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La personalità giuridica
Una maschera fissa posta su un volto che cambia, da persona a persona e di momento in momento. È proponendo e tenendo ferma questa definizione che Maurice Hauriou tornerà a interrogare, per oltre un trentennio, il concetto di personalità giuridica. E lo fa mostrandone la funzione fondativa nell'ambito del diritto e insieme lo statuto ancillare rispetto alla forza creatrice del sociale, in un continuo corpo a corpo tra le esigenze di ordine dello Stato e l'irriducibile pluralità delle forme di vita che caratterizza la convivenza umana. È così che, in un lungo percorso non privo di sorprendenti quanto illuminanti cambi di prospettiva, il diritto viene profilandosi come una vera e propria forma di riscrittura del reale, un ritaglio che nega determinati tratti dell'esistente al fine di preservarne la struttura d'insieme, una duplicazione del mondo che ha paradossalmente di mira una sua più compiuta unità. Ma c'è dell'altro. Nei tre saggi sulla personalità giuridica che qui si presentano per la prima volta al pubblico italiano e che costituiscono un'imprescindibile integrazione alla più nota teoria dell'istituzione avanzata dal giurista francese, Hauriou procede al contempo a una radicale rifondazione tanto della materia che il diritto è chiamato a trasmutare quanto delle modalità in cui esso opera. La realtà che si schiude allo sguardo giuridico si presenta così come un assetto privo di una forma pre-data, la cui sempre ridefinibile configurazione non può tuttavia mai prescindere dai concreti contesti normativi che gli stessi attori sociali riconoscono come adeguati per la soddisfazione delle loro differenti e plurime esigenze. È a partire da questo sostrato oggettivo che, invertendo la deduzione classica operata da gran parte della giuspubblicistica non solo del tempo, Hauriou intende fondare la soggettività della persona giuridica. Il diritto si fa così arditissima ricapitolazione del reale, secondo un duplice movimento di conservazione e trasformazione che stabilizza e riarticola di continuo i rapporti sociali, in un dramma senza ultimo atto. -
Socialismo utopico, socialismo possibile
La proposta teorica e politica di una società ancora sempre da costruire secondo la prospettiva di un “individualismo sociale”: utopica riguardo agli obiettivi finali, pragmatica nelle decisioni collettivamente vincolanti e nelle scelte della vita di ogni giorno.Si può osservare oggi, in America come in Europa, un ritorno d’interesse per il socialismo, sia sul piano teorico sia su quello politico. La tesi del libro è che il socialismo non perde affatto in consistenza e rapporto con la realtà se il proprio statuto concettuale assume l’aspetto di un movimento dalla scienza all’utopia (in maniera inversa, quindi, a quello proposto da Engels nel suo L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza). Anzi, ci guadagna nella possibilità di un adeguamento alla realtà, per quanto catastroficamente disperante questa possa apparire, presentando se stesso, paradossalmente, come una prospettiva irrealizzabile nella sua integralità, ma che proprio per questo ha ricadute nel presente modificandolo. Messa da parte l’idea di un rovesciamento rivoluzionario – per il quale non s’intravede più il motore in una classe sociale come quella a suo tempo individuata da Marx –, una fuoriuscita dalla forma di vita capitalistica consisterebbe in un cammino a piccoli passi, nel progressivo avvicinamento a un orizzonte mobile, che nel libro è descritto come un processo federativo di gruppi e individui tra loro solidali all’interno di un conflitto sociale democraticamente dispiegato e capace di porsi di volta in volta obiettivi politici. -
Mondrian 1956. Traccia di una fortuna italiana
Per ragioni di carattere politico-culturale imputabili in buona misura al nazionalismo del Ventennio fascista e ai suoi strascichi, fino alla metà degli anni Cinquanta l’opera di Mondrian non trovò nel sistema italiano delle arti e della critica l’adeguata e attesa fortuna. Tuttavia, l’accurata ricostruzione della storia italiana delle esposizioni e della letteratura artistica prodotte intorno al vivace comparto delle arti astratte tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, che questo libro ambisce a rappresentare, è in grado di restituire l’importanza dell’impatto che la produzione artistica e teorica di Mondrian esercitò sommessamente sulla pittura, sull’architettura e sulla critica coeve.rnIl libro presenta, dunque, la complessa vicenda della ricezione dell’opera di Mondrian in Italia nel momento di maggiore pressione creativa e teorica sui lasciti dei modernismi. Il saggio è diviso in due parti. Nella prima è riunito criticamente il quadro del vasto fiorire di studi italiani dedicati a Mondrian, presupposto teorico per una storia della ricezione. Nella seconda è ricostruita, sull’indagine museografica e lo spoglio d’archivio, la grande retrospettiva del 1956 a Roma, allestita magistralmente da Carlo Scarpa, al contempo esito e premessa di una difficile vicenda italiana di riconoscimento dell’opera di Mondrian. -
Rapporti di forza. Storia, retorica, prova
Le discussioni sul metodo storico non riguardano solo gli addetti ai lavori: oggi, più che mai, riguardano tutti. Da decenni gli scettici postmoderni sostengono che è impossibile distinguere in maniera rigorosa tra verità e finzione, perché la storia s’identifica con la retorica. Ma di quale retorica si tratta? Questo libro dimostra che lo scetticismo postmoderno s’ispira allo scritto giovanile di Friedrich Nietzsche sulla verità e la menzogna, pubblicato postumo, in cui la retorica veniva, contro Aristotele, vigorosamente contrapposta alle prove. Nella tradizione fondata da Aristotele e trasmessa da Quintiliano a Lorenzo Valla, il nesso tra retorica e prove è invece centrale. E la dimostrazione della falsità della donazione di Costantino da parte di Valla rappresenta, nell’epoca delle fake news, un punto di riferimento più che mai attuale.Uno storico che rinunci a distinguere il vero dal falso sulla base di prove farà bene a cambiare mestiere. Ma il mestiere dello storico non finisce qui. La distinzione tra le due versioni della retorica apre la strada a una lettura inattesa delle opere d’immaginazione. Chi legge si troverà di fronte a testimonianze diversissime: la violenta denuncia del colonialismo europeo da parte del capo di una rivolta indigena, inserita nell’opera di un gesuita francese del Settecento; lo spazio bianco dell’Educazione sentimentale in cui Proust vide il culmine dell’intera opera di Flaubert; il tortuoso itinerario che condusse Picasso verso le Demoiselles d’Avignon. Da queste opere emerge una rete di rapporti di forza che le rese possibili: un’esperienza di lettura a distanza che ci riporta al presente. -
Almanacco di filosofia e politica. Vol. 4: Sull'evento. Filosofia, storia, biopolitica
L’Almanacco di Filosofia e Politica, diretto da Roberto Esposito, presenta una riflessione filosofico-politica sul processo istituente e sulle istituzioni, concepiti come movimento di strutturazione politica dei conflitti. Da un lato si prendono le distanze dalle categorie della teologia politica, confrontando il pensiero con la storia e con la struttura conflittuale della società. Dall’altro, si registra l’impasse delle teorie che hanno sostenuto l’autonomia del sociale e la sua potenza di trasformare e inventare incessantemente la realtà.rnIl quarto volume è dedicato alla categoria di evento, indagata da tre principali prospettive: quella ontologica, che guarda alle manifestazioni evenemenziali dell’essere, dell’alterità e delle forme; quella storica, che si interroga sulla relazione di implicazione e di scarto tra evento e processo; quella biopolitica, che riflette sull’attualità della pandemia. La prima sezione, La filosofia nel tempo della pandemia, ospita i contributi di R. Esposito, D. Fassin, T. Lemke, V. Lemm, A. Zupančič. La seconda, Pensare in rapporto all’evento, comprende i saggi di É. Balibar, V. Morfino, E. Renault, C. Resta, allieve e allievi intervenuti al Seminario permanente di Filosofia e Politica presso la Scuola Normale Superiore. La terza sezione propone traduzioni di saggi, inediti in italiano, diversamente connessi al tema dell’evento (R. Schürmann, a cura di A. Martinengo, F. Guercio e I.A. Moore; S. Weil, a cura di R. Fulco). -
QU3. iQuaderni di U3. Ediz. italiana e inglese. Vol. 23: Extitutional urbanisms in Latin America.
We start to write this number before the Coronavirus pandemic. The great solidarity networks that are emerging from the crisis, confirm that in this time of great political and institutional upheaval around the world, Latin America shows a capability of great solidarity and resilience that come from self organized practices. While these groups are critical in front of control measures and the proposal of neoliberal formulas to shrink the State and hinder its provision of a safety net for everyday life, we are interested in analyse how they could being recognized with an active role in planning issues.rnrnThis number of Q3 shows a variety of researches on experiences that goes beyond these convulsed times into new ways of what we call extitutional urbanism, where we identify a permanent interaction of a multiplicity of agents and agencies, as well as innovative processes that are redistributing urban decision-making. We consider that some new concepts and theories, as well as methodological approaches could be an opportunity to re- visited the traditional discussions on participation in territorial planning. -
Il marchio di Qajin. I «Dialoghi tra due bestie» nell'opera di Giacomo Leopardi
Con questo volume si presenta la prima monografia interamente dedicata ai due abbozzi incompiuti dei Dialoghi tra due bestie, pubblicati per la prima volta più di un secolo fa, negli Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi dalle carte napoletane (Firenze 1906). Negli affascinanti squarci di dialogo riversati in queste “prosette”, Giacomo mise in scena due coppie di interlocutori animali – prima un Cavallo e un Toro, poi un Cavallo e un Bue – impegnati a discorrere dell’uomo incivilito, il curioso animale che degenerò a tal punto da estinguersi, e venir quasi cancellato dalla memoria dei posteri. Con un approccio marcatamente multidisciplinare, il libro si misura con queste “prosette” leopardiane e con la tenace riflessione che Leopardi dedicò a tre pietre angolari del proprio sistema di pensiero: il fenomeno dell’antropogenesi, la nascita (e il destino) della civiltà, e lo sguardo dell’estraneo (l’animale, il selvaggio). Si confronta con esse da vicino, ma anche da lontano: scavando dentro i testi e ricostruendo pazientemente la vischiosa avventura intellettuale che alimentò il laboratorio dei Dialoghi. Il mito del Diluvio, la figura di Qajin fondatore del consorzio sociale, la secolare teoria della degenerazione delle generazioni, lo scandalo dell’estinzione del genere umano, e infine il ruolo della stazione eretta nel complesso della macchina antropogenica sono solo alcuni dei motivi messi a fuoco da Leopardi nei Dialoghi tra due bestie. -
Una storia per il futuro. Dieci anni di MAXXI-A story for the future. MAXXI's first decade. Ediz. bilingue. Con Poster
Una stratificazione di voci, immagini ed esperienze si intrecciano all’interno del volume dando vita a una struttura complessa, un inedito strumento d’archivio che si presta a diversi livelli di lettura, dalla documentazione all’approfondimento critico, dalla memoria storica alla sperimentazione per immaginare il futuro delle pratiche creative.Pubblicato in occasione della mostra Una Storia per il Futuro, il libro documenta la ricerca sull’attività del MAXXI dalla sua apertura al 2020. Dieci anni di esposizioni, pubblicazioni, eventi collaterali, performance e dibattiti raccontano il ruolo svolto dal museo per la definizione della scena creativa di oggi e di domani. Il volume, introdotto da un testo critico di Hou Hanru e dall’intervista di Elena Motisi a Petra Blaisse, si articola nelle sezioni tematiche che costituiscono l’Atlante, elemento centrale della mostra: Il MAXXI e la città, La moltitudine, Mondi, Le sfide della realtà, Credete nell’innovazione? Ogni sezione è organizzata in diverse sottosezioni che raccolgono una selezione delle opere esposte nell’ultimo decennio di attività. Ne deriva una rilettura della storia del museo concepita secondo due criteri fondanti, l’atlante Mnemosyne di Aby Warburg, una mappa d’immagini che delinea inediti accostamenti iconografici, e Il museo immaginario, il libro di André Malraux incentrato sulla libera combinazione di fotografie tratte da contesti diversi. Le sezioni del volume si chiudono con i contributi di storici dell’arte, sociologi, antropologi, filosofi, architetti e teologi chiamati a esprimere un breve statement sui temi affrontati. La ricerca si unisce alla documentazione: una timeline con l’elenco completo delle mostre, degli eventi, delle performance e delle acquisizioni del museo è riassunta nelle prime e nelle ultime pagine e tradotta in un elemento grafico dorato che attraversa il libro “in verticale”. In modo analogo, un abstract delle interviste allo staff del MAXXI realizzate in occasione dell’esposizione e la lista delle pubblicazioni prodotte nel decennio, costituiscono un ulteriore tassello di questa “storia”. -
Laguna Futuri. Esperienze e progetti dal territorio veneziano
Forse esistono tante lagune di Venezia quanti sono i progetti che l’hanno interessata nel corso dei suoi mille anni di storia. Sia le grandi pianificazioni sia le minute hanno costruito spazi reali e immaginari alla ricerca di un equilibrio tra opposti: la terra e l’acqua, la natura e l’uomo, la necessità di regolazione e gli effetti imprevedibili dei cambiamenti climatici. È sul futuro, o per meglio dire sui molteplici futuri di questo territorio che il volume si interroga, e lo fa raccontando la prima esperienza partecipata di un Contratto di Area Umida per la Laguna Nord di Venezia. Le esperienze, le testimonianze e le riflessioni che ne derivano forniscono prospettive originali per guardare questi luoghi e riconoscerne non solo i mutamenti fisici e spaziali ma anche quelli propri dell’immaginario di chi li vive quotidianamente. Un complesso eterogeneo di informazioni, temi e confronti, descritti e mappati sotto forma di atlante eclettico, compone così un vero e proprio lessico lagunare. -
La morte di Pinelli. Iconografia di un anarchico 1969-1975
Nel dicembre 1969, a pochi giorni dalla strage di piazza Fontana, l'anarchico Giuseppe Pinelli morì tragicamente a seguito di una caduta da una finestra della Questura di Milano. Secondo il commissario Luigi Calabresi e i colleghi presenti quella notte si trattò di suicidio, una versione che non persuase una parte significativa della pubblica opinione. Artisti, intellettuali e cittadini comuni si misero da subito al servizio, ognuno secondo le proprie possibilità, per ricostruire la verità sulla morte di Pinelli. Questo libro vuole indagare la produzione iconografica legata alla figura di Pinelli attraverso l'analisi di dipinti, mostre d'arte, film, spettacoli teatrali, libri, manifesti e fumetti comparsi fra il 1969 e il 1975. L'ampio repertorio, raccolto grazie ai materiali di archivio e alla stampa dell'epoca, dimostra come l'immagine di Giuseppe Pinelli si trasformò in una costante visiva capace di veicolare un preciso significato politico e sociale. La sua morte diventò un vero e proprio caso in attesa di giustizia e la sua figura quella di un martire, consacrata da Enrico Baj nei Funerali dell'anarchico Pinelli, l'opera che ancora oggi è considerata la più significativa in merito alla vicenda e di cui qui si ripercorrono le fasi ideative e la sfortunata storia espositiva. Prefazione di Federica Rovati. -
Per una storia negativa. «Contropiano» e l'architettura
A dispetto della sua breve vita – solo dodici numeri pubblicati tra il 1968 e il 1971 –, la rivista marxista «Contropiano» ebbe un ruolo centrale del dibattito politico e culturale del periodo. Fondata da Alberto Asor Rosa, Massimo Cacciari e Antonio Negri (con quest'ultimo che abbandonerà la rivista dopo il primo numero), la rivista divenne ben presto una vera e propria piattaforma, dove diverse discipline del moderno lavoro intellettuale – architettura, arte, letteratura, urbanistica, economia, filosofia – venivano filtrate alla luce della critica dell'ideologia, attraversata da costanti riferimenti alla tradizione del pensiero della crisi. Il presente testo si propone di studiare lo specifico contributo offerto da «Contropiano» al dibattito storiografico in ambito architettonico e urbanistico. A partire dal saggio di Manfredo Tafuri del 1969 sull'ideologia architettonica, ripreso poi nel suo Progetto e utopia (1973), la rivista si impegnò infatti in una radicale analisi di alcuni dei principali episodi della modernità architettonica e dei loro risvolti ideologici, per arrivare infine a una severa critica della pratiche contemporanee di gestione e pianificazione della città e del territorio. Questo progetto vide il coinvolgimento di alcuni docenti romani dell'Istituto Universitario di Architettura di Venezia (Mario Manieri Elia, Giorgio Ciucci, lo stesso Tafuri) e di alcuni giovani intellettuali veneziani (Francesco Dal Co, Marco De Michelis), a rinnovare e rafforzare quell'asse fra la Capitale e la città lagunare che fin dall'inizio aveva caratterizzato la rivista. -
Teorie dell'architettura. Affresco italiano
Il volume è un progetto di Tedea, un’unità di ricerca del Dipartimento di Culture del progetto dell’Università Iuav di Venezia. È dedicato agli strumenti e ai modi della produzione teorica in architettura. Declinandosi al plurale, all’esplorazione e al confronto tra posizioni di critici e progettisti, è pensato per restituire un affresco italiano. Strutturato come dizionario, il volume rimette in campo termini, scritti e illustrati, dimenticati dalla pratica teorica o dei quali è avvertita l’assenza nel territorio reale. La forma del glossario è tesa a produrre una narrazione molteplice e sfaccettata, le differenti voci convergono a rinnovare l’attenzione verso quanto sovente resta sottinteso o sottotraccia del progettornIl ragionamento sulle teorie dell’architettura ruota qui intorno a due cardini: “progetto e teoria” e “teorie e storia”, due coppie di termini, due nodi attorno ai quali è raccolta una costellazione di lemmi per fissare coordinate e strumenti del pensiero e del fare. I termini dell’armamentario teorico-progettuale sintetizzano strategie, raccontano modi di agire e di costruire, fissano posizioni culturali, solidificano salde connessioni tra l’architettura e la realtà. Le parole, quando cariche di un portato teorico, rappresentano legami con “le cose”, quindi con il loro mutare sia in chiave ipotetica (pensiero) che fattiva (architettura). -
Tra simili. Storie incrociate dei quartieri italiani del secondo dopoguerra
Scomponendo e ricomponendo i destini incrociati di alcuni complessi residenziali italiani del secondo dopoguerra, l'autore si accosta alla storia dei quartieri con uno sguardo ben diverso da quello - essenzialmente costruito a partire da una divisione settoriale dei saperi - che abbiamo ereditato dalla città del Novecento. Cinque oggetti di studio situati in diverse parti della penisola (Brianza, Reggio Emilia, Roma, Pesaro, Torino) vengono sottoposti a un'osservazione ravvicinata, il cui fuoco non si colloca però dentro i singoli luoghi, quanto piuttosto nelle vicende che li attraversano, portando in primo piano lo spazio di risonanza che li unisce e li separa. Categorie interpretative consolidate, come quelle basate sull'opposizione tra pubblico e privato o tra autoriale e anonimo, vengono provvisoriamente poste in parentesi da una lettura che insiste sul ruolo degli attori progettuali (tra gli altri, Osvaldo Piacentini, Vico Magistretti, Carlo Aymonino, Ludovico Quaroni), sullo studio dei processi e sulla circolazione trasversale degli immaginari. Ne emerge un'attenzione a questioni ancora aperte quali la storia dell'attuazione della legge n. 167 del 1962, del professionismo diffuso, del ruolo delle cooperative di abitazione come snodo tra culture progettuali e politiche per la casa. Un libro narrativo nel suo incedere, argomentativo nel suo impianto, che indaga i modi attraverso i quali le storie dell'architettura, del territorio e del paesaggio possono costruire forme di generalizzazione capaci di non perdere il senso dei luoghi e di rinnovare le ragioni della propria dimensione pubblica. -
Crisi come arte di governo
La crisi domina il passaggio d'epoca che stiamo vivendo. È in crisi l'economia, ma sono in crisi anche la politica, almeno per come l'abbiamo conosciuta nel secolo scorso, e le nostre stesse esistenze individuali, rese vulnerabili dalle oscillazioni del mercato del lavoro e dal disfarsi dei legami sociali e politici ereditati dalla modernità. Eppure, contrariamente a quanto una certa tradizione vorrebbe indurci a pensare, questa crisi non passa: sembra permanente, senza vie d'uscita e senza alternative. Ricostruendo una genealogia politica del termine che spazia dal mondo greco all'odierno neoliberalismo, questo libro intende dimostrare che la krisis, nel suo significato di «decisione» tra rivoluzione e conservazione, è una peculiarità dell'epoca moderna, mentre, in origine come oggi, il dispositivo della «crisi » si è dimostrato uno fra i più efficaci strumenti di disciplinamento sociale, di amministrazione dell'ordine. Il percorso analitico dell'autore, che si snoda da Platone ad Hayek, dalla scienza giuridica e medica dell'antichità fino all'attuale tecnocrazia, passando per le «armi della critica» di Marx e Gramsci, giunge infine, con Benjamin e Foucault, a individuare nella precarietà come arte di governo la «forma di vita» propria della crisi. Ma non elude la più pragmatica delle domande: «Come riaprire il campo delle alternative politiche?». -
Lezioni sulla traduzione
Dal 1989, anno in cui furono tenute queste lezioni finora inedite, l’incremento della produzione teorica sul tema del tradurre è stato esponenziale, accompagnato dal progressivo fiorire di scuole di specializzazione, corsi universitari, master e via dicendo tesi a consacrarne la dignità di materia di studio autonoma. E tuttavia, a sottolineare una particolare osticità dell’argomento, da sempre refrattario ad essere inquadrato in un sistema di regole, o anche, più umilmente, a una chiara classificazione dei fenomeni linguistici che esso coinvolge, decenni di fermento hanno proposto scarsissime novità. Di contributi teorici che abbiano rivoluzionato i termini del problema non si ha notizia, mentre il traduttore continua ad occupare il gradino più basso fra gli operatori della cultura.rnDi qui l’attualità e la sorprendente freschezza di queste pagine (la base scritta delle menzionate lezioni, recuperata presso l’Archivio Fortini dell’Università di Siena, e integrata da un ricco apparato informativo e bibliografico), in cui il problema della traduzione viene approfondito da vari punti di vista – quello della critica letteraria, della linguistica, ma anche quello socioeconomico e ideologico-politico. E dato che per Fortini il modo in cui si traduce è un indicatore privilegiato per decifrare l’evoluzione globale di un contesto culturale nel suo insieme, il gran numero di esempi tratti dagli scrittori italiani del Novecento e non solo (soprattutto fra i poeti), ci apre una serie di nuove, insospettate prospettive per una rilettura complessiva della letteratura italiana del secolo appena trascorso. «Ma la conclusione di questi esempi tratti da una esperienza di traduttore vorrebbe non essere autobiografica. Se si crede verisimile che la traduzione possa essere considerata come situata nella serie multicolore delle scritture che si chiamano interpretazioni ermeneutico-critiche, parafrasi esplicative, translitterazioni, imitazioni, parodie, rifacimenti e così via; ossia come atto a un tempo letterario e metaletterario; e se non si dimentica – come le statistiche ci dimostrano – che di fatto la rilevanza ideologico-politica e quindi socioeconomica delle traduzioni è determinante per ogni comunità culturale e politica, ne verrà che il grado di rapporto della traduzione con il sistema della o delle istituzioni letterarie dovrà essere visto come rapporto rivelatore, come indice privilegiato della qualità di relazioni, in un tempo e in una società data, fra le ideologie e le culture in conflitto. Indice privilegiato rispetto ad altre formazioni testuali.» (Franco Fortini) -
Ho costruito una casa da giardiniere
Non lontano dalla casa di famiglia che ormai gli è vietata, in quella valle delle Farfalle dove, bambino, faceva le sue prime esplorazioni da entomologo, Gilles Clément costruisce letteralmente con le proprie mani una capanna di pietre. Nel profondo della campagna francese degli anni Settanta, egli immagina intorno alla sua nuo va casa un giardino in movimento, un osservatorio delle specie, un laboratorio della natura in cui trovano già spazio tutte le preoccupazioni ambientali che lo renderanno un paesaggista celebre e rispettato nel mondo.«Quando ho comprato questo posto per venirci a vivere il mio progetto non era quello di costruire una casa con un giardino intorno. Era semmai il contrario: volevo abitare in un giardino. La mia vita da giardiniere inizia qui, e qui prosegue e si rinnova perpetuamente. Tutti i miei lavori, alcuni dei quali su scala ben più ampia, trovano la loro origine in questo luogo. Al principio non avevo un’idea precisa su come risistemarlo. Non mi mancavano tuttavia i metodi e i modelli appresi durante i miei studi alla Scuola Nazionale di orticoltura o scoperti nei miei primi lavori. Ma qui si trattava del mio giardino – della mia infanzia, potrei dire. Ho cercato allora di dispormi in dialogo con la natura. Prima di toccare qualsiasi cosa volevo capire, almeno un po’, quel che accadeva sotto i miei occhi e che mi sfuggiva quasi completamente. Abbiamo una conoscenza limitata della diversità e una nozione quasi nulla delle specificità comportamentali degli elementi che si muovono all'interno di questa diversità. Non siamo che ai primi balbettii nella riscoperta di quella natura così familiare ai nostri antenati, e che ci è divenuta completamente ermetica. Così mi feci quanto più silenzioso possibile. Ero come un invitato attento a non disturbare gli ospiti. Ero in visita presso le piante e gli animali». – Gilles Clément -
Il terrore
Prima guerra mondiale. In un angolo remoto del Galles la popolazione deve fare i conti con una serie di morti raccapriccianti e di eventi inspiegabili. Presto il terrore si diffonde nelle campagne e, in un crescendo di angosciose supposizioni, la comunità arriva ad addebitare gli incomprensibili omicidi ai tedeschi, che si suppone abbiano creato un vero e proprio Stato sotterraneo. Si scoprirà tuttavia che non sono loro gli artefici del misterioso terrore calato inesorabilmente sulla placida campagna inglese, e prenderà sempre più corpo un’ipotesi sconvolgente, e cioè che l’ordine cosmico sia stato sovvertito e che (forse) non sia più possibile tornare indietro. -
Il problema dello spazio in psicopatologia. Ediz. critica
Il volume raccoglie, in edizione critica, il testo della lunga relazione che Ludwig Binswanger tenne a Zurigo, nel novembre 1932, in occasione dell’annuale assemblea della Società Svizzera di Psichiatria. Con originalità e finezza argomentativa, Binswanger si confronta qui con il problema dello spazio (e della spazialità in generale) secondo differenti prospettive. A partire da una sua caratterizzazione in senso naturalistico-scientifico come spazio orientato o spazio omogeneo fisico-geometrico, esso viene inquadrato alla luce della sua rilevanza clinico-neurofisiologica (in relazione ai disturbi della percezione spaziale in soggetti cerebrolesi) e soprattutto clinico-psicopatologica. Proprio in questo contesto, anche grazie alle suggestioni che gli arrivano dalle opere di filosofi e letterati come Goethe, Hölderlin, Novalis, Keller, Klages e Scheler (solo per citarne alcuni), ma anche dai pionieristici lavori di Eugène Minkowski ed Erwin Straus sullo spazio vissuto e sul movimento presenziale, Binswanger giunge a tematizzare, come una vera e propria categoria esistenziale, il concetto di spazio timico, inteso come uno spazio vissuto non omogeneo ma carico di qualità espressivo-situazionali e dotato di una sua specifica tonalità affettiva, le cui modificazioni patologiche sarebbero alla base dei deliri e delle manifestazioni psicotiche. L’ampio saggio introduttivo, il ricco apparato di note storico-critiche e il breve glossario proposti dal curatore permetteranno anche al lettore meno esperto di confrontarsi con un universo teorico profondamente attuale non solo a livello clinico-psicopatologico, ma anche filosofico-scientifico. -
Storia naturale dei giganti. Nuova ediz.
«D’ora in poi non saremo più di questa terra, mendace, condominiale, illogica, giovanilista».«Un mirabile esempio di pastiche come già altri romanzi dello scrittore emiliano, da ""Vite brevi di idioti"""" a """"Gli eremiti del deserto"""".» – Alberto Riva, il Venerdì - la RepubblicaUna pazzoide storia d’amore e di gelosia che cresce via via, mentre il giovane studioso innamorato prende appunti per un trattato sui giganti dei poemi cavallereschi, i loro usi, costumi e la loro sgonfia attività sessuale, che li ha portati a degenerare e all’estinzione. Intanto degenera anche la gelosia: lo studioso spera che gli extraterrestri rapiscano chiunque abbia avuto contatti carnali con la sua bella e troppo emancipata signorina. Forse più che una speranza è una truffa, che lui nella sua passione ossessiva subisce. Il romanzo, rispetto alla prima edizione del 2007, è stato abbondantemente revisionato e riscritto dall’autore, con capitoli nuovi aggiunti."" -
Roma, non altro
«Tutto e tutti hanno lavorato per sbriciolarla, eccetto il tempo che su Roma non ha eccessivo potere». Per Dolores Prato, Roma è città di nascita e d'elezione. Dopo l'infanzia e l'adolescenza trascorse a Treia nelle Marche, l'autrice sceglie di vivere nella «città eterna» e di renderla protagonista di numerose scritture, tra cui la serie di elzeviri raccolti in questo volume, proposti in gran parte a «Paese Sera» tra gli anni Cinquanta e Settanta. Sono pezzi accomunati da una lingua smagliante, una base di solida documentazione, uno sguardo inquieto sulle più rassicuranti vulgate. Spesso si concentrano sulla storia e la progressiva distruzione di monumenti, quartieri, feste, ricorrenze, vie di Roma, specie dopo l'elezione a capitale d'Italia. Questa città contro cui il tempo «non ha eccessivo potere» si rivela così vittima costante della breve stupidità dell'uomo, delle sue distruzioni celebrative e turistiche sotto cui pulsano motivi politici ed economici tra i più volubili e bassi. Agli occhi di Dolores Prato, la vera Roma tuttavia resiste, per via del suo «carattere prepotente», in zone voci e oggetti marginali (un albero, una nobile erbaccia, un sasso, una piccola strada, un muricciolo sbrecciato, un taglio di luce, un canto). Qui Roma irrimediabilmente contesta e supera il ruolo di capitale, sede di Giubileo, cera tra le mani di noncuranti speculatori. È Roma, appunto: non altro.