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La testa senza il corpo. Il viso e l'invisibile nell'immaginario dell'Occidente
Teste decapitate: dai crani degli Indios sudamericani alle statue della Grecia classica, da Dùrer a Rodin, da Paul Klee a Picasso, da Cezanne a Max Ernst, da Delacroix a Francis Bacon. Teste di donne e uomini, di santi e profeti, di regnanti e figure mitologiche, a cavallo dei secoli e degli stili. Di questo originalissimo argomento tratta il nuovo libro dell'intellettuale francese, che sostiene con forza «la necessità dello sguardo, la necessità di guardare alla raffigurazione in sé, ma anche la necessità di vedere ciò che non viene raffigurato, per esempio la violenza della morte, la depressione, la castrazione e i tanti altri aspetti correlati alla mutilazione». Con una prosa a metà tra il letterario e il filosofico, e un ricchissimo apparato iconografico, il libro ripercorre una storia per immagini del visibile in Occidente, e diventa l'occasione per un ripensamento di alcune sue specificità, come l'importanza delle icone, che per i bizantini equivalevano non solo a una forma d'arte visuale ma anche a una forma di scrittura. Quel che infatti vediamo in un'icona è l'economia di ciò che non vediamo; essa è uno stimolo tanto a vedere quanto a pensare ciò che non è visibile. L'icona possiede dunque in sé una dimensione realmente minimalista: la sua essenza è assente da ciò che mostra. -
Breve storia degli ebrei
Raccontare la storia degli ebrei non è semplice: non solo quasi ovun¬que nel mondo se ne conosce qualcosa, ma molti ne hanno già un'opinione ben definita. Per lo storico è difficile mantenere il giusto distacco se si parla degli ebrei come «popolo di Dio» o «popolo deicida», se si evoca l'«intelletto ebraico» o si attacca l'«ebraismo finanziario internazionale», se Israele è considerato il baluardo della civiltà all'interno della barbarie, o viceversa un regime brutale in un mondo pacifico. Una storia degli ebrei dovrà quindi abbracciare un orizzonte più ampio possibile. È questa la prospettiva adottata da Michael Brenner, uno dei massimi studiosi tedeschi di storia ebraica, il quale offre al lettore un quadro storico e geografico di grande respiro, che si estende per oltre 3000 anni e cinque continenti. Attraverso un'avvincente carrellata di aneddoti, eventi famosi ed episodi meno noti, il volume ripercorre le complesse vicende di un popolo: dalle origini bibliche fino alla storia recente dello Stato di Israele, l'autore segue un itinerario che dal Medio Oriente, passando per il mondo greco e romano, la Spagna moresca e la Mitteleuropa giunge in Europa orientale, in America, per poi chiudersi nuovamente in Palestina. L'innovativo progetto di Brenner si snoda attraverso un impianto narrativo che si avvale di un ricchissimo apparato iconografico documenti, cartine, foto d'epoca, opere d'arte -, restituendoci un ritratto complesso e sfaccettato della storia del popolo ebraico. -
I nuovi contadini. Agricoltura sostenibile e globalizzazione
Da sempre i contadini sono stati una presenza così forte e costitutiva che non si è mai sentito il bisogno di investigarne e comprenderne la posizione, il ruolo o la stessa esistenza. Ma negli ultimi due secoli, nell'epoca delle trasformazioni industriali, qualcosa è cambiato: i contadini sono stati considerati una figura sociale in estinzione o da eliminare, in quanto ostacolo al cambiamento. All'alba del terzo millennio, tuttavia, il mondo contadino non solo si presenta in molte forme nuove e inaspettate, ma sembra addirittura incarnare una risposta chiave per soddisfare i fabbisogni alimentari mondiali nella direzione di uno sviluppo sostenibile dell'agricoltura e delle economie rurali. L'autore del libro, un'autorità in materia a livello internazionale, dimostra che i contadini non sono affatto in decrescita; al contrario, sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, assistiamo a fenomeni complessi di ritorno a un modo contadino di fare agricoltura. Il cuore di questo nuovo modello è la ricerca dell'autonomia rispetto al potere ordinatore degli imperi agroalimentari. Un'autonomia basata sulla mobilizzazione delle risorse locali all'interno di un processo produttivo che ne garantisca allo stesso tempo la riproduzione. Con una grande ricchezza di casi empirici provenienti dalle agricolture di diverse parti del mondo - e un particolare focus sul sistema delle aziende italiane, il volume analizza e descrive il riemergere del fenomeno contadino. -
Mala femmena. La canzone di Totò
Chi fosse la vera musa ispiratrice della canzone ""Malafemmena"""" si è saputo solo di recente grazie alle dichiarazioni di Liliana de Curtis, figlia del principe Antonio de Curtis, in arte Totò. Fu infatti lui nel 1951 a comporre la canzone, scrivendone parole e musica, senza peraltro essere né musicista, né paroliere. Eppure, Totò non la incise mai, né mai la cantò in pubblico, limitandosi a seguirne il successo da lontano. Il primo a inciderla su un 78 giri fu infatti Giacomo Rondinella, e il lancio ufficiale avvenne ad opera di Mario Abbate in occasione del Festival di Piedigrotta. Da allora la canzone conobbe un'ondata montante di popolarità, tanto in Italia che all'estero, e ben presto si guadagnò l'aurea di un classico. Ancora oggi è al centro del repertorio di grandi nomi della musica italiana, uno fra tutti Renzo Arbore, che la porta in giro per il mondo con la sua Orchestra Italiana, come simbolo di una lunga tradizione. Il testo in napoletano non ha impedito alla canzone di parlare un linguaggio universale, espresso da una melodia di particolare forza e qualità. Solo un grande amore - e burrascoso - come quello tra Antonio de Curtis e la moglie Diana Rogliani poteva dunque ispirare una canzone tanto popolare come Malafemmena, con buona pace dei paparazzi... Dai gossip alla ricostruzione fedele, il libro racconta storia e retroscena di una leggenda musicale."" -
Storia della libertà americana
"'Freedom' è la parola che più di ogni altra connota l'intera storia degli Stati Uniti d'America. Dalla Rivoluzione settecentesca ai giorni nostri, per gli americani la libertà è stata insieme una terra promessa e un campo di battaglia, il più forte legame culturale e la più pericolosa linea di tensione. Di sicuro è il valore più caro, il più forte marcatore di identità. La Dichiarazione d'Indipendenza ha annoverato la libertà tra i diritti inalienabili dell'umanità; la Costituzione americana si è proposta di assicurarne a tutti i benefici; per essa, o contro di essa, è stata combattuta la Guerra civile; a suo nome si è ripetuta la battaglia contro la schiavitù e contro l'apartheid. E, infine, la difesa della libertà anche al di fuori dei propri confini è stato il dichiarato criterio ispiratore - e insieme il principale schermo ideologico - della politica estera americana, dalla seconda guerra mondiale alla guerra fredda, da Cuba al Vietnam, dalla guerra del Golfo a quella del Kosovo. Tutta la vicenda americana si riassume insomma attorno a questo concetto-chiave: una verità vivente e incontrovertibile, per alcuni americani; un paravento e una crudele menzogna per altri."""" (Presentazione di Alessandro Portelli)" -
Sponda occidentale
A vent'anni della caduta del muro di Berlino un'antologia del poeta tedesco: dagli anni della guerra fredda vissuta oltre cortina sino al dopo '89 la poesia di Braun racchiude mezzo secolo di storia; la sua voce è lo specchio dei traumi e delle ferite di un paese che forse più di ogni altro ha toccato l'abisso, ma anche quello degli slanci e delle speranze di una comunità che ha saputo, pur tra mille contraddizioni, ritrovarsi unita. Il percorso poetico che questo libro racchiude può essere letto come un viaggio esemplare attraverso i decenni del Novecento a partire dalla prospettiva di un intellettuale europeo che, come pochi altri, si è trovato a vivere nelle crepe della storia. Volker Braun ha avuto il coraggio di esserne testimone. Che nella Ddr non fosse facile la vita dell'intellettuale militante lo sappiamo. Forse oggi più di ieri, dopo che negli archivi della Stasi Braun ha ritrovato quarant'anni dell.esistenza sua - e dei suoi familiari - frugata fin ""nelle viscere"""". Anche se non privo di riconoscimenti, Braun non può essere assimilato all'apparato culturale della Ddr. Il suo è un rapporto di non subalternità, ergo di continua tensione critica, di chi - egualitario nel cuore e nella lingua - vuol parlare senza il morso in bocca."" -
Tra il dire e il fare. I genitori tra rappresentazioni educative e pratiche di cura
L’esperienza di genitore si declina oggi attraverso i concetti del desiderio, della scelta, dell’amore e del rispetto per la natura del bambino. La centralità attribuita all’individualità infantile è figlia del riconoscimento di cui gode l’individualità nelle società odierne – in misura crescente in quelle occidentali ma non solo in esse –, la quale si riverbera anche nei modi in cui si costruiscono i legami familiari e genitoriali. Non si tratta più di «plasmare e modellare» il minore secondo le competenze e le conoscenze adulte, quanto piuttosto di rispettarne la natura, di promuoverne l’autonomia e di assecondarne le potenzialità attraverso un dialogo costante. All’interno di questo scenario, in cui il bambino ha la titolarità di soggetto e il diritto alla propria autonomia, si apre l’interrogativo su quale forma e quale contenuto debba avere la responsabilità adulta chiamata a orientare il percorso di crescita di un soggetto che da essa dipende. Obiettivo del volume, che illustra i risultati di una ricerca condotta in Veneto su un gruppo di genitori italiani e marocchini con figli collocati nella prima infanzia, è ricostruire i significati, i saperi e le pratiche che madri e padri nella quotidianità attribuiscono ai propri compiti educativi, di cura e alle proprie responsabilità di genitori. Le narrazioni ci conducono nel «fare» di tutti i giorni con i propri figli e, attraverso le pratiche collegate all’alimentazione, all’igiene e all’addormentamento, si sono confrontati i modi differenti per genere e cultura dell’essere e del fare i genitori. Ne è emerso un quadro ricco e complesso, segnato da trasformazioni, tensioni e rinegoziazione dei ruoli materni e paterni, senza che mai vengano meno la centralità e la tenuta del legame e della responsabilità familiare. In particolare, grazie al confronto tra rappresentazioni educative e pratiche di cura, emerge come sia la differenza di genere, molto più di quella culturale, a spiegare le trasformazioni oggi in atto nelle relazioni genitoriali e nei diversi modi di fare famiglia. -
Consumi ai margini
Questo volume affronta in maniera insolita, almeno per il panorama italiano, un argomento di grande impatto sociale: i consumi dei poveri. La popolazione a basso reddito, infatti, è per lo più studiata in una prospettiva quantitativa (chi e quanti sono i poveri, di quanto denaro dispongono, quanto ne spendono e per comperare cosa) che poco ci dice, ad esempio, sulle strategie di consumo e di risparmio o sulle reti di scambio e di reciprocità. Nelle ricerche qui riportate, invece, si è privilegiata un’ottica di tipo qualitativo, allo scopo di oltrepassare il diffuso stereotipo secondo il quale i poveri sarebbero esclusi dalla possibilità di scegliere beni e pratiche della loro esistenza. Volti inediti della povertà sono così emersi dall’analisi delle routines della vita quotidiana e dell’uso concreto degli oggetti e dei contesti domestici, dallo studio dei comportamenti legati ai media, dall’osservazione dei luoghi deputati a fornire risposte ai bisogni necessari, come le mense, le comunità alloggio, i centri di aiuto religiosi, gli sportelli di distribuzione di cibo e abbigliamento. Applicando metodologie di ricerca innovative – la sociologia visuale e le interviste con foto stimolo, le prolungate osservazioni etnografiche, i racconti di vita – gli autori hanno mostrato come, pur in presenza di forti vincoli materiali, culturali e relazionali, le persone non rinuncino mai del tutto a costruire creativamente relazioni e identità. Anche chi vive una condizione di consumo difettoso o mancante, sempre più spesso percepita come una condanna sociale, riesce ad attuare strategie alternative al mercato attraverso il risparmio, il dono e lo scambio, gli impieghi innovativi di oggetti e spazi a basso costo. In tal modo si riconferma il potenziale identificativo delle pratiche di consumo non solo per chi occupa posizioni già garantite, ma anche per chi, pur disponendo di risorse limitate, cerca di usarle per legittimare insieme la propria cultura e la propria esistenza. -
Politiche, città, innovazione
A cavallo dello scorso decennio, le politiche pubbliche territoriali delle regioni hanno affrontato una sfida in parte proveniente dall’esterno, in parte dovuta alla maturazione di sperimentazioni precedenti. In questi anni sono cambiati sia le tendenze globali che i riferimenti macroeconomici, e di conseguenza i presupposti dei programmi elaborati all’inizio del secolo sono rapidamente invecchiati. Più in generale, sono venuti meno le premesse «cognitive», i convincimenti, le descrizioni pertinenti sui quali riposavano obiettivi e programmi. Le trasformazioni sono state così profonde che perfino le rappresentazioni organizzative e geografiche dei territori regionali hanno perso l’antica spinta propulsiva: le pur radicate metafore del distretto, della città fabbrica, della campagna urbanizzata risultano oggi inoperose. Al tempo stesso, la scorsa stagione di programmazione ha avviato sperimentazioni promettenti: sono stati attuati dispositivi di integrazione tra settori diversi; la territorializzazione delle politiche è stata messa quasi dappertutto in agenda; le misure adottate hanno parzialmente corretto le indicazioni di programma. Come hanno reagito le regioni, come si sono evoluti i programmi territoriali in questo nuovo decennio? Sebbene sia ancora presto per valutare gli esiti materiali, si possono misurare almeno gli «slittamenti» nelle rappresentazioni programmatiche. Questo volume esamina come il territorio sia stato tematizzato nel discorso delle politiche, in particolare nei programmi per le città e l’innovazionetecnologica, e ne verifica la consistenza e stabilità nei discorsi programmatici, nonché la coerenza con l’obiettivo della competitività. Un approccio che può disegnare solo in parte scenari alternativi, ma che consente di individuare problemi e priorità del ciclo di programmazione in corso. La prima parte del volume argomenta l’esaurimento delle tradizionali visioni dello sviluppo e dei modi di territorializzarlo, e una serie di spunti critici. Uno di questi riguarda le città e le aree metropolitane, esaminate in una specie di «atlante» tematico elaborato sui dati censuari comunali. Forma, struttura e peculiarità dell’armatura metropolitana influenzano le decisioni di politica urbana e di innovazione. Da questi due punti di vista vengono offerti approfondimenti critici e una serrata revisione delle premesse concettuali e degli esiti operativi. La seconda parte contiene i quattro casi studio relativi a regioni del Centro-nord (Piemonte, Veneto, Toscana e Lazio). A valle di un medesimo quadro ispirativo e di regole operative uniformi, gli elementi cruciali della programmazione (perimetri, priorità, concentrazione, integrazione, innovazione) si sono evoluti in modo molto diverso. Oggi, la transizione insediativa e produttiva delle regioni sembrerebbe richiedere un’ulteriore revisione delle immagini guida. Il tema del Piemonte non è più la difesa o il superamento della Fiat, come non è più la difesa o il superamento del distretto il tema del Veneto o della Toscana. La ricerca segnala che non sono ancora disponibili scenari territoriali adeguati alle nuove condizioni di programmazione. Sono però più chiari i requisiti. Servono rappresentazioni territoriali pertinenti per fornire punti di ancoraggio alle scelte; e, al tempo stesso, selettive quanto basta per non disperdere gli investimenti. Ancora molto resta da fare. Le esperienze di territorializzazione sono state limitate, come pure l’integrazione degli interventi, ma per altri versi si sono rivelate positive. Il riconoscimento delle differenze e la... -
La linea di fuga
Un ragazzino di dieci anni, insieme al fratello maggiore, intraprende nel maggio 1938 un viaggio che da Amburgo, passando per l'Italia, lo porterà in un collegio sperduto dell'Alta Savoia. I due fratelli vivranno da soli, senza genitori, ""in esilio"""" da una guerra che minacciosa si stringe attorno a loro. Una guerra che il piccolo Jürgen-Arthur, il quale non sa nulla (non sa nemmeno di essere ebreo), tenta di spiegare a modo suo: si convince di avere una colpa, una di quelle colpe che agli occhi dei bambini sono indicibili e imperdonabili. Quel bambino è lo stesso Goldschmidt, il grande scrittore tedesco che in questa narrazione autobiografica ripercorre gli anni del passaggio dall'infanzia all'adolescenza; anni difficili e delicati, in cui l'acuta sensibilità che li caratterizza è intensificata e portata a un punto estremo di tensione dagli eventi bellici, che si insinuano anche all'interno del collegio francese, inquinandone il microcosmo in apparenza sereno. Il giovane, infatti, ritrovatosi solo, senza neanche la compagnia del fratello, sarà costretto a subire le angherie e le sevizie della Direttrice e dei compagni, diventando la vittima preferita delle loro prepotenze. Ma nel momento stesso in cui il dolore scaturisce ed esplode nel corpo torturato e martoriato, Jürgen-Arthur scopre il potere misterioso e sorprendente del piacere che proprio nel corpo dimora. Prefazione di Peter Handke."" -
Gli uomini mostro
Che cosa ci fa un esile, occhialuto e canuto professore di scienze naturali di una tranquilla provincia americana nella giungla selvaggia di un'isoletta sperduta nel mare della Cina? E perché mai si porta dietro Virginia, la sua unica figlia, bella e impetuosa non meno di lui? Un po' dottor Frankenstein, un po' dottor Jekyll, dopo lunghi anni dedicati all'insegnamento, il professor Maxon si lascia sedurre dal fascino antico del più irresistibile esperimento che la mente possa concepire: carpire il segreto della vita e ricreare in laboratorio un altro essere umano. E questo il folle piano che, dopo i primi fallimentari tentativi condotti nel chiuso del suo studio di città, lo induce ad abbandonare i laghi e i monti dello stato di New York per trasferirsi armi e bagagli all'altro capo della terra. La sua speranza è di poter agire indisturbato, al riparo dalle invidie dei colleghi e dai sospetti d'indiscreti piedipiatti. Munito di bisturi, aghi, pinze, provette e formalina, e in compagnia di un assistente e di un cuoco cinese, dà vita una dopo l'altra a dodici creature, ciascuna a suo modo difettosa, e più simili alla bestia che all'uomo; i gesti inconsulti di questi mostri saranno causa di non poche rogne - risse da sedare e tentativi di insidiare la bella Virginia. Finché l'ultimo, il Numero Tredici, corona il folle sogno di Maxon: un uomo in carne e ossa, dotato di ragione, che sia il degno sposo della sua amata figlia. -
Professione giornalista. Le tecniche, i media, le regole
Come si diventa giornalisti nell'epoca del progresso tecnologico e dei nuovi media, dell'espansione del giornalismo e dei fenomeni della globalizzazione? Le chiavi del successo sono la capacità di rispondere alle nuove esigenze di conoscenza e di informazione e la consapevolezza delle nuove tecniche e regole che oggi caratterizzano il ""mestiere più bello del mondo"""". Con tali trasformazioni e tali interrogativi, cui corrispondono inedite figure professionali e impreviste responsabilità per i giornalisti, fa i conti la nuova edizione di """"Professione giornalista"""", manuale sui fondamenti teorici e tecnici, dalla stampa alla radio, alla televisione, all'online. Questa quinta edizione, oltre agli aggiornamenti e agli accrescimenti dell'edizione precedente, contiene due capitoli inediti: il primo analizza la nuova figura del giornalista che opera attraverso il web, e si sofferma sugli strumenti multimediali e ipertestuali, con particolare attenzione alla realtà ameriana: forum, sondaggi, link, archivi, blog. Il secondo affronta gli aspetti specifici del giornalismo italiano in fatto di informazione politica. La pervasività di quest'ultima, spiega Papuzzi, ha indotto la nascita di un modello di giornalismo basato sul commento e sull'opinione, con una capacità a leggere e a interpretare in chiave politica anche i fatti che appartengono alle notizie e alle cronache quotidiane, dalla nera agli spettacoli, dalla cultura all'intrattenimento."" -
L' alienazione
Con Marx, la teoria dell'alienazione uscì dalle carte dei filosofi per irrompere nelle piazze attraverso le lotte operaie, e divenire critica sociale. Questo fenomeno non coincide con oggettivazione in «pianto tale, ma con una specifica realtà economica: il lavoro salariato e la trasformazione dei prodotti del lavoro in oggetti che si contrappongono ai loro produttori. La comprensione di questo processo e finalizzata al suo superamento pratico: il passaggio dal regno della libertà del capitale a quello della libertà umana dell'individuo sociale. -
Più lavoro, più talenti. Giovani, donne, Sud. Le risposte alla crisi
Negli ultimi anni si è affermato con forza il ""teorema sul Mezzogiorno"""": tante risorse, tutte sprecate; classi dirigenti inadeguate; carenza di """"capitale sociale"""". Da qui, una convinzione: meno risorse arrivano al Mezzogiorno, meglio è. E da questa convinzione trac origine un'azione del governo Berlusconi che, per la prima volta nella storia repubblicana, ha operato un colossale taglio dei trasferimenti al Sud, eliminando qualsiasi politica di sviluppo. Ma la cancellazione della questione meridionale è la cartina di tornasole dell'incapacità della politica italiana di pensare al futuro dell'intero paese, di valorizzare il lavoro e i talenti di tanti giovani e di tante donne che sono fuori dal mercato del lavoro. Sull'altro fronte, il centrosinistra non sembra avere una strategia alternativa. Eppure, proprio a partire dalle aree del paese più in difficoltà, la sinistra potrebbe provare a ripensare se stessa e a darsi obiettivi ben più ambiziosi."" -
Le trappole dell'identità. L'Abruzzo, le catastrofi, l'Italia di oggi
Mai prima del 6 aprile 2009 l'Abruzzo aveva conosciuto tanta notorietà internazionale: potenza non solo distruttiva di un terremoto. Ma qual è l'immagine dell'Abruzzo rimbalzata da un capo all'altro della terra, nei giorni e nelle settimane seguiti al sisma? Quali le trame narrative - il discorso pubblico - che vi hanno intessuto sopra il potere e l'informazione? Raramente, secondo lo storico abruzzese Costantino Felice, si è assistito a un'esplosione di stereotipi identitari così enfatica e insistita. Lo slogan di un «Abruzzo forte e gentile» è stato quello più supinamente reiterato e condiviso, ma anche l'immagine del pastore dannunziano e del cafone siloniano hanno fatto la loro parte. Nel corso dei secoli, infatti, la presenza di una natura particolarmente aspra e ostile ha indotto a declinare la storia dell'Abruzzo, e del Sud Italia in genere, in base ai difficili processi d'interazione tra uomo e ambiente. Ma in che misura l'imponente geografia dei luoghi e le dinamiche economico-sociali che ne sono derivate hanno forgiato il carattere degli abitanti, condizionandone scelte e comportamenti? Se ne può desumere una peculiare identità regionale? Con l'occasione del terremoto, Felice ripercorre criticamente, con sintesi d'impianto storico rapide ma meditate, le principali tappe del lungo e tormentato dibattito intorno a un nodo cruciale: i presunti tratti identitari di una comunità quale retaggio dei quadri ambientali e delle sedimentazioni culturali. -
Paura di cambiare. Crisi e critica del concetto di cultura
La cultura è il prodotto di una precisa contingenza storica: la presa di coscienza della modernità. Al trauma provocato dall'apparizione di un tempo illimitato e perennemente in progressione, dunque destinato prima o poi a dimenticarsi di noi e di tutto ciò che per noi è importante, si reagì feticizzando la storia, l'origine, fondando su di esse l'identità - ciò che resta identico. Soprattutto, si reagì attivando un discorso sul passato, in cui interpretazione e commento fossero, programmaticamente, più importanti di creazione e innovazione. In questo senso cultura è un concetto abbastanza recente, come del resto la parola che usiamo per esprimerlo: esiste più o meno da un secolo e mezzo. La sua forza gravitazionale è enorme: nulla sfugge alla sua attrazione. Si parla infatti di cultura scientifica, di cultura nazionale, di cultura di massa, di cultura popolare. Ma questa forza è anche la sua condanna. Perché un sistema che include ogni cosa è inevitabilmente chiuso, autoreferenziale, bloccato. Consente solo riciclaggi, rimescolamenti di materiali già a disposizione, investigazioni del già noto. Questo libro intende mostrare che tale visione nostalgica e totalizzante non fa bene alla cultura: invece di renderla onnipotente ne limita l'impatto e ne inibisce le ambizioni. Ne fa uno strumento reazionario, che oggettivamente favorisce i movimenti conservatori, da sempre esperti nell'incanalare le paure del nuovo e della libertà. -
Per una storia del terrorismo italiano
Tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni ottanta l'Italia intera fu scossa dal terrorismo politico. Progressivamente sconfitto fino a ridursi a una dimensione marginale e sempre meno in grado di colpire, il terrorismo italiano rimane però uno dei nodi essenziali della nostra storia recente. Non solo esso ha segnato le vicende delle ali più radicali del nostro schieramento politico, ma ha rappresentato un drammatico problema generale per tutte le forze politiche, per lo Stato e per le sue istituzioni, per i suoi corpi di intelligence, di polizia e di giustizia, per gli interi equilibri che ne sono risultati in termini di coesione della compagine nazionale. I saggi di Angelo Ventura, scritti tutti all'inizio degli anni ottanta - nel fuoco più cruento dello scontro - e qui raccolti per la prima volta, sono insieme una testimonianza drammatica di altissimo valore civile e un presupposto indispensabile da cui partire, per chi voglia tentare di costruire oggi una storia del terrorismo italiano. Ventura, professore di Storia contemporanea all'Università di Padova (il luogo forse più denso di trame e di intrecci in quegli anni) pose la sua lucidità di storico al servizio di un'analisi rigorosa del fenomeno, cercando di individuarne nel modo più preciso cause e responsabilità. E per questo motivo pagò di persona il prezzo di un grave attentato. -
Il 1946, le donne, la Repubblica
Il 1946 è una data densa di avvenimenti per la storia italiana, tanto da poter essere letta come l'anno in cui tutto ricomincia. La ricostruzione economica è appena iniziata e i problemi sembrano insormontabili, ma la vita politica si va incanalando lungo il difficile sentiero della democrazia e non mancano grandi speranze; i partiti inaugurano un'attività febbrile, dirigenti e militanti si tuffano nel vortice dei comizi, delle riunioni, della diffusione dei materiali di propaganda. Ma soprattutto le italiane si recano per la prima volta alle urne, votano e sono elette: irrompono di prepotenza sulla scena della politica nazionale. Il volume ricostruisce il clima di quelle giornate elettorali, gli orientamenti dell'opinione pubblica, l'intensa attività di pedagogia politica dispiegata dalle associazioni femminili di massa e la loro significativa presenza nei processi di integrazione delle italiane e degli italiani nella democrazia. Particolare attenzione è rivolta alle elette, alle difficoltà incontrate nel lavoro istituzionale e nella costruzione di un'autorevole rappresentazione della donna politica frontalmente osteggiata da una parte della stampa decisa a svilire e a svuotare, attraverso il richiamo a canoni estetici, le competenze e la professionalità delle elette. Un'angolatura originale per guardare alla nostra storia recente, e all'anno di nascita della Repubblica. -
Architettura e Novecento. Diritti, conflitti, valori
Si è abituati a interpretare l'architettura come espressione artistica o come immagine di un regime. Ancor più nel Novecento queste due chiavi di lettura hanno condizionato architetti e storici, e persino l'opinione pubblica. Eppure, forse non è un caso, l'architettura e la città raramente rientrano tra i parametri di riferimento quando si tenta di trarre un bilancio di questo straordinario secolo, cercando di individuarne caratteri, scansioni, inizio e fine. Ribaltando la prospettiva, Carlo Olmo, una delle voci più autorevoli in materia, propone al lettore di seguire in queste pagine il significato assunto dall'architettura nel definire i contorni, fisici e giuridici, del mondo in cui viviamo, i diritti che lo costruiscono, il limite, davvero mobile, tra pubblico e privato. Ma propone anche di interrogarsi su una professione che nel Novecento ha goduto di una singolare parabola tecnica e artistica, che ha costruito e difeso un'idea di modernità quanto mai elitaria e insieme dichiaratamente etica, e che ha avuto con l'autorità un rapporto del tutto specifico, ben al di là delle retoriche sui regimi. -
Dopo la fine. Una letteratura possibile
Già sul finire del secolo scorso, Giulio Ferroni è stato tra i primi a svolgere una riflessione sul rapporto tra i linguaggi letterari e le modificazioni radicali che si sono avute nell'universo della politica, dell'ideologia, della comunicazione, della tecnologia, sullo scorcio finale del Novecento. E per numerosi aspetti ha anticipato successivi sviluppi teorici, specie per ciò che riguarda l'azione delle nuove tecnologie e l'urgenza di un'ecologia della comunicazione e della produzione intellettuale. Alla luce degli ulteriori passaggi che si sono dati all'inizio del XXI secolo, Ferroni arricchisce la sua riflessione di nuovi esempi e materiali che si confrontano con i nuovi ""crolli"""" e conflitti, con il pericoloso emergere di fondamentalismi e di particolarismi, con l'attacco sempre più pesante che il dominio cieco del mercato e della pubblicità conduce contro la più autentica esperienza letteraria: motivando in modo nuovo l'urgenza di una letteratura che sappia saldare responsabilità e passione, rispondendo vigorosamente ai pericoli molteplici che sembrano volerla precipitare verso la """"fine"""".""