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La paura del cielo
«Sette racconti perfetti» («Le Monde»). Sette storie oscuramente complici, rapide e scarne, che sembrano incise da un bulino. Un sottile terrore, un gelo segreto, una subdola propensione al delirio si annidano nei gesti e nei luoghi di questi racconti ironici e violenti. L’aria è ingannevole, appena mossa dal soffio del Föhn, il favonio, vento «dolcemente pericoloso» che inclina allo spleen e alla paura del cielo. -
La nube della non conoscenza
Se si dovesse dire qual è il testo mistico più intenso, compatto e puro dell’Occidente, La nube della non conoscenza sarebbe senza dubbio uno dei candidati più plausibili. Non meraviglia dunque che Aldous Huxley scrivesse: «La Nube e alcuni sermoni di Eckhart sono le cose più preziose che ci sono giunte dal Medioevo». Composto verso la fine del Trecento da un anonimo inglese in forma di manuale indirizzato a un giovane novizio dell’attività contemplativa, capolavoro di immaginazione e di stile, a un tempo incisivo e duttile, ironico e terso, denso e rarefatto, La nube della non conoscenza delinea quella paradossale via negativa che, da Dionigi l’Areopagita a Molinos e Caussade, attraversa tutta la nostra storia come un supremo azzardo. Per giungere all’assoluto in questa vita non serve l’intelligenza raziocinante, ma una «nuda tensione» verso Dio, un «piccolo, cieco impulso d’amore»: il vero contemplativo entrerà nella nube della non conoscenza come vi entrò Mosè quando salì sul monte Sinai per parlare con il Signore. Dovrà dimenticare tutto – passioni, peccati, perfino i pensieri più santi – in una «nube d’oblio», e colpire col dardo affilato dell’amore ardente la nuda essenza divina. Abbagliante nella descrizione del bubbone del peccato, solidificato e saldato alla nostra sostanza, ferocemente ilare nel ritrarre i falsi contemplativi, che, ciondolando il capo e gesticolando con le mani, guardano sempre in alto a bocca spalancata quasi volessero fare un buco nel firmamento, l’ignoto autore della Nube consegna al lettore un salutare ammaestramento: chi davvero vuole intraprendere l’attività contemplativa dovrà rimanere – come la sorella di Marta, Maria, quando aveva Gesù dinanzi a sé – immobile e silente, quasi fosse in un sonno simulato, tutto assorto e immerso nel dolore e nella quiete del proprio essere. Soprattutto, spogliandosi di ogni conoscenza specifica, dovrà mirare al «nessun luogo» che è il vero dovunque, e al nulla che è Tutto. -
I Vangeli della domenica
In queste cinquantadue omelie anomale, che seguono passo per passo il calendario della liturgia cattolica, Sergio Quinzio non si limita a restituire ai testi commentati dell’Antico e del Nuovo Testamento la loro scandalosa forza originaria, ma li pone in costante rapporto con i mutamenti della storia, e perciò proprio con quel mondo, il nostro, dove la parola evangelica sembra talvolta aver perso il suo spessore, la sua luce primigenia e terribile, la possibilità stessa di comunicarci ancora qualcosa di essenziale e decisivo. Leggendo le acute chiose di Quinzio a parabole, miracoli, dialoghi, penetriamo così nelle oscurità del mistero trinitario, nelle asperità teologiche dei Vangeli, nella purezza sconcertante delle Beatitudini, e insieme comprendiamo come le nostre tenebre non siano che l’ennesima incarnazione delle altre, vere tenebre: quelle che gli uomini da sempre – come recita il Vangelo di Giovanni – «preferirono alla luce». Anche in virtù dell’occasione che lo ha generato, I Vangeli della domenica è il libro più chiaro, più colloquiale che Quinzio abbia mai scritto. Ma questa diversa intensità di tono e di stile non ammorbidisce neppure per un attimo la radicalità delle questioni che esso suscita; anzi, sotto la voce del commentatore cauto e pacato, la tensione tra abbandono alla disperazione e necessità della speranza si deposita nella memoria del lettore in modo ancora più capillare e irrecusabile. -
Breviario del caos
Questo libro racconta il nostro mondo quale appare se osservato da uno sguardo di rapinosa, disperata lucidità, e lo fissa in brevi blocchi di prosa dal nitore classico, dove le frasi si allineano con naturalezza, simili alle pietre dei muri antichi. C’è in Caraco una violenza compressa, una furia che fa pensare a Céline e Cioran – e insieme la capacità di dare una forma perentoria, martellante, ultimativa alle visioni più azzardate, come già sa la tribù dei lettori di quel cupo gioiello che è Post mortem. Rare volte la peculiare convergenza di orrori e parodia che contraddistingue quanto ci sta intorno ha trovato un cronista altrettanto percettivo e tagliente. -
Tempo di spettri
Dalla Russia alla Turchia, alla Francia, allItalia, a Vienna: una furibonda caccia alluomo in unepoca in cui tutti avevano «paura perfino della loro ombra». -
Il rituale del serpente. Una relazione di viaggio
Aby Warburg è stato forse l’uomo che più ha influenzato, in questo secolo, la nostra visione della storia dell’arte. Attraverso i suoi studi egli ha indicato la via che consente di ritrovare nelle arti figurative la concrezione di una intera civiltà, con tutte le sue oscure tensioni psichiche. Ma lo stesso Warburg, mentre sviluppava la sua opera grandiosa, era periodicamente colpito da crisi nervose, che lo obbligavano a prolungati soggiorni in clinica. Nel 1923, al termine di uno di questi soggiorni, per dimostrare la propria guarigione, egli tenne ai pazienti e ai medici della casa di cura di Kreuzlingen un «discorso d’addio» – la celebre conferenza sul Rituale del serpente, apparsa poi nel 1939 sul «Journal» del Warburg Institute con una pudibonda nota che la diceva pronunciata per la prima volta «davanti a un pubblico non specialistico». Di fatto, quel discorso era insieme una confessione e un testamento. In poche pagine, prendendo spunto da una sua spedizione presso gli indiani Pueblo, Warburg risale alle origini del paganesimo e della magia. E illumina il potere stesso – innanzitutto psichico – delle immagini, il loro potere di ferire e di guarire, stabilendo così un circuito fulmineo fra il serpente dell’arcaico rito dei Pueblo e quello che Mosè invitava a innalzare nel deserto. Per comprendere un testo fondamentale come Il rituale del serpente occorre considerarne in ogni dettaglio la genesi e le allusioni: compito che qui assolve il prezioso saggio di Ulrich Raulff. -
Le disavventure di Margaret
Nel romanzo possiamo vedere gli effetti devastanti che un manoscritto libertino può avere su di una giovane intellettuale newyorchese. La sovrapposizione tra vita vera e imitazione di un personaggio letterario innesca tutta la trama di questo romanzo dell'autrice della notissima Lettera d'amore. -
Pnin
Nella carrozza semideserta di un treno che corre attraverso la campagna siede un uomo dalla grande testa calva, forte di torace e con un paio di gambette sottili su cui ricadono i calzini allentati di lana scarlatta a losanghe lilla. Il passeggero solitario altri non è che il professor Timofej Pavlovic Pnin, esule negli Stati Uniti e titolare di un corso di lingua russa all’Università di Waindell, in viaggio per recarsi a tenere una conferenza presso il circolo femminile di un’altra località della sterminata provincia americana. Ma il professor Pnin – tradito dalla sua passione per gli orari ferroviari, che lo ha indotto a ignorare ogni suggerimento e a elaborare personalmente il proprio itinerario – si trova sul treno sbagliato. Comincia così, in modo emblematico, il ritratto ironico e affettuoso, esilarante e patetico di uno di quei personaggi che Nabokov sa disegnare con arte insuperata: un buffo émigré caparbiamente determinato a ricercare l’impossibile adattamento a un’altra civiltà, in lotta impari con un mondo in cui tutto – lingua, ambiente, gli oggetti stessi – pare rivoltarglisi contro. Perde tutte le sue battaglie, Pnin: con l’ex moglie Liza, ormai inesorabilmente «americana»; con il figlio Victor, nel cui personalissimo e un po’ lunare universo non riesce a far breccia; con le beghe e mene e manovre accademiche del campus, dalle quali uscirà sopraffatto; persino con la piccola comunità dei suoi compatrioti, chiusa nelle proprie diatribe meschine e nel disperato tentativo di reiterare un passato irripetibile. Anche Pnin si rifugia talvolta, oniricamente, in quel passato: e sono pagine mirabili, affidate a una gamma di intonazioni che trascorre dalla pura comicità alla malinconia. -
La casa del giudice
«Un attimo dopo l’inverosimile accadde. L’uomo era di nuovo lì, curvo su una lunga massa che trascinava nel fango. «Doveva essere pesantissima. Fatti quattro metri si fermò a riprendere fiato. La porta di casa era rimasta aperta. Mancavano ancora venti o trenta metri al mare. «“Ah...”. «Intuirono quel gemito e lo sforzo di tutti i muscoli. La pioggia continuava a cadere. Aggrappata alla manica di Maigret, la mano del doganiere tremava in modo convulso. «“Vede!...”. «Eh sì! Era andata proprio come aveva detto la donna e come il doganiere aveva previsto. L’ometto era senz’altro il giudice Forlacroix. E quello che trascinava nel fango era certamente il corpo inerte di un uomo!». -
L' occhio
Questo breve romanzo – scritto dapprima in russo nel 1930 e poi in inglese nel 1965 – si fonda su una vertiginosa scommessa: raccontare come, dopo un suicidio, il pensiero umano possa continuare a vivere «per inerzia» e costruirsi un romanzo alternativo alla realtà, con la quale poi finirà per collidere. La scena è quella degli emigrati russi a Berlino, mondo fragile e illusorio, congeniale a una narrazione dove Nabokov scatena tutti i suoi estri in tema di specchi, riflessi, sdoppiamenti – come dire il terreno peculiare su cui si svilupperà la sua arte. -
Dell'uomo nobile. Trattati
I quattro trattati raccolti in questo volume – Istruzioni spirituali, Del distacco, Il libro della consolazione divina e Dell’uomo nobile – attingono alla grande tradizione medioevale, da Origene ad Agostino ad Avicenna, ma solo per introdurre il percorso originalissimo di Eckhart, proteso all’evento unico della Nascita: la nascita eterna di Dio nel fondo silenzioso dell’anima. La virtù suprema che dispone l’anima a tale evento è il distacco, che, svuotando il pensiero di ogni contenuto, obbliga Dio a scendere in noi con la necessità di una legge fisica, allo stesso modo in cui un liquido viene attratto in un contenitore vuoto – giacché «essere vuoto di ogni creatura è essere pieno di Dio, ed essere pieno di ogni creatura è essere vuoto di Dio». E, come ammonisce Eckhart con quel forte, incandescente gesto che fa vibrare dalle fondamenta il linguaggio dei trattati: «Nulla sa più di fiele del soffrire, e nulla sa più di miele dell’aver sofferto; nulla di fronte agli uomini sfigura il corpo più della sofferenza, ma nulla davanti a Dio abbellisce l’anima più dell’aver sofferto. Il più saldo fondamento su cui può sorreggersi questa perfezione è l’umiltà, giacché lo spirito di colui la cui natura striscia quaggiù nella più profonda bassezza, si innalza in volo verso le supreme altezze della Divinità». Chi realizza dunque questo distacco è l’«uomo nobile» di cui parla il Vangelo: come la Grande Aquila di Ezechiele, egli sale verso il Regno al di là delle forme e delle immagini e ne prende possesso, per riportarne sulla terra il nocciolo prezioso e indistruttibile. -
Infanzia di Nivasio Dolcemare
«Il giorno in cui Nivasio Dolcemare uscì dal grembo materno, il sole picchiava a martello sulla città della civetta». Con questa mitica «espulsione» prende avvio uno dei libri più euforici, esuberanti e visionari di Savinio: libro che è insieme ricostruzione dell’infanzia, della pubertà e dell’adolescenza del protagonista (ma in realtà dell’infanzia, della pubertà e dell’adolescenza tout court) e affresco smagliante e iperreale di un’Atene solare e irrimediabilmente decaduta. Memorabili sono i momenti che scandiscono la formazione di Nivasio a opera dei due bizzarri genitori, il commendatore Visanio e la signora Trigliona, ma non meno memorabile è la capitale, con la luna che brilla sulle vetrate della fabbrica di birra, i corvi che volano nel cielo a due a due, le ossa calcinate dei somari che tracciano le strade bianche; e altrettanto memorabili sono le mille figure che la animano, dal marchese Raúl detto l’imbecille al barone e alla baronessa von Ràthibor, dal pittore Ermenegildo Bonfiglioli, specializzato in «tondeggiamenti tiepoleschi», alla giovane Pertilina «lieve come ombra» e «profumata di purezza». Il tutto in una prosa vorticante ed esplosiva, dove una sintassi classicistica si carica di invenzioni lessicali sontuose o grezze, creando un impasto sonoro senza precedenti nella prosa italiana. La prima edizione in volume dell’Infanzia di Nivasio Dolcemare è del 1941. -
La fine della scienza
Si insinua sempre più spesso il sospetto che la scienza stia per esaurirsi, almeno per quanto riguarda le scoperte essenziali. L'autore compie un viaggio fra gli scienziati più discussi e le loro idee su questo tema. Horgan riesce a darci il senso della vertiginosa complessità dei problemi, mantenendo tuttavia il tono di una discussione chiarificatrice e insieme facendoci sentire nei tic, nelle eccentricità, nei rancori, nelle ingenuità, nelle ironie, di quale tessuto si compone la vita intellettuale di alcuni fra i più grandi scienziati di oggi, visitati nel loro habitat. -
Manuale del boia
Un magistrale pamphlet di pura vena swiftiana racconta lorrore della pena di morte sollevando il velo della generale ipocrisia. «Se ne avessi il potere, vorrei che su ogni tavolino di Londra, per la prima colazione, ci fosse una copia di questo libro» - Norman Douglas -
Hypnerotomachia Poliphili (rist. anast. 1499)
Sono trascorsi 500 anni da quando il veneziano Aldo Manuzio pubblicò questo sfuggente romanzo, ritenuto il più bel libro della storia della stampa, ma l'opera mantiene intatto il suo fosco fascino. E non cessa di suscitare stupore, interrogativi e acri polemiche. Risolta la questione dell'autore, che Giovanni Pozzi ha identificato in un Francesco Colonna frate indocile e libertino, resta il mistero del linguaggio che fa del ""Polifilo"""" uno spericolato e intrepido esperimento senza passato e senza futuro. Ma che cosa narra? Una storia d'amore. Polifilo ritrova in sogno l'amata Polia superando una serie di prove iniziatiche: un viaggio dell'anima, intrapreso in lotta con Amore per raggiungere la vera Sapienza."" -
Elsi, la strana serva
Elsi e Mareili, le protagoniste dei due racconti che compongono questo libro, sono diversissime fra loro, ma accomunate da una segreta aristocrazia dell'anima. Elsi è una figura tragica, uno scudo purissimo opposto al fato avverso. Mareili è invece immersa in una natura amorevole, dove intesse lentamente la sua vita... -
Casa «La vita» e altri racconti
Il volume raduna tutti i racconti di Savinio seguendo l'ordine cronologico delle raccolte da lui organizzate. Nelle Note ai testi, i curatori ricostruiscono la genesi di ciascuna delle raccolte e l'accidentato iter di ogni singolo racconto, gettando luce sul metodo di lavoro dell'autore. -
Trattato dell'età-Una lezione di metafisica
A partire da Cicerone, il tema della senilità ha sempre ispirato opere provvidamente consolatorie o delicatamente elegiache. Nella nostra epoca, votata all'idolatria della giovinezza (reale o apparente), si preferisce eluderlo o ignorarlo. In questo aspro, spregiudicato ""Trattato dell'età"""" Sgalambro ne fa invece il punto di partenza di una vibrante riflessione sul perenne disgregarsi delle cose, arrecato dal """"maligno tumore del tempo"""". Sgalambro sviluppa in poche pagine le linee di una """"metafisica dell'età"""" che diventerà lo specchio in cui si riflette la temibile sembianza della vecchiaia, oggettivazione dell'essenza distruttiva del mondo."" -
L' anello del ritorno
"Corpo estraneo"""" o problema insoluto della filosofia nietzscheana, la dottrina """"dell'Eterno Ritorno dell'uguale"""" è tanto citata quanto misconosicuta. Persino nelle chiose dei filosofi che l'hanno percorsa fino all'ossessione, come Martin Heidegger, restano tracce di ambiguità, sospensioni, o residui di interpretazioni funzionali al pensiero di ciascuno di essi. La complessa lettura di Severino ha perciò innanzitutto il merito di restituire l'Eterno Ritorno al lettore che voglia avvicinare la nuda, ipnotica vertigine ontologica. """"Che tutto ritorni è l'estrema approssimazione del mondo del divenire al mondo dell'essere"""" (F. Nietzsche)." -
La donna del Guatemala
Un uomo e una donna, una visita inattesa, un viaggio: brevi, fatidici incontri, temuti o cercati, che sommuovono vite senza passioni, che incriminano armature di orgoglio e vanità. Come nell'indimenticabile ""Amore cieco"""", è da scabre situazioni narrative che nascono i racconti perfetti di Pritchett. Piccoli capolavori di una prosa limpida e tagliente, """"La donna del Guatemala"""" e """"Una gita al mare"""" sono orchestrazioni essenziali come ballate, in cui l'amara commedia dell'ordinario si trasforma in un'epifania fulminea e ineluttabile.""