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Agricoltura in transizione
L’agricoltura è in una fase di forte transizione, caratterizzata da un dinamismo che in alcuni momenti e in alcune aree raggiunge addirittura l’entità di una vera e propria tempesta dalla quale escono ridisegnate non solo le pratiche, ma il ruolo stesso dell’attività agricola all’interno della società, le dimensioni e le caratteristiche settoriali e la figura e le aspettative degli imprenditori. Un dinamismo mosso da innovatori che, attraverso combinazioni, localmente specifiche, di pratiche e conoscenze locali, stanno rappresentando sempre più promesse o risposte credibili a esigenze nuove di un’agricoltura capace di garantire reddito, occupazione e qualità dei prodotti e dell’ambiente. Sono queste le novelties descritte nel libro, vere e proprie testimonianze di modelli di sviluppo alternativi a quello consolidato della «modernizzazione» agricola. Le novelties fanno parte del dinamismo in atto nelle aree rurali, nascono e si sviluppano all’interno di movimenti di idee, di network locali e transnazionali che stanno cambiando la struttura e l’organizzazione delle filiere alimentari con una redistribuzione del potere negoziale, dell’informazione e della ricchezza prodotta. Tutti fenomeni, questi, multidimensionali, che richiedono strumenti di analisi innovativi basati su approcci sistemici e capaci di comprendere le diverse forme in cui si presenta una novelty e le relazioni che esistono tra le dimensioni che la compongono. Questo fenomeno apre la strada a una nuova agenda di indagine di tipo interdisciplinare con un ripensamento del ruolo della ricerca scientifica, della didattica e dei servizi di assistenza e divulgazione agricola e un ridisegno degli strumenti e dei metodi di intervento. I semi di tale cambiamento già esistono, anche se ancora troppo isolati. Vanno create le condizioni in cui tali semi possano crescere e svilupparsi dando origine a un sistema di costruzione delle conoscenze più vicino alle esigenze delle imprese e dei territori e che permetta di passare da soluzioni globali per problemi locali a soluzioni locali per problemi globali. -
I fratelli corsi
Il racconto si divide in due quadri. Nel primo, lo scrittore, che si è recato nell'isola, conosce Lucien, un giovane corso selvatico e fiero, deciso a svolgere il suo ruolo di arbitro nella faida tra due clan nemici. Fantasia e realtà si mescolano inestricabilmente, in questa Corsica avventurosa e magica, popolata di banditi che difendono il proprio onore, e scossa dal continuo inseguirsi delle vendette. Nel secondo quadro, Dumas, tornato a Parigi, incontra Louis, il fratello gemello di Lucien, che si trova coinvolto in un duello per aver difeso l'onore di una dama. Nonostante la separazione, i due gemelli sono rimasti uniti da una strana telepatia, dono ereditario della loro famiglia, che sconfina talvolta nella condivisione a distanza delle stesse sensazioni fisiche. Dumas contrappone con grande sottigliezza la Corsica selvaggia e cruda, ma fedele alle regole dell'antica ospitalità e della morale inflessibile, a una Parigi ricercata e galante, sotto le cui raffinatezze si celano crudeltà, cinismo e disprezzo. Non ci si stacca facilmente da una vicenda così incalzante, così ricca di materie diverse, che si apre con la levità di un diario di viaggio, e si conclude con un esito tragico. Ma il tema cruciale del romanzo sta nel gioco del doppio, in una telepatia che rimanda a una reiterata predilezione di Dumas per la dimensione fantasmatica. A fine volume il racconto ""I due studenti di Bologna""""."" -
Il mestiere del cinema
Un grande maestro del cinema italiano racconta il suo cinema. A Monicelli non interessa tanto narrare le gesta, gli aneddoti, gli incontri di una storia personale fuori dall'ordinario; nel racconto veste piuttosto i panni di un artigiano, pronto a svelare le tecniche e i segreti di quel mestiere complesso e magico a cui ha dedicato una vita intera. La testimonianza del creatore della commedia all'italiana si trasforma in una lezione di cinema, in cui vengono ripercorsi i momenti fondamentali che hanno dato vita a tanti capolavori. Una lunga scuola che coincide con gli anni d'oro del cinema italiano, con l'invenzione di una ""stagione italiana"""" di cui Monicelli è insieme figlio e creatore. Tanti gli incontri decisivi: Rossellini, De Sica, Antonioni, Totò, i grandi sceneggiatori (Age e Scarpelli, Benvenuti, De Bernardi, Suso Cecchi D'Amico), e poi la scoperta, in ruoli inediti, di Alberto Sordi e Vittorio Gassman. Sceneggiatura, accorta preparazione delle riprese, lavoro con gli attori, montaggio, doppiaggio (il maestro infatti non è mai passato a registrare il suono in presa diretta) sono tutti momenti cruciali che Monicelli racconta chiarendo le precise ragioni di scelte tecniche e artistiche dietro a cui non è difficile scorgere una pratica di lavoro che si trasforma in un vero e proprio metodo. Una carrellata lungo settant'anni di cinema italiano, in cui affiorano la forza e il segreto del genio di Monicelli."" -
I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale
La sovranità statale si diluisce. Agli Stati si sovrappongono altri ordinamenti giuridici, sopranazionali e globali. Questo pluralismo ha bisogno di un ordine: occorre riempire i vuoti tra i diversi sistemi; ridurre la frammentazione di questi ultimi; indurli a cooperare; stabilire gerarchie di valori e principi. I governi nazionali, titolari del ""potere estero"""", non sono in grado di svolgere questi compiti. Suppliscono i giudici, nazionali, sopranazionali e globali, oppure organi quasi giudiziari, presenti in molti dei circa duemila regimi regolatori globali. A questo punto, lentamente, il diritto prende il posto della politica nell'arena globale. Le corti attraversano sempre più spesso le frontiere. L'incontro tra ordini giuridici diversi e diversamente collocati è anche un incontro fra tradizioni giuridiche differenti, ognuna con la propria identità. Di qui discendono numerosi problemi. Il primo è quello della tolleranza e dell'adattamento reciproco. Il secondo è quello della costituzione di un nucleo di principi che appartengono a ognuna delle tradizioni giuridiche. Il terzo quello del riconoscimento di un corpo minimo di principi superiori. Le corti svolgono dunque un ruolo fondamentale nel sottrarre dall'isolamento ordini giuridici diversi e diversamente collocati."" -
L' invenzione della nostalgia. Il vintage nel cinema italiano e dintorni
La nostra è l'epoca del vintage: la televisione è ostaggio dei divi degli anni sessanta e settanta, interi canali satellitari si dedicano alle repliche di vecchie trasmissioni, la rete pullula di siti, forum, blog con i cartoni animati, le sigle, i telefilm di venti-trent'anni fa. Buona parte dei prodotti culturali che ci circondano trae la propria forza dal rimpianto, o dall'allusione ironica e dolceamara ad altre immagini e altri simboli di un passato recente. Ma perché tanta nostalgia? In un'analisi a tutto campo dei media contemporanei, Emiliano Morreale guarda con disincanto a quelle che crediamo essere le emozioni più intime, illuminando, a partire dalla storia del nostro cinema, aspetti fondamentali della vita quotidiana. Sono i mass media infatti i creatori, ancor prima che i propagatori su vasta scala, di questa emozione collettiva. La nostalgia viene dai media, esiste grazie ai media e per i media. Le generazioni nate dagli anni sessanta in poi hanno infatti cominciato a sperimentare forme nuove di auto-percezione e auto-definizione: non più politiche, geografiche, sociali, ma trasversali, e a partire dalle proprie memorie di consumatori di merci e di spettatori. Il primo germe è nel cinema italiano sulla belle epoque degli anni cinquanta, per poi passare ai grandi autori dei primi anni settanta alle canzonette dei film di Nanni Moretti, al filone dei ""Sapore di mare"""", fino alle saghe odierne sugli anni settanta"" -
Lo scettro senza il re. Partecipazione e rappresentanza nelle democrazie moderne
Il governo rappresentativo è davvero democratico? O invece non lo è perché non consente ai cittadini di votare direttamente le leggi che dovranno rispettare? Le opinioni dei teorici della politica su questo tema si dividono. C'è chi lo considera una forma di governo misto, per metà aristocratico o oligarchico e per metà democratico. Chi, svuotandolo di ogni valore normativo, lo accetta soltanto come un espediente necessario. Per gli uni la democrazia è semplicemente elettorale e la rappresentanza ne è l'esito istituzionale. Per gli altri la democrazia è partecipazione diretta e la rappresentanza ne è una violazione. Riflettendo su un tema tanto spinoso, Nadia Urbinati accoglie la sfida di mettere in discussione una tale polarizzazione. La democrazia rappresentativa è una forma unica di governo democratico peculiare delle società moderne: non costituisce un'alternativa alla partecipazione, né tuttavia limita la democrazia al momento elettorale o alla conta dei voti. La rappresentanza è, dunque, una forma complessa di partecipazione, un processo politico che genera e si sostiene su un continuo flusso di influenza, controllo e comunicazione tra cittadini e rappresentanti. -
Ruritalia. La rivincita delle campagne
Alla fine di un lungo processo, che ha attraversato l'urbanizzazione e l'industrialismo, e ha completamente consumato le economie, le culture, i valori del vecchio mondo contadino, il pendolo torna a oscillare verso quelle porzioni di territorio - materiale e immaginato - caratterizzate da una più blanda densità abitativa, da una maggiore dovizia degli spazi, da una prevalenza della terra rispetto al cemento. Non si tratta, com'è ovvio, di un puro ripristino delle vecchie egemonie della produzione agricola, che tuttavia sta ritrovando una nuova vitalità; né solo di una ridislocazione demografica. È l'insieme dei modi della produzione e del consumo, dei modelli e degli stili di vita, dei valori e delle culture - dal turismo alla gastronomia, dalle formule abitative alle abitudini alimentari, dall'abbigliamento al tempo libero, dalla cura del corpo a quella dello spirito - a riprendere la strada della campagna, in questo inizio di nuovo millennio. E il fenomeno, pur con le ovvie differenze, riguarda l'interezza del nostro territorio, tutti gli ambiti regionali, tutti i sistemi locali, dalle Alpi al Lilibeo. Si tratta di una campagna ben diversa da quella da cui era partito l'esodo contadino; uno spazio rurale percorso per intero dalle contraddizioni di un tempo come il nostro; un universo di relazioni a maglie più larghe, ma anche più solide, più capaci di resistenze e adattamenti. La campagna torna a essere una polarità indiscussa del gioco territoriale. Torna al centro. Torna a essere ""mondo""""."" -
My lady Nicotine. Storie di un fumatore incallito che ha smesso
Pubblicato nel 1895, nove anni prima della comparsa sulle scene londinesi di Peter Pan, ""My Lady Nicotine"""" è qui proposto per la prima volta al pubblico italiano, in un'edizione arricchita dai disegni che il pittore americano Prendergast creò per l'edizione inglese. Una serie spassosa di storie e aneddoti che Barrie snocciola quasi all'insegna di un unico motto: come affrancarsi dal fumo senza smettere di pensarci. Sospese tra sogno e rievocazione, le scene di una vita alla nicotina si susseguono alternando i ritratti dei vecchi compagni di fumo ai loro tic, alle manie e ai rituali. Finite le storie, il proposito di non fumare dell'autore-progonista non arretra di un passo."" -
Gli exploit e le avventure del brigadiere Gerard
«Ho visto Napoleone dieci volte a cavallo e una sola a piedi, e credo sia saggio da parte sua mostrarsi alle truppe in sella, giacché la sua figura se ne giova parecchio. Con quella grossa testa rotonda, le spalle curve e il volto ben sbarbato, sembra più un professore della Sorbona che il primo soldato di Francia. È una questione di gusti, certo, ma a me pare che se potessi assestargli un bel paio di favoriti da cavalleggero come i miei non gli arrecherei alcun danno». Intrepido, spavaldo, vanesio, fascinoso, Etienne Gerard, brigadiere degli ussari al servizio di Napoleone, è lo spadaccino più valente, il cavaliere più consumato e l’eroe più amato dalle donne che mai abbia servito nelle file dell’esercito di Francia. O almeno tale si ritiene, e come tale si racconta, una volta appesa al chiodo la spada e con un bicchiere di vino in mano, in questa serie di avventure che si dipanano dagli anni del pieno fulgore dell’impero napoleonico a quelli finali della sconfitta e dell’esilio. A fare di Gerard un personaggio irresistibile è la sublime arguzia di Sir Arthur Conan Doyle – sì, esattamente il padre di Sherlock Holmes – il quale gli cuce addosso i panni di un eroe tanto valoroso quanto ingenuo e avventato, tanto affascinante quanto spocchioso, tanto dal cuore grande quanto dall’ingegno evanescente. Niente di meno che il più tipico spaccone di Francia, ritratto da una delle più brillanti penne d’Inghilterra. Ne nascono le eroicomiche vicende di un personaggio che racchiude in sé tutti gli stereotipi affibbiati dagli inglesi ai cugini d’Oltremanica, ma a cui Conan Doyle vuole un gran bene, spingendo i suoi lettori ad amarlo incondizionatamente. A dispetto della sua buffa prosopopea e della sua gaia ingenuità, Gerard riesce sempre a portare a termine missioni impossibili, e a prevalere su tutto e tutti. «Elementare, mio caro imperatore», sembra dire il brigadiere, parafrasando Watson, il compagno d’avventure dell’altra più nota creatura del genio di Conan Doyle. Al pari delle storie dell’investigatore, quelle del brigadiere comparvero inizialmente a puntate su rivista tra il 1894 e il 1903. Il successo fu enorme, grazie a quella miscela di humour ed exploit, intrighi e colpi di scena, amori e galanterie, che ne fanno ancora oggi una lettura capace di deliziare gli amanti di Conan Doyle e tutti gli appassionati della letteratura d’avventura. Un lettore d’eccezione come Michael Chabon ha potuto affermare: «Nelle avventure del brigadiere Gerard, ancor più che nelle celeberrime storie di Holmes e Watson, si scopre la mano di un impareggiabile maestro». -
Birra vs vino
Perché mai nell’accezione comune il prodotto più nobile è il vino, quando è la produzione della birra a essere tecnologicamente più complessa? Perché in qualunque ristorante degno di nota la carta dei vini è un fiorire di etichette, mentre alla voce «Birra» si stenta ad annoverare poco più che la scelta tra birra in bottiglia e birra alla spina? Perché le proprietà benefiche del vino trovano tanta eco, quando è la birra ad avere i valori nutritivi maggiori? Perché quando si pensa al vino si evoca subito l’immagine di cene à la page per sapienti intenditori, mentre la birra è più spesso sinonimo di chiassose feste tra giovani? Charles Bamforth esplora questi e tanti altri paradossi a proposito delle due bevande più amate al mondo, prestando particolare attenzione alle culture che le circondano. Da esperto di scienze e tecnologie della produzione della birra, ci dimostra come la bionda, la rossa e le decine di loro sorelle non abbiano nulla da invidiare, in fatto di saperi e tradizioni, alle più celebri etichette enologiche. Tanto il vino che la birra possiedono infatti una storia millenaria e, malgrado il proliferare di pubblicazioni sull’uno e sull’altra, il libro di Bamforth è il primo che li metta a confronto, per compararne le tecniche di produzione, la natura dei mercati, le qualità, le tipologie e i rispettivi effetti sulla nostra salute e sulla nutrizione. A lettura finita, i gusti e le abitudini probabilmente non cambieranno, ma è certo che sarà difficile continuare a scambiare la birra per la parente povera del più raffinato vino. -
Io, Hannah Arendt. Professione: filosofa
Filosofa, pensatrice politica, poetessa, Hannah Arendt (1906-1975) è stata una delle più grandi personalità del XX secolo. Raramente, come nel caso di questa donna straordinaria, percorso intellettuale ed esperienza biografica presentano un intreccio così profondo. Il suo pensiero, che ha avuto e continua ad avere un'eco cosi vasta m tanti campi del sapere, non è il risultato di un'attività puramente speculativa, ma porta con sé il riflesso di un'esistenza avventurosa, a tratti drammatica, e soprattutto vissuta con costante passione. Quando negli anni venti si laurea in filosofia con Karl Jaspers, le donne all'università sono ancora un'eccezione. Ad appena ventidue anni, ha già alle spalle una storia d'amore con il più grande filosofo del secolo, Martin Heidegger; un'esperienza destinata a segnarla per tutta la vita, sia dal punto di vista personale che intellettuale. Ebrea, costretta alla fuga a causa del terrore nazista, ripara in esilio dapprima a Parigi e, dopo un lungo peregrinare, in America. La vicenda di questa donna eccezionale rispecchia la storia di un secolo e di due continenti. Può essere letta come una testimonianza di coraggio e di impegno politico, entro l'orizzonte di un pensiero filosofico che invita all'amicizia e all'amore verso il mondo. -
Il guinzaglio elettronico. Il telefono cellulare tra genitori e figli
All'estero lo chiamano telemothering o teleparantage: è il ruolo assunto dal telefono cellulare nel rapporto fra genitori e figli. Vera e propria presenza fra loro, è per gli adulti uno strumento di controllo a distanza, un mezzo per tenere a bada le ansie per i pericoli che insidiano i figli quando si allontanano dalle mura domestiche. In sostanza una sorta di cordone ombelicale, un guinzaglio elettronico che crea negli adulti l'illusione di seguire e proteggere i ragazzi, anche se non consente di sapere dove essi realmente siano o cosa stiano davvero facendo. Ma un cordone ombelicale oltre la nascita è innaturale, e non solo non favorisce l'autonomia e la sicurezza, ma ostacola un armonioso sviluppo psicologico. Nato da due innovative ricerche complementari condotte su un campione di ragazzi delle scuole elementari, medie e superiori e commissionato dall'Osservatorio ""I Pinco Pallino"""" su minori e media, questo libro ha i pregi dell'indagine sul campo accanto a quelli dell'analisi rigorosa e aggiornata di un fenomeno che tocca la gran parte delle famiglie italiane. Sarà pure perennemente scarico, più usato per giocare che per comunicare, costoso da acquistare e da mantenere, ma qual è quel genitore davvero disposto a privare il proprio figlio del cellulare? La risposta è ben nota a tutti i gestori della telefonia, che si contendono la clientela a suon di offerte."" -
Uccidiamo la luna a Marechiaro. Il sud nella nuova narrativa italiana
Oggi che i problemi del Sud d'Italia sono temi di successo su cui puntano media ed editoria, viene da chiedersi: che ne è stato del riscatto sociale e culturale del Mezzogiorno che una quindicina d'anni fa pareva imminente? Questo volume è un ideale grido di battaglia ""futurista"""" dei giovani scrittori - Saviano, De Silva, Parrella, Cilento, Cappelli, Pascale - che, a partire dagli anni novanta, hanno deciso di raccontare un Sud svincolato dagli stereotipi del paradiso turistico o dell'inferno senza redenzione, svincolato dalla pizza, dal mandolino e dal vittimismo. Un sud diverso, aggiornato al presente: il sud della nuova criminalità e della nuova borghesia, degli extracomunitari integrati e dei lavoratori precari. A metà tra il saggio e il reportage, la ricostruzione e il pamphlet, il testo esamina il fenomeno della rinascita della narrativa meridionale tanto auspicata negli anni novanta, e nel frattempo raccoglie dichiarazioni inedite, ragiona su contestazioni e polemiche e finisce per toccare questioni che oltrepassano i confini del sud. Sempre nel tentativo di ricostruire, al di là delle più immediate letture, un fenomeno tuttora fonte di dibattiti e capire il ruolo che può avere la letteratura nella comprensione e nella rappresentazione del sud di oggi."" -
Il crepuscolo di Bisanzio
La fine dell'impero romano d'Oriente si è caricata, nei secoli, delle valenze evocative proprie delle date epocali. Non solo: attorno al declino di Bisanzio si concentrano gli stereotipi storiografici di un ""senso comune"""" che vede nel bizantinismo il male del più esasperato politicismo, la decadenza dello spirito pubblico e della lotta politica nelle spire della logica del tradimento. Una deformazione prospettica diffusasi lungo tutta l'età moderna, che ha proiettato all'indietro i caratteri dell'ultima Bisanzio: un mito a suo modo volgare che il libro di Ivan Djuric consente di tradurre nella ricchezza interpretativa e documentaria di uno studio storico di grande acume, che lucidamente conduce al cuore del mondo politico, religioso e diplomatico della Costantinopoli al suo tramonto: come scrive lo stesso Djuric, è la storia della fine di """"un impero che non c'è"""". Già infatti alla fine del XIV secolo Bisanzio non è più padrona del proprio destino, costretta a fare i conti con il declino del suo prestigio, con la miseria delle città, con l'indebitamento dello Stato e la dipendenza economica dalle potenze mediterranee, con i conflitti interni alla famiglia regnante, con le mutilazioni territoriali e l'inevitabile decentralizzazione. Infine con i turchi: tutto ciò scandisce il tramonto fino alla definitiva caduta nel 1453, e si erge prepotentemente a sfondo storico degli sforzi di Giovanni VIII Paleologo di contrastare un destino forse non del tutto scritto."" -
Economie in cerca di città. La questione urbana in Italia
In Italia esiste una questione urbana che si dovrebbe affrontare con urgenza, in quanto è una delle principali ragioni del declino economico del paese. Negli anni cinquanta è iniziato un profondo cambiamento - una rivoluzione dell'organizzazione territoriale della società italiana. Lo straordinario processo di concentrazione delle attività antropiche che lo ha accompagnato ha condotto alla formazione di sistemi urbani nei quali le città storiche si sono dissolte. Si tratta di nuove forme territoriali - intercomunali e disperse che della città hanno sia la dimensione spaziale sia quella relazionale ma non il carattere costitutivo, ovvero l'identità politica. Il libro discute questa tesi, sottolineando l'attuale incompletezza dei nuovi sistemi urbani (città in nuce), la direzione della loro transizione strutturale e il fatto che abbiamo ancora il tempo, le risorse, la possibilità e il desiderio sociale di un progetto per la città. Da molti anni si sarebbe dovuto adeguare il processo politico alla nuova organizzazione spaziale e relazionale emersa con la rivoluzione territoriale; si sarebbe dovuta favorire la trasformazione dei nuovi sistemi urbani formatisi per coalescenza territoriale in unità di auto-regolazione; si sarebbe dovuta istituzionalizzare la nuova organizzazione spaziale e relazionale. Ora, l'internazionalizzazione dell'economia europea, con i suoi cambiamenti tecnologici e culturali, fa della questione urbana un tema decisivo per lo sviluppo economico del paese. -
Storia dell'Iran. Dai primi del Novecento a oggi
Ervand Abrahamian, studioso iraniano trapiantato negli Stati Uniti, in questo libro offre una panoramica documentata della storia recente dell'Iran. I principali avvenimenti sotto le dinastie dei Qajar e dei Pahlavi e sotto la Repubblica islamica, l'importanza del ruolo dello sciismo, le origini della modernizzazione, la ricerca a più riprese di una riforma democratica, la partecipazione popolare nelle rivoluzioni del 1909 e del 1979. La predilezione di Abrahamian per l'analisi sociale e lo studio delle classi fornisce inoltre un prisma attraverso cui guardare e comprendere il dramma del conflitto mai sopito tra le conquiste acquisite e il peso crescente del potere centrale; e l'autore mostra come la rivoluzione abbia continuato il lavoro dell'ancien régime, attraverso il sempre più incombente ruolo dello Stato. Tra gli anni della scoperta del petrolio e degli interventi imperiali, tra il governo degli scià Pahlavi e la rivoluzione del 1979 e poi la nascita della Repubblica islamica, l'Iran ha vissuto un'aspra guerra con l'Iraq, la trasformazione della società sotto il governo dei religiosi e, più di recente, il rafforzamento dello Stato, la lotta per il potere tra le vecchie élites, l'intellighentia e la borghesia degli affari e infine le forti tensioni internazionali causate dalla politica aggressiva e nazionalista di Ahmadinejad. Al cuore del libro c'è comunque sempre la gente dell'Iran, che ha sopportato ed è sopravvissuta a un secolo di guerre e di rivoluzioni. -
Perugia in giallo
L’odierno, inarrestabile trionfo arriso alla letteratura gialla è ancor più sorprendente se si pensa che fino a pochi anni fa tale produzione veniva considerata soltanto paraletteratura e dunque emarginata nel ghetto del romanzo di mero consumo. Al contrario oggi sono rimasti in decisa minoranza coloro i quali guardano ancora al detective novel con pregiudizio e altezzosità, ritenendolo banale littérature de gare o un anacronistico esercizio di deduzione. In verità il romanzo d’indagine, con sempre maggiori sfumature noir – quindi di inquietudine esistenziale e di denuncia sociale – si sta imponendo come uno dei territori letterari più vitali e attenti alle sollecitazioni del presente. Ed è proprio in questo effervescente clima di piena rivalutazione di tale genere narrativo, entrato ormai a pieno diritto nella nostra «repubblica delle lettere», che nel maggio 2007 si è voluto organizzare – a cura di Maurizio Pistelli e Norberto Cacciaglia – il primo convegno Perugia in giallo. Indagine sul poliziesco italiano, iniziativa promossa dal Dipartimento di Culture Comparate dell’Università per Stranieri di Perugia. Il presente volume raccoglie gli atti delle due giornate di studio, a cui hanno partecipato autorevoli protagonisti del giallo nazionale (critici e scrittori). La scelta di privilegiare il romanzo d’indagine «tricolore» si spiega con la necessità di dare il dovuto risalto a una narrativa che, a torto, fin dal suo primo apparire, venne nel nostro paese addirittura ritenuta estranea (si pensi alle polemiche affermazioni negli anni trenta di Flora, Savinio, Saba) alla cultura del popolo italiano. Un’indagine accurata – a cui vuole dare il suo importante contributo proprio la manifestazioneperugina – dimostra in realtà come l’Italia possa vantare una più che secolare tradizione gialla, alla quale si richiama a ben vedere anche l’ultima nostra agguerrita generazione di scrittori: da Lucarelli a Carlotto, da De Cataldo allo stesso Camilleri. -
L' arte della visione. Conversazioni con Goffredo Fofi e Gianni Volpi
Roma, aprile 1993: nel suo studio di corso d'Italia, Federico Fellini, il mostro sacro, riceve a più riprese Goffredo Fofi e Gianni Volpi per un'ampia intervista destinata a rimanere memorabile. Il tema delle conversazioni non è tanto il suo cinema, quanto il cinema, che, come sosteneva Fellini, si era preso tutta la sua vita. Alla presenza dei suoi insoliti intervistatori, il grande regista si lascia andare a una sequenza di ricordi, divagazioni, riflessioni su se stesso e la sua arte. Come scrive Volpi nelle sue considerazioni introduttive, ""passava con sovrana nonchalance da Kafka a Jung, da Rossellini a Calvino. In certe affascinanti, lunghe risposte legava sapientemente progetti, visioni, letture le più diverse"""". Un fascino con cui Fellini sapeva sedurre tutti i suoi interlocutori, ma dietro il quale, come sottolinea Fofi, era impossibile non scorgere """"una malinconia profonda, specie negli ultimi anni, e forse una disperazione. Il cinema era cambiato, la televisione aveva rimpicciolito e castrato il cinema. E per di più il suo cinema nascondeva sempre peggio il senso di morte che era di un'intera civiltà"""". Il volume è impreziosito da alcuni brevi commenti di Fellini ai suoi film, che su indicazione del regista stesso avrebbero dovuto corredare il testo, nonché dai brani di alcune interviste a registi americani, o europei ma attivi in America, e da otto fotografie di Paul Ronald, scattate sul set di """"8 1/2""""."" -
Come studiare l'arte contemporanea
Come si studia l'arte del nostro tempo? Sulla base della propria esperienza di storico dell'arte contemporanea, critico militante e docente, l'autore rivendica in questo volume la pari dignità di una storiografia del contemporaneo rispetto allo studio dell'arte del passato, in una continuità di impostazione metodologica entro la quale, tuttavia, subito si manifestano specifiche diversità, che ne fondano l'autonomia disciplinare. Attraverso l'analisi di comportamenti, problemi, strumenti, queste ""lezioni"""", che dopo una prima edizione vengono qui riproposte con nuovi aggiornamenti critici, si presentano come una vera e propria introduzione all'arte contemporanea, una sorta di """"guida"""" attraverso un universo complesso e problematico."" -
Cane & gatto. Croce e delizia di una vita in comune
Sofisticato, altezzoso, ammiccante, divino, sommamente dispettoso, il gatto. Spensierato, vitale, ingenuo, accomodante, compagnone, il cane. Con la vivacità di una commedia brillante, si alza il sipario, ed ecco in scena l'irrefrenabile, quotidiano battibecco: sette atti di botta e risposta, solo a tratti intervallati dalla fugace comparsa di un Lui e una Lei, padroni dall'identità indistinta relegati nel ruolo di comprimari. Un indebito disturbo della pennichella, un viaggio in treno, una visita inaspettata: qualunque occasione è una miccia che innesca il confronto tra due visioni della vita totalmente contrapposte. Mentre Kiki l'indolente dispensa i suoi distinguo, tra svogliatezze e miagolii, Toby l'esuberante si affanna tra bave e stupori. E se il cane si abbandona con occhi sognanti a Lei, la padrona, le cui coccole irruente lo frastornano e lo affascinano, il gatto subito lo rimbrotta: ""La dignità non è certo il tuo forte!"""". Kiki, manco a dirlo, è invece tutto preso da Lui, il padrone, per """"quell'istinto insopprimibile che rende noi gatti rivali delle donne"""". Toby e Kiki non sono certo nemici. Il fatto è che la loro armonia li vuole sempre in disaccordo. Sono affetti da una irriducibile diversità. Contrapposti come il bianco e il nero, come la notte e il giorno. Come cane e gatto.""