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Gianna Nannini. Fiore di ninfea
Se occorre fare un nome - e uno solo - per definire il rock italiano al femminile, non può che essere quello di Gianna Nannini: 35 anni di carriera, 20 dischi e oltre 10 milioni di copie vendute in tutta Europa, per un percorso artistico che è rimasto di grande rigore e integrità anche quando è venuto a contatto con le insidiose sirene della fama e del successo. E come non riconoscere alla cantante senese la capacità di superare i confini della musica per curiosare in altri territori dell’arte e della comunicazione? La musica, la letteratura, il cinema, ma anche l’impegno, lo stile, il rapporto con la sua terra: sono questi i temi affrontati da ""Fiore di ninfea"""", non una semplice biografia, ma un’analisi più ampia delle varie sfaccettature di un personaggio multiforme, capace di collaborare con naturalezza con Michelangelo Pistoletto, Carla Accardo e Isabella Santacroce, di rileggere la figura di Pia de’ Tolomei raccontata da Dante nella Divina Commedia, di impegnarsi in battaglie sociali e civili, e di porre la donna sempre al centro di tutto ciò che fa. Soprattutto, """"Fiore di ninfea"""" è uno sguardo su un simbolo dell’emancipazione femminile, prova ne è la maternità da ultracinquantenne, segno di grande determinazione su uno dei diritti fondamentali delle donne, quello di diventare madre, a prescindere dall'età, dalle polemiche e dalla presenza di un compagno. Anche per questo, spaziando da un campo all'altro, Gianna Nannini resta un’artista unica."" -
Poesia in forma di rock. Letteratura italiana e musica angloamericana
Kurt Cobain leggeva Dante. Potrebbe sembrare uno slogan da fiera del libro, invece è la verità. È più che sorprendente e certamente poco noto il rapporto costante tra alcuni dei più grandi interpreti del rock - inglese e americano e la letteratura italiana dal Medioevo fino ai giorni nostri. Un percorso che muove per vie misteriose, dove Dylan rilegge Dante e Petrarca, Patti Smith e Morrissey incontrano Pier Paolo Pasolini, i Radiohead e i Nirvana si inoltrano nell'Inferno della Commedia, Sting evoca Italo Calvino, Mike Patton interpreta Edoardo Sanguineti. Questo studio unico nel suo genere, condotto tra Oxford e Roma, attraverso il dialogo dinamico tra testi musicali e testi letterari, ripercorre cinquant'anni di rock come non l'avete mai letto prima, tra intersezioni inaspettate, scoperte inedite, citazioni, aneddoti, interviste ai protagonisti. Il risultato è un vero e proprio canone alternativo della letteratura italiana declinata nei suoi profili più espressivi e anticonformisti, capace di offrire uno spaccato inaspettato sulla fortuna e sui canali di diffusione della nostra cultura all'estero nel secondo dopoguerra. Un'incursione innovativa nella musica rock a metà tra l'underground e l'Università, impreziosita da testimonianze inedite con un contributo d'eccezione a opera di Carlo e Paolo Verdone - per indagare l'intersezione tra musica e letteratura ""in un territorio ancora inesplorato del postmodernismo"""", come avrebbe detto Umberto Eco."" -
Le avventure di un jazzista-filosofo
Il jazz ha sempre diffidato della parola. Il vecchio Benny Carter dichiarava brutalmente: ""Io non scrivo e non leggo nulla sulla musica. Il mio compito è crearla, se ci riesco"""". Oggi le cose sono un po' cambiate. Oggi i musicisti jazz devono sapersi interrogare e ridiscutere continuamente e un pianista come Brad Mehldau tiene lezioni di fronte a filosofi e scrittori in cui mostra i fondamenti filosofici della sua poetica. Non è solo la voglia di filosofia che caratterizza questi nostri anni sempre più incerti e avvelenati e che spinge sempre più persone di cultura non elevata a partecipare ai convegni dei filosofi. È l'aver capito che il jazz muore se si definisce come semplice ri-combinazione fluida e in tempo reale di pattern ereditati dal passato, se rinnega l'improvvisazione e la sua vocazione a scardinare schemi e regole ereditate. La sfida, il paradosso dell'improvvisazione jazzistica sta qui: nell'insegnare a essere liberi in modo ordinato e rigoroso, senza rinunciare a darsi una forma, ma anche nell'insegnare a non ghettizzarsi, nel guardare fuori dal proprio stretto ambito. E ciò senza montare in cattedra, ma sentendosi eredi di una tradizione che ha sempre contestato qualsiasi discorso normativo e astratto. Questo, esattamente questo fa Arrigo Cappelletti, jazzista e filosofo, in un libro di riflessioni, scritti d'occasione, approfondimenti teorici, pensieri e brevi saggi attraverso i quali restituisce una visione vivace, intelligente, dotta e divertita del jazz."" -
In the court of the Crimson King
“In the court of the Crimson King” segna una forte discontinuità con la psichedelia e il blues revival, e le varie forme miste, popolari in Inghilterra verso la fine degli anni Sessanta. Supera cliché estetici e filosofici ormai in crisi e inaugura una nuova era del rock non solo per mezzo di strumenti mai utilizzati prima come il mellotron, ma anche con sonorità e stilemi del tutto originali come quelli della chitarra elettrica di Fripp o del sax di McDonald. I King Crimson decidono di non abbeverarsi più al pozzo della musica americana, ma di attingere alla musica colta europea, al jazz e al folk con tutte le sue suggestioni medievali. In questa monografia dedicata a ”In the court of the Crimson King”. Staiti ripercorre anno dopo anno, aneddoto dopo aneddoto, le vicende umane e artistiche dei cinque componenti originari della band fino alla nascita dei King Crimson, alla registrazione del disco e al tour americano che provoca lo scioglimento di quella incredibile band dopo soli nove mesi. Tuttavia, soprattutto grazie a Robert Fripp, i King Crimson - pur con diversi cambi di organico e di direzione musicale - hanno continuato fino ai nostri giorni a influenzare la scena internazionale. Nel libro anche un'intervista esclusiva rilasciata da Jakko Jakszyk - secondo chitarrista e cantate degli attuali King Crimson - e il racconto dell'ottava incarnazione della band che ripropone i brani dal primo album mai più suonati in concerto fin dal 1969. -
David Bowie. Fantastic voyage. Testi commentati
La notte del 10 gennaio 2016 la stella del rock registrata all'anagrafe come David Jones e nota al mondo come David Bowie ha concluso la sua orbita terrena e la sua luce ha repentinamente smesso di brillare, con uno di quei coup de théâtre di cui è sempre stato maestro indiscusso. Nulla era trapelato della sua battaglia - ormai evidentemente perduta — con il cancro, che lo aveva assalito nell'estate del 2014. “Blackstar”, suo 28° album di studio uscito due giorni prima della scomparsa, ha immediatamente assunto una luce diversa, si è rivelato per quello che in definitiva è: un testamento, l'ultimo atto di un uomo (prima ancora che un artista) che sta lottando disperatamente con la malattia ma sa di aver già perso la battaglia. Bowie è stato — è, e resterà - uno dei grandi padri di quella che taluni chiamano musica rock, e altri preferiscono definire più ecumenicamente pop. In cinquant’anni di carriera ha attraversato (quasi) tutti i generi e alcuni ha contribuito a crearli. Musica potente, contrassegnata da testi talora misteriosi e di ardua decifrabilità. Del resto, lui è sempre stato un maestro nel mandarti fuori strada, disseminando nei suoi testi molteplici riferimenti e facendo ampio uso della tecnica del «cut-up» di ispirazione burroughsiana. Esiste però una continuità di fondo nell'opera di Bowie e, come egli stesso ha ammesso, «in fondo alla fine ricorrono sempre gli stessi temi, che poi sono i miei interessi». Non può che essere questo, pertanto, il punto di partenza per «decodificare» le liriche di un artista che ha saputo dare una brillante forma artistica ed estetica alle proprie ansie e ai propri travagli esistenziali. Questi, a sua volta, erano i medesimi conflitti vissuti dai suoi fan; e Bowie, in tutti questi anni, non ha mai smesso - e non smetterà mai, nemmeno dopo la morte - di offrir loro quel conforto riassumibile nel metaforico abbraccio con cui concludeva i concerti degli anni Settanta: «You're not alone!». -
Shine on... you, crazy diamond. Viaggio virtuale attraverso un emblema pinkfloydiano
“Shine On You Crazy Diamond”, considerato da molti sostenitori e critici uno dei capolavori musicali degli ultimi quarant’anni, rappresenta senza dubbio un capitolo a sé stante all’interno del vasto panorama discografico dei Pink Floyd. Il brano rappresenta uno struggente, anche se indiretto, omaggio all’ex componente che fu il primo vero compositore dei pezzi originali del gruppo, ovvero il geniale Syd Barrett, diamante pazzo. La lunga suite si apre con un celeberrimo motivo di appena quattro note, definite “Syd’s Theme”, che hanno costituito un pezzo di storia della popular music di tutto il pianeta. Pianeta in senso fisico, perché esse hanno poi attraversato nei decenni tutte le aree geografiche del mondo in senso trasversale, tramite dischi, libri, concerti, Tv, onde radio e rete. Attraverso una minuziosa analisi armonico-melodica delle parti in cui è suddivisa la suite (I-V e VI-IX), raccontata in forma di viaggio virtuale, que¬sto lavoro vuole testimoniare quanto l’estro compositivo dei Pink Floyd sia stato in grado di accogliere, al suo interno, elementi poi rivelatisi decisivi per il patrimonio stilistico della musica successiva. Uno stimolante spunto di approfondimento per chitarristi e musicisti di ogni genere, studenti impegnati o professionisti. Uno strumento anche utile per uno studio e soprattutto un’esecuzione musicale più consapevoli e meno prettamente imitativi, come invece spesso accade. Una lettura, infine, che, pur contenendo diversi passaggi tecnicamente più complessi, è destinata anche al lettore appassionato ma non musicista, permettendogli di scoprire più da vicino l’immenso e affascinante, quanto complesso, “mondo parallelo” che si cela dietro tutto ciò che si ascolta ogni giorno. -
A suon di pinte. Il gioco degli abbinamenti tra musica e birre
Oggi anche l'Italia è sempre più lanciata verso la produzione di craft beer, ovvero la birra artigianale, ma perché ciò accadesse sono dovuti cadere molti luoghi comuni. La birra, infatti, non è un'unica bevanda chiara, gassata, dissetante. Al contrario, ha tanti stili diversi e ogni stile ha il suo colore, la sua schiuma e la sua gradazione alcolica; ha il suo bicchiere di servizio, le sue caratteristiche di spillatura e, ovviamente, la sua musica d'accompagnamento. Bere una English IPA in una public house di Londra, ascoltando i Clash, può essere totalmente diverso che ascoltare Frank Zappa sorseggiando un barley wine stravaccati sul divano di casa. Canticchiare i Velvet Underground degustando un lambic a Bruxelles è un'esperienza differente dal dissetarsi con una pils ceca nel bel mezzo di una dancehall in agosto. E poi: la birra può essere maturata in legno così come un buon dj può trasformare un vinile in un vero e proprio strumento, o l'amaro luppolato di una American Pale Ale può risultare ancor più fresco della chitarra dei NOFX. “A suon di pirite” vuole essere un viaggio tra le birre attraverso racconti, canzoni, gradazioni e interviste a produttori e mastri birrai. Ogni bevuta, un motivo musicale in testa, per dare una storia passata e futura alla nostra bevanda preferita. E non farci più prendere in giro dagli amici stranieri per i pochi litri pro-capite consumati nel Belpaese. -
Happy Diaz. La formazione musicale di una generazione che è stata ammazzata di botte
La generazione di ragazzi andati a Genova per contestare il G8 nel 2001 era una generazione particolare. Ha perso, ammazzata di botte nelle strade genovesi e nel chiuso di carceri e mattatoi improvvisati, ma su molte cose aveva visto giusto. Genova durò sette giorni di assemblee e dibattiti, ma tutti ne ricordano solo due, tragici, convulsi. Questo libro vuole raccontare tutta quella settimana. Non con la cronaca dei fatti. Ma attraverso le canzoni di Manchester che parlano dei giorni della settimana e così facendo cantano sogni, incubi e ossessioni di una generazione e del suo quotidiano. Attraverso testi e memorie, ""Happy Diaz"""" narra di come si arrivò a Genova, con quale stato d'animo si scrisse l'agenda di quegli incontri, con quali note, per vent'anni, ci si preparò ai manganelli, giorno dopo giorno."" -
78 giri quasi d'amore. Al riparo da un futuro invadente
All'inizio pensi che non succederà nulla, che tutto svanirà come un temporale sbagliato. Poi, quando la pioggia fa sul serio, scruti il cielo sperando che smetta presto. Ma più passano i giorni e più la tempesta si fa insidiosa. Così ti rendi conto che se non puoi fermarla devi almeno affrontarla come una delle tante strade strette di questa vita in salita. E se non sei Pantani, l'unico rimedio è quello di provare ad arrampicarsi scrivendo. Giorno dopo giorno, Maurizio Pratelli ha riversato sui suoi fogli bianchi i pensieri che agitavano la notte: per quasi tre mesi tutte le mattine ha raccolto il quotidiano disordine che aveva in testa fino a farne un diario da offrire alla polvere. Un presente così incerto lo ha riportato spesso indietro fino all'adolescenza, che si è fatta scudo anche per tenere a bada un futuro invadente. Dopo 78 giorni durante i quali almeno il cuore non si è mai sentito sospeso, dopo altrettante canzoni che hanno dato ritmo a questo tempo, sono rimaste sulla pelle qualche cicatrice e molta tenerezza. Segno che siamo vivi, sopravvissuti all'onda cattiva ma soprattutto al racconto di chi ha provato a cavalcarla pensando di ingannare il mare. Ora, dopo un lungo viaggio senza soste e tanti indirizzi nascosti tra queste pagine, ci sono finalmente nuove spiagge che ci aspettano. -
Being Janis. Il diritto di essere se stessi
Vi chiedete mai cosa sarebbe successo se Janis Joplin non fosse morta? O se il suo successo fosse esploso negli anni Duemila? Per anni è stata la portavoce di una sofferenza tutta al femminile, un simbolo per donne di ogni epoca che vedevano in lei una sorta di paladina di genere. La donna/bambina che era riuscita a fare della propria diversità un punto di forza, l’unica capace di farsi strada in quel club di soli uomini che era il rock system, nonostante le sue fragilità. Ma a distanza di 50 anni dalla sua morte, qualcosa è andato perduto. In un mondo completamente diverso dai tumultuosi anni Sessanta, tra i giovani del ventunesimo secolo la sua immagine non gode più dell’autorevolezza di un tempo, e l’eco di certi giudizi continuano a perseguitarla anche nella tomba. Il suo “essere Janis” ha fatto sì che nella memoria collettiva moderna venisse associata a un certo stereotipo di artista, e non più al simbolo che negli anni è diventata. Che sia colpa del periodo storico, o di una nuova concezione del termine “diverso”, è stata in parte accantonata, alla ricerca di nuovi idoli a cui tendere. Being Janis cerca adesso un punto di incontro tra passato e presente. Non è solo la descrizione del mito artistico, ma racconta una storia. Una storia che forse già conoscete, e che vi sembrerà familiare perché, anche se in un’altra epoca e in minor misura, avete vissuto anche voi. -
Musica per cani. Canzoni per il migliore amico dell'uomo
Quante volte avete pensato di dedicare una canzone al vostro cane senza mai riuscire a trovare quella giusta? Ci ha provato con non poche difficoltà l'autore di questo agevole libro che, stimolato dall'amore incondizionato dei suoi due fedeli compagni di viaggio, Harry & Pallino, si è divertito a selezionarle e raccoglierle in ordine casuale in questo volume dal titolo inequivocabile: Musica per cani.«Se conoscete qualcuno appassionato di musica che vive con un cane, questo è un regalo perfetto»- Franco Zanetti, Rockolrn «C’è la “musica da cani” e c'è la musica per cani, a iniziare dai Beatles che oltre a “Martha my dear”, una delle sedici canzoni raccontate in questo libro, incisero un suono udibile solo dalle orecchie del migliore amico dell'uomo nel solco finale di “Sgt. Pepper”. Un libro di musica cinofila, con qualche divertente curiosità, come la dimenticata “I love my dog”, vero canto d’amore scritto da... un gatto: Cat Stevens. O l’accorata “The day that Lassie went to the moon” dei Camper Van Beethoven». - Alessio Brunialti, La Provincia di Como Sono sedici brani di artisti e generi diversi che sicuramente non vi salveranno la vita. Tutti però hanno come leitmotiv l'affetto, l'ammirazione o la curiosità dell'artista verso l'animale da compagnia più comune e antropizzato del pianeta. Da Martha My Dear dei Beatles a The Day That Lassie Went to the Moon dei Camper Van Beethoven, passando per Old King di Neil Young, I Love My Dog di Cat Stevens e The Marvin Boogaloo di Giuliano Palma & the Bluebeaters, ogni canzone raccontata nel libro rivela con semplicità e immediatezza una vicenda o un ricordo incancellabile. Sono motivi tanto spassosi quanto malinconici che probabilmente apprezzerete ancora di più se, almeno una volta nella vita, avete avuto la fortuna di condividere un pezzo della vostra esistenza con un cane, o magari più cani. Da leggere (e ascoltare) preferibilmente in compagnia del vostro migliore amico. Prefazione di Antonio Bacciocchi e Rita ""Lilith"""" Oberti."" -
Isolation rock. Storie di musica, quarantena e coronavirus
Il libro che avete tra le mani, mentre c’è chi continua a combattere il contagio in prima linea e chi si sta lentamente abituando al nuovo mondo in compagnia del Coronavirus, è il tentativo di utilizzare la musica per inventare delle playlist strettamente collegate all’isolamento. Uno spunto insolito per “ascoltare” con occhio differente la nuova realtà che ci circonda e che qualcuno aveva già profetizzato. E così si scopre infatti che di distanziamento sociale già parlava nel 1982 Renato Zero. Sì, proprio lui: il re dei sorcini nel pezzo Contagio cantava “Pericolo di contagio, che nessuno esca dalla città… l’isolamento è un dovere oramai… dare la mano è vietato”. Un volume in note dedicato a quelle categorie di persone che con la loro dedizione finiranno nei libri di storia come i veri protagonisti di quest’emergenza planetaria. Il tutto passando attraverso decenni di rock’n’roll e scomodando anche delle icone come Giorgio Gaber che nel 1974, nel brano La peste, ispirandosi al flagello manzoniano intonava “Un bacillo che saltella / che si muove un po’ curioso / un batterio negativo / un bacillo contagioso”. Fino agli eccessi del black metal di gruppi come Pandemia o alla parodia di Bella ciao trasformata nella Canzone dell’amuchina: “Un’amuchina / mi son comprato / virus ciao / virus ciao / virus ciao ciao ciao”. E su tutto aleggiano, per ricordare la gravità di ciò che ha cambiato per sempre molte delle nostre abitudini, le sonorità misteriose e ipnotiche di Björk che in Virus sussurra “Come un virus ha bisogno di un corpo… io busso alla tua pelle ed entro”. Fortunatamente lei parlava d’amore. -
Musica in lockdown. Come si è fermata e come farla ripartire
La crisi legata all’esplosione del Covid-19 ha sconvolto il mondo, costringendo milioni di persone ad affrontare una crisi imprevista. Tutto si è fermato, per poi provare a ripartire da zero. La musica è protagonista nel bene e nel male: dalle canzoni dai balconi agli show in streaming, al settore discografico e live annichilito. Artisti, professionisti e ascoltatori in una continua tensione che ha visto la musica come collante emotivo sociale, eppure così bistrattato dalle istituzioni. Tramite il racconto e la riflessione sulle varie tappe della crisi – dal lockdown alla ripartenza estiva, fino al ruolo del collettivo #lamusicachegira – Musica in lockdown affronta il tema della centralità della musica in una società che da una parte sente il bisogno di suonare e cantare, dall’altro dà per scontato il lavoro dell’artista. Come è cambiato il modo di ascoltare musica? Quali sono stati i danni economici, ma anche psicologici e sociali? Può esistere un mondo senza musica? Cosa unisce l’ascoltatore casuale al cantante pop di successo? E come reagisce il settore tecnico-discografico? Sono solo alcune delle domande affrontate nel libro. Anche tramite interviste a professionisti e protagonisti del mondo dello spettacolo, Musica in lockdown cerca di raccontare il presente della musica in Italia, nel momento in cui questo mondo viene messo in discussione, nella sua ora più buia. Con la speranza di tracciare una linea per poter ripartire. -
Cartoon Rock. Quando la musica si anima
Il brano Sugar, Sugar, nel 1969, ha scalato le classifiche internazionali. A cantarlo, The Archies, ossia una band “disegnata” – protagonista della serie animata The Archie Show – ma con voci e canzoni reali, pop. Un esempio del cosiddetto Cartoon Rock, che, di serie in serie, nei decenni, ha visto la musica “animarsi”, facendo ballare i più piccoli, ma attirando anche l’attenzione dei più grandi. Il legame tra animazione e musica, nel tempo, si è fatto sempre più stretto e, soprattutto, in molti casi, è diventato centrale nella costruzione di storie e personaggi. Il trend non è stato passeggero. Molti i successi. Prima, i Chipmunks. Poi, Gli Impossibili, le “incursioni” rock nei Flintstones e nei Jetsons, i Cattanooga Cats, Josie and the Pussycats, The Pebbles and Bamm-Bamm Show, Il clan di Charlie Chan, Butch Cassidy and the Sundance Kids, Jabber Jaw e così via. E non sono da trascurare esperimenti di band note in carne e ossa felici di “cartoonizzarsi”. Così, i Beatles nel lungometraggio animato Yellow Submarine. Molti grandi, negli anni, hanno scelto l’animazione per raccontarsi, dai Pink Floyd a Chage & Aska con On Your Mark, animato da Miyazaki. E ancora, progetti speciali, come Gorillaz e Hatsune Miku, senza tralasciare la trasformazione della regia dei lungometraggi animati, con sequenze sempre più spesso simili a quelle di veri e propri videoclip. -
Rain. Come back a-live. Ediz. italiana
Nel 2010 la band italiana Rain – un’istituzione dell’heavy metal bolognese, con dieci album e oltre quarant’anni di concerti all’attivo – vola oltreoceano per suonare di spalla agli americani W.A.S.P., uno dei gruppi più noti del movimento hard rock degli anni Ottanta. “Come Back A-Live” è ispirato ai fatti e agli episodi di quel tour, al quale l’autore ha partecipato in veste di reporter, videomaker, merchandiser e tour manager operativo. Sono passati più di dieci anni da quell’autentica avventura on the road, ed è venuto il momento di tuffarsi nei ricordi per celebrarli: in ciò che è stato, che è successo veramente, e anche in ciò che non è stato (ciò che quindi è pura ispirazione narrativa), ma ha trovato spazio nei sogni (di rock’n’roll) dei sette ragazzi che quel 10 marzo 2010 atterrarono al JFK di New York, del tutto ignari dell’avventura che li aspettava fuori dai terminal dell’aeroporto. Se tutte le strade portano a Roma, una soltanto avrebbe condotto al termine del tour, proprio dall’altra parte dell’immensità degli States, a Los Angeles; un lungo cammino verso la California, intersecato e intessuto da strane coincidenze, e punteggiato da incontri magici, da personaggi bizzarri… come in ogni avventura che si rispetti. E anche da un antefatto incredibile che lasciò tutti col fiato sospeso sino alla fine… -
Tutto questo è blues. Roberto Formignani, una vita a ritmo di musica tra il Mississippi e il Po
Roberto Formignani si innamora da giovanissimo del blues, universo scoperto grazie ai dischi jazz del padre e a quelli rock del fratello maggiore. Compra la prima chitarra a dodici anni, passa i pomeriggi chino sullo strumento e cerca di riprodurre i suoni che escono dal giradischi posizionato accanto a lui, ma non c’è niente da fare: non riesce. “Dopo mesi e mesi di prove e strimpellamenti mi sembrava di non arrivare da nessuna parte, così lasciai perdere” racconta Formignani. Non è un addio, solo un arrivederci. Un paio d’anni più tardi si ributta a capofitto sulla sei corde e non smette più. Incontra l’armonicista Antonio D’Adamo, diventano inseparabili, e insieme fondano la Mannish Blues Band. Le prove in garage, i primi concertini nei locali fumosi di Ferrara e provincia e poi la chiamata a “Quelli della notte”, programma cult di Renzo Arbore. Il gruppo inizia a girare parecchio, suona prima di B.B. King a Pistoia, sale su palchi importanti e conquista piazze prestigiose a livello nazionale. Nel corso del tempo le vite e i gruppi cambiano, la storia fa il suo corso, ma Roberto resta fedele al suo strumento. Per anni suona in giro per l’Italia con Dirk Hamilton e Andy J. Forest, incide dischi con i Bluesmen. Nel 2000 diventa presidente dell’Associazione Musicisti di Ferrara, ruolo che ricopre tuttora. Dalle prime jam session in un casolare sul Po al tour dei Liberation Project con Phil Manzanera, passando per trasferte improbabili, avventure e canzoni, Formignani ripercorre una vita vissuta a tempo di blues. -
Jovanotti. Mai dentro mai fuori
Stamattina è il 1987, in persona. E dentro uno scenario fatto di Public Enemy e Ricchi e Poveri, bad di Michael Jackson e Al Bano e Romina, tra Umberto Tozzi e CCCP, Fausto Leali e Onda Rossa Posse, tra GoodMorning Vietnam e Rimini, Rimini, Primo Levi e Craxi, le Brigate Rosse e Sanremo, arriva ciò che un simile immaginario non avrebbe mai potuto aspettarsi: un disco alieno e americanissimo che dice ""Walking, walking down!"""". Arriva e si piazza al centro, come fosse più di un'ombra e meno di una persona. Mai dentro, mai fuori. Lo canta uno scappato di casa, un pezzo di legno modellato con le sembianze di un pupazzo colorato e sempre sorridente, che va a salti come una lepre, facendo fracasso. Ha scelto il nome d'arte di Pee Nocchio, ma un giorno il tipografo a cui aveva commissionato una locandina per una serata commise un refuso: scrisse Pinoxxxio. Lui lo trovò provvidenziale e tenne il nome. Quello che accadde dopo è una storia di venticinque anni. Da non potersi credere."" -
Art Blakey
Sembra passato un secolo da quando Art Blakey se n'è andato, stroncato da un male incurabile, il 16 ottobre del 1990, all'età di settantuno anni. Perché la sua figura era certo ingombrante, come il suono profondo e poderoso dei suoi tamburi, come l'affetto che nutriva per i suoi giovani musicisti. E, oggi, tutto sembra un po' più vuoto senza la sua proverbiale serenità, senza quei ‘press rolls’ che incendiavano l'aria. Come ha scritto Wynton Marsalis: «Si deve anche a Blakey se il jazz è diffuso in tutto il mondo. Con la sua batteria Art era in grado di evocare lo spirito arcaico del tuono così come lo stupore che c'è nel pianto di un neonato. Blakey ha dimostrato che la batteria è il battito cardiaco, il motore e la forza vitale del jazz». Eppure, nonostante una carriera durata cinquant’anni, nel corso della quale ha registrato un migliaio di dischi (di questi, più di seicento a suo nome), Art Blakey resta un personaggio relativamente sconosciuto: scarse le informazioni certe sulla sua vita, confuse quelle relative alle innumerevoli incarnazioni dei Jazz Messengers. Questo non è soltanto il primo libro su un batterista mai pubblicato in Italia. È anche il primo libro che parla di un accompagnatore, un musicista cioè che a differenza del solista non gode del proscenio, o delle luci della ribalta, ma che svolge il suo insostituibile lavoro nell'ombra tessendo una solida e stimolante rete di protezione sulla quale i solisti possono librarsi senza paura di rovinose cadute. Perché Blakey, uno dei più importanti bandleader dell'intera storia del jazz, seppe essere un formidabile gregario, un eccezionale direttore d'orchestra seduto dietro i suoi tamburi, un inimitabile uomo di musica. Torna dunque in libreria un saggio che ha fatto scuola, con nuovi materiali e una nuova introduzione. -
Enciclopedia del rock
Oltre 1.600 schede biografiche: gli artisti, i gruppi, i produttori e i discografici che hanno fatto e continuano a fare la storia del rock. Formazioni e discografie ufficiali, con oltre 20.000 album citati. -
Consapevolezza. Gli Area, Demetrio Stratos e gli anni Settanta
"Non credi nella musica complessa, non credi nella cultura d'élite, non credi nella strada facile. È il pubblico che deve crescere con te: infatti pop significa che sei disponibile a farti capire dal popolo, non ad annacquarti il linguaggio. Però è dura tirare a fine mese, difficile trovare degli ingaggi, mantenere sempre la coerenza: magari, gli stessi che vengono a vederti suonare, poi ti contestano. E fuori? Molotov, lacrimogeni, cariche della polizia, spesso colpi di P38. Eppure senti che devi schierarti, uscire fuori, legarti alla realtà: il privato è stretto, banale, borghese. Questi sono gli anni Settanta: il momento giusto con le persone giuste, contro tutte le gerontocrazie. È la tua area, la tua scommessa, la tua rivoluzione. Un'epoca irripetibile che sta finendo per sempre"""" (L. Trambusti)"