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Il cavalier bandito e la sposa del cielo
Rudi briganti e brigantesse di nobile lignaggio, fra cui Mikolá, lindomito cavalier bandito; un giovanissimo e sprovveduto conte dellImpero; Markéta Lazarová, «placida vergine» destinata alla vita del chiostro e dagli eventi tramutata in «splendida amante»; un tenace e ambizioso capitano del Re che dallassolvimento del suo difficile compito di disinfestare dai briganti le strade regie si aspetta lagognato titolo nobiliare. Sullo sfondo, una fosca Boemia feudale. Questi personaggi, questi luoghi si intessono in una storia di agguati e di sortite, di ammazzamenti e di battaglie, in un epos di amore e morte in cui la voce narrante ha il timbro dellantico cantastorie, come anche il suo pathos e la sua virtù di onnipresenza. E anche là dove laffabulatore scopre il suo gioco, abbandonandosi a commenti e confronti che sono del narratore di oggi, sempre traspare la fascinazione per quellumanità violenta e sanguinaria, ma capace di intense passioni elementari. Indiscusso maestro della narrativa cèca (a lui Kundera dedicò la sua tesi di laurea), stilista raffinato e audace sperimentatore, Vancura resta in Italia uno scrittore da scoprire. E per conoscerlo non cè forse occasione migliore di questo romanzo, dove la sua prodigiosa capacità di far rivivere asprezza e lirismo del Medioevo trova sostanza in una lingua sontuosa e composita, pronta ad accogliere ingredienti inusitati, come per esplorare le più remote potenzialità della parola. Il cavalier bandito e la sposa del cielo (Markéta Lazarová) fu pubblicato a Praga nel 1931. -
Turista da banane o Le domeniche di Tahiti
Oscar Donadieu, giovanotto sensibile e introverso, ultimo erede di un potente clan di armatori della Rochelle, sbarca a Tahiti sognando «di immergersi nella natura, di vivere a tu per tu con lei e con lei sola, rinunciando agli agi della civiltà». Eppure, già nel corso della traversata, qualcuno lo ha messo in guardia: «Forse farebbe meglio a non scendere dalla nave e a tornarsene dritto in Francia». Eviterebbe così di diventare uno di quelli che i locali definiscono sprezzantemente «turisti da banane», relitti della vita tropicale vaganti fra sbronze tristi, ragazze facili, squallide notti e sordidi intrallazzi. Con fierezza, Donadieu pensa che queste cose possono succedere ad altri, non a lui. Ma la realtà è vischiosa, e il destino ignora la geografia. E a dispetto dello scenario di palme e luce abbagliante, la cupa sorte della famiglia Donadieu non tarderà a compiersi, in questo romanzo dell’evasione impossibile. -
Il crocevia delle tre vedove
Lei veniva avanti, la figura ancora indistinta nella semioscurità. Veniva avanti come la protagonista di un film, o meglio come la donna dei sogni di un adolescente. Era vestita di velluto nero? Fatto sta che era più scura di tutto il resto, che spiccava come un’ombra intensa, sontuosa. E la poca luce ancora sospesa nell’aria si concentrava sui suoi capelli biondi e leggeri, sul viso opaco. «Ho saputo che desidera parlarmi, commissario... Ma la prego, si accomodi...». Il suo accento era più marcato di quello di Carl. La voce cantava, abbassandosi sull’ultima sillaba delle parole. E il fratello le stava accanto come uno schiavo al fianco della regina affidata alla sua protezione. -
Pirandello e la Sicilia
«Una “notizia” della Sicilia attraverso particolari letture ed esperienze»: così Sciascia definiva, dandola alle stampe nel 1961, questa raccolta di scritti, aperta dal grande saggio pirandelliano che dà il titolo al volume – e che rimane forse la guida migliore per avvicinarsi a un’opera tanto popolare quanto equivocata. Civettando con la semantica, Sciascia usava il termine «notizia» nel senso che ad esso potevano dare, nelle opere in cui partecipavano le proprie intuizioni e scoperte, un erudito o un viaggiatore del Settecento. Così, l’acutissima analisi della figura di Pirandello si trasforma subito in «viaggio» lungo il difficile tragitto, colto nei suoi momenti cruciali, che porta una cultura arcaica a incontrare la modernità; così, capisaldi della «sicilitudine» quali Verga e Tomasi di Lampedusa incrociano, a riprova del gusto dell’autore per l’esplorazione del passato, personaggi rimossi e abbandonati all’oblio nelle biblioteche, come Emanuele Navarro della Miraglia, letterato e novelliere noto a Dumas e forse amato da George Sand, o come il poeta pornografo catanese Domenico Tempio, arditamente accostato allo Henry Miller del Tropico del Cancro. A scorrere, con questi, gli altri temi presenti nella silloge – la mafia, ancora, interna e da esportazione, e una riflessione amarissima sui fatti di Bronte –, si ha spesso l’impressione di assistere al comporsi del mosaico di un pensiero variegato e a tratti febbrile, sempre coerente, sempre puntuale nel riferimento alla realtà. -
Il libro degli amici
«La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie»HUGO VON HOFMANNSTHAL Un «paradiso di pensieri», legati per affinità e offerti in dono ad altri affini, i lettori. -
La piccola commedia. Novelle giovanili
Scritte fra il 1885 e il 1907 e in gran parte inedite in Italia, le novelle qui raccolte ci riportano alla fase aurorale di un itinerario artistico. Ci sono già tutti i temi che Schnitzler elaborerà in forma più ampia nelle opere successive: lintreccio di amore e morte, la casualità dei destini, il gioco, il duello, i tradimenti, le infedeltà coniugali, la gelosia, il gusto del travestimento, lincessante oscillare fra realtà e finzione, la ricerca di emozioni e sentimenti perduti. Trascorrendo da un registro allaltro, Schnitzler alterna la malinconia del ricordo allo scandaglio dellanimo, lanalisi dellangustia borghese al capriccio del divertissement, e ci consegna una galleria di personaggi che non sanno ancora di essere terribilmente schnitzleriani: mariti traditi, mogli fedifraghe, artisti persi dietro alle loro creazioni, cocotte dalto bordo, aristocratici viveur, studenti squattrinati. Sullo sfondo ma è uno sfondo così pervasivo da impregnare di sé ogni storia , una Vienna tutta presa a officiare i suoi riti nei luoghi deputati (il teatro, il caffè, la sala da ballo, il Prater, losteria dei sobborghi), affatto ignara, si direbbe, dei primi scricchiolii. Così come il suo amico Hugo von Hofmannsthal, che a diciotto anni scriveva liriche e prose di goethiana sapienza, Schnitzler ci offre il rarissimo esempio di una giovinezza in cui la maturità è un dato acquisito e le virtù più ardue da raggiungere quali sobrietà e incisività sembrano appartenere da sempre alla fisiologia dellautore. La piccola commedia apparve per la prima volta nel 1932. -
La notte
Per lunghi anni, mentre «le autorità politico-religiose» erano «riunite in conclave estetico, per decidere se la letteratura» fosse «fatua o semplicemente criminosa», Giorgio Manganelli esplorò instancabilmente quella che qui viene definita «sostanza notte» – da non confondere con la «notte accidentale» che tutti conosciamo, «cosa senza paragone diversa». Una notte integra e compatta, che ha «forma di parallelepipedo» e non si lascia «ledere»; una sostanza che, sebbene molti vi riconoscano un «muro di tenebre» e una «piaga senza storia» da abolire senza esitazione, pur sempre riesce ad attirare dentro di sé taluni che le si rivolgono nella speranza di poterla modificare. Costoro a volte finiscono addirittura per invaghirsene e infettarsene, fino a diventare «dei notturni periferici, inetti a vivere all’interno di quella notte compatta, e repugnanti a perdurare nel nostro mondo della notte accidentale». A questi esseri, fra i quali vanno annoverati molti dei suoi lettori, Manganelli consegnava cronache e notizie della terra cimmeria in cui ormai costantemente soggiornava, perseguendo un’equa distribuzione di forme: dai travolgenti corsivi destinati alla prima pagina dei quotidiani ad ardue costruzioni in forma di libro, sempre tese al punto dove «quello che viene scritto è il nulla». In una zona appartata, e solo in rari casi mostrandosi al pubblico, si accumularono anche dei racconti, di cui qui presentiamo un’inedita e folta silloge corrispondente a un progetto tracciato dall’autore. -
Il picnic e altri guai
In questa raccolta variegata, nella quale, inopinatamente, mancano gli animali, Gerald Durrell ci propone con la consueta, vivacissima grazia cinque sketch di grande malia, spaziando in generi per lui insoliti: l’erotico, il macabro, lo horror. Nei primi due compare, nella sua veste più ilare, la celebre «famiglia»: la saga riprende con uno dei picnic più disastrosi della storia del turismo, e procede con una surreale traversata da Venezia alla Grecia nella quale ogni piccolo incidente di bordo si trasforma in pochade. Seguono un interludio veneziano con Ursula, la bellissima amica bislacca che sbaglia le parole e procura a tutti innumerevoli catastrofi, e un improbabile corso di educazione sessuale, di cui lo stesso Durrell è il titolare improvvisato. Dopo una prelibata avventura culinaria nel Sud della Francia con finale a sorpresa, la raccolta si chiude con un racconto di vampiri di gotica suspense. In queste pagine Durrell ci offre con prodigalità la sua dote più amabile: l’arte di trasformare ogni esperienza in divertimento. -
La famosa attrice
Fra il 1863 e il 1877 ci fu tra i letterati francesi una fiammata d’interesse per un testo anonimo inghiottito dal tempo: La famosa attrice. L’interesse nasceva da più ragioni. Perfida requisitoria contro una chiacchieratissima attrice di grande notorietà e seduzione, Mlle Molière (al secolo Armande Béjart), La famosa attrice colpiva di striscio anche la memoria di Molière, qui rappresentato non solo come becco proverbiale, ma anche, all’occasione, sodomita. In secondo luogo, La famosa attrice appariva come documento impareggiabile, e in gran parte veritiero, della vita teatrale parigina sotto il Re Sole. Infine, la qualità e lo stile del libro. Serpeggiava nel Settecento il sospetto che il pamphlet fosse da attribuirsi a Racine o a La Fontaine. È un’attribuzione che dice tutto. Per quanto nato dalla polvere del palcoscenico, La famosa attrice porta i segni di «una mano superiore». La verità e la falsità di un documento possono coesistere pacificamente? Il curatore di questa edizione italiana, che segue dopo più di un secolo quelle introvabili francesi, pensa che pochi documenti storici, più di questo scandaloso libello, siano portatori di un’ambiguità esemplare. La famosa attrice ci insegna come tra una verità storica e il più bugiardo pettegolezzo possa esserci una parete sottilissima: sottilissima, ma anche incommensurabile, perché magica e impraticabile come una distanza stellare. E il saggio che Cesare Garboli ha dedicato a questo testo ci aiuta appunto a misurare quella distanza. -
Il caso Saint-Fiacre
«La contessa di Saint-Fiacre teneva ancora la faccia tra le mani. Era rigida, immobile, come la maggior parte delle altre vecchie. «“Ite missa est... La messa è finita...”. «Solo allora Maigret capì quanto era stato angosciato. Quasi non se n’era reso conto. Senza volerlo sospirò di sollievo [...]. «Ancora tre persone... Due... Qualcuno spostò una sedia... Rimaneva solo la contessa, e Maigret ebbe un fremito d’impazienza... «Il sacrestano, che aveva concluso il suo compito, gettò uno sguardo alla signora di Saint-Fiacre, e un’espressione dubbiosa gli si dipinse sul volto. In quel medesimo istante il commissario avanzò. «Giunti accanto a lei, rimasero entrambi stupiti di quell’immobilità e cercarono di vedere il volto che le mani giunte continuavano a nascondere. «Turbato, Maigret le sfiorò una spalla. Il corpo vacillò, come se fino a quel momento fosse stato sorretto da un filo, poi rotolò a terra e rimase inerte. «La contessa di Saint-Fiacre era morta». -
Donoso Cortés. Interpretato in una prospettiva paneuropea
Cortés aveva della storia una visione disperata: per lui ""l'umanità era una nave sballottata per il mare senza meta, carica di una ciurma sediziosa e volgare, reclutata a forza, che balla, canta a squarciagola, finché l'ira di Dio la precipita in mare in modo che torni a regnare il silenzio"""". La capacità di dare degli eventi cui assisteva una interpretazione così lucida gli consentì di percepire come nessun altro il vero senso dell'enorme opera di rimozione che l'Europa stava mettendo in atto per il tramite della prosperità economica, del progresso tecnico e del positivismo che contrassegnarono gli ultimi decenni del XIX secolo."" -
Scritti postumi. Vol. 1: I manoscritti giovanili (1804-1818).
Questo è il primo dei sei volumi che presentano l'intera opera di Schopenhauer. Sono state messe a disposizione le carte manoscritte lasciate dal filosofo, dando accesso per la prima volta al suo laboratorio e consentendo di osservare momento per momento quello che egli stesso definisce ""il processo di fermentazione"""" del suo pensiero, la genesi della sua filosofia."" -
Il kepì
Colette, avvolta in «una vestaglia dalle pretese botticelliane», implora il saturnino Paul Masson di intrattenerla con qualche «bugia». E così, attraverso i cenni sparsi di quel «mistificatore abilissimo» prima, e l’abile fuori campo di Colette più avanti, ripercorriamo, dai suoi esili inizi fino al suo sensazionale epilogo, tutta la storia di Marco, «una bellezza del 1870, 1875, che rinunciava per modestia e per povertà a seguirci nel 1898», addentrandoci per brevi tratti nella sua bizzarra professione di autrice di feuilleton esotici, nelle repentine, ansiose metamorfosi delle sue toilette, e infine nella sua unica e tardiva passione, innescata da una beffa e da una beffa amaramente spenta. Ed è sotto il segno dell’inganno che si pongono anche gli altri racconti di questo libro. Ingannevole è l’abito del seduttore con cui Albin Chaveriat crede di conquistare Louisette, una quindicenne «predestinata alla menzogna, alle connivenze illecite, insomma al peccato», per venirne, in realtà, spietatamente irriso. Ingannevole, come sempre, è la semplicità di Colette, che in Armande arriva a concedersi, per la seconda e ultima volta nella sua carriera, il provocatorio cattivo gusto di un lieto fine. E ingannevole, soprattutto, è il suo stile che, mentre finge di indugiare oziosamente su una vecchia collezione di cancelleria, ci mostra come, a chi sappia guardarlo, anche da un bastoncino di «ceralacca verde spruzzata d’oro» possa scaturire, girando su se stesso «come un nero derviscio», il fantasma di un intreccio. Il kepì è stato pubblicato per la prima volta nel 1943. -
Cara incertezza
Ceronetti è un esploratore instancabile delle vaste plaghe del Male. In ogni direzione: nel passato, in terre lontane o fra le strade dove ci troviamo a camminare ogni giorno. Un ritaglio di giornale, un neologismo, il rictus di un ignoto: tanto basta, se lo seguiamo, per scoprire paesaggi devastati della mente o della realtà ufficialmente riconosciuta. Ma ci sono anche frequenti deviazioni, in queste indagini del pamphlettista flâneur, del filologo cantastorie. Sono scarti improvvisi che ci immettono in mondi paralleli, ad altre leggi obbedienti: un fotogramma di Arletty, una frase di Céline, un distico di Angelus Silesius. A distanza di vent’anni da La carta è stanca, e ormai in prossimità dei «tristi Duemila», Ceronetti ha raccolto e rielaborato un altro fascio dei suoi articoli, che sono sempre seguiti da una tenace tribù di lettori, felici di incontrare quelle scintille improbabili in mezzo alla folla desolata di tutto ciò che fa notizia. -
La scomparsa di Majorana
«Oggetto: Scomparsa (con proposito di suicidio) del Prof. Ettore Majorana». Un documento di polizia per aprire le indagini su uno di quei casi, prediletti da Sciascia, dove l'enigma insoluto, con la sua verità nascosta, induce ad andare oltre la cronaca, dentro l'anima di un uomo. Dal 26 marzo 1938 si perdono le tracce, fra la partenza e l'arrivo di un misterioso viaggio per mare da Palermo a Napoli, del trentunenne fisico siciliano Ettore Majorana, che Fermi non esiterà a definire un genio, della statura di Galileo e di Newton. Suicidio, come gli inquirenti dell'epoca vogliono credere e lasciar credere, o volontaria fuga dal mondo e dai terribili destini che una tale mente può aver letto nel futuro – e nel futuro vicino – della scienza? Su questo interrogativo Sciascia costruisce uno dei suoi libri più belli, di un'intensità di analisi e quasi di immedesimazione nelle motivazioni non dette, nella logica e nell'etica segreta del personaggio, che giunge a sfiorare l'incandescenza della verità: «Il suo è stato un dramma religioso, e diremmo pascaliano. E che abbia precorso lo sgomento religioso cui vedremo arrivare la scienza, se già non c'è arrivata, è la ragione per cui stiamo scrivendo queste pagine sulla sua vita». Tale ragione è un appassionato coinvolgimento, trattenuto ma vibrante, che si comunica immediatamente a chi legge, e che dalla vicenda contingente si allarga all'incommensurabile. -
La cena segreta. Trattati e rituali catari
Solo una cinquantina di anni fa le dottrine e i riti della più importante eresia cristiana del Medioevo, il catarismo – conflitto tra principio del bene e principio del male, creazione del mondo a opera di Satana, caduta degli angeli ribelli e loro imprigionamento nei corpi materiali, missione salvifica dell’angelo Cristo, cerimonia iniziatica del consolament riservato ai Puri, i Catari appunto –, erano noti quasi esclusivamente attraverso le fonti inquisitoriali e gli scritti, non di rado tendenziosi, degli oppositori cattolici. Da quando, nel 1939, l’erudito domenicano Antoine Dondaine scoprì per caso alla Biblioteca Nazionale di Firenze il Libro dei due princìpi e un Rituale cataro, è emerso a poco a poco dall’oblio un significativo corpus di testi originali, miracolosamente sopravvissuti alla distruzione, che hanno rinnovato la nostra conoscenza di questa grande religione scomparsa: dopo la prima, fortunosa scoperta sono infatti tornati alla luce un secondo Trattato dedicato al tema dei due creatori e dei due mondi, un ispirato scritto apologetico sulla Chiesa di Dio e un commento esoterico al Padre nostro. Il presente volume riunisce tutti questi testi, insieme alla Cena segreta – apocrifo di origine bizantino-slava che illustra il mito cosmogonico dei Catari – e a una preghiera in occitanico al Padre degli spiriti celesti. Questo corpus, di enorme valore storico e spirituale, ricompone finalmente davanti a noi i tratti di un grande movimento religioso che fu al tempo stesso un tentativo di ritornare alla purezza della Chiesa dei primi secoli – alla severità dei suoi costumi, all’austerità dei suoi riti – e forse l’ultimo affioramento, in seno al cristianesimo, di una prospettiva «gnostica» che aveva avuto nello gnosticismo tardoantico e nel manicheismo le sue espressioni più radicali. Una prospettiva che la Chiesa avversò sempre e combatté con persecuzioni feroci, culminate nel grande rogo di Montségur del 1244, vero sigillo dell’epoca catara. -
Una rosa per Emily
L’arte di Faulkner fu grandissima non solo in vasti e dilaganti romanzi come Luce d’agosto o Assalonne, Assalonne!, ma anche in certi racconti brevi e asciutti, di memorabile intensità. Storie di donne del profondo Sud, oscillanti fra la nostalgia, la follia e il noir – ritratti in cui è incisa la cifra di uno scrittore di prodigiosa potenza. Questo libro ne raduna tre, Una rosa per Emily, Miss Zilphia Gant e Adolescenza, assumendo come titolo quello del più celebre di essi, che per molti è diventato il simbolo della narrativa di Faulkner, ossessivamente legata all’evocazione di un mondo svanito, quale appare a uno sguardo solitario, celato dietro la scena: «Di tanto in tanto la vedevamo a una delle finestre del pianterreno – aveva evidentemente chiuso il piano superiore della casa –, simile al busto scolpito di un idolo in una nicchia, che ci guardava oppure non ci guardava, era impossibile dirlo. Così passò da una generazione all’altra, amabile, ineluttabile, impervia, tranquilla e perversa». -
Il cardillo addolorato
Un romanzo «che tratta di Amori e Assassini» con la leggerezza dell’opera buffa. «In nessun altro libro, nemmeno nell’Iguana, che è il suo altro capolavoro, Anna Maria Ortese aveva mai posseduto questa forza: un’immaginazione così sovrana, una sapienza simbolica così ricca, un’arte così fresca e delicata». - PIETRO CITATI -
Lettere da Londra
A Londra, negli anni Cinquanta, non c’erano ancora mode giovani o minigonne o icone pop. Erano però disponibili, in città o in campagna, T.S. Eliot, E.M. Forster, Ivy Compton-Burnett, Harold Nicolson, i Sitwell, W.H. Auden, Angus Wilson, William Golding, Christopher Isherwood, Stephen Spender, Kingsley Martin, Kingsley Amis, il terribile Dr Leavis... E a teatro, ogni sera, c’era una bella scelta fra John Gielgud e Edith Evans e Ralph Richardson e Peggy Ashcroft e Laurence Olivier e Margaret Rutherford e Alec Guinness e Bea Lillie o Vivien Leigh... Settecento, o anni Trenta? Avanguardie di protesta, o ribalderie vittoriane? Forte impegno, o vaudeville di travestiti? Beethoven diretto da Klemperer, Galina Ulanova coi balletti del Bolshoi, o novità di Benjamin Britten e Samuel Beckett? Il giovane Arbasino schedava le politiche del dopoguerra al Royal Institute of International Affairs. E intanto osservava il funzionamento delle tipiche istituzioni, poi definite anche «prestigiose» o «mitiche»: il «Times», il «New Statesman», il Labour Party, le Corti di Giustizia, le bande dei teddy boys, la destra liberale e la sinistra accademica, l’underground alto e basso, il sense of humour e l’understatement elegante di critici esemplari come Cyril Connolly e Kenneth Tynan, Peter Heyworth e John Pope-Hennessy. A Londra si potevano fare diverse scoperte, e parecchi mostri sacri aprivano indulgenti le loro tane. Da Roma, Mario Pannunzio chiedeva delle «Lettere inglesi» da pubblicare sul «Mondo». Nacquero così queste corrispondenze confidenziali, che il tempo ha trasformato in manualetto ‘live’ di grandi autori del Novecento. -
Arte e anarchia
Nella Repubblica di Platone l’arte e gli artisti sono considerati un pericolo, una minaccia per l’ordine, e vengono sottoposti a censura. Al contrario, nei tempi in cui viviamo, la diffusione dell’arte cresce ogni giorno, la censura non può che sembrarci segno di arretratezza o di barbarie; dei pericoli dell’arte non si usa parlare, e certo di fronte a essa non si prova più quel «sacro timore» di cui scriveva Platone. Il rapporto fra queste due opposte concezioni è molto ambiguo: Edgar Wind – illustre studioso d’arte e anche sottile decifratore della storia del pensiero occidentale – lo ha scelto come tema di una serie di conferenze, arricchite da un prezioso apparato di note, che ormai sono da considerare come un testo classico del pensiero sull’arte. Fin dall’inizio del libro l’autore ci fa intendere con ironia e discrezione che forse Platone sapeva meglio di noi che cos’è l’arte, e giustamente la temeva, perché i poteri dell’immaginazione sono quanto di più vicino, nell’uomo, a un fuoco trasformatore o distruttivo. L’estrema leggerezza e tranquillità con cui oggi si guarda alle opere d’arte sarebbe piuttosto una conferma di quella «morte dell’arte» annunciata da Hegel. Per un destino beffardo, che Wind ci fa ripercorrere nelle sue tappe più importanti, l’arte occidentale è diventata autonoma e sovrana proprio nel momento in cui le è stato sottratto il suo vero potere. L’arte autonoma, coperta di inutili onori, si è venuta così a trovare in una zona ornamentale, marginale, della realtà, non essendole ormai riconosciuto di occuparne il temibile e fiammeggiante centro. Questa situazione paradossale, doppia, dove ogni soluzione si rivela essere una trappola, viene indagata da Wind con precisione filologica e lucidità di argomentazione, facendo perno su alcuni passaggi decisivi nella riflessione sull’arte, dai Greci ai Romantici e alle teorie dell’avanguardia. Ma anche molti problemi della pratica artistica vengono toccati: la tecnica del restauro, il declino dell’arte didascalica, i vari metodi di attribuzione, il rapporto tra arte e scienza, tutti questi temi appaiono di volta in volta abilmente inseriti nel tessuto speculativo del libro, che mantiene peraltro con eleganza il tono della conversazione, senza mai soccombere di fronte alla gravità dei problemi. Alla fine di questa laboriosa ricerca controcorrente, il rapporto fra arte e anarchia ci apparirà in termini nuovi e piuttosto amari: l’arte, cacciata un tempo dalla Repubblica di Platone perché sovvertitrice dell’ordine, viene oggi allevata alla anarchia, ma, forse, accetterebbe di nuovo tutte le costrizioni pur di ritrovare la forza folle che è alla sua origine.