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Il futuro dell'Europa e altri scritti
«Ma cosa sarà l’Europa di domani? [...] nessun paese d’Europa può più aspirare a un progresso reale della propria cultura isolandosi, né senza una collaborazione indiretta con gli altri paesi [...] tanto dal punto di vista politico quanto economico e industriale – insomma, da tutti i punti di vista – l’Europa intera corre verso la rovina, se ogni paese d’Europa non accetta di prendere in considerazione altro che la propria salvezza particolare».rnrnIT. «Cosa sarà l’Europa di domani?»; questa è la domanda che attraversa i testi di André Gide (1869-1951) raccolti nel presente volume. Premio Nobel per la letteratura nel 1947, Gide ha segnato indelebilmente la storia letteraria e la cultura del Novecento, portando avanti, accanto all’attività di narratore, un intenso impegno di critico e commentatore della storia e della società del suo tempo, tanto che lo scrittore André Rouveyre lo definisce il «contemporaneo capitale» della sua generazione.rnGli otto testi qui tradotti intendono illustrare la riflessione di Gide sull’Europa, che si sviluppa dall’inizio alla metà del Novecento e che raggiunge i suoi esiti più maturi tra le due guerre. Gide pensa l’Europa come un insieme di voci diverse che non devono rinunciare alla propria individualità ma, al contrario, esaltarla nell’armonia di un «concerto europeo». Per quanto legate al contesto storico, le sue considerazioni non hanno perso la loro attualità e la loro efficacia, e permettono ancora di interrogare il nostro presente.rnrnEN. “What will tomorrow’s Europe be like?”; this is the question that lies within André Gide’s (1869-1951) texts translated in this book. The 1947 Nobel Prize for literature indelibly marked the literary history and culture of the 20th century not only for his fictional writings but also for his intense work as a critic and commentator of the history and society of his time. This is why the writer André Rouveyre defined him “le contemporain capital” of his generation.rnThese eight texts illustrate the thought on Europe he developed in the mid 1900s and then reached its maturity between the two World Wars. Gide considers Europe as an ensemble of different voices which must not forsake their individuality but, on the contrary, exalt it harmoniously in the “European concert.” While bound to their historical context, these considerations still speak to our present allowing us to question it as well. -
Una quasi eternità
Alla soglia dei cinquant'anni una donna osserva e racconta, con struggimento e con ironia, i tanti cambiamenti che avvengono in quel periodo di passaggio: nel proprio corpo, nella percezione del tempo, nei rapporti fra i sessi. Con la pausa, o meglio con la battuta d'arresto della fertilità, la vita di una donna sembra, infatti, subire uno strano contraccolpo. Come se all'improvviso si fosse persa quella che fino a poco prima sembrava una condizione destinata a durare per sempre: la «beata incoscienza d'essere», cioè la sottile e tacita sintonia fra il tempo del proprio corpo e quello del mondo. In uno scenario meridionale, i ricordi recenti si mescolano con quelli luminosi dell'infanzia e dell'adolescenza. -
Attraverso Pasolini
«Ti scrivo solo un magro biglietto, per ricordarti che esisto e che soprattutto tu esisti in me: esisti tanto da essere l'ideale destinatario di quasi tutto quello che scrivo. Spero di esserlo un poco anche io per te, anche se non possiedo la tua formidabile ed esplicita, sempre, reattività.» Le parole che nel 1961 Pier Paolo Pasolini scriveva a Franco Fortini anticipano (e spiegano) il fascino ed il rilievo di questo libro che nel '93, un anno prima della scomparsa, Fortini dedicò all'amico, qui riproposto con un ampio e puntuale apparato di note ed una postfazione che ripercorre il dialogo tra i due. Attraverso Pasolini rappresenta un caso del tutto a sé nel paesaggio della nostra letteratura: vi si mescolano autobiografia e commento esegetico, lettere e versi, epigrammi e recensioni, con una straordinaria profusione di intuizioni critiche e di interpretazioni sulle rispettive opere in progress e infine sulla «nostra esistenza ossia il senso del nostro essere al mondo» (così Fortini nell'Introduzione). Come in un duello infinito che ogni volta affronta a viso aperto le svolte della storia - il '56, il '68 - confluiscono in queste pagine, esemplarmente, la passione letteraria e quella politica, l'amicizia e il dissenso, la metrica e la biografia. -
Contro il simbolico. Dieci lezioni di filosofia
Questo libro raccoglie un ciclo compiuto di lezioni, nel corso delle quali Melandri configura un percorso nei massimi temi di indagine del pensiero filosofico, al di là o prima di ogni contrapposizione di scuola o dell'appartenenza a diverse aree culturali, attraverso dieci voci: Logica, Linguaggio, Realtà, Metafisica, Soggetto e coscienza, Credenza e immaginario, Desiderio e volontà, Essere e dover essere, Etica e politica, Morte e finitezza. Ogni immagine della realtà è governata da simboli. Il simbolo permette di nominare, evocare e trasmettere un significato della realtà, di dare al mondo un «senso» comune e condiviso. Per i greci, symballein indicava la «ricomposizione dell'intero» che gli eventi e le esperienze personali frammentano e dissolvono. Tuttavia, già a partire dal primo atto socratico-platonico di fissazione del significato del mondo, il simbolo tende a irrigidirsi in una pura forma, dimenticando la radice soggettiva e radicalmente «empirica» dalla quale è sorto. Per «riattivare» il simbolico, per comprendere la funzione dalla quale la forma si è generata, è così necessario porsi contro di esso, regredendo - mediante un'appropriata archeologia delle immagini - a quelle operazioni originarie da cui nasce ogni senso della realtà. Postfazione di Luca Guidetti. -
A viso a viso. Corpi che si incontrano nei Promessi sposi
"I promessi sposi"""" può essere letto come un romanzo di corpi comunicanti: uomini e donne che si incontrano e si scontrano continuamente, «a viso a viso», scrive Manzoni, gli uni di fronte agli altri, scambiandosi sguardi, gesti e parole, spesso osservati da altri personaggi, in una dimensione pubblica che rende gli incontri ancora più spettacolari e complessi. I più recenti studi sui Promessi sposi hanno messo in evidenza la fondamentale dimensione visiva di questo classico della letteratura, che comincia a essere letto come un iconotesto, vero e proprio romanzo illustrato, così come è stato progettato, sceneggiato e prodotto dallo stesso autore in occasione dell'edizione del 1840. L'indagine condotta in questo saggio, che prende le mosse dall'analisi dell'interazione sociale e dei comportamenti dei personaggi che si incontrano faccia a faccia nello spazio romanzesco, ha lo scopo di chiarire il significato e il ruolo di questo tipo di comunicazione. Dare spazio ai comportamenti visibili dei personaggi che interagiscono gli uni sotto lo sguardo degli altri, sembra essere innanzitutto una garanzia di verosimiglianza, poiché le azioni umane sono rappresentate così come sono esperite durante la vita quotidiana, con i """"sensi nudi"""", immersi in un abbondante flusso d'informazioni che provengono direttamente dai corpi, e che sui corpi hanno un effetto pressoché immediato. Ma si tratta anche di una particolare forma di conoscenza, che privilegia l'esperienza basata sull'osservazione e l'ascolto, in aperta polemica con la comunicazione verbale." -
Studiare Roberto Gabetti
Studiare una personalità come Roberto Gabetti significa cercare di comprendere e restituire i tratti di una figura che si muove tra professione, studio e ricerca, vivendo stagioni molto diverse. In latino, studēre significa – prima ancora che studiare – dedicarsi, applicarsi e amare. Lo studio, quindi, in quanto atto d’amore per la conoscenza, non è altro che filo-sofia: amore per il sapere.rnIl volume raccoglie gli interventi ampliati presentati al seminario accademico intitolato Studiare Roberto Gabetti, tenutosi nel 2020 in occasione dei vent’anni dalla scomparsa dell’architetto torinese. Il seminario, curato da Carlo Olmo, apre un passaggio – non solo generazionale, ma soprattutto storiografico – sulla figura di Gabetti, e rappresenta il punto di inizio per nuove indagini sulla sua poliedrica attività.rnI saggi esplorano il lavoro del maestro torinese sotto accezioni diverse: allievo di Giovanni Muzio e poi assistente di Carlo Mollino, progettista capofila del Neoliberty quindi precursore – insieme con Aimaro Isola – della sensibilità ambientalista, cittadino militante, professore universitario, studioso di Le Corbusier, saggista e personaggio storico. I diversi contributi restituiscono in tal modo un quadro ricco e complesso, ripercorrendo carriera, professione e insegnamento di Gabetti, mettendone retrospettivamente in luce il lascito. Le memorie si conservano solo a patto di rielaborarle.rnÈ perciò vitale chiedersi cosa sia tuttora vivo del progetto culturale di Gabetti come architetto e docente, quale sia il significato attuale della lunga carriera di una figura fondamentale tanto per il Politecnico di Torino quanto per la storia dell’architettura italiana del XX secolo. Ed è importante porsi tali domande per mettersi in condizione di gestire l’eredità di un grande architetto, destinata comunque a diventare oggetto di studio per le generazioni future. -
Lingua madre. Ottave 1994-2019
La poesia di Emilio Rentocchini è un evento unico nella storia della poesia italiana del nostro tempo. La sua opera consta essenzialmente di trecento ottave ciascuna scritta per così dire due volte: nel dialetto di Sassuolo e in italiano. Si tratta di ottave perfette secondo la tradizione metrica (ABABABCC) di questa strofe che, dai poemi cavallereschi del Duecento fino al Boiardo e all'Ariosto, appartiene alla poesia epica e narrativa; ma, Rentocchini, con un'invenzione geniale, la strappa dal suo contesto e trasforma ogni ottava in una poesia autonoma di natura essenzialmente lirica. Rentocchini si è calato in questa forma inflessibilmente chiusa fino al punto in cui la costrizione metrica si rovescia in un'inaudita libertà: «non mi sono mai sentito così libero - ha scritto - come quando sono prigioniero dell'ottava». E la versione in lingua non va considerata come una traduzione, ma come parte integrante di una stessa ottava per così dire raddoppiata, «costruita sul labile confine tra le due lingue, con continue incursioni nei due sensi», nelle quali il dialetto e l'italiano «interagiscono e cooperano, talvolta armonizzandosi e talvolta collidendo». Prefazione di Giorgio Agambien. -
Liberare il tempo. Paul Bley e la trasformazione del jazz
In quel microcosmo caotico e vivacissimo che è la vicenda del jazz, Paul Bley ci appare come un musicista inclassificabile. Sfugge a tutto: non proviene da nessuna scuola specifica, non è collocabile in un’area stilistica, il suo percorso creativo non segue il classico sviluppo lineare.rnLo incontriamo in tanti momenti cruciali della storia: è stato un pioniere del free jazz sul pianoforte, si è avventurato prima di tutti nell’improvvisazione con i sintetizzatori, ha esplorato in modo spregiudicato la multimedialità audio-video, ha guidato la Jazz Composers Guild, la prima associazione di jazzisti d’avanguardia, ha gestito una casa discografica indipendente, la Improvising Artists Inc.rnSenza contare che è stato preso a modello da altri importanti pianisti: su tutti Keith Jarrett, che lo venerava, e che ancora nei primi anni Settanta suonava come il Bley di un decennio prima. Eppure egli ci appare ancora un artista inafferrabile, una figura a tratti sfocata. Questa sua autobiografia è preziosa: mette ordine nella vita di un artista multiforme e ci offre importanti testimonianze interne al mondo della musica. -
Territori dell'architettura. Continuità e fragilità nel progetto contemporaneo
Il volume raccoglie i testi istruttori e gli interventi, in forma diretta, del II meeting della Società Scientifica ProArch, tenutosi a Cagliari nel 2019, incentrato sulle problematiche sollevate dal celebre testo di Vittorio Gregotti, ""Il territorio dell'architettura"""" (1966), proiettate però nel dibattito attuale attraverso due termini, «continuità» e «fragilità», che, pur avendo spesso costituito una oppositio semantica nell'interpretazione del progetto nel territorio, oggi rappresentano due angolazioni visive - indissolubilmente collegate - dello stesso tema. Gregotti terminava il suo saggio facendo emergere, da un lato, la continuità dell'architettura come disciplina fondata sulla «qualità della permanenza dei suoi segni», dall'altro, la fragilità della posizione già allora periferica del ruolo dell'architetto e dello spazio architettonico «nella scala degli interessi umani rispetto alla mobilità sociale o al problema della fame», concetti che la recente pandemia ha drammaticamente aggiornato. Come chiosa Marco Biraghi, «ciò che Gregotti svolgeva, attraverso un'accurata disamina di strumenti, materiali, tecniche, significati del progetto, era il tentativo di dare alla pratica artistico-scientifica dell'architettura una possibile fondazione che la sottraesse al pericolo probabilmente più grande ai suoi occhi, quello di un'arbitrarietà priva di ogni ancoraggio». Sono i confini di un dibattito disciplinare fertile e aperto, che non affronta unicamente la reale capacità dell'architettura d'incidere sulla trasformazione dei luoghi, ma anche la sua attitudine a produrre forme di educazione alla conoscenza del territorio e del paesaggio, oltreché a concepire progetti in grado di generare un avanzamento culturale, individuale e collettivo. In tal senso, continuità e fragilità si pongono come chiavi di lettura ineludibili e compresenti nell'interpretazione della realtà contemporanea e dell'operatività, teoretica e pratica, del progetto. Introduzione di Marco Biraghi. Presentazione di Giovanni Durbiano."" -
Quel che ho visto e udito a Roma
Le corrispondenze da Roma di Ingeborg Bachmann per la radio di Brema (1954-'55), qui pubblicate insieme agli articoli da lei scritti nello stesso periodo per alcuni giornali tedeschi, sono un ritrovamento recente e testimoniano sia di un aspetto sconosciuto di questa ormai celebratissima scrittrice, sia di uno spaccato dell’Italia postbellica visto da una angolatura di eccezione. La Bachmann conosceva perfettamente l’italiano e si orientava con sicurezza nella politica e nella cultura locali. Dietro lo pseudonimo Ruth Keller, ella riferisce sugli argomenti più scottanti del periodo: su misteriosi eventi criminosi negli ambienti altolocati romani (il caso Montesi), su presunti tentativi di eversione da parte dei comunisti italiani, sulle catastrofi naturali che colgono di sorpresa i già provati popoli della Campania, sulle inquietanti manovre della mafia, sull'’ascesa alla ribalta della Lollobrigida e sulla ratifica dei “trattati di Parigi”. Un’occasione per ripercorrere la vita italiana degli anni ’50, meno distante da quella odierna di quanto si pensi, e per comprendere meglio l’attività di una scrittrice che ancora non ha finito di svelare tutti i suoi segreti. Assieme alle “Cronache”, pubblichiamo una breve prosa coeva, che dà il titolo all’intero volume, e che parla a sua volta di Roma. Associamo al grado meno letterario e più “fattuale” della scrittura bachmanniana una prosa intrisa di ispirazione conforme allo stile più noto e più felice della scrittrice. Si apre così lo spazio totale entro cui si muove l’occhio della Bachmann e da cui affiora il suo ritratto di Roma, e molti dei motivi che popolano le altre sue opere letterarie. Presentazione di Giorgio Agamben. -
Il diritto come libertà. Lineamenti per una determinazione ontologica del diritto
"Bosquejo para una determinación ontológica del derecho"""", titolo originale dell'opera qui tradotta, articola l'influente teoria tridimensionale del diritto di Carlos Fernández Sessarego, che nel 1950 anticipa la notissima proposta di Miguel Reale nel suo Filosofía do Direito (1953). Secondo Sessarego, il diritto «è costituito dall'integrazione di tre elementi: norma-pensiero, comportamento umano-oggetto, e valore-scopo». Il diritto, quindi, non è né mera realtà fattuale, né pura logica, né sistema di valori: è solo la stretta interrelazione di questi tre elementi che ne spiega l'oggetto e il senso. La teoria tridimensionale implica un'idea di vita umana come progetto e offre così il presupposto per un'analisi rinnovata e originale dei diritti della personae della loro tutela. Il nucleo della prospettiva che ne emerge è tanto forte da chiamare a una nuova comprensione del diritto e del suo ruolo nella società: l'essere umano è libertà - una libertà che si concreta nella scelta come decisione e nella decisione come scelta. In tal senso, il presente libro non vuol essere un semplice omaggio al grande giurista peruviano, bensì l'occasione per dimostrarne l'enorme potenziale pragmatico, capace di trasformare sia le idee dei teorici del diritto sia l'operato dei suoi tecnici. Prefazione di Yuri Vega Mere." -
Scrittrici in esilio tra Ottocento e Novecento
Tra esilio e scrittura esiste da sempre un nesso fortissimo; la letteratura contribuisce a riannodare i fili dell’esperienza e a rielaborare la perdita di ogni riferimento personale, linguistico, culturale. Nel caso delle scrittrici, almeno fino a Novecento avanzato, ogni esperienza di sradicamento è aggravata da una ancora incerta condizione autoriale che rende più problematico il rapporto con la scrittura.rnIl volume indaga il lavoro di molte autrici, da Cristina di Belgiojoso a Erminia Fuà Fusinato, Maria Zambrano, Agota Kristof, che tra Ottocento e Novecento hanno vissuto l’esilio per motivi politici e hanno dovuto ricostruire un’identità, anche linguistica e letteraria, in condizioni profondamente diverse da quelle consuete. Nei loro scritti e nelle loro tragiche vicende si evidenzia tutto il significato profondo e la forza reattiva che la scrittura riveste come elemento di resistenza contro la negatività del trauma. Il linguaggio esiliaco, d’altronde, soprattutto nel caso di donne scrittrici, esprime non solo una dimensione di alterità comune a tutte le esperienze di allontanamento forzato o volontario dalla patria (come avviene ancora in Clementina de Como, Louise Hamilton o Elisa Chimenti), ma dà anche voce, in casi come quello di Emma o Anna Maria Ortese, a una condizione di esclusione e di non appartenenza condivisa, indipendentemente dallo sradicamento territoriale, da tante scrittrici vissute tra Ottocento e Novecento. -
Wladimiro Tulli. Ediz. illustrata
«Passionalità immaginativa: con queste parole è stata ben descritta l'opera di Wladimiro Tulli. Celebriamo quest'anno il centenario della nascita di questo grande artista, grazie al quale la nostra regione si affaccia al mondo. Le Marche hanno tanti preziosi tesori e il marchigiano Tulli celebra i verdi paesaggi, le spiagge, gli arcobaleni della sua terra. Si dimostra soprattutto un vero narratore. Racconta la vita quotidiana ed episodi di storia, alternandoli al mito con meraviglia e fantasia. È un artista dalla cui mano si scorge la speranza. Tra le linee e gli intrecci ecco sempre una possibilità di rinascita. Il suo segno unico e irripetibile di marca futurista è essenziale. Non si può non trarne «una felicità che rimarrà nell'animo: per la fantasia di continuo nuova, per la spontaneità stupenda del colore, per l'invenzione non mai stanca delle libere forme», così come scrisse di lui Giuseppe Ungaretti. Tulli ci lascia opere cariche di una forza che nel tempo non va dispersa...» (Francesco Acquaroli, Giorgia Latini). Introduzioni di Giampiero Mughini e Fabio Benzi. -
La critica viva. Lettura collettiva di una generazione (1920-1940)
"Siamo negli anni Venti del nuovo secolo e millennio. E cent'anni fa cominciava a nascere, nel nostro Paese, una curiosa, distesa, eclettica generazione di personalità critiche che - tra lingua e letteratura, filologia e strutturalismo, teoria e comparatistica, psicanalisi e sociologia, narratologia e semiologia, estetica della ricezione e storia della cultura... - avrebbe tenuto a battesimo una buona parte dei nostri studi letterari, nelle università e non solo, fino a oggi. In circa ventuno anni - dal 24 marzo del 1920, in cui viene alla luce Cesare Cases, al 6 dicembre del 1940, data di nascita di Romano Luperini - abbiamo provato a selezionare cinquantadue temperamenti critici, con Adelia Noferi, Lea Ritter Santini, Delia Frigessi, Lidia De Federicis, Maria Luisa Doglio, Grazia Cherchi, Rosanna Bettarini e Teresa de Lauretis come sole ma eloquenti rappresentanti di un plurale pensiero femminile, capace già - pur in seno a una minore rappresentanza figlia dell'epoca - di passare da una critica più accademica e teorica a una più militante e didattica, capace di dirsi all'università come nell'editoria, tra commento ai testi, impegno civile e studi di genere, tra Italia, Europa e America. Si tratta perciò di un volumetto denso ma abbastanza agile, che forse potrebbe dare inizio a una piccola serie prospettica (1941- 1960, per dire), intesa già qui non solo e non tanto come omaggio, ma come profilo di una politica (fra molte virgolette, ma anche senza virgolette) delle critiche e dei critici nel secondo Novecento e all'alba più o meno sfrangiata e irta del nuovo secolo e millennio che stiamo vivendo. Ecco, il volume che avete fra le mani non è solo un omaggio ai maestri e un profilo dei maggiori critici italiani del secondo Novecento - magari con qualche dimenticanza, di cui chiediamo venia: il canone è tanto provvisorio quanto ampio, e vuole tendere all'oggettività, ma risente (come è inevitabile e tutto sommato giusto) delle passioni, delle curiosità, e forse pure delle idiosincrasie, peraltro diversissime, dei curatori. La critica viva - questo è il punto - ha anche un'ambizione etica e appunto politica, che si dipana tra insegnamento, ricerca e società: contesta il crescente (e sciagurato) abbandono, nelle università, della storia della critica; rende evidente la capacità degli studi letterari di incidere sul discorso sociale, contribuendo - con la loro libertà e diversità - a restituire nel suo insieme più ricca, meno provinciale, più complessa un'intera cultura; rivendica il contributo imprescindibile che le studiose e gli studiosi di letteratura hanno dato al Novecento italiano e (forse) ancora sono in grado di dare.""""" -
Tradurre la luna. I romantici tedeschi in Tommaso Landolfi (1933-1946)
Se è vero che «Landolfi traduttore felice di esserlo non lo fu mai», cosa lo spinse a dedicarsi quasi per tutta la vita alla traduzione (dal russo, dal tedesco e dal francese), mentre scriveva racconti, elzeviri, poesie, diari e persino una tragedia in endecasillabi e qualche romanzo? Molti, lui compreso, chiamerebbero in causa le necessità alimentari, visto che chiedeva agli editori «astronomici esborsi» e licenziava le sue versioni con estrema rapidità e nonchalance. Ma l'ipotesi di partenza del libro è che ci sia qualcosa di più. La scrittura di traduzioni è intimamente connessa alla scrittura in proprio: la ispira, la incalza, la ibrida, la contraddice. Il caso preso in esame è quello delle sue prime traduzioni dal tedesco, ovvero alcune fiabe dei fratelli Grimm e il romanzo romantico per eccellenza, lo Heinrich von Ofterdingen di Novalis. In parallelo viene condotto un serrato confronto con le opere scritte negli stessi anni: i racconti del Dialogo dei massimi sistemi (1937), il romanzo La pietra lunare (1939) e la fiaba Il principe infelice (1943). Alla fine di questo percorso, come immagine della polifonia che anima le due scritture landolfiane, il lettore troverà la misteriosa lotta amorosa che si svolge in una notte di luna piena tra una capretta dei monti Aurunci e Gurù, la portentosa donna-capra. -
Wittgenstein tra Vienna e Cambridge. Origine e rapporti con la cultura e i pensatori del suo tempo
I saggi qui raccolti costituiscono un breve spaccato dell'inestimabile contributo di Brian McGuinness alla ricostruzione della biografia di Ludwig Wittgenstein, del vasto apparato documentario che la sorregge e di quello che egli chiama il genetic account del suo pensiero. Il contesto culturale delle due patrie wittgensteiniane, Vienna e Cambridge, è esplorato nei densi saggi che illuminano l'alta collocazione sociale della famiglia di origine, il complesso rapporto con l'ascendenza ebraica, l'influenza sulla sua formazione delle opere di Hertz, Boltzmann, Frege. Altri saggi offrono una impeccabile rappresentazione del pensiero del giovane Wittgenstein sullo sfondo della Cambridge di inizio secolo, in cui si manifesta l'interesse per la logica matematica di Russell e hanno luogo gli incontri con Keynes, Moore, Ramsey e i membri del Bloomsbury Group, anch'essi ispiratori degli studi preparatori del Tractatus. Documenti della post-Tractarian phase sono i saggi sul Circolo di Vienna, sulla musica, la letteratura, la psicoanalisi, sui due mentori - Ramsey e Sraffa - del nuovo approccio antropologico ai temi del linguaggio e del significato. Chiude il volume il testo dell'intervista rilasciata da McGuinness nell'ultimo anno di vita, in cui sono incisivamente ripercorse le linee del suo iter filosofico. -
Il chimico e l'ostrica. Studi su Primo Levi
«Più che un bel libro, è un libro fatale»: così scrisse Umberto Saba di Se questo è un uomo, accostandolo alle Mie prigioni di Silvio Pellico. In questo volume, sintesi di vent’anni di riflessioni su Primo Levi, troviamo anche un parallelo tra i due autori. Ma l’intento di Mario Barenghi è soprattutto di mettere in luce la complessità e la ricchezza di un’opera che, oltre l’impegno alla testimonianza, offre un prezioso modello di postura interrogativa verso il reale. Lo sguardo di Levi è acuto, curioso, a volte divertito; ciò che l’analisi restituisce è però spesso l’impressione di un errore, di un «vizio di forma». Nel mondo presente c’è qualcosa di guasto. E allora non c’è che un modo di reagire: diagnosticare il problema e correre ai ripari. Come fa il chimico, che indaga su cosa è sbagliato in un esperimento. Come fa l’ostrica, che fabbrica una perla per sopravvivere a una ferita. -
Cechov in italia. La Duchessa d'Andria e altre traduzioni (1905-1936)
I racconti che Anton Pavlovic Cechov scrive fra il 1880 e la morte, nel 1904, arrivano in Italia con grande rapidità, e contribuiscono a cambiare il paesaggio letterario. Li traducono intellettuali russi (e soprattutto russe) emigrati in Italia: Nina Romonavskaja, Olga Resnevic-Signorelli, Olga Malavasi. E li traduce una strana coppia: il vociano Ardengo Soffici e il pittore russo Sergej Jastrebcov. Un contributo decisivo viene da Enrichetta Capecelatro Carafa duchessa d'Andria, una narratrice napoletana amica di Croce, che nel 1936 pubblica un'edizione autorevole delle novelle cechoviane. La storia di questi traduttori e di queste traduttrici si mescola al lavoro di russisti militanti come Leone Ginzburg e di fondatori della slavistica italiana come Ettore Lo Gatto, e incrocia lo sguardo di critici autorevoli come Giuseppe Antonio Borgese e Pietro Pancrazi. Questo libro è dedicato all'intreccio fertile di vite e di attività traduttive, critiche, editoriali, facendo centro soprattutto sul lavoro originale della duchessa d'Andria. Come sono le sue traduzioni? E qual è il canone di testi proposto? Allo studio, anche contrastivo, delle traduzioni si affianca una ricognizione critica dei racconti selezionati, nella convinzione che studiare una traduzione e l'accoglienza di un autore in un altro contesto linguistico e culturale comporti un movimento critico su più livelli. -
Le parole non sono di questo mondo. Lettere al guardiamarina E. K., 1892-1895
Tra i carteggi tenuti da Hugo von Hofmannsthal (1874-1929), le lettere scambiate in gioventù con Edgar Karg (1872-1905) occupano un posto d'eccellenza, tanto che lo stesso poeta pensò di pubblicarne un buon numero, in un'antologia che avrebbe dovuto raccogliere il meglio della sua produzione giovanile. Mentre il suo precoce talento viene celebrato nei cenacoli letterari, Hofmannsthal cerca qui di avvicinare alla propria esistenza da ""poeta"""" un amico che, impegnato nel servizio di marina in località spesso assai remote, non può condividere con lui la stessa ricchezza culturale. Non si trattava, però, di fare opera di vacua divulgazione, ma di strappare la poesia all'atmosfera artificiosa dei salotti e delle accademie, e di porla in relazione all'esistenza degli uomini. Temi e problemi che hanno un peso fondamentale nella sua opera e in molta poesia moderna, vengono allora affrontati in modo immediato, e di continuo vengono intrecciati a esperienze quotidiane e affetti comuni. Da un lato i primi passi compiuti da Hofmannsthal lungo il """"cammino verso la vita"""", nel tentativo di infrangere, grazie a questa amicizia, l'isolamento dell'artista (egli stesso ricorda quegli anni come """"il periodo più solitario"""" della sua esistenza). Dall'altro una limpida, inedita prospettiva sulla riflessione condotta da Hofmannsthal sulla letteratura, sul suo rapporto con la vita, e più in generale sull'amicizia e la formazione dell'individuo. Uno di quei rari casi in letteratura dove l'espressione congiunge felicemente immediatezza e profondità."" -
Un anno di scuola
Trieste, 1909. Una ragazza ottiene, per la prima volta, l’accesso all’ottavo anno del ginnasio, passaggio obbligato per accedere agli studi universitari e conquistarsi un futuro di libertà e indipendenza. Sola femmina tra venti allievi maschi, catalizza inevitabilmente le attenzioni e le emozioni di tutti: ognuno, a suo modo, si innamorerà di lei, di quella figurina che vorrebbe essere nulla più che una compagna di studi e di scherzi spensierati, una voce nel coro concorde della classe. Edda Marty, la protagonista di ""Un anno di scuola"""", è l’incarnazione di un ideale femminile che soltanto la città di Svevo e di Saba poteva produrre: insieme fragile e forte, seria e irriverente, dolce e «temeraria», come la definisce Stuparich all’inizio. La storia del suo incontro con Antero, il compagno più riservato e sensibile, si sviluppa in un vortice drammatico che, tra amore e morte, accompagnerà la classe verso gli esami. Ritratto di un’epoca irripetibile della vita, il racconto (pubblicato per la prima volta nel 1929) è anche una struggente rivisitazione della Trieste di inizio secolo, di quella Vienna calata sull’Adriatico dalla quale sono uscite alcune delle pagine più autentiche della nostra letteratura.""