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Apprendista stregone. Note sul rovesciamento di mezzi e fini nel mondo contemporaneo
Tecnica e capitalismo determinano in misura sempre più decisiva ogni ambito della nostra vita. Mezzi che dovrebbero mettere le società umane nelle condizioni di migliorare la qualità della vita, si sono trasformati in fini che hanno nel potenziamento quantitativo lo scopo ultimo della loro esistenza. Rispetto ad essi gli stessi esseri umani sono diventati mezzi che concorrono a questo accrescimento. Nessuna immagine migliore, allora, per descrivere questo stato di cose, di quella dell'apprendista stregone, di un soggetto che, nella pretesa di ergersi a signore del cosmo, si lascia sfuggire il controllo di quegli strumenti con cui doveva realizzare il suo incantesimo. Da centocinquant'anni la filosofia, autentica Cassandra, ha impiegato, da Nietzsche a Marx, da Adorno a Heidegger, molte delle sue energie migliori, a svelare il complesso intreccio. In questo libro, a questo tema fondamentale, altri inevitabilmente se ne aggiungono, la relazione dell'Occidente con il suo Altro o la tragedia delle guerre mondiali. Ma è sempre il problema dell'apprendista stregone a costituire il fulcro tematico con cui i nostri destini sono implicati e da cui sono condizionati. Problema che in nessun modo è possibile liquidare con la considerazione relativa alla neutralità dello strumento tecnico che si tratterebbe di utilizzare in senso positivo o negativo. -
La virtù della resistenza. Resistere, prendersi cura, non cedere
Carol Gilligan, psicologa e ricercatrice americana, è nota per il successo di ""Con voce di donna. Etica e formazione della personalità"""", pubblicato nel 1987. Un testo che si è posto all'inizio di una rivoluzione dando voce ed espressione alla differenza che segna il sentire delle donne. Dopo più di vent'anni Carol Gilligan prosegue e approfondisce la ricerca precedente e mette in luce la dura resistenza che le ragazze adolescenti oppongono a un'iniziazione socialmente fissata e culturalmente definita che le vorrebbe assimilate al modello corrente di femminilità. Passive, sottomesse, pronte a dimenticare se stesse per non essere tacciate di egoismo, insensibilità e non diventare socialmente escluse. Per scoprire la voce più autentica delle ragazze Gilligan usa come sempre l'intervista e l'ascolto. Un ascolto molto particolare che non si limita alle parole, ma prende in considerazione anche il corpo, le esitazioni, gli occhi abbassati, i silenzi significativi. L'inclinazione a render conto delle relazioni, la vulnerabilità, l'empatia, la cura del vivente sono i valori che le giovani donne esprimono non senza fatica perché si contrappongono agli ideali di virilità, competizione e ricerca del proprio interesse che segnano i canoni riconosciuti. Introduzione di Federica Giardini."" -
Sussurrare ai cammelli. Intrecci di vita in una comunità psichiatrica
"Sono attratto dalle crepe nel muro, dalle sconnessioni dell'asfalto. Mi sorprende la vita che vi germina, mi appassiona la strada silenziosa che una radice ostinata si apre nel buio del cemento fino a spaccarlo, emergendo alla luce. Amo gli umili fiori del marciapiede che resistono alla suola delle scarpe, alla pioggia e alla calura. Vite tenaci e inconsapevoli, forse tanto più tenaci, quanto più inconsapevoli. Non ho vissuto le mura del manicomio, il loro potere di segregazione. Per fare lo psichiatra ho scelto le mura di una comunità che al manicomio resta più vicina solo per il fatto di convivere con la psicosi giorno e notte. So dell'inesorabile proprietà corrosiva di uno sguardo che si è fatto estraneo, che sulla realtà stende una patina opaca e sporca. Conosco la forza quieta della cronicità che sbriciola le architetture più solide. Mi occupo di malattie che ancora non so chiamare malattie. Di certo la nostra normalità non è così normale. La poesia non è uno zuccherino per addolcire la follia, forse è solo un modo più efficace di descriverla condividendone il linguaggio. Risponde all'urgenza insensata del dire, dà sfogo all'oscuro ruminare di un sogno, di un grumo di parole che devono esser dette per poter tornare finalmente a dormire.""""" -
Lettere da La Pièce. Corrispondenza con Agustín Andreu. Vol. 1: 1973-febbraio 1975.
Le lettere qui raccolte, note come Cartas de La Pièce, rappresentano uno dei fondamentali epistolari dell'immensa produzione della filosofa Maria Zambrano, la quale intrattenne una lunga corrispondenza con il teologo Agustín Andreu. Iniziato negli anni '50 intorno alle ferite lasciate dalla Guerra Civile, lo scambio profondo tra il giovane teologo e la già autorevole pensatrice, si intensificò soprattutto negli anni '70, quando Andreu inizia a elaborare una teologia ""del Logos e dello Spirito nelle loro reciproche relazioni"""". Il tema del Logos e dello Spirito rappresentava allora un nuovo modo di sentire e concepire il divino., con molte e decisive conseguenze, ed è il vero tema dell'epistolario; in questo tema Maria Zambrano trova un congeniale terreno di lotta filosofica, e un'affine esperienza teologico-metafisica. Dall'esilio a La Pièce (tra Francia e Svizzera), grazie allo scambio con Andreu, la filosofa ha modo di scrivere intorno a sant'Agostino, alla natura, alla gnosi, al matrimonio, alla syzygia (piccola comunità), all'amicizia, all'esilio, ai Maestri, alla Ragione Vitale... facendo affiorare tutto il suo mondo spirituale. L'epistolario è costituito dalle sole lettere di Maria Zambrano e copre il periodo dal 1973 al 1976. In questo primo volume si arriva al febbraio '75. L'opera sarà completata con un secondo volume contenente anche un'Appendice critica curata da Agustín Andreu e un Indice dei nomi. Introduzioni di Lucia Vantini e Agustín Andreu."" -
Dharma aperto
L'Oriente e l'Occidente, due mondi così lontani eppure così collegati. La riflessione di Fabrizio Petri, diplomatico e profondo conoscitore del mondo orientale, lungi dallo strutturarsi in modo astrattamente concettuale si dipana attraverso il racconto di incontri speciali. Bentham e sulla sua scia Mill danno appuntamento a Londra a un Muni indiano, Tagore e Jung chiacchierano lungo le rive del lago di Zurigo o ancora i pionieri della Beat Generation, Ginsberg e Snyder, sono alle prese con l'insegnamento di Gandhi proprio nella sua patria, l'India. Si tratta di incontri accaduti solo nell'immaginazione dell'autore, ma l'immaginazione creativa, nella suggestione di Jung e Hillman, è quella realmente produttiva di nuovi mondi e di nuove realtà, capace di disvelare significati profondi e collegamenti vivi tra dimensioni diverse. Così il pacifismo indiano incontra la ricerca della libertà nell'America del Sessantotto, il pensiero junghiano si carica di misticismo poetico incrociando la traiettoria dei versi di Tagore e ancora la compassata riflessione dei filosofi inglesi si riveste di antichi saperi sulla natura umana. Ecco che il Dharma, l'Essenza e la Legge Naturale, si collega a riflessioni politiche e sociali. L'analisi dell'autore si muove tra letture psicologiche e sociologiche della realtà fino a mostrare le radici della moderna società in rete proprio nell'esperienza avanguardistica della Beat Generation. -
Interporto Est
"'Interporto est' di Annalisa Macchia è una specie di trepido e commosso romanzo per flash, sovrapposizioni, contrappunti, rapidi accostamenti memoriali, cammini e soste, fughe e risalite dal presente al passato e viceversa. Tornare dove si è vissuta la stagione mitica dell'infanzia (una frazione della campagna livornese) significa osservare tutto quanto si è perso e continua a perdersi, a sfarinarsi, a sgretolarsi come il cimitero assediato dall'interporto o la chiesa la cui campana fu messa in vendita, come i terreni invasi dai container o da 'alberi scheletrici', come il ricordo stesso delle chiacchiere femminili en 'plein air' che un tempo innervavano i giorni."""" Postfazione di Luigi Fontanella." -
Avatar
Theophile Gautier (1811-1872) è stato il primo a sfruttare il termine Avatar per un romanzo breve, pubblicato nel 1857. Ben prima di James Cameron. Gautier sigillò un romanzo breve intitolato proprio come il celebre film che ha spopolato due anni fa sugli schermi di tutto il mondo. -
Atque. L'ordinarietà dell'inatteso
Questo fascicolo di Atque nasce dall'idea di indagare su quelle fasi del lavoro psicoterapeutico nelle quali ci si affida all'esperienza ordinaria, all'immediatezza dei vissuti e dei comportamenti, affrancandosi da forme di lettura dell'altro (e di sé) trasmesse da teorie o tradizioni di riferimento. È nostra convinzione che questi luoghi d'indagine abbiano da sempre segretamente caratterizzato ogni psicoterapia; che essi siano stati, e siano ancora, travolti da rappresentazioni e resoconti dogmaticamente fantasiosi di ciò che avviene in una seduta; che, viceversa, una maggiore attenzione a essi, e a ciò che in essi si insinua o si produce, possa costituire la via règia del contatto con quanto di sottilmente pervasivo e nascosto ci attraversa, ci lega agli altri e (nel rapporto con gli altri) ci costituisce. Riteniamo, in breve, che vada ampliata e posta in primo piano la pratica del sensibile, dell'immediato, dell'""afferrabile"""" all'interno del dialogo: non ci sono plessi più degni e produttivi di questi per giungere all'individuazione di quanto permea la nostra presenza e le nostre relazioni, evitando ricorsi ideologici o semplicistici all'""""inconscio"""": riteniamo del resto che non ci sia aspetto più nascosto e inatteso di quello che ci coglie nel quotidiano, """"nella nostra stessa dimora"""", come pure aveva intuito il Freud più sensibile. Come è usuale nella tradizione di Atque, la presentazione di queste prospettive terapeutiche avverrà tenendo in mente le loro intersezioni..."" -
Labirinto veneziano
Con ""Labirinto veneziano"""", Marina Gasparini Lagrange ci induce a meditare su ciò che noi effettivamente siamo; sul """"mistero"""" che la nostra persona - ben al di là di ogni apparenza - cela tra le sue intricate vie. È nostro compito, ci segnala l'autrice, spingerci oltre lo spazio fisiopsichico che ci trattiene e - affidandoci di volta in volta alla scalarità logica o al balzo emozionale incontrare finalmente noi stessi, quel """"mistero"""", che ci affascina e insieme ci sgomenta. L'esperienza del labirinto non può essere elusa dalla sensibilità umana. E l'autrice ce lo dimostra in questo suo viaggio """"veneziano"""" che conosce brevi soste, mai permanenze. Un viaggio che ci stimola all'interrogazione ininterrotta con esiti sorprendenti. Annota con precisione Marina Gasparini Lagrange: """"L'esperienza del labirinto è un errare tra le ombre con un fragile filo tra le mani"""". Quel """"fragile filo"""" a cui aggrapparsi lungo il tortuoso e tenebroso percorso è di volta in volta la poesia, la narrazione, l'arte, l'architettura... Ce lo indicano le figure reali, mitiche o immaginarie che l'autrice convoca nel suo libro: Piranesi, Tiziano e Marsia, Watteau e Pierrot, Rilke e Malte, Lotto e Guardi, Brodskij, Orfeo ed Euridice. Queste figure hanno il compito di rivelarci che tutto quello di cui abbiamo bisogno per essere liberi è dentro di noi. Con un saggio di Flavio Ermini."" -
Atque. La parola che immagina
"Il dibattito sulle immagini si è sviluppato, negli ultimi anni, in modo molto intenso. In questo fascicolo di Atque vorremmo affrontare questo tema con un'angolazione particolare, occupandoci degli effetti di senso prodotti dalle intersezioni, nelle pratiche comprensive umane, di immagini e linguaggio. Come è tradizionale per la nostra rivista, svilupperemo questa riflessione attraverso il confronto tra coloro che frequentano le immagini nel dialogo psicoterapeutico e coloro che ne affrontano definizione e statuto sul piano della riflessione filosofica. Come psicoterapeuti, pratichiamo quotidianamente quei modi della comunicazione nei quali le immagini entrano ed escono dal linguaggio, producendo effetti di rilievo nella capacità delle persone di esprimere significati di difficile delimitazione, oltre a sentimenti e sensazioni d'intensità non riducibile. Le immagini si presentano con tali caratteristiche di ambiguità da imporre inevitabilmente il tema della loro incerta presenza a ogni coscienza interpretativa che voglia dirsi aperta. Paradigmatico è, in questa prospettiva, il modo in cui il sogno, con le sue concrete e dirompenti sensorialità, estranee all'ordinarietà del sentire, penetra nella nostra quotidianità e diviene elemento essenziale di comprensione e autocomprensione, di orientamento, di cura"""" (Mauro La Forgia, Maria llena Marozza)." -
Kali Yuga. Il crepuscolo del nostro mondo
"Kali Yuga. Il crepuscolo del nostro mondo"""" è un romanzo di idee e di azione. Le idee sono quelle di rinascita psicologica, spirituale e morale, ecologica e sociale, democratica e federalista internazionale, che per l'autore costituiscono l'alternativa """"sistemica"""" alle catastrofi incombenti. L'azione ruota attorno a due opposte, ma negative o inadeguate tendenze, immaginate dominanti nel mondo a venire, tra cinquant'anni, qualora le cose seguitassero come oggi, peggiorando a poco a poco. Da un lato potrebbe emergere un mondo neototalitario nazista, schiavista e anticristiano in nome di un """"nuovo ordine"""", qui immaginato prevalente, tra mezzo secolo, dall'Austria alla Cina; dall'altro un mondo democratico, sempre incentrato sull'America, diventato però via via più cinico e amorale. La conclusione sarebbe da stadio finale del """"Kali Yuga"""", che nell'induismo è """"l'età di Kalì"""", la grande dea della distruzione. Sarebbe, insomma, una catastrofe senza pari. Dialoghi vivaci e azioni drammatiche connotano tutta la vicenda, che ruota attorno al nuovo totalitarismo di Hitler II e al democraticismo senza scrupoli di Sam Douglas, ai quali si contrappone l'ecologismo politico e spirituale di Tom Douglas (fratello di Sam), portatore di un'alternativa democratica e pacifica possibile, ma che potrebbe anche essere sconfitta se la """"Storia"""" non dovesse via via farla propria." -
L' angoscia del pensare. Artaud, Beckett, Blanchot, Derrida, Foucault, Levinas, Lacan
Annota Hölderlin: ""Siamo in disaccordo con la natura e quello che un tempo era uno appare ormai come opposizione"""". Non c'è più ritorno in questo nostro avanzare. Non c'è più riconquista dell'intero in questo cammino forzato. Non c'è più rimedio all'angoscia che l'insensato produce nell'esistenza di ogni essere umano. Siamo in trappola. Tutti: chi scrive e chi legge. Siamo frammenti senza senso, in quella che Evelyne Grossman chiama """"esperienza dell'estremo"""", ovvero """"un'esperienza, ai limiti della follia, di vita e di morte delle parole, che porta chi scrive e chi legge a vedere continuamente sconvolti i suoi punti di riferimento"""". Il precipizio che intravediamo in fondo alle parole è lo stesso che si coglie in fondo alle cose. Quel precipizio è una tomba, e la voce che non smette di parlare diventa la vedova della speranza, la superstite di tutte le illusioni. La nostra vita scaturisce dal fluire ininterrotto dell'ombra. La sventura ci assedia: la cogliamo reciprocamente nei nostri sguardi, nei nostri gesti che ci consegnano, pietrificati dal dolore, al naufragio del silenzio. La salvezza è davvero posta su nulla. Su questo precipizio siamo venuti e qui sembra essere il nostro inizio; qui c'è invece la nostra fine. Si domanda Evelyne Grossman: """"E allora, come concepire uno spazio di scrittura in grado di garantire un pensiero che includa il rischio della follia?"""". A tale questione è dedicato il volume """"L'angoscia del pensare""""."" -
Le vie del ritorno. Letteratura, pensiero, caducità
"I passi che noi compiamo per inoltrarci nella vita non si rivolgono a un progredire, a un gettarci in avanti. Il nostro progredire cessa con la nascita, quella nascita che darà l'avvio al dolore dell'esilio e che finirà con l'indurci al 'ritorno'. Ecco quanto registra questo libro. Nascita come esilio, dunque; un esilio doloroso e massimamente insicuro. Principio come dolore: tale è l'evento che Stefano Guglielmin tratteggia sotto i nostri occhi. Alle 'vie' del ritorno dall'esilio è dedicato questo libro, non senza qualche avvertenza. A iniziare da quel plurale: 'vie'. Con quel plurale l'autore annuncia che non unica è la via che porta al ritorno. Giungendo a precisare, fin dalle prime pagine dell'opera, che 'ciascuna via del ritorno è già sempre sviata dalla morte, s-centrata, depotenziata o esaltata, e comunque porta altrove'. L'avvertenza è chiara: il cammino che ci aspetta è labirintico. E non potrebbe essere altrimenti se, come Guglielmin chiarisce, la destinazione del ritorno non è mai l'indiviso della metafisica, o il principio incausato delle religioni, o una storica età dell'oro. La terra da raggiungere con il ritorno è sempre una 'terra abitabile': 'un'heimat in cui situarsi se non altro da nomadi, da viandanti', come registra l'autore nel prefiggersi di indagare a questo proposito le vie indicate dall'Orestea di Eschilo, dalle Rime di Cecco Angiolieri, dalle opere di Diderot, Rousseau e Voltaire..."""" (Dalla postfazione di Flavio Ermini)" -
Qualcosa è cambiato
Il lavoro dell'autrice nasce dalla constatazione che il pensiero del folle è un pensiero immaginale. Attraverso un ""procedimento per sottrazione"""", così lo definisce, vengono asportate via via, come fa uno scultore davanti a blocco di marmo, tutte le componenti inessenziali all'immagine, all'emozione. Alla fine, il linguaggio del folle diviene quindi, paradossalmente, non verbale. Questa osservazione ci fa intendere come le immagini fotografiche che accompagnano le Storielle del testo siano in perfetta sintonia con il linguaggio immaginale della follia: bianco e nero, dissolvenze, evocazione di un oltre più intuito che percepito. Evocazione di significanti che rimandano indefinitamente ad altri significanti, ma anche struggimento per un approdo che, per quanto sia lontano, non è ancora impossibile. Ci accorgiamo al termine della lettura di queste pagine che alcuni dei più segreti significati delle contraddizioni in cui viviamo, se spesso sfuggono a chi è ufficialmente sano, non di rado emergono come tracce nell'oceano grazie alle illuminazioni di chi è ufficialmente diverso e, al di là del freddo armamentario di separazioni su cui poggia l'edificio della scienza, gli consentono di essere una volta l'interprete, un'altra il critico più acuto, onesto o semplicemente spietato della comune quotidianità. Fotografie di Francesca Bettera. Con un saggio di Ferruccio Vigna. Postfazione di Alessandro Vallarino."" -
Il ragno nero
"'Il ragno nero', 1841, noto come il capolavoro di Jeremias Gotthelf, maestro di prosa dell'Ottocento svizzero, è un racconto di una mirabile potenza visionaria. Il lettore ne viene trascinato fin dalle prime pagine con una forza di suggestione che ricorda quella degli antichi aedi o dei vecchi patriarchi di famiglia preposti, davanti a un focolare, alla narrazione di storie e tradizioni mitiche, leggendarie, o epiche, legate alle radici stesse di una famiglia o di un popolo. Ma qui il realismo fantastico di Gotthelf inserisce all'interno della quieta narrazione di una leggenda popolare il più inquietante e lacerante dei """"perturbanti"""": sotto forma di un demoniaco, fatale ragno crociato, capace di avvelenare una comunità. Lo scrittore svizzero sceglie come narratore interno un nonno carico di passato, capace di raccontare e di stupire una intera comunità contadina di amici e parenti, radunati durante un battesimo. Siamo in una valle svizzera, fresca e solare come un piccolo Eden, nei cui villaggi si vive la più tranquilla e limpida esistenza, confortata da una umile religiosità di campagna. Ma è proprio il nonno a raccontarci che quella divina quiete non è sempre stata tale, nella storia della valle. Anzi, essa stessa è il frutto di una lunga lotta contro il Male, a cui l'intera comunità della valle aveva partecipato, nell'angoscia e nello sconforto, affidandosi alla lunga solo all'eroismo di qualche suo pio abitante e alia provvidenza divina."""" (Roberto Caracci)" -
Libertà dell'amore
Quali sono i confini dell'amore? Il volto della persona amata sembra disegnarli e al tempo stesso dissolverli, rendendo impossibile alle nostre carezze di afferrarli. Eppure in quell'istante si produce in noi qualcosa che va al di là dei confini di quella mano e di quel volto, qualcosa che ci permette di sfiorare i confini dell'amore, mentre le onde che provengono dalla sua riva ci risvegliano a questo volto segreto ed evidente il cui ""sorriso e le lacrime si possono vedere soltanto in filigrana, come per effetto di trasparenza"""". In un viaggio autobiografico, narrativo e filosofico Guido Brivio esplora instancabilmente le pieghe di un volto lungamente amato, ritratto in """"cinque immagini che non si vedranno mai"""". Le parole e le immagini che ne risultano, che sono la traccia di quell'amore, costituiscono una sorta di diario spirituale di un'esperienza estrema che si inscrive nel solco di una tradizione antica, l'amore platonico, rinnovata al di là dello stereotipo della negazione del corpo, nella scoperta lancinante che """"l'amante e l'amato si dissolvono nell'amore stesso""""."" -
Come un vento serenatore (ai confini di un parco)
L'ultimo libro di Pasquale del Cimmuto si presenta come uno struggente, lucido rendiconto esistenziale. La lingua poetica è aspra, tagliente, spesso raggelata, fondata sull'esigenza di cogliere la vita nella sua verità nuda, senza infingimenti. Davanti agli occhi del poeta scorrono i segni del mondo: poiane, pleniluni, sentieri montani, lepri in fuga, cui si accompagnano meditazioni sul senso delle cose, implorazioni al dio delle solitudini, memorie familiari, riflessioni sul ""niente di vivere"""", ma anche improvvisi frammenti nutriti di una gioia intensa, insperata. L'uomo che ha impastato le mani nella """"creta del mondo"""", sente che tutto, nel gran vorticare delle cose, è solo apparenza e trasmutazione. Kikuo Takano, il poeta giapponese che sostò diversi giorni tra i boschi e le pietre della sua terra, lasciando l'impronta di versi fragili e sublimi in cui Oriente e Occidente si toccano, ritorna nella forma aerea di una farfalla, a dire che """"ogni uomo è una goccia del senso/ che ha la luce nel nulla"""". A volte, la lingua sembra venir meno, arrendersi al potere muto delle cose; la verità si fa """"veritudine"""", segnata dal sentimento del limite, dalla legge universale della sofferenza; scuri assilli scheggiano la lastra dei versi."" -
Sonetti a Orfeo
"I sonetti a Orfeo"""" di Rilke possono essere descritti come il più visionario annuncio fatto al mondo del potere taumaturgico della musica per gli esseri umani: una musica intesa sia in senso letterale sia cosmico, un dono divino capace di ammansire e addomesticare la """"bestialità"""" degli uomini. Rendere quanto più possibile la musicalità dei """"Sonetti"""" rilkiani, pur rispettandone il senso originale, è una delle rare traduzioni - in italiano - in rima e verso, unica nell'ultimo ventennio." -
Maga del pozzo
Mario, il protagonista di questa pièce, ha una bottega di robivecchi. Fin da bambino possiede un talento speciale: è in grado di evocare, strofinando gli oggetti, gli individui che li hanno posseduti e usati. Li vede, li sente, ci parla: sono i suoi unici amici. Mario possiede quel talento... Anzi, lo possedeva, perché da qualche tempo i suoi amici latitano, non gli appaiono più. Il robivecchi si dispera, si sente tradito e abbandonato... Ma un altro guaio incombe su di lui: l'Assessore Tiravento ha deciso la ristrutturazione di piazzetta del Pozzo Vecchio, dove è situata la bottega. Mario dovrà sloggiare al più presto. E chi lo aiuterà? Nel pozzo antico che sta al centro della piazzetta dimora una maga che esaudisce tutti i desideri. O meglio: li esaudiva in altri tempi, perché attualmente i suoi poteri fanno cilecca. Per questo si è ritirata nel pozzo. Un giorno Mario trova in un libro la formula per evocarla. Pensa che sia uno scherzo e la legge ad alta voce. La maga spunta fuori dal pozzo... Una pièce stregonesca, piena di colpi di scena ""metafisici"""". Perché la magia esiste ancora, e a volte può essere efficace..."" -
La casa dei martiri
Giugno 1924, viene rapito e assassinato il deputato Giacomo Matteotti. Sono novant'anni. Nel poemetto ""La casa dei martiri"""", Alberto Bellocchio, attraverso un'ampia carrellata che comprende il biennio rosso, il biennio nero, l'epopea del Milite Ignoto, gli arditi del popolo, la marcia su Roma, fino al tragico epilogo dell'uccisione di Matteotti, descrive la drammatica parabola che vive il nostro paese, scosso dalla carneficina della guerra del '15 e destabilizzato dallo scontro tra offensiva proletaria e la montante violenza nazionalista. La rivoluzione, profetizzata e promessa dai capi del proletariato accecati dalla prospettiva dei soviet, Mussolini la fa. Allo scopo getta spregiudicatamente sul piatto anche i martiri della sua parte; ogni città avrà una """"Casa dei martiri"""", tempietto di culto dove sono venerati come eroi risorgimentali. Con l'eliminazione di Matteotti, il fascismo pone le basi per il passaggio dalla democrazia rappresentativa alla dittatura. Un'opera politico/celebrativa? Tutt'altro. Alberto Bellocchio osserva e racconta da una doppia visuale: quella commossa e partecipe della luttuosa caduta degli ideali del sole dell'avvenire; e quella di un'Italia che, scossa e disorientata, accetta il """"santo manganello"""" e si consegna a chi promette ordine. La pacificazione degli animi propagandata dal duce convince e vince. Matteotti dovrà attendere vent'anni per rialzare il suo sguardo appassionato e intransigente, per riprendere parola e azione.""