profonda conoscenza della tradizione del suo paese. Al tempo stesso l'artista interpreta i motivi, i processi di fabbricazione e i materiali tradizionali in modo ludico e iconoclasta (con uno spirito vicino a Marcel Duchamp) per arrivare a una critica - a volte nascosta, altre più gridata - del sistema politico cinese. Opere più recenti testimoniano la problematica complessità delle nostre relazioni internazionali (dipendenze economiche, flussi migratori e così via). ""Ai Weiwei. C'est toujours les autres"""" presenta un uomo a tutto tondo: grande artista plastico, spirito enciclopedico, comunicatore eccezionale, impegnato in prima persona nelle grandi questioni del mondo, Ai Weiwei è forse il primo artista veramente «globale». Nel suo lavoro scultoreo, riprende e si allontanana dalle tradizioni artigianali cinesi parodiando al tempo stesso la pop art e la scultura minimalista americana. Attraverso fotografie e filmati, cerca di registrare le trasformazioni delle città e dei movimenti migratori. Artista prolifico e impegnato, utente virtuoso dei social network, Ai Weiwei combina con sapienza arte, vita privata e impegno politico."" -
Graver la lumière. L'estampe en 100 chef-d'oeuvre. Ediz. a colori
Frutto della pazienza di alcuni collezionisti privati che hanno saputo riunire i grandi nomi dell’arte della incisione e della passione di artisti contemporanei vicini all’Atelier de Saint-Prex, questa collezione permette di ripercorrere la storia dell’incisione, dalle prime incisioni su legno del XV secolo alle invenzioni più libere del xx secolo. Uno sguardo soggettivo che più che un approccio cronologico, si propone un accostamento libero e sensibile che fa emergere le affinità fra maestri antichi e artisti moderni. Così troveremo un cliché-verredi Pierre Schopfer accanto a un paesaggio di Corot o alle incisioni a bulino di Yersin, Dürer, Nanteuil o Mellan; potremo accostare alcune vedute di Palézieux alle lastre di Canaletto o di Claude Lorrain, associare il tratto tagliente di Urs a un’acquaforte di Callot e riconoscere in alcune litografie di Edmond Quinche la tal pagina di Daumier o lo stile di Toulouse-Lautrec; e ancora, vedremo Pietro Sarto seguire le orme di un Gautier-Dagoty o di un Goya, e infine potremo ammirare un’acquaforte di Rembrandt, le invenzioni di Piranesi o una lastra in rame di Picasso. E non per fare raffronti o stabilire gerarchie, ma per rammentarci che da sempre le interrogazioni formali e le ambizioni tecniche si rispondono da un’opera all’altra e trascendono il tempo. -
I have longed to move away. Lawrence Carroll, works 1985-2017. Ediz. bilingue
Il catalogo accompagna la mostra monografica dedicata dal Museo Vincenzo Vela a Mendrisio-Ligornetto all'opera dell'artista Lawrence Carroll (1954). Nato a Melbourne, Carroll nel 1958 si trasferisce in California, per poi stabilirsi a New York nel 1984, dove porta avanti la propria ricerca artistica al di là delle mode del momento, con una profonda coerenza e dedizione al linguaggio e alla pratica della pittura. Quest'ultima interpretata come gesto che si attua al confine tra le varie espressioni formali dell'arte: una pittura che è lenta stratificazione di colore, di materiali e oggetti, in cui la superficie del quadro si apre all'ambiente rendendo labili i confini stessi tra i linguaggi di pittura, scultura e installazione. Nei suoi diversi spostamenti Carroll ha sempre ricercato la quiete dello studio e una dimensione intima di lavoro. Esplora la durata come fragilità di tempi e di spazi, dove la memoria è al centro della sua poetica. Antichi ricordi affiorano sulla superficie, si sedimentano strato su strato come sovrapposizione di luce, polvere e materia in campiture di colore chiaro - un pigmento inteso il più simile possibile al supporto della tela. Nella flagrante porosità della superficie emergono tracce e grafemi, si appoggiano oggetti. Ne consegue un universo poetico di rarefatte rispondenze, di narrazioni in divenire e allo stesso tempo avvolte in un'atmosfera sospesa e metafisica, da intendersi come ""metafisica del quotidiano"""". Strutturata come una sorta di autobiografia allestita nella sale della casa-museo, l'esposizione presenta opere di Carroll dagli esordi fino ai nostri giorni, evidenziando le sottili tematiche ricorrenti come pure gli snodi dai quali hanno preso avvio nuove ricerche. Nella pubblicazione gli autori affronteranno per la prima volta l'intero percorso creativo dell'artista, nelle sue varie declinazioni. Il volume sarà corredato di un ricco apparato iconografico e bio-bibliografico, oltre che di un'intervista all'artista."" -
The narrative figuration fondation gandur pour l'art. Ediz. illustrata
Nel corso degli anni Sessanta, nasce negli Stati Uniti e in Europa un nuovo genere di figurazione. Mentre a New York la pop art offre uno sguardo nuovo su un'America in pieno tumulto, a Parigi i pittori francesi, italiani, spagnoli, portoghesi, tedeschi e islandesi cominciano a ispirarsi alle immagini della pubblicità , del cinema e della stampa. Riuniti nel movimento di figurazione narrativa, questi artisti muovono una critica severa alla nuova societàgovernata dal consumo. Testimoni impegnati, molti di loro prenderanno parte alla contestazione politica sfociata nel Maggio '68 in Francia. Diventati figure di riferimento, oggi sono stati riscoperti da musei come il Centre Pompidou che hanno dedicato loro sempre più mostre. Grazie alle acquisizioni di grandi opere, la collezione della Fondation Gandur pour l'Art di Ginevra offre probabilmente uno dei panorami più completi delle opere di Adami, Aillaud, Arroyo, Erró, Fromanger, Jaquet, Klasen, Monory, Rancillas, Schlosser, Stämpfli, Télémaque e Voss. A cura di Jean-Paul Ameline, commissario della mostra «Figuration narrative, Paris, 1960-1972» che si è tenuta nel 2008 al Grand Palais, questo catalogo ne presenta le opere principali, studiate e analizzate dalle schede redatte da conservatori e storici dell'arte esperti di questo movimento che ha segnato gli anni Sessanta in Europa. -
Kulango figurines. Wild and mysterious spirits. Ediz. inglese e francese
Il presente volume presenta le opere in miniatura create dai Kulango, nel nord-est della Costa d'Avorio, antichi vassalli dei due regni del paese (Bouna e Gayman). La loro arte, poco conosciuta, straordinariamente varia, incuriosisce e sconcerta al tempo stesso. Le loro creazioni, perlopiù in metallo, denotano una straordinaria libertà d'espressione, rompono con i canoni iconografici che caratterizzano le loro statuette in legno. Liberati dalla ieraticità, i corpi sembrano reinventare il movimento adattando a volte una gestualità quasi coreografica, una grazia aerea, delle linee sinuose. Oppure, in una fremente tensione, rivelano busti inattesi, inarcamenti provocanti, talvolta si allungano fino al parossismo, con virtuose scorciatoie, volumi stilizzati. Alcune opere sono ancora più strane, come i siamesi, un trio indissolubile, creature senza testa o con un'unica testa e due busti, una gamba sola o quattro gambe, piedi palmati, braccia pinnate, corpi anellati. Chi sono questi esseri enigmatici dagli occhi prominenti che scrutano nell'invisibile? Le scelte plastiche si limitano a questi pochi esempi? La rosa di stili è stupefacente, le forme più imprevedibili. Il volume presenta più di cento statuine, tutte al di sotto dei dieci centimentri di altezza: ciondoli, talismani, statuette divinatorie, pesi per l'oro. Introdotte nel nostro universo attraverso la metamorfosi fotografica, trasfigurate dall'illuminazione e dall'inquadratura, queste opere così resuscitate risorgono, come apparizioni da un altro mondo. -
Les figurines des Kulango. Les esprits mystérieux de la brousse de la collection Pierluigi Peroni. Ediz. francese e inglese
Il presente volume presenta le opere in miniatura create dai Kulango, nel nord-est della Costa d'Avorio, antichi vassalli dei due regni del paese (Bouna e Gayman). La loro arte, poco conosciuta, straordinariamente varia, incuriosisce e sconcerta al tempo stesso. Le loro creazioni, perlopiù in metallo, denotano una straordinaria libertà d'espressione, rompono con i canoni iconografici che caratterizzano le loro statuette in legno. Liberati dalla ieraticità, i corpi sembrano reinventare il movimento adattando a volte una gestualità quasi coreografica, una grazia aerea, delle linee sinuose. Oppure, in una fremente tensione, rivelano busti inattesi, inarcamenti provocanti, talvolta si allungano fino al parossismo, con virtuose scorciatoie, volumi stilizzati. Alcune opere sono ancora più strane, come i siamesi, un trio indissolubile, creature senza testa o con un'unica testa e due busti, una gamba sola o quattro gambe, piedi palmati, braccia pinnate, corpi anellati. Chi sono questi esseri enigmatici dagli occhi prominenti che scrutano nell'invisibile? Le scelte plastiche si limitano a questi pochi esempi? La rosa di stili è stupefacente, le forme più imprevedibili. Il volume presenta più di cento statuine, tutte al di sotto dei dieci centimentri di altezza: ciondoli, talismani, statuette divinatorie, pesi per l'oro. Introdotte nel nostro universo attraverso la metamorfosi fotografica, trasfigurate dall'illuminazione e dall'inquadratura, queste opere così resuscitate risorgono, come apparizioni da un altro mondo. -
Centauri
La collana ""Oggetti rari e preziosi"""" del Museo Archeologico di Napoli prosegue con altri capolavori, casualmente accomunati dall'anno di ritrovamento, il 1835, e dall'essere, per ragioni diverse, non esposti. La coppia di schiphi d'argento (inv. 25376, 25377) fu scoperta a Pompei, assieme ad altri dodici oggetti dello stesso metallo, nella casa VI 7,23 che sarebbe stata chiamata """"dell'argenteria"""" e sono gli esemplari meglio conservati tra i recipienti lavorati nella stessa tecnica a sbalzo custoditi nel Museo. Le scenette con Centauri, Centauresse e Amorini, in un ambiente dionisiaco evocato dai platani e dalla stessa statua del Dio, hanno un carattere puramente decorativo; ogni minimo particolare è eseguito con una cura assoluta che l'ingrandimento fotografico fa apprezzare più di quanto non sia possibile ad una visione diretta. Per la loro fragilità - la lamina d'argento è sensibile anche alle variazioni di temperatura tra il giorno e la notte - sono custoditi in ambiente climatizzato per cui questo volume è un modo di mostrarli al pubblico, fino a quando non ci saranno espositori idonei ad assicurarne le migliori condizioni di conservazione."" -
Hemba. Luigi Spina e Constantine Petridis. Ediz. inglese e francese
Espressione di uno dei numerosi stili luba, le grandi sculture maschili create da maestri della cultura hemba nel sud-est del Congo a partire almeno dal dalla metà del XIX secolo possono essere annoverate tra le migliori espressioni della statuaria dell'Africa sub-sahariana. Con il loro sguardo sereno e l'espressione meditativa, trasmettono una pace e una dignità che ben si addicono a questi ritratti idealizzati di importanti capi del passato. Pervasi da una forza o energia vitale particolari, questi oggetti erano in grado di comunicare tra i vivi e i morti. Grazie al loro potere, agivano sulla sfera materiale permettendo agli antenati di influenzare positivamente la vita dei loro discendenti. In questo volume la sensibilità e l'acutezza di sguardo di Luigi Spina permettono di scoprire nove sculture hemba tra le più riuscite, il cui stile classico è stato comparato a quello di alcuni kouroï della Grecia antica. Le fotografie di Spina ci aiutano a capire come mai queste statue di antenati dalle proporzioni ben equilibrate e dalla concezione simmetrica abbiano suscitato l'ammirazione degli appassionati di arte africana. Allo stesso tempo questa lettura personale ci conferma che queste opere meritano un posto nella storia dell'arte, nonché nel ""Museo immaginario"""" di André Malraux."" -
Fernando Costa. Ediz. francese e inglese
Fernando Costa nasce a Sarlat, nella Dordogna ricca di alberi di noce. Due anni prima, i suoi genitori erano arrivati inrnFrancia a piedi dal Portogallo per fuggire dalla dittatura di Salazar. Suo padre era un abile tagliatore di pietra. AnchernFernando Costa è un abile tagliatore, tanto da trasformare una tipologia di oggetti che tutti conosciamo: i cartelli stradali.rnCosta taglia i cartelli smaltati, ricompone i segnali, li traduce in segni, in poesie. Il risultato è sorprendente.rnI suoi quadri, come ama definirli, sono di metallo. Alcuni sono figurativi, cugini della Pop Art, ma animati da una volontàrnnarrativa e sensibile poiché mettono in scena personaggi e momenti tragici o comici che hanno toccato lo scultore nelrncorso della sua vita: Simone Veil, Robert Badinter, il ciclista Tom Simpson, i Beatles, Josephine Baker (la “Venere d’ebano”rnche ha vissuto in Dordogna, al Castello des Milandes, dal 1937 al 1969). Altri giocano con un’astrazione figlia dei cubistirne della musica meccanica di Edgar Varèse. Tutti testimoniano una libertà, un movimento, un’energia, un gioco fisico dirncolori primari. In formato tascabile o in trittici maestosi, le opere di Costa compiono qualcosa di molto prezioso: impregnanornil metallo di emozioni. -
Alexander Calder. Radical inventor. Ediz. a colori
Il catalogo della prima importante retrospettiva sull'opera di Alexander Calder dopo la mostra al Musée des Beaux-Arts du Canada nel 1998, presenta un centinaio di opere sotto una nuova luce, sculture di filo di ferro mobili e stabili realizzate nel corso della sua carriera. -
Maria Lai. Tenendo per mano il sole-Holding the sun by the hand. Ediz. illustrata
"Quanti palpiti emotivi e quante suggestioni di straordinaria attualità ci trasmettono la ricerca, la produzione artistica di una donna venuta al mondo cento anni fa nel cuore della Sardegna più remota, in un paesino dell'Ogliastra, protagonista di una lunga e originale parabola creativa. Maria Lai. Tenendo per mano il sole sprigiona tutta la forza magnetica di una figura che ha esplorato diverse tendenze e interpretato molteplici linguaggi mantenendo, però, una sua traccia inconfondibile, inimitabile. Dovuta, credo, alla sapienza con cui ha saputo rappresentare e reinventare tradizioni locali, simboli e strumenti di una cultura arcaica e rivolgersi ai contemporanei toccando corde tra le più fragili, in una società oscillante tra l'oblio del passato e l'irresponsabilità verso il futuro. Sono davvero felice sia il MAXXI a presentare la prima grande retrospettiva di Maria Lai. La mostra curata da Bartolomeo Pietromarchi e Luigia Lonardelli - affascinante per ricchezza di semplici materiali, oggetti, colori e tecniche che accendono i nostri sguardi e la nostra immaginazione - con oltre duecento opere esposte, dai lavori degli anni Sessanta fino ai più recenti, si dipana in una densa trama sensoriale e intellettuale. C'è come un filo luminoso che sembra riprendere la stessa tessitura sapiente infusa dall'estro e dalle mani dell'artista nelle varie stagioni del suo cammino. I Telai. I Libri cuciti. I ricami. Le sculture. I tappeti. Le Geografie. Le Fiabe. Maria Lai ci ha lasciato un tesoro di arte intima e universale, con un messaggio ancestrale e globale: ci porta alle radici del rapporto tra umanità e natura, tra identità personale e ritualità collettiva, tra racconto di sé e condivisione di legami con l'altro. È quasi un unico 'album' di parole, immagini, manufatti, atmosfere che non celano una mera testimonianza ma trasmettono un insegnamento: mettere assieme il visibile e l'invisibile, secondo la sua felice definizione del significato più profondo dell'arte. La mostra è ideata e realizzata dal MAXXI con l'Archivio Maria Lai e la Fondazione Stazione dell'Arte, ha il supporto della Fondazione di Sardegna e si avvale della generosa disponibilità di più di trenta tra prestatori e galleristi."""" (dalla Prefazione di Giovanna Melandri)" -
The decorative arts. Ediz. illustrata. Vol. 1: Scultures, enamels, maiolic as and tapestries.
Seduzione estetica, realizzazione eccellente e interesse storico sono le tre direttrici fondanti della collezione della Fondation Gandur pour l'Art (Ginevra), creata nel 2010 e tutt'oggi in espansione. Questo primo volume ha l'obiettivo di catalogare le opere della collezione nelle quali la funzione ornamentale è strettamente connessa a quella narrativa. Si tratta nella maggior parte dei casi di opere scultoree - statuette e rilievi ornamentali - ma non meno rilevanti sono decorazioni bidimensionali che ospitano scene figurative legate alla classicità o al cristianesimo. La periodizzazione degli elementi scultorei pubblicati nel presente volume rispecchia quella dell'intera collezione ossia una cronologia compresa tra il XII e il XVIII secolo. E poiché la collezione ha quale fine l'attestazione degli scambi culturali tra la Francia e i Paesi circostanti, queste ultime sono anche le geografie nelle quali le diverse opere hanno avuto origine. Strettamente connesse sono quindi le ibridazioni stilistiche che costituiscono un elemento non di poca rilevanza così come l'originalità di alcuni pezzi e, non da ultimo, la qualità estetica. L'organizzazione dei contenuti del volume è tematica, aspetto che consente di mettere in luce l'originalità assoluta, la ricchezza della collezione, ma anche un panorama estremamente variegato di soggetti, episodi narrativi e personaggi rappresentati. Nello specifico, la suddivisione tematica verterà nelle seguenti cinque sezioni: dei ed eroi antichi, figure bibliche e allegoriche, scene di vita della Vergine, episodi della vita di Cristo, santi e intercessori. Ogni opera avrà una scheda dedicata nella quale verranno dettagliati il contesto storico e geografico, l'iconografia rappresentata nonché la bibliografia di riferimento e le mostre dove l'opera è stata esposta. -
Riopelle. The call of northen landscapes and indigenous cultures. Ediz. a colori
Il volume, che accompagna l'omonima mostra (Montreal Museum of Fine Arts, Montreal, 19 settembre 2020-7 febbraio 2021), ha l'obiettivo di esplorare l'interesse di Riopelle per il nord del Canada e la sua produzione artistica dedicata a questo tema. Ponendo in particolare rilievo le bellissime serie da lui realizzate negli anni '70, siano esse opere d'arte o materiali d'archivio, si ha modo di esplorare un periodo particolarmente dinamico durante il quale Jean Paul Riopelle organizzò diversi viaggi in quei territori per pescare, cacciare e immergersi in un contatto diretto con la natura. Il Canada settentrionale, la sua vegetazione, ma anche le comunità indigene che vi risiedevano hanno costituito motivi di forte ispirazione per l'artista, hanno segnato le sue influenze intellettuali e artistiche, e ne hanno riempito l'immaginazione. Il presente volume consentirà di dare uno sguardo a opere meno conosciute e inedite, nonché di seguire lo sviluppo della parabola artistica di Riopelle fortemente legata al nord, ai territori boreali e polari così come alle culture - materiali e non - degli indigeni canadesi. Viene inoltre messo in luce come l'opera di Riopelle prenda le distanze da opere che ritraggono la natura come elemento identitario della nazione canadese: l'artista è portatore di una visione unica e personale, capace di evocare visivamente quel particolare territorio in un dialogo tra il reale e l'immaginario. Le oltre cento opere presentate nel libro (pitture, sculture, stampe e lavori realizzati con tecnica mista) saranno inserite in una narrazione costituita da quattro sezioni principali (Canadian Nordicity as Viewed from Paris; The Experience of the North;Borrowing from the North; The North and Art) i cui temi verranno approfonditi grazie a contributi scritti da specialisti nel settore. -
Zimbabwe art symbol and meaning
Questo libro offre uno sguardo approfondito sull'eredità artistica delle tre culture principali dello Zimbabwe: Shona, Ndebele e Tonga. Evidenzia come l'arte, nella storia dell'Africa, non sia mai separata dalla vita, ma resti uno strumento espressivo fondamentale integrato nella vita stessa, e quindi sia rintracciabile in oggetti rituali e quotidiani, nelle decorazioni di interni, nella moda, nei comportamenti personali e negli eventi condivisi. Il volume apre una finestra sul simbolismo africano e conferma che la mente, per natura, ragiona secondo due codici paralleli: il codice esterno della consapevolezza sensoriale e il codice interno della consapevolezza soggettiva. E ricostruire le dinamiche del codice estetico dell'Africa sub-sahariana, diffuso in tutte le sue culture, significa considerare il simbolismo africano come un linguaggio parallelo di espressione filosofica. Oltre duecento immagini di oggetti d'arte provenienti dallo Zimbabwe, scattate in un periodo di tempo in cui era ancora possibile reperirli facilmente, rivelano come l'arte si esprima in tutti gli aspetti della vita quotidiana come linguaggio di significato spirituale e culturale - un modo per garantire che questo significato non si è mai discostato dalla consapevolezza individuale. La maggior parte delle fotografie sono state scattate nelle communal lands più remote, ossia nelle aree rurali ""riservate"""" agli africani nell'età coloniale. È qui che il senso dell'identità, della cultura e della storia africana è sopravvissuto al colonialismo e agli effetti di una dittatura fortemente restrittiva. Le immagini risalgono per lo più al periodo compreso tra il 1998 e il 2015, quando Duncan Wylie, l'autore degli scatti, tornò nel suo Paese d'origine per intraprendere quello che lui stesso definisce """"un lavoro di trasmissione e, per il mondo non-africano, un mezzo prezioso per apprezzare più profondamente le forme d'arte africane e le possibilità dell'arte in generale, un mondo che pochi hanno avuto l'occasione di esplorare""""."" -
Zimbabwe. Art, symbole et sens. Ediz. a colori
Questo libro offre uno sguardo approfondito sull'eredità artistica delle tre culture principali dello Zimbabwe: Shona, Ndebele e Tonga. Evidenzia come l'arte, nella storia dell'Africa, non sia mai separata dalla vita, ma resti uno strumento espressivo fondamentale integrato nella vita stessa, e quindi sia rintracciabile in oggetti rituali e quotidiani, nelle decorazioni di interni, nella moda, nei comportamenti personali e negli eventi condivisi. Il volume apre una finestra sul simbolismo africano e conferma che la mente, per natura, ragiona secondo due codici paralleli: il codice esterno della consapevolezza sensoriale e il codice interno della consapevolezza soggettiva. E ricostruire le dinamiche del codice estetico dell'Africa sub-sahariana, diffuso in tutte le sue culture, significa considerare il simbolismo africano come un linguaggio parallelo di espressione filosofica. Oltre duecento immagini di oggetti d'arte provenienti dallo Zimbabwe, scattate in un periodo di tempo in cui era ancora possibile reperirli facilmente, rivelano come l'arte si esprima in tutti gli aspetti della vita quotidiana come linguaggio di significato spirituale e culturale - un modo per garantire che questo significato non si è mai discostato dalla consapevolezza individuale. La maggior parte delle fotografie sono state scattate nelle communal lands più remote, ossia nelle aree rurali ""riservate"""" agli africani nell'età coloniale. È qui che il senso dell'identità, della cultura e della storia africana è sopravvissuto al colonialismo e agli effetti di una dittatura fortemente restrittiva. Le immagini risalgono per lo più al periodo compreso tra il 1998 e il 2015, quando Duncan Wylie, l'autore degli scatti, tornò nel suo Paese d'origine per intraprendere quello che lui stesso definisce """"un lavoro di trasmissione e, per il mondo non-africano, un mezzo prezioso per apprezzare più profondamente le forme d'arte africane e le possibilità dell'arte in generale, un mondo che pochi hanno avuto l'occasione di esplorare""""."" -
Canova. Quattro tempi. Ediz. francese. Vol. 2
Questo volume dà continuità alla prima pubblicazione del progetto editoriale ""Canova. Quattro Tempi"""", nata in coedizione con la Fondazione Pallavicino di Genova, con l'obiettivo di accogliere in un raffinato impaginato la ricerca fotografica di Luigi Spina incentrata sui modelli in gesso realizzati da Antonio Canova e conservati, nella loro quasi totalità, nella gipsoteca di Possagno. Il progetto, che accompagna le celebrazioni canoviane nel quadriennio 2019-2022, si articola in quattro pubblicazioni, ciascuna incentrata su uno specifico nucleo di modelli scultorei in gesso, e vuole restituire dignità al momento creativo di Antonio Canova, sottolineando inoltre il ruolo imprescindibile dei chiodini in bronzo (repères) che hanno consentito la metamorfosi del modello gesso in scultura in marmo. Se il primo volume è dedicato al dialogo tra Mito e Fede, illustrato da Spina attraverso le fotografie di Amore e Psiche, Paolina Borghese Bonaparte, Venere e Marte, Maddalena Giacente, La Pace e il Compianto di Cristo, il secondo volume si concentra anzitutto sul Mito. Le opere scultoree sulle quali si concentra la narrazione visiva sono le seguenti: Danzatrice col dito al mento, Dedalo e Icaro, Teseo in lotta con il Centauro, Naiade, Pio VII orante, Venere e Adone, Ninfa dormiente."" -
Breath of life. La vie n'est qu'en souffle. Ediz. illustrata
Lo yidaki, meglio conosciuto come didgeridoo, è l'iconico strumento musicale degli aborigeni, guadagnandosi un'enorme popolarità e diventando sinonimo dell'Australia aborigena. Esso non è solo uno strumento musicale, ma anche un simbolo culturale e spirituale che rappresenta l'intera storia di un popolo.