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Attraverso la storia dell'estetica. Vol. 3: Dall'Ottocento a oggi.
Questo è il terzo e ultimo volume di una Storia dell'estetica moderna iniziata con un primo volume, Dal Settecento al Romanticismo, e proseguita con un secondo, Da Kant a Hegel.Anche in questo caso, come nei precedenti, non si tratta di una storia concepita come un manuale, ma come una serie di saggi, che, se non hanno la pretesa di coprire tutti gli autori che si sono occupati di estetica dalla seconda metà dell'Ottocento a oggi (cosa del resto pressoché impossibile anche in un manuale), in compenso offrono un approfondito sguardo su molti autori e problemi centrali degli ultimi centocinquant'anni. Si inizia con due ampi saggi dedicati all'idea di genio e all'estetica di un'arte di solito abbastanza trascurata dai teorici, la scultura. Si passa poi ad autori importanti in un contesto internazionale ma spesso poco discussi nelle storie dell'estetica: il grande conoscitore d'arte Giovanni Morelli e il suo ""metodo""""; l'influsso di John Ruskin sull'estetica italiana; le teorie di un filosofo dimenticato ma ai suoi tempi notevole come Eduard von Hartmann o la curiosa Estetica del Diritto del giurista Heinrich Triepel. Vengono poi gli italiani: Benedetto Croce e Giovanni Gentile, e i grandi protagonisti dell'estetica post-crociana: Luigi Pareyson, Luciano Anceschi, Cesare Brandi, ma anche Jean-Paul Sartre, W.J.T. Mitchell e le discussioni sul Postmoderno. Per concludere con una serie di saggi sull'estetica analitica anglo-americana dell'ultimo cinquantennio."" -
Roma come stai?
"Roma come stai?"""" ha preso quest'anno la forma di un libro perché non è stato possibile tornare in piazza, come il Dipartimento di Architettura e Progetto dell'Università Sapienza di Roma aveva fatto per tre anni, a partire dal 2017, spostandosi dalle aule della sua sede di piazza Borghese allo spazio aperto. La pandemia ci ha impedito di trovarci insieme per comunicare con i cittadini di Roma, per presentare e discutere con loro le nostre ricerche sulla città e i suoi territori. Avevamo iniziato a porre questa semplice domanda alla nostra città, scegliendo una formula nella quale si ritrova un'espressione di affetto, preoccupazione e desiderio di cura. A cura di Orazio Carpenzano, Stefano Catucci, Fabrizio Toppetti, Massimo Zammerini, Fabio Balducci, Federico Di Cosmo." -
The electric rectangle
The Electric Rectangle is a coming-of-age story about a professor, his colleagues and students as they gravitate around an artificial intelligence-based installation and happening. From brainstorming to hardware/software testing and ultimately the premiere, the students and professor take notes, fantasize, learn and share their stories. The tale’s original polyphony is enriched with observations on theory, sound, and images, veritable vanishing lines that make this experimental novel an original and unique combination of writing, creative and otherwise.rnrnWith the collaboration of Camilla Carusi, Beatrice Lenzi, Valeria Remondi, Emma Zoe Rossi.rnrnWith hypertextual interventions by Amos Bianchi, Vincenzo Cuccia, Emanuele Lomello, Italo Rota, Guido Tattoni. -
Bodies of art: the shaping of aesthetic experience
Over the course of the last two decades, a novel and innovative corporeal imagination has overtaken social theory, cultural studies, philosophy, psychology and the humanities. With sustained interdisciplinary attention being paid to human embodiment, current efforts to understand meaning-making have precipitated a reconceptualization of the lived body as a matrix of significance flourishing within the spatial, corporeal, and incarnate. This move continues to be driven by a desire to challenge the prevalent Western, and Cartesian, notion of the self as a discrete, interior consciousness constituted by brain states and processes located exclusively inside the head of the person, with priority being given to reason and language. In response, a non-Cartesian approach can take as its starting point the Spread Mind identity theory developed by Riccardo Manzotti which claims that the mind is not produced by or in the brain, but rather, the brain is formed and constantly modified by the mind, which is your embodied experience in the world.rnCountering notions and concepts imported from the natural sciences, and drawing on the observations of the phenomenologist Edmund Husserl, a distinction is made between the human body as a physical and biological entity with objective features (or Korper), including weight, height, etc., and the human body as an experienced or lived entity (or Leib). Going against the grain of the cerebral mystique, a neurocentric approach which idealizes and mythologizes the brain as an omnipotent structure wherein everything we think, do, and refrain from doing is restricted to what’s physically in your head, this book proposes an alternative approach to the study of movement, mind, and, in particular, aesthetics, called “Spread Body-Mind Aesthetics.”rnThrough an exploration of a host of ways of novel cinematic watching, such as The Centipede Cinema, The Floating Archipelago Cinema, Stan van der Beek’s Movie-Drome, and Lis Rhodes Light Music, this book introduces and develops the key conceptual features of “Spread Mind Aesthetics.” Defined in part as the study of the influence of body position and motion on perception and meaning-making in non-conventional cinematic viewing spaces, or performative architectures of reception, it is, in more technical terms, the study of the impact of the lived-body’s vestibular, somatosensory, and kinesthetic senses on our interpretations of actual and virtual media worlds. The specific concern here is how the orientation or positioning and heightened awareness of the lived-body (e.g., standing, reclining, sitting, walking, etc.) actively “figures in” our experience of these media spaces. -
Borgofuturo+. Un progetto locale per le aree interne
I contributi di oltre cinquanta autori e autrici che hanno partecipato alla scrittura di questo lavoro fanno emergere i propositi del confronto, i temi operativi, la metodologia utilizzata e le proposte di azione.Le questioni legate alle cosiddette aree interne acquisiscono un rilievo sempre maggiore nel dibattito accademico e politico. I temi dell’ambiente e delle culture locali sono una chiave di lettura prioritaria e distintiva, proprio in virtù della loro pervasività e del ruolo che assumono nel determinarne i caratteri identitari e le specificità territoriali. I territori oggetto del presente studio sono quelli dell’Alto Maceratese nelle Marche, dove nel 2010 è nato Borgofuturo, un progetto legato al borgo di Ripe San Ginesio, una scommessa che, partendo dal festival della sostenibilità a misura di borgo, ha prodotto un nuovo immaginario del luogo, e ha promosso una concreta opera di rigenerazione. Nell’estate tra i due lockdown dovuti all’emergenza Covid-19, l’edizione celebrativa del decennale di Borgofuturo+ ha trasformato il quadro: quella che era un’isola di rinascita diventa un fattore d’influenza nel macro-territorio della Val di Fiastra, generando nuove reti e nuovi processi di trasformazione condivisa. Al centro della presente pubblicazione, dunque, sta un processo partecipato che mira alla definizione del progetto locale lungo tutta una serie di vettori di sviluppo: infrastrutture per la rigenerazione, educazione all’ambiente e alla conoscenza del territorio, programmazione culturale ed enogastronomica. È un disegno geograficamente circoscritto, ma che va letto, secondo la visione di Alberto Magnaghi, come un’«opera d’arte corale costituita nel dialogo vivo tra essere umano e natura». Nel diffuso senso di sradicamento suscitato dalla globalizzazione, si intende qui restituire centralità al luogo fisico delle comunità che lo abitano (e alla loro relazione), riordinandolo «collettivamente» sulla base di principi di consapevolezza e auto-sostenibilità. La specifica esperienza della Val di Fiastra può, dunque, essere un modello per altri territori. -
La tragedia di Amleto, Principe di Danimarca
Una delle opera più celebri e celebrate nel mondo. Ma la tragedia di Amleto è molto diversa da quella che in genere si legge: lunga com’è, è quasi sempre tagliata e le riduzioni ne favoriscono interpretazioni parziali.rnQuesta nuova versione di Sergio Perosa con testo a fronte è completa, mantiene la distinzione fra versi e prosa, e mira a rispettare gli aspetti fonici, la complessità immaginativa e metaforica, la compressione e tensione del linguaggio di Shakespeare, che ha registri e toni diversificati per i vari personaggi, badando anche in italiano non solo al significato ma al significante: allitterazioni, assonanze, richiami interni, rime. O si fa parlare anche in italiano Shakespeare o non serve, conta la voce, la phoné: lo si traduce per la scena, non per la pagina.rnUn ampio complesso di Notazioni sulla tragedia, le sue fonti e imprestiti, sull’autore, il suo tempo e i suoi contemporanei, ne indirizza la lettura. -
Logica e tumulti. Wittgenstein filosofo della storia
Wittgenstein è il filosofo del Novecento: ha promosso il linguaggio al centro del dibattito contemporaneo, ha combattuto senza tregua il mito dell'interiorità, il lamento soddisfatto del «nessuno mi può capire». Ciò non toglie, purtroppo, che sia un autore miope nei confronti di una dimensione fondamentale della vita umana: la storia. Quando è in gioco il tempo che non riguarda le ere geologiche o le categorie grammaticali, ma i tumulti politici e la trasformazione del vivere comune Wittgenstein mostra un deficit visivo di parecchie diottrie. Tramite un'analisi testuale filologicamente rigorosa e la pubblicazione di numerosi passi inediti, il libro discute i limiti di un pensatore decisivo. Per evitare di costruire una filosofia che galleggi in un eterno presente, occorre approfondire quell'antidoto che Wittgenstein chiama «storia naturale». Solo lavorando a una nozione anfibia che chiarisca il legame fra corpo e linguaggio, biologia e istituzioni sarà possibile costruire un materialismo all'altezza del XXI secolo. -
Un lampo a due dita. Scritti scelti
– Sei anche uno scrittore, Louis?– Diavolo! Sono un lampo a due dita sulla mia macchina per scrivere portatile.«Un libro legato alla scrittura, a lettere, memorie, articoli battuti a macchina o vergati a penna e firmati da colui che nel 1952 i lettori della storica rivista americana «Down Beat» elessero «personaggio musicale più importante di tutti i tempi». E quella per la scrittura fu un’autentica ossessione per Armstrong, quasi quanto quella per la musica» – La Lettura«Ora, con un’operazione raffinata e filologicamente coerente, Quodlibet pubblica un piccolo gioiello editoriale, ""Louis Armstrong Un lampo a due dita Scritti scelti""""; un volume a doppia curatela, del musicologo ThomasrnBrothers (che cura anche una introduzione scientifica) - già finalista al Pulitzer con Louis Armstrong Master of Modernism - e dell’ottimo Stefano Zenni (per l’edizione italiana).» – Domenicale del Sole 24 oreCosa porta con sé il più celebre trombettista del mondo quando è in viaggio? Lo strumento, certo, ma nel caso di Louis Armstrong anche un’altra valigetta: la macchina da scrivere. E comunque sempre almeno una penna. Perché il celebre Satchmo era uno scrittore instancabile, dominato dal bisogno costante di rimanere in contatto con gli amici, ringraziare i fan, impartire indicazioni al suo manager, rispondere ai giornalisti, ma soprattutto di rievocare con acume aneddoti, ricordi e lezioni di vita del variopinto teatro umano e musicale di New Orleans. Un florilegio verbale da cui emerge anche un sorprendente Armstrong privato. Che si racconta con un linguaggio inventivo, umoristico, vivace, ricco di creative idiosincrasie grafiche che trasformano in ritmo visivo e musicale il racconto di una vita eccezionale."" -
Architetture nell'Italia della ricostruzione. Modernità versus modernizzazione 1945-1960
"Questo libro è appunto parziale, non esauriente e partigiano. Non è un libro di storia, perché non è allo studio di questa materia che nella mia vita ho dedicato la maggior parte del tempo di lavoro. È una raccolta di osservazioni e opinioni di un testimone, che vogliono comunicare al lettore il senso della cultura architettonica nel nostro paese nei quindici anni dal dopoguerra al miracolo economico"""".Il quindicennio della ricostruzione postbellica è stato segnato tra tanti avvenimenti, dalla rinascita dell'architettura e urbanistica italiane che, sebbene avessero prosperato anche tra i due conflitti mondiali, si arricchirono ulteriormente di nuove componenti e varianti grazie a un più libero confronto con le esperienze internazionali. Il testo di Carlo Melograni, testimone diretto di quegli avvenimenti, è quanto di più distante da uno stile manualistico o storicistico: è infatti un saggio, forse l'unica forma letteraria in grado di restituire quel crogiuolo unico di esperienze architettoniche senza precedenti, probabilmente irripetibili, del dopoguerra italiano che ha prodotto modelli fondamentali per l'edilizia sociale e industriale, la museografia, le infrastrutture e il restauro. Nel novero di tali esperienze vanno infatti annoverate anche le corpose riflessioni critiche e i commenti sollecitati e pubblicati dalle riviste di settore («Urbanistica» di Adriano Olivetti e Giovanni Astengo, «Metron» e «L'architettura. Cronache e storia» di Bruno Zevi, «La casa», «Zodiac» o la «Domus» di Gio Ponti e la «Casabella-Continuità» di Ernesto Nathan Rogers), nonché le polemiche culturali e politiche nella stampa generalista. Inoltre l'autore, nelle pieghe del suo discorso, periodicamente porta in primo piano alcune figure – che ha avuto modo di conoscere di persona grazie alle numerosissime occasioni di confronto pubblico, oggi ridottesi drasticamente –, donando così una serie di ritratti dal vero dei principali architetti protagonisti di quegli anni, da Franco Albini a Giovanni Michelucci, da Luigi Moretti a Gino Valle, da Giancarlo De Carlo a Carlo Aymonino, da Gio Ponti a Pier Luigi Nervi. Il volume si chiude con una riflessione sulla condizione attuale, distinguendo nettamente i concetti di modernizzazione da quello di modernità che è «l’unità nella diversità a cui esortava Gropius; unità di obiettivi comuni da raggiungere, diversità di soluzioni proposte da mettere a confronto. È la linea da seguire, anche se presenta l'inquietudine delle incertezze, mentre la modernizzazione ostenta sicurezza di sé. Dal confronto tra esperienze diverse, però ugualmente rivolte a perseguire obiettivi condivisi, si ricaveranno indicazioni che sarà possibile dare per scontate e sottintese, presupposti per formare una cultura progettuale comune fra coloro che fanno il mestiere di costruire. Al contrario dell’esibizionismo individuale, il lavoro di paziente ricerca collettiva è tipico della modernità»." -
Progettare con il compensato strutturale. Da Accupoli a Polyhouse
Negli ultimi anni, il ritorno al legno nell’ambito dell’edilizia ha comportato un rinnovato interesse verso la progettazione di strutture prefabbricate e a secco. Il presente volume è dedicato al percorso progettuale sviluppato dallo studio laa (Lorena Alessio Architetti), la cui ricerca si propone di individuare soluzioni architettoniche sostenibili e antisismiche, che prevedono l’utilizzo del legno, in particolare del compensato, senza pregiudicare l’interazione con altri materiali. In questo senso è emblematico il racconto della nascita di PoplyHouse: dopo la prima esperienza del progetto Accupoli, nei pressi di Amatrice, la sperimentazione sul campo si è tradotta nella definizione del brevetto per un nuovo giunto, combinato (ad esempio nei progetti dello showroom per E. Vigolungo S.p.A. e dell’Eremo del Silenzio) all’innovativo utilizzo strutturale del compensato di pioppo, la cui riscoperta contribuisce peraltro alla tutela e al sostegno della filiera locale legata a quest’albero. -
Form follows structure. La struttura delle forme prodotte dall'uomo
Il presente volume raccoglie alcune riflessioni che affrontano il tema del rapporto tra forma e struttura. Emerge così un intreccio di spunti, basati su esperienze diversificate nei campi della ricerca storica e della pratica professionale, attraverso i quali è possibile delineare una modalità altra di concepire la forma a partire dalla struttura, e forse persino un’idea alternativa di modernità.Da cosa dipende la forma di un’architettura o di un’infrastruttura? Che cosa, in ultima analisi, la determina? Una possibile risposta, ancora diffusa e radicata nel sentire comune, è quella sintetizzata dal celebre motto modernista «Form Follows Function», un principio spiccatamente pratico e razionale che lega la forma di un oggetto o di un manufatto alla sua funzione.Nel De architectura, ovvero nel trattato di teoria dell’architettura più antico di cui disponiamo, Vitruvio aveva associato già più di duemila anni fa il concetto di bellezza (venustas) a quello della destinazione d’uso (utilitas). Tuttavia, il celebre teorico romano aveva inserito questa coppia di princìpi in una triade, associandola all’idea di solidità e stabilità strutturale (firmitas).Non sarebbe dunque corretto affermare che la modernità (o, meglio, una certa versione stereotipata e funzionalista dell’architettura) abbia attribuito un’eccessiva enfasi al concetto di funzione, ma si dovrebbe prendere atto del fatto che essa ha dimenticato o dato per scontato il terzo elemento che sosteneva la teoria vitruviana, ovvero la struttura. Nessuna forma può esistere o rimanere in piedi se non viene in qualche modo sostenuta. Ma c’è di più: il principio strutturale che sorregge un oggetto quasi sempre determina in maniera sostanziale anche la sua forma. -
Selenographica. L'immagine e il disegno della luna nascosta
Selenografia è quella scienza grafica che si occupa della descrizione e rappresentazione della superficie lunare, e la Mappa Selenographica è la grande carta della Luna che i protagonisti delle due avventure astronautiche di Jules Verne – De la Terre à la Lune e Autour de la Lune – portano con sé in quel viaggio fantastico che è ancora solo un viaggio nell’immagine della Luna. Nel corso degli ultimi due secoli quest’immagine è diventata tanto più grande, venendosi a comporre di numerosissime e diversissime carte, di migliaia e migliaia di foto e di pagine di rapporti di missione, e di altrettanti modelli materiali e immateriali: un mondo che non si direbbe reale eppure a suo modo lo è, esplorabile e praticabile a somiglianza di quello che rappresenta. L’ampia raccolta di immagini presentate in questo libro si apre con la mappa descritta da Verne, e si conclude con quelle recentissime prodotte a partire dai dati inviati dalle sonde tuttora in orbita attorno alla Luna. Nell’esplorazione di questa seconda Luna ci si è trattenuti specialmente nelle zone liminari, sul bordo tra la faccia perennemente in vista e quella nascosta, o sul confine mobile che separa il giorno dalla profondissima notte lunare, sforzandosi di guardare da una parte e dall’altra, e quindi di rinnovare lo stupore per la ciclica apparizione e sparizione di un intero mondo. Al termine di questo viaggio particolare ci si accorge che un’immagine apparentemente consumata, come quella della Luna, ha molto da rivelare non solo a chi ne è ancora attratto, nonostante tutto, ma anche a chi si occupa del senso generalissimo di tutte le immagini, di quello che mostrano e ancor più di quello che nascondono. -
Il deserto della verità. Una posizione lacaniana
Il deserto della verità è un titolo che indica una posizione della psicoanalisi che Lacan ha isolato per la prima volta. Per Freud la verità psicoanalitica è la verità del desiderio inconscio, imprigionata nei sintomi, mascherata nel fantasma. Non è mai una verità dei fatti, né una verità celestiale.rnLacan inizialmente ha non solo fatto propria la posizione freudiana ma l’ha amplificata. In una conferenza è giunto a dire, in una Vienna tanto sbalordita quanto era stata distratta, che la verità nella psicoanalisi si annuncia con “Io, la verità, parlo”, è lei che parla, in prima persona, nessuno se ne può fare il rappresentante. Era la radicalizzazione del legame tra la verità e la parola, la verità che dice all’insaputa del soggetto, che, rivelandosi in un lampo, sorprende ed in tal modo ha degli effetti. In attesa di venir riconosciuta dal buon intenditore psicoanalista.rnPoi in Lacan si è avviata una deflazione libidica della parola di verità, compiutasi nel ‘non tutta’ di un impossibile a dirla se non a metà. È una verità in un deserto in cui resiste a farsi recuperare ‘tutta’ dal senso. Ciò conduce, nell’esperienza analitica, alla verità che varia attorno a ciò che non cambia, il sintomo sottratto radicalmente all’Aufhebung del simbolico. E questo è ciò che ha portato Lacan, in fine, a siglare il suo destino definendola ‘verità mendace’. -
Dizionario Lucio Fontana
Composto da più di trecento voci redatte da oltre sessanta studiosi di diverse generazioni, questo dizionario consente di esplorare, a partire da molteplici punti di osservazione, l’opera di Lucio Fontana (1899-1968), il maestro italo-argentino che con le sue ricerche plastiche e pittoriche ha contribuito, al pari di pochi altri artisti del Novecento, al sovvertimento e alla ridefinizione dell’idea di spazio e della sua percezione.rnNel corso della sua carriera, che lo ha condotto da Rosario de Santa Fe a Milano, Fontana ci ha trasmesso un’ampia e rilevante produzione che non si esaurisce negli episodi più celebri (i «Tagli», i «Buchi», gli «Ambienti spaziali»), e che lo ha proiettato sulla scena internazionale da Parigi a New York, fino in Giappone. La tensione costitutiva del suo lavoro – tra spinta all’astrazione e volontà di immersione nella vitalità organica della materia, tra rarefazione «cosmica» e corporeità erotica, tra sprezzatura formale e apertura alle innovazioni tecnologiche – si è riversata in una pluralità di sperimentazioni che valicano le barriere tra tecniche, generi e registri stilistici.rnLa formula del dizionario, con la sua struttura aperta, si è rivelata congeniale al confronto libero con una tale ricchezza di proposte e ideazioni. Le voci, configurate come brevi saggi critici, sono dedicate a singole opere, a serie e a cicli, ma anche a progetti mai realizzati, o ancora a tematiche e a categorie concettuali che percorrono trasversalmente le diverse forme dell’attività di Fontana; alle tecniche e ai materiali pittorici e costruttivi da lui prediletti; ad artisti, amici, scrittori, critici, collezionisti, collettivi, movimenti, luoghi di incontro e di socialità mondana che si intrecciano a vario titolo con la sua storia; ad accademie, scuole, centri espositivi, mostre e rassegne che ne hanno segnato durevolmente la vicenda creativa; a capitoli particolarmente significativi della ricezione critica della sua opera, in Italia e nel mondo. -
Ricercar per verba. Paul Celan e la musica della materia
In cerca di una realtà “abitabile” e dei suoi resti cantabili dopo le distruzioni novecentesche, la poesia di Paul Celan continua a parlare all’umanità di oggi esposta all’(auto)distruzione, mostrando come tutto si tenga, in una grande rete di relazioni. Celan risillaba il ritmo e le forme del mondo annotando libri di geologia, astronomia, fisica quantistica, botanica; dizionari, articoli di giornale, opere filosofiche e letterarie. Attraversando i territori della natura più lontana dall’umano – pietre, cristalli, sedimenti e faglie geologiche; spazi siderali e cosmici – egli crea una morfologia nuova, senza origine, in continua trasformazione. Restituisce vita a ciò che è passato, dà nome e voce ai corpi di cui resta solo l’impronta o l’alone per il tempo di una poesia, di una canzone. Le forme musicali, anch’esse frammentate e fossili, diventano forza aggregatrice della materia esplosa. Ricercar è il titolo di questo libro, come quello di una poesia che Celan non volle pubblicare. Riprende una forma musicale contrappuntistica che intreccia voci e note altrui senza ripeterle in modo identico, aprendo così il varco tra passato-presente-futuro. Le strutture della tradizione musicale europea, ebraica e cristiana sono per il poeta impalcature danneggiate ma riconoscibili, e cantano la materia residuale del mondo.La poesia celaniana, che tanto deve al Dante di Mandel’́štam, non persegue il «trasumanar», ma rende possibile il passo, il ritmo di chi – punctus contra punctum – stringe insieme ombra-luce, morte-vita, silenzio-voce, pietra-acqua, cielo-abisso, proprio-estraneo, in partiture che non danno forma ad armonie, ma danno luogo a risonanze tra cose, persone (anche estinte) e tracce nel presente. L’andatura di chi «per verba» ricerca la musica della materia. -
Nuvole sul grattacielo. Saggio sull'apocalisse estetica
Riflettendo sulla residua possibilità d’un punto di vista, questo saggio cerca di seguire alcuni percorsi delle formazioni culturali che ci determinano e ci inquietano: «nuvole» velocissime, che scrutiamo dall’«abisso del grattacielo».Questo saggio descrive e analizza la cerimonia del me/mondo, così come si rivela nell’arte, nella gamification, nei film, nei videogiochi, nelle serie televisive, nella post-fotografia, nei social network, nei meme, negli NFT. La cerimonia quotidiana in cui siamo gettati è simultaneamente esito e disperato revulsivo d’una strisciante crisi della presenza. «Estetizzazione generalizzata» nei fatti è un eufemismo per estraneità del mondo. La vita spiazzata e familiare nell’apocalisse estetica ci rende stranieri al nostro mondo; il lontano e il vicino, la traccia e l’aura, tutto ci fronteggia e ci coinvolge, senza mediazioni, tanto più quanto più in apparenza ne abbiamo il controllo. Trasformati in produttori e collezionisti di immagini e di storie, tentiamo di trasformarle in strumenti per riconoscerci nella complessità della grande crisi attuale. -
I fiumi a nord del futuro. Testamento raccolto da David Cayley
Questo volume presenta i materiali delle conversazioni di Ivan Illich con David Cayley, negli anni 1997-1999. Nei suoi 22 capitoli, altrettante voci della riflessione illiciana vengono sviscerate dapprima nella forma monologante dell’autotestimonianza, poi in quella dialogica dell’intervista. Ne deriva un resoconto completo e coraggioso anche di ciò che Illich non ha mai trovato l’occasione o la forza di mettere per iscritto, e che ora, sul limitare della vita, egli affida all’amico-interlocutore alla stregua di proprio «testamento». Gli ormai storici contributi di questo autore straordinario alla critica delle moderne istituzioni, si tratti della scuola o della sanità, del libro o del sesso, acquistano così uno spessore nuovo, conferito loro dalla lunga e coerente esperienza umana qui rievocata, così come da una sottostante meditazione teologica, liturgica, ecclesiologica, in precedenza mai emersa con tanta chiarezza. L’alienazione tecnica e burocratica della vita, che costituisce secondo Illich la cifra di fondo della nostra epoca, rivela qui le sue paradossali radici cristiane, in quel processo di istituzionalizzazione della carità evangelica da cui deriverebbero lo Stato moderno e la coscienza individuale, il dominio tecno-scientifico sulla natura e la guerra planetaria contro la sussistenza, lo smaterializzarsi dell’esperienza, della stessa sensorialità umana e la sussunzione dei soggetti nel meccanismo dei «sistemi». E tuttavia, a questo desolato scenario di «perdita del mondo e della carne», sovrasta la prospettiva di un imminente disvelamento e ribaltamento: è la speranza «apocalittica» in un tempo al di là del tempo, quei Fiumi a nord del futuro della poesia di Celan verso le cui «acque misteriose e rinfrescanti» la lezione di Illich è guida e segnavia. -
Ritter, Dene, Voss
Se famiglia e rituali sociali appaiono una prigione, se la fuga dalle proprie origini si rivela velleitaria, se tutto è stato già detto, se la ricerca di senso è puro balbettio, non resta che concepire la vita come acrobatico esercizio di resistenza artistica.«È come essere in un sepolcro qui siamo già belli e sepolti un magnifico sepolcro dove si servono i bignè viennesi fragranti.»Un pranzo di famiglia, due sorelle e un fratello, il suo ritorno a casa dopo un periodo di degenza in un ospedale psichiatrico. Nell’interno di una villa a Vienna il passato appare inestinguibile. Eppure da questa dolente costellazione Thomas Bernhard ricava scene di irresistibile comicità, come se solo un passo separasse la tragedia dalla commedia, il sublime dal ridicolo. Portato sulle scene a Salisburgo e Vienna nel 1986, Ritter, Dene, Voss costituisce forse l’apice teatrale dello scrittore austriaco, condensandone le tematiche preferite, a partire dalla vita come rappresentazione. Mettendo in scena l’eterna commedia umana, l’ossessione di assoluto che sovrasta l’imperfezione dell’esistenza, Bernhard gioca con la biografia di Ludwig Wittgenstein. Ma le vicende del filosofo sono solo un materiale per l’illusione dell’arte. -
Fior da fiore. Ritratti di essenze vegetali
Alberi e fiori parlano dalle pagine dei libri quanto i personaggi umani, aprono squarci di verità sulle opere e sul mondo.«Nel giardino dove coltiva le sue piante l’autrice vive giorno per giorno i piccoli drammi della coltivatrice, che rimandano implacabilmente alla lotta per l’esistenza descritta da Charles Darwin, autore poco citato ma presente sottotraccia nel libro.» – Marco Belpoliti, Robinson - la RepubblicaUna doppia antologia, botanica e letteraria. Sessanta ritratti di essenze vegetali – alberi arbusti fiori erbe, nelle loro posture e qualità, nei dettagli di forme e colori – accompagnati da riferimenti poetici: ogni varietà è còlta attraverso gli occhi e le parole di scrittori di età, culture, paesi diversi, dall’Europa alla Cina, dall’India alle Americhe, e dall’antichità ai giorni nostri. Troviamo così Virgilio e gli astri, Proust e i lillà, Jan Wagner e il faggio, Zanzotto e l’elleboro, le magnolie di Montale, il bambù di Po Chu-i; e ancora Maria di Francia e il caprifoglio, la digitale di Pascoli e l’aquilegia e Thomas Mann. La sensibilità per il verde richiede un rinnovamento dello sguardo e del linguaggio: si rispetta e si difende solo ciò che si conosce, e si conosce solo ciò che si è in grado di nominare. Ciò che queste pagine illustrano è soprattutto un rapporto diretto e vivo con il mondo vegetale, che la letteratura esalta per il suo carattere di concretezza e particolarità. Un modo di accostarsi all’ambiente e alle presenze naturali con curiosità, rispetto e empatia. -
Il manoscritto pervenuto misteriosamente da Sant'Elena
«Ormai ero soltanto uno fra gli spettatori del secolo».Questo libro è un unicum narrativo dove verità e finzione sono del tutto indistricabili, un enigma che da due secoli intriga storici, letterati, lettori. Pubblicato in francese a Londra nell’aprile del 1817, il Manoscritto si presentava come un’autobiografia di Napoleone, ma l’imperatore, che ne ricevette una copia a Sant’Elena, negò d’averlo scritto – pur rimanendone affascinato.rnChiunque egli fosse, è indubbio che nell’anonimo autore si celasse la mano di uno scrittore. La prosa asciutta e lapidaria, il ritmo concitato della narrazione, gli effetti retorici e spettacolari di uno stile che rispecchia l’interiore partecipazione agli avvenimenti: tutto asseconda in modo prodigioso la rappresentazione mimetica degli orgogliosi ricordi e delle frustrazioni che dovettero alimentare la vita quotidiana di Napoleone a Sant’Elena.rnLe note che Napoleone ha voluto aggiungere per «correggere» qui e là le affermazioni del Manoscritto non fanno che infittire il mistero della sua autenticità. Nella sua indispensabile introduzione Sergio Romano ne ricostruisce le trame, ripercorrendo le varie ipotesi sulla paternità del Manoscritto: i grandi figli del secolo Madame de Staël e Benjamin Constant, o il più oscuro agronomo ginevrino Lullin de Châteauvieux?rn«È un’opera che farà epoca»: è il giudizio con cui Napoleone stesso suggellò il fascino di un racconto che lo consegnava alla storia come personaggio letterario, e che insieme restituiva alla storia il senso magico di un’avventura umana.