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Io ed Elena
Il forte atto unico di Donatella Busini si riferisce esplicitamente al grande dramma teatrale di Tennessee Williams del 1947, Un tram chiamato desiderio. Ma, rispetto al testo di Williams, quello della Busini non è un adattamento (come la classica versione cinematografica del 1951); non è un rifacimento, come nel film Blue Jasmine (2013) di Woody Allen; e non è neppure un esempio di quella categoria che è l'""omaggio a"""". In effetti qui l'autrice si misura in una sorta di audace corpo a corpo con il testo di Williams, smontandolo. (Dalla Postfazione di Paolo Valesio)"" -
La notte oscura di Maria
Nel poemetto ""La notte oscura di Maria"""" Ladolfi si misura con una tematica forte, quella di Maria - madre sorpresa nel momento topico del dolore, la morte del figlio. Tema difficile da trattare, certo. Il rischio è duplice: la banalizzazione da un lato, la tentazione di un'empatia eccessiva dall'altro. Ladolfi affronta il tema evitando entrambi: sul piano formale, una narrazione poetica legata al flash - back iniziale strappa, ex abrupto, il tessuto del piano temporale; l'effetto è una frammentazione del vissuto stesso di Maria, e con essa del genere umano, che evita da un lato ogni forma di preghiera catartica e, dall'altro, sospende il tempo in una serie di quadri poetici che drammatizzano e, in parte, deformano gli eventi, pur nella fedeltà del dettato storico-religioso, anche grazie ai tanti interrogativi aperti e irrisolti. Da ciò deriva un senso di spaesamento che rende il poemetto unico nel suo genere, difficilmente paragonabile alle meditazioni di un Marco Beck sulla figura mariana, a cui Ladolfi è affine per profondità di sguardo e sapienza narrativa, o alla focalizzazione sulla femminilità di Maria, come accade, ad esempio, in Daniela Raimondi... (Dalla prefazione) Prefazione di Giulio Greco. Postfazione di Ivan Fedeli."" -
Amnesia dell'origine
Conducendoci attraverso un viaggio nei più celebri labirinti della tradizione e della storia (evidenti allegorie di quello smarrimento che non è solo della memoria, ma anche del senso etico della nostra civiltà contemporanea), la poesia di Gallo non viene mai meno, nemmeno in questo libro, alla denuncia delle brutture e delle nefandezze dell'uomo, sul ciglio della propria autodistruzione a causa della sistematica predazione delle risorse del pianeta, come ben evidente in testi quali Permafrost, Allunaggi, Orse minori, Dissolutio Humani Generis («La sconfitta di ognuno / oramai divenuta / la sconfitta di tutti»). Sergio Gallo è vicino, quando affronta temi come questi, a tutta la nuova ecopoetry, diffusa soprattutto nel mondo anglosassone e ancora marginale nella poesia italiana contemporanea, il che dimostra il suo sguardo ampio per naturale vocazione, alieno da provincialismi claustrofobici, sempre dannosi in poesia. (Dalla Prefazione di Fabrizio Bregoli) -
Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla rete
In che modo la velocità della Rete, gli effetti del mediashock e tutte le affascinanti promesse del web - come accorciare le distanze o ridurre i tempi di comunicazione - hanno cambiato il modo di fare poesia e hanno influito sul senso di identità e di relazione di ciascuno? I testi raccolti in questo volume, scritti da poeti nati tra il 1940 e il 1999, provano a tracciare alcune possibili traiettorie di senso per rispondere a questa domanda e fare nascere altre quesiti capaci di alimentare consapevolmente il dibattito intorno a poesia e Rete. Il volume si articola in due sezioni: la prima è dedicata agli omaggi di poeti affermati che hanno concesso alcuni contributi inediti sul tema; la seconda ospita invece gli inediti di poeti che hanno risposto alla call per la composizione del volume e che sono stati ritenuti meritevoli di farne parte dal comitato editoriale di Alma Poesia, che si è occupato anche della stesura di commenti critici che intervallano i testi delle autrici e degli autori proposti. Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete, in un viaggio tra le generazioni, prova a riassumere in sé le diverse accezioni del rapporto poesia-Rete. -
Ùltime reuse. Ultime rose
«Da sempre, la poesia di Remigio Bertolino appare come una voce emersa dal tempo; il poeta di Mondovì ci parla di un mondo di neve e ghiaccio, di vite al chiuso, in una ""scura tana"""" (A mezzogiorno, in Litre d'ënvern, Aragno 2015), tenute in vita da """"tuberi secchi"""" (T.S. Eliot): vite elementari, di pura sussistenza, che egli preleva da un immaginario archetipico che, appunto, è universale e non semplicemente ascrivibile al """"mondo dei vinti"""" delle pianure, delle vallate e delle montagne del cuneese come fu ritratto da Nuto Revelli. Anche se questi versi scritti sotto la visione ossessionante del Monviso mostrano uno strenuo legame con quella terra, ci mostrano infatti come un forte senso del radicamento territoriale e culturale possa diventare il mezzo per aprirsi all'universalità: il loro afflato è comprensibile a tutti, perché a tutti un lungo inverno e una poca estate parlano di un mondo tragico, in cui la gioia è circonfusa di un alone di nebbia, e di un freddo che non è solo atmosferico.» (Dalla Prefazione di Mauro Ferrari)"" -
Imparando
Una raccolta di poesia formalmente asciutta e caratterizzata dalla brevità. -
L' opera nuda. Poesie
La grande poesia si sposa in basso, dal ventre fin sotto i piedi e brinda col sangue alle miserie del mondo: Baudelaire, Rimbaud, Bukowski. Spesso, tra convegni e incontri individuali, ho avuto la sensazione che l'innovativa e rivoluzionaria letteratura poetica della beat generation, portatrice di libertà e libertarismo, sia nella forma sia nei contenuti, fosse ancora oggi, qui da noi, pressoché sconosciuta, intendo non letta, addirittura ignorata con supponenza sprezzante, senza mai aver aperto uno di quei libri leggendari. Lo dico perché se solo avessero sfogliato quelle pagine, certi poeti non sarebbero stati più gli stessi e le loro poesie avrebbero scardinato e rifiutato strutture obsolete e costrittive entrando nel mondo nuovo come dinamite pura. I loro poeti di riferimento sono, al contrario, asfittici, astemi, carducciani, fegatosi, vescovili , si beano delle loro cattedre funebri perché quella poesia è in avanzato stato di decomposizione. Ho sempre pensato che la poesia fosse l'espressione più libera e provocatoria perché autonoma, autofinanziata, indipendente. (Mauro Macario, dall'intervista di Roberta Petacco) -
Lo stupore e il caos
Sono pochi i poeti che sanno serbare, con pudore, quasi in punta di piedi, l'ardore di una parola che strugge e incanta, e che è la chiave del loro inquieto, stupito guardare al mondo. Angelo Maugeri, una delle voci più nascoste e autentiche della nostra poesia, è fra questi, e ci consegna un libro in cui la delicatezza dello sguardo, la vibrante tenerezza delle sensazioni, la forza allusiva delle immagini si fondono con la tensione meditativa e la drammatica riflessione esistenziale. I temi che Angelo ha dettato a questi suoi versi sono quelli di sempre, ma acuiti dall'esperienza del tempo: il moto crudele e rapinoso delle illusioni, la «polvere d'oro» del mondo, che abbaglia e angoscia nel suo indifferente accadere, il gioco della vita che sfugge di mano, l'incepparsi della lingua a tanto strazio, il colloquio con le ombre, il sentimento del mistero, il rinnovarsi crudele delle stagioni, «pegno d'un nuovo principio». Il poeta ancora pensa al misterioso «passaggio dei giardini di ponente» evocato in una memorabile raccolta di quasi mezzo secolo fa, mentre la parola sembra accedere alle regioni del vuoto e del silenzio. Eppure quanta grazia. (Nota di Giancarlo Pontiggia) -
Sentimentalissima luce
Rami, segni. È così che ha inizio il nuovo libro di Marco Marangoni: rami che si fanno segni, pur restando rami; pagine che si sperdono per opera del vento; un fuoco che arde, fisico e simbolico insieme. Marco Marangoni ci ha abituati da sempre a una poesia fatta di ascolto e di silenzio, di percezioni minime che vengono da un luogo originario, germinale: parole-dove, parole-tempo, che si aprono a un infinito di suoni, all'improvviso di una gioia non prevista, pure così intensa, acuta. Non c'è poeta, oggi, che più di lui cerchi l'essenza del canto, e che lo cerchi dentro l'esperienza delle cose, del tempo che abitiamo: nei suoi versi - umanissimi e trepidanti - sentiamo la trafittura della vita, la potenza dell'invisibile, l'intensità purissima - e leopardianamente sentimentalissima - di una parola che conosce il senso della precarietà, il peso delle illusioni, delle memorie. E non c'è poeta, oggi, che più di lui si sia nutrito di emblemi filosofici: ma le sue parole hanno la consistenza di una ninfea, il bagliore di una chimera: «come / da un fondo si facesse la parola / e si sfogliasse il logos / come si sfoglia la rosa». (Nota di Giancarlo Pontiggia) -
Sul confine
«Prima di tutto emerge la concezione della poesia come espressione della ""vita"""", non quindi forma letteraria fine a se stessa, ma trasposizione dell'esperienza, realmente vissuta e esperita, poesia come strumento che ha bisogno delle """"parole"""", a cui va quindi attribuita la massima attenzione e la cura che meritano, perché possano essere """"inviate"""" (c'è quindi un destinatario con cui va instaurato il dialogo: l'altro da sé) """"oltre confine"""", appunto. Le parole devono quindi essere in grado di travalicare i propri limiti, rompere indugi e barriere, attraversare l'altro per farsi concrete e entrare in sintonia con il mondo; ma tale processo non può mai essere a senso unico. (...) La poesia di Bondioli, come appare esplicito in questa opera, naturale approdo delle precedenti, è allora soprattutto voce che cerca di indagare l'uomo (fosse pure, come in passato, attraverso gli """"animali di strada""""), tutta la contraddittorietà della sua esistenza, definita con un'espressione felicissima """"mappa precaria / dei suoi infiniti approdi"""".» (Dalla Prefazione di Fabrizio Bregoli)"" -
Il posto dello sguardo. Scuola e poesia tra complicità e smarrimento
Poesia e scuola: ma diciamo pure letteratura, anzi cultura e scuola. Cioè la trasmissione del sapere, del saper fare e soprattutto del saper essere, affidata a una istituzione che fatica ad evolversi in maniera efficace. E la poesia? È ormai presente solo come reperto archeologico, cristallizzata ai grandi poeti di due generazioni fa, come se non ci fossero poeti che parlano del mondo di oggi, e la cui conoscenza sarebbe fondamentale per gli studenti. E non solo. Poeti, scrittori e critici di vaglia riflettono sulle molte sfaccettature del problema. -
L' angelo delle distanze
«Grasso utilizza tutta la tipologia di una poesia notturna e celeste, dalle misure archetipe alle cose (acqua, aria, terra, fuoco), alle diverse epifanie, alla trionfalità del celeste, o per dirla in breve di una materia costitutivamente poetica. Ma a differenza di questa tradizione, che per l'Italia del Novecento si ritrova in Campana e nel primo Luzi, Grasso rifiuta un registro convulso e passionale, ""romantico"""", oppure la visione onirica. (Dalla Prefazione di Stefano Verdino) La prima stampa di questo libro porta la data del maggio 1990, ma l'autore in una nota ci conferma che i testi sono stati scritti nell'arco dei tre anni che vanno dall'inizio del 1986 al settembre 1988. Senza tema di smentita si può dire che è un frutto maturo degli anni Ottanta, così come l'amicizia fra la sottoscritta e l'autore... Una scrittura rapinosa, appunto, quella di Grasso, fatta di vento caldo e di vapori anche dove la postura metalinguistica o i fondamenti numerici la raggelano. In questa contraddizione risplende.» (Dalla Postfazione di Maria Luisa Vezzali)"" -
Giacomo: a solitaire's opera-Giacomo: l'opera di un solitario. Ediz. bilingue
"Giacomo: A Solitaire's Opera"""" è una """"opera naturale"""". In altri termini, rappresenta l'arco emotivo della vita di un poeta, trasposto in poesia. La sequenza è divisa in tre atti come in un'opera formale. Giacomo si ispira, liberamente, alla vita del poeta italiano Giacomo Leopardi. La sua vita, carica di dolore emotivo e fisico, non gli impedì di scrivere alcune fra le più squisite liriche del suo tempo, di tutti i tempi. La sua visione della natura umana, e, in generale, dell'umanità, era cupa, ma ciò non è necessariamente un portato della sua deformità fisica, sebbene alcuni lo credano. Quale che fosse la sua idea dell'umanità o il suo tormento emotivo e fisico, Leopardi dimostrò grande coraggio di fronte alle avversità, e la sua poesia ne trascese la vita. Sebbene la vita emotiva di Giacomo segua la vita di Leopardi, la sua voce, non è, nel modo più assoluto, quella di Leopardi. La voce di Giacomo è la consapevolezza di un poeta che vive la propria vita." -
Libro mastro
"Con """"Libro mastro"""" si apre la seconda stagione della ricerca poetica di Maurizio Paganelli. Una stagione nuova, in cui la parte lirica cede il passo a una riflessione filosofica di ampio respiro e la stesura del verso si prosciuga diventando essenziale e assumendo un tono narrativo, tendenzialmente gnomico, che talvolta sorprende... preme sottolineare la forza versatile della poesia di Paganelli, fatta di strappi e possibilità, eppure così incisiva, toccante... Ciò che salva, in ultima analisi, è la possibilità della parola di farsi verbo, dichiarare. Maurizio lo sa. E consegna al lettore se stesso e la sua potenza espressiva che oggi risulta essere tra le più efficaci del panorama della poesia contemporanea"""". (Dalla prefazione di Ivan Fedeli)" -
La casa visitata
"... la parola di Bagnoli racconta «il cominciare, / l'origine, il venire al mondo, / del mondo». Dalle tenebre, la luce dà forma alle cose conferendole un ordine enigmatico, misterioso, che costituisce la casa comune. Ognuno di noi è abitato da questa luce generativa. La luce, scrive Bagnoli, è «una lama verticale / che divide». La luce che attraversa la fessura e penetra all'interno, illumina la polvere che si alza dentro di noi e si raduna in nuvole. Ed è questo il farsi della coscienza e delle sensazioni. Così come il farsi dell'universo, dei cieli, delle acque che fuggono dal nulla - dall'ombra in cui si trovano - per confluire in un'unica casa... La Genesi di Bagnoli è un vorticare impetuoso di materia e spirito. È un farsi progressivo delle cose che sgorgano dal profondo, dalla ferita da cui veniamo. Quella ferita che sopravvive in noi e domanda ragioni e implora senso e cerca di districarsi fra le maglie strette del destino"""". (Dalla postfazione di Alessandro Pertosa)." -
Arabesque (2021). Ediz. bilingue. Vol. 1
In ciascun numero Arabesque propone un dossier in cui un tema relativo alla vita letteraria e artistica araba viene analizzato da diversi punti di vista. L'amore è l'argomento del primo numero. Come hanno vissuto e vivono gli Arabi l'amore in letteratura e nelle arti? Gli eroi delle storie d'amore arabe sono solo poeti o esistono amanti famosi di altro tipo? Gli Arabi hanno una loro tradizione sull'idea di amore? E come hanno intrecciato l'amore con la resistenza attraverso modi poetici specifici? Esiste una poesia d'amore scritta esclusivamente delle donne? -
E quindi ci vediamo a un'ora qualunque
Con questo volume, ""E quindi ci vediamo a un'ora qualunque"""", Alessandro Quattrone ritorna ai dialoghi teatrali che già costituivano il contenuto del suo libro precedente (""""A me non sembra di dover morire""""), apparso in questa stessa collana. Non c'è salto di continuità fra le due raccolte, ma piuttosto un approfondimento del discorso. Qual è questo discorso, e in che consiste il suo approfondimento? Quattrone elabora un tipo di scrittura che si potrebbe definire surrealismo light - e forse la maggior parte di ciò che di surrealistico si può trovare nella letteratura italiana moderna e contemporanea è light; con la maggiore eccezione per quella forte, e ancora non completamente compresa, alternativa al surrealismo che è il futurismo. Ma ciò non significa che la storia di questa vena surrealistica italiana non sia ricca e complessa. Infatti, senza scomodare la letteratura medioevale e rinascimentale, mi sento di indicare come genealogia ultima del """"metodo Quattrone"""" (fatte salve le debite proporzioni) le """"Operette morali"""" di Giacomo Leopardi. (Dalla Postfazione di Paolo Valesio)"" -
Si resta sempre altrove
"In quest'ultima tappa del suo percorso poetico, Stefano Vitale prosegue l'insistita esplorazione del mondo e del proprio esserci, del divenire in esso e del nominarlo. Il titolo, schietto e icastico al tempo stesso, confessa come l'azione di avvicinamento all'antinomico qui, l'assedio al centro, il pienamente dimorarsi in esso, restino ancora una volta, «sempre», vani o quantomeno provvisori e parziali. Per quanto inseguita, indagata, a volte subita, la strada verso la città perfetta non si lascia possedere fino in fondo, si oppone, così che un «altrove» (o una miriade di altrove) resti meta sconsolata e confine, ma per il poeta - che questa ricerca sa essere il suo compito - anche nuovo punto di partenza"""". (Dalla Postfazione di Alfredo Rienzi)" -
Cromatismi
"Chi ha avuto modo di leggere i precedenti libri di Luca Gamberini, vale a dire Un etto d'amore (Lascio?) (Ensemble, 2018) e Pensa che cretino che è l'amore (Mondadori, 2021), stenterà, leggendo questa sua nuova raccolta, a riconoscerlo e a identificarlo come il medesimo autore e noterà un deciso cambiamento di rotta nella sua scrittura [. . .] C'è dell'altro, però, secondo me, vale a dire il rivelarsi di una maturazione, di una presa di coscienza, che io definirei consapevolezza ed è la piena e convinta consapevolezza del fare poesia [. . .] Si avverte in Cromatismi, nella sua scrittura e nel suo dipanarsi, il bisogno da parte del poeta di affermare un pensiero più complesso, senza per questo affrancarsi dai libri precedenti e neppure dai pensieri in essi espressi, ma anzi sviluppandoli e ampliandone il raggio d'azione"""". (Dalla Prefazione di Enea Roversi)" -
Autopsia (reiterata)
«Il poema ""Autopsia (reiterata)"""" si presta a letture poliedriche. È certamente presente nei versi una intensità spirituale, ma al tempo stesso rintracciamo anche un impulsologico e rigoroso, per quanto qui la logica si mostri per lo più in paradossi-rompicapo, che si spingono talvolta a prendere le sembianze del K?an, ricongiungendosi così alla chiave mistica apparentemente opposta. Questa scrittura si basa sul frammento, su brevi enunciati in versi, spesso contraddittori fra loro, che organizzano la loro riflessione indistintamente sul paradosso, sulla tautologia o sul sillogismo. Ogni passaggio infatti, seppure apparentemente tranchant, è in realtà pensato per essere interpretato in vari modi: tutti possibili, tutti inclusi, senza che alcuna lettura possa essere considerata sbagliata o inaccettabile. Nonostante la natura sentenziosa, più che degli aforismi, questo poema assume le sembianze dei proverbi: perché non esistono verità dall'alto qui, né giudizio morale o di valore, né tantomeno massime univoche.» (dalla postfazione di Alessandro Pertosa)""