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Éloge du corps. Arts d'Afrique, d'Océanie et d'Amérique. Ediz. illustrata
Se la storia della collezione di Josette e Jean-Claude Weill vede i suoi primordi nella pittura, è altrettanto vero che la loro incessante ricerca per forme nuove li ha condotti in poco tempo ad appassionarsi alle arti primitive. Ampliata nel corso dei decenni sotto l'entusiastica guida del figlio Jean-Pierre, la loro collezione comprende oggi oltre 120 opere di altissimo livello, provenienti dall'Africa, dall'America e dall'Oceania. È possibile distinguere diverse grandi categorie che riflettono il gusto della famiglia Weill per le forme audaci ed espressionistiche: statue Dogon e Tellem che combinano forme geometriche con superfici testurizzate, così come le potenti figure di Kongo dotate di proprietà magiche. Nella collezione sono inoltre ben rappresentate le tipologie espressive di Nigeria, Camerun e Melanesia. Tra le opere più classiche si individuano pezzi che si connotano per uno status iconico - si pensi alla statua di Bena Lulua che apparteneva a Jacques Kerchache, alla figura reliquiario Fang di Edward Robinson, o al potente flauto Biwat della collezione Lemaire - tutti pezzi che testimoniano la profonda sensibilità dei Weill nonché l'istinto acuto che li ha condotti ad apprezzare quest'arte appartenente a un altro mondo. Un terzo dell'intera collezione è inoltre costituito da un importante gruppo di piccoli avori finemente intagliati. Per consentire al lettore di cogliere tutta la ricchezza e l'eterogeneità dei suoi contenuti, le opere sono accompagnate da schede scritte da esperti, tra cui Viviane Baeke (Africa Museum, Tervuren), Philippe Dagen (storico e critico d'arte), Jean-Paul Colleyn (antropologo), Bertrand Goy (autore specializzato in Costa d'Avorio), Hélène Joubert (museo del Quai Branly-Jaques Chirac), Hélène Leloup (storico e antiquario), Sean Mooney (Fondazione Rock) e Philippe Peltier (già al museo del Quai Branly-Jaques Chirac). -
Parer la mode. Bijoux de 1750 à 1990. Ediz. illustrata
Filo conduttore del libro sono i gioielli non preziosi che dalla metà del XVIII secolo all'ultima decade del XX hanno caratterizzato la storia del costume, la sua evoluzione così come le trasformazioni dei gusti femminili, e non solo. Comune denominatore di questi manufatti è anzitutto la loro realizzazione in materiali non preziosi e, di conseguenza, il costo accessibile. Deanna Farneti Cera si cimenta in una narrazione illustrata suddivisa per epoche (gioielli vittoriani, edoardiani, Arts & Crafts, Jugenstil, liberty, degli anni Dieci e Venti fino a quelli degli anni Ottanta), e per ciascun momento storico mette in luce la stretta relazione creatasi tra la storia del costume e le declinazioni stilistiche dell'accessorio che lo arricchiva e abbelliva. La vena sentimentale e romantica delle creazioni vittoriane lascia spazio agli strass e alle decorazioni argentee che connotano gli esemplari di epoca edoardiana. Ornamenti astratti e geometrici si diffondono nel contempo in Austria e Germania, e l'avvento dell'industrializzazione associato a un nuovo ruolo femminile comportò - con la fine della Prima guerra mondiale - la fortuna di elementi in plastica, spesso colorati, che abbellivano gli abiti neri tipici dell'atmosfera charlestone. Linee nette, colori contrastati e astrazione furono poi il carattere distintivo dello stile Déco. Ed è proprio negli anni Venti che grazie a Coco Chanel si assiste in Francia all'affermazione del concetto di bijoux per la moda. Da qui la riflessione della Farneti Cera diventa ancor più puntualmente illustrata, e l'autrice non manca di mettere in luce come il bijou rifletta in maniera sorprendente lo stile della donna che lo indossa. I ""gioielli fantasia"""" degli anni Trenta si trasformano, assoggettati al gusto degli anni Quaranta, in elementi particolarmente vistosi e spesso volutamente falsi. Negli anni Cinquanta Dior dà vita a una sorta di rinascita, e i gioielli appaiono come fossero tessuti che si adattano al corpo. Le rivoluzioni degli anni Sessanta si riversano anche sul costume, e i materiali più innovativi nonché i colori fluorescenti avranno un vero e proprio ruolo principe. Gli anni Settanta si connotano per una rivisitazione del passato e gli anni Ottanta, che chiudono il volume, danno voce a realizzazioni di grande creatività e successo quali quelle di Ugo Correani per Versace e Karl Lagerfeld per Chanel."" -
Vestire la moda. Gioielli non preziosi dal 1750 ai nostri giorni. Ediz. illustrata
Deanna Farneti Cera è avvincente nel condurci attraverso la storia dei gioielli non preziosi che dalla metà del XVIII secolo all'ultima decade del XX hanno caratterizzato la storia del costume, la sua evoluzione e le trasformazioni dei gusti femminili. I ""gioielli per tutti i giorni"""" riflettono in maniera sorprendente lo stile della donna che li indossa, come dimostra questo volume riccamente illustrato. Dalle romantiche creazioni vittoriane, si passa agli strass e alle decorazioni argentee di epoca edoardiana per arrivare agli elementi in plastica, che spesso davano un tocco di colore agli abiti neri dell'epoca del Charlestone. Linee nette, colori contrastati e astrazione distinguono il Déco prima che lo stile leggendario di Coco Chanel negli anni Trenta e le creazioni di Christian Dior nei Cinquanta esaltassero il ruolo del bijoux nella moda, Le rivoluzioni degli anni Sessanta portano all'utilizzo di materiali innovativi e colori fluorescenti a cui seguirà la rivisitazione del passato tipica dei Settanta. Gli anni Ottanta, infine, danno voce a realizzazioni di grande creatività e successo quali quelle di Ugo Correani per Versace e Karl Lagerfeld per Chanel."" -
Theatres. Art Brut the collection. Ediz. a colori
Il teatro è il tema centrale di questo quarto volume della serie Art Brut - The Collection, pubblicato in occasione della quarta biennale dell'Art Brut. -
Francis Cunningham. Ediz. illustrata
Il volume è la prima monografia dedicata al pittore americano Francis Cunningham. Mentre il mondo dell'arte rivolgeva l'attenzione all'astrattismo e all'action painting, l'interesse di Cunningham non abbandonava il figurativo e la volontà di ritrarre il corpo umano. Questo il motivo di un successo tiepido, lontano dai riflettori, il che non significa un'espressione artistica di secondo piano. Tuttavia proprio questa marginalità ha consentito all'artista di sviluppare e approfondire la sua riflessione sulla modalità di visione, e quindi sul ruolo fondamentale del color-spot painting, la tecnica mutuata dal maestro Edwin Dickinson, e sull'importanza dell'insegnamento, di cui si è occupato personalmente presso la New Brooklyn School of Life, Painting, Drawing and Sculpture, e la New York Academy of Art. Questi due ultimi aspetti, che hanno connotato in modo preponderante la sua vita, sono messi in evidenza fin dal titolo del volume: ""Learning how to see"""". La narrazione mette in luce il percorso di Cunningham che dalle prime tele, di piccole dimensioni, per lo più astratte e caratterizzate da ampie campiture che rimandano a paesaggi, approda a un realismo figurativo in cui è lo studio anatomico ad avere il ruolo preponderante, per poi ritornare - quasi a chiudere un cerchio - a opere che ospitano ampi spazi di vuoto, in cui il numero degli elementi diminuisce drasticamente. Le tele che occupano la maggior parte della sua produzione artistica sono di ampie dimensioni, abitate da personaggi ritratti in nudità. A volte soli, altre in trittici. La verticalità delle tele di questo """"secondo periodo"""" lascia spazio agli ultimi lavori, per lo più still life orizzontali del suo studio. L'umano è pressoché scomparso, quasi fosse tornato alle riflessioni iniziali. La figura dell'artista viene approfondita attraverso i contributi di storici e critici d'arte quali Christopher Knight, Edward Lifson, John Walsh, e Valentina De Pasca nonché attraverso la testimonianza della sua modella Regina Hawkins-Balducci."" -
Palezieux. Oeuvres sur papier. Ediz. a colori
Quattro volumetti, simili a quaderni, ci introducono – anche a livello materico – all’opera su carta del pittore e incisore svizzero Gérard de Palézieux (Vevey 1919-Veyras 2012). Questi, dopo una formazione a Losanna presso l’École des beaux-arts, si trasferisce a Firenze dove rimane durante la Seconda Guerra Mondiale per poi trasferirsi nuovamente in Svizzera, nel canton Vallese, dove risiederà fino alla morte. La luce, le fabbriche e la campagna italiana sono elementi di grande rilevanza per la sua poetica, sotto molti punti di vista assimilabile a quella di Giorgio Morandi, di cui lo stesso Palézieux fece la conoscenza nel 1953 e con il quale resterà in contatto fino alla morte del pittore bolognese. Tuttavia l’opera dell’artista svizzero testimonia anche altre ispirazioni, si pensi al ruolo di Canaletto o di Claude Lorrain nel trattamento della luce. Nel 1969, dopo un viaggio in Marocco, Palézieux scopre l’acquarello, tecnica che gli consente di allargare la sua visione, permettendogli di dissolvere la pesantezza nella luminosità più pura. Sarà a Venezia che, a partire dal 1972, troverà la sua strada grazie alle peculiarità del nuovo medium, la cui rapidità e trasparenza gli consentono di avvicinarsi alla saggezza e alla visione del mondo propria dei pittori cinesi. È da quel momento che attraverso l’incisione dà vita a espressioni artistiche di maggiore libertà; si appassiona a tecniche quali l’acquatinta e il monotipo che gli consentono di inserire nei suoi paesaggi anche lo scorrere del tempo. Solitario, istintivo, fedele alle sue emozioni, Palézieux non ha mai smesso di dipingere secondo quanto appreso dai suoi maestri. La sua visione del mondo, estranea a ogni corrente artistica, è tuttavia sorprendentemente precisa e carica di un inedito potere di resistenza. Le sue immagini, dipinte o incise, evocano i luoghi e gli oggetti riflettendo le incertezze del nostro quotidiano. I suoi acquerelli esprimono la forza ineluttabile del tempo contrapponendo contingenze e discorsi personali con un’arte che cerca di riconnettersi, al tempo stesso, con il semplice e l’universale. -
Jean Dubuffet e Venezia, Catalogo della mostra (Venezia, 10 maggio-20 ottobre 2019). Ediz. italiana e inglese
Il volume che ha accompagnato la mostra omonima organizzata nelle sale di Palazzo Franchetti, presenta disegni, gouache e documenti, così come fotografie, lettere e articoli di Dubuffet che permettono di avere un ritratto completo delle coraggiose sperimentazioni dell'artista e del suo stretto legame con Venezia. -
Kuyu. Visions d'Afrique. Ediz. illustrata
In questo nuovo volume della serie Visions of Africa troverete dunque un'ampia collezione di oggetti autentici appartenenti a una cultura tradizionale africana equatoriale e una ricostituzione delle rotte migratorie che sembrerebbe spiegare un corpus di oggetti apparentemente eterogeneo. -
The thin line
Per questo progetto Giada Ripa ha percorso 4000 km, dal confine settentrionale italiano fino alle regioni del sud, per esplorare ""un gasdotto invisibile"""" che attraversa autostrade, strade provinciali, foreste, parchi, fiumi e numerose """"oasi naturali"""" della penisola."" -
Canova. Quattro tempi. Ediz. illustrata
Nel processo creativo di Antonio Canova un significato di tutto rilievo è dato dai modelli in gesso a dimensione reale che costituivano il momento di passaggio tra una prima fase ideativa e la vera e propria realizzazione della scultura in marmo. Come spiega il fotografo Spina, ""il gesso è, nell'atto del concepimento dell'artista, il momento fragile e variabile del sentire il corpo della scultura"""". I gessi non sono ancora opera finita ma, nonostante questo, ne contengono tutta la forza e le potenzialità. I chiodini in bronzo (repères) guidano il fotografo nel tracciare un atlante visivo del tutto inedito, e consentono al lettore di perdersi per percorsi anch'essi inediti tra espressioni e gesti, acconciature e pieghe dei panneggi. Le sequenze fotografiche realizzate a contatto con l'opera scultorea ne sveleranno le superfici gessose, e consentiranno allo sguardo del lettore di approfondire - ancora una volta - quel legame tra luce e plasticità della materia che è uno degli aspetti chiave e peculiari dell'opera di Luigi Spina. Infine, come evidenziato dal sottotitolo, la dimensione temporale sarà uno degli elementi chiave della ricerca fotografica compiuta dal fotografo, in solitaria, tra le stanze della gipsoteca di Possagno. Quei """"quattro tempi"""" non vogliono infatti essere unicamente un espediente per declinare la riflessione visiva di Spina nel quadriennio di celebrazioni canoviane (2019-2022). La dimensione temporale ha un'importanza senza pari nella fase creativa e realizzativa dello scultore neoclassico: c'è un prima e un dopo l'opera in gesso. Il prima è lo studio preparatorio; il dopo l'opera finita. Il gesso si pone nel mezzo, centrale. Questo volume vuole quindi presentare al grande pubblico questa fase così significativa e nel contempo così poco approfondita di Antonio Canova, uno dei maggiori scultori di tutti i tempi."" -
Canova. Quattro tempi. Ediz. francese
Nel processo creativo di Antonio Canova un significato di tutto rilievo è dato dai modelli in gesso a dimensione reale che costituivano il momento di passaggio tra una prima fase ideativa e la vera e propria realizzazione della scultura in marmo. Come spiega il fotografo Spina, ""il gesso è, nell'atto del concepimento dell'artista, il momento fragile e variabile del sentire il corpo della scultura"""". I gessi non sono ancora opera finita ma, nonostante questo, ne contengono tutta la forza e le potenzialità. I chiodini in bronzo (repères) guidano il fotografo nel tracciare un atlante visivo del tutto inedito, e consentono al lettore di perdersi per percorsi anch'essi inediti tra espressioni e gesti, acconciature e pieghe dei panneggi. Le sequenze fotografiche realizzate a contatto con l'opera scultorea ne sveleranno le superfici gessose, e consentiranno allo sguardo del lettore di approfondire - ancora una volta - quel legame tra luce e plasticità della materia che è uno degli aspetti chiave e peculiari dell'opera di Luigi Spina. Infine, come evidenziato dal sottotitolo, la dimensione temporale sarà uno degli elementi chiave della ricerca fotografica compiuta dal fotografo, in solitaria, tra le stanze della gipsoteca di Possagno. Quei """"quattro tempi"""" non vogliono infatti essere unicamente un espediente per declinare la riflessione visiva di Spina nel quadriennio di celebrazioni canoviane (2019-2022). La dimensione temporale ha un'importanza senza pari nella fase creativa e realizzativa dello scultore neoclassico: c'è un prima e un dopo l'opera in gesso. Il prima è lo studio preparatorio; il dopo l'opera finita. Il gesso si pone nel mezzo, centrale. Questo volume vuole quindi presentare al grande pubblico questa fase così significativa e nel contempo così poco approfondita di Antonio Canova, uno dei maggiori scultori di tutti i tempi."" -
Canova. Quattro tempi. Ediz. inglese
Nel processo creativo di Antonio Canova un significato di tutto rilievo è dato dai modelli in gesso a dimensione reale che costituivano il momento di passaggio tra una prima fase ideativa e la vera e propria realizzazione della scultura in marmo. Come spiega il fotografo Spina, ""il gesso è, nell'atto del concepimento dell'artista, il momento fragile e variabile del sentire il corpo della scultura"""". I gessi non sono ancora opera finita ma, nonostante questo, ne contengono tutta la forza e le potenzialità. I chiodini in bronzo (repères) guidano il fotografo nel tracciare un atlante visivo del tutto inedito, e consentono al lettore di perdersi per percorsi anch'essi inediti tra espressioni e gesti, acconciature e pieghe dei panneggi. Le sequenze fotografiche realizzate a contatto con l'opera scultorea ne sveleranno le superfici gessose, e consentiranno allo sguardo del lettore di approfondire - ancora una volta - quel legame tra luce e plasticità della materia che è uno degli aspetti chiave e peculiari dell'opera di Luigi Spina. Infine, come evidenziato dal sottotitolo, la dimensione temporale sarà uno degli elementi chiave della ricerca fotografica compiuta dal fotografo, in solitaria, tra le stanze della gipsoteca di Possagno. Quei """"quattro tempi"""" non vogliono infatti essere unicamente un espediente per declinare la riflessione visiva di Spina nel quadriennio di celebrazioni canoviane (2019-2022). La dimensione temporale ha un'importanza senza pari nella fase creativa e realizzativa dello scultore neoclassico: c'è un prima e un dopo l'opera in gesso. Il prima è lo studio preparatorio; il dopo l'opera finita. Il gesso si pone nel mezzo, centrale. Questo volume vuole quindi presentare al grande pubblico questa fase così significativa e nel contempo così poco approfondita di Antonio Canova, uno dei maggiori scultori di tutti i tempi."" -
Mosaico di Alessandro
Il ""Mosaico di Alessandro"""" è il capolavoro ospitato nel secondo volume della serie Tesori Nascosti. E costituisce certamente uno dei richiami più rilevanti per i visitatori che ogni giorno si accalcano tra le sale del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Le tessere che lo compongono, più di un milione e mezzo, sono disposte secondo la tecnica dell'opus vermiculatum: sono infatti posizionate in modo asimmetrico, e seguono il contorno delle figure così da evidenziare il soggetto rispetto allo sfondo. L'opera musiva, attribuita al II secolo a.C., e talvolta identificata anche come """"Battaglia di Isso"""", fu portata alla luce a Pompei, nel 1831, in corrispondenza della pavimentazione della celebre Casa del Fauno. Se l'identificazione della battaglia lascia ancora aperte ipotesi interpretative, è altrettanto vero che i due protagonisti sarebbero stati identificati all'unanimità con Alessandro e Dario. Luigi Spina con il mezzo fotografico si avvicina all'opera e ne mette in luce con maestria volti, gesti, dettagli, espressioni umane e animali che spesso lo spettatore perde nella lettura complessiva della scena. Occhi sgranati e attenti, briglie talvolta allentate, frustini in volo, ma anche tessuti, applique preziose, criniere acconciate. Chiudono il volume i contributi di Valeria Sampaolo e Fausto Zevi che contestualizzano il mosaico pavimentale mettendone in luce la straordinarietà all'interno della storia dell'arte antica."" -
I luoghi dell'arte a portata di mano. Con 4 mazzi di carte
Questo cofanetto contiene i quattro mazzi di carte de ""I luoghi dell'arte a portata di mano"""", ideati negli anni Duemila da Maria Lai (Ulassai 1919-Cardedu 2013) con l'obiettivo di condurre adulti e bambini a un incontro autentico con """"l'opera d'arte"""". I differenti mazzi danno vita a un gioco totalizzante nel quale il lettore/fruitore ha la possibilità di estraniarsi dalla realtà ed educare il suo sguardo a """"vedere"""". L'assenza di regole codificate o di """"istruzioni"""" mette in evidenza la libertà interpretativa che queste carte intendono generare."" -
Resonances. Catalogo della mostra (Lens, 14 giugno 2020-4 aprile 2021). Ediz. francese
La Fondation Opale si cimenta in una avventura espositiva che pone in dialogo l'arte aborigena contemporanea con le più rilevanti espressioni artistiche della contemporaneità nate in contesti occidentali e talvolta orientali. Le opere presentate appartengono a due collezioni distinte ma entrambe di grande significato e bellezza: quella di arte aborigena appartenente a Bérengère Primat, e quella di arte contemporanea di Garance Primat. Sono vere e proprie risonanze quelle che si avvertono - con occhi e moti dell'anima - osservando le opere che nonostante le differenti genealogie riescono a costruire un dialogo efficace e di grande potenza. Il legame che si viene a creare fa pensare a un'unità: cielo e terra si incontrano, sì, ma si incontrano anche gli uomini, non solo tra loro ma con la terra e con il cosmo. Circolarità infinita che crea unità. Questo il punto di partenza del libro ""Résonances"""" che accompagna la mostra omonima... Attraverso le oltre ottanta opere d'arte selezionate e approfondite nel volume realizzate da 54 artisti, Georges Petitjean, Hervé Mikaeloff e Ingrid Pux hanno la possibilità di mettere in luce la polvere stellare e la crosta terrestre che siamo, e di cui le opere d'arte si fanno portavoce. Tra gli artisti aborigeni rappresentanti vi sono: Rover Thomas, Gulumbu Yunupingu, Clifford Possum Tjapaltjarri, Judy Watson, Sally Gabori, Emily Kame Kngwarrey, Paddy Bedford, Nonggirrnga Marawili, Ronnie Tjampitjinpa, John Mawurndjul. Tra gli artisti di tradizione occidentale e orientale ricordiamo: Jean Dubuffet, Kiki Smith, Anselm Kiefer, Sol Lewitt, Yayoi Kusama, Giuseppe Penone, Anish Kapoor."" -
Resonances. Catalogo della mostra (Lens, 14 giugno 2020-4 aprile 2021). Ediz. inglese
La Fondation Opale si cimenta in una avventura espositiva che pone in dialogo l'arte aborigena contemporanea con le più rilevanti espressioni artistiche della contemporaneità nate in contesti occidentali e talvolta orientali. Le opere presentate appartengono a due collezioni distinte ma entrambe di grande significato e bellezza: quella di arte aborigena appartenente a Bérengère Primat, e quella di arte contemporanea di Garance Primat. Sono vere e proprie risonanze quelle che si avvertono - con occhi e moti dell'anima - osservando le opere che nonostante le differenti genealogie riescono a costruire un dialogo efficace e di grande potenza. Il legame che si viene a creare fa pensare a un'unità: cielo e terra si incontrano, sì, ma si incontrano anche gli uomini, non solo tra loro ma con la terra e con il cosmo. Circolarità infinita che crea unità. Questo il punto di partenza del libro ""Résonances"""" che accompagna la mostra omonima... Attraverso le oltre ottanta opere d'arte selezionate e approfondite nel volume realizzate da 54 artisti, Georges Petitjean, Hervé Mikaeloff e Ingrid Pux hanno la possibilità di mettere in luce la polvere stellare e la crosta terrestre che siamo, e di cui le opere d'arte si fanno portavoce. Tra gli artisti aborigeni rappresentanti vi sono: Rover Thomas, Gulumbu Yunupingu, Clifford Possum Tjapaltjarri, Judy Watson, Sally Gabori, Emily Kame Kngwarrey, Paddy Bedford, Nonggirrnga Marawili, Ronnie Tjampitjinpa, John Mawurndjul. Tra gli artisti di tradizione occidentale e orientale ricordiamo: Jean Dubuffet, Kiki Smith, Anselm Kiefer, Sol Lewitt, Yayoi Kusama, Giuseppe Penone, Anish Kapoor."" -
Saint Dominique de Niccolò dell'Arca. Ediz. illustrata
Una monografia visuale su un'opera scultorea di grande eccezionalità: il busto di San Domenico realizzato da Niccolò dell'Arca nel 1474. La scultura, realizzata in terracotta, ritrae il padre fondatore dell'ordine con un'attitudine severa, una rigida frontalità, un espressionismo che dona forza all'insieme. San Domenico si presenta ieratico, immobile, le mani ne rivelano la forza, soprattutto quella dello spirito. Le pieghe della sua veste sono geometriche, lo sguardo ha una forza intrinseca e la tunica lo protegge quasi fosse una corazza. La scultura venne compiuta durante il periodo bolognese di Niccolò dell'Arca quando l'artista, dopo essersi occupato del completamento dell'Arca di San Domenico - scolpita circa due secoli prima da Nicola Pisano con l'ausilio del giovane Arnolfo di Cambio - iniziò ad intessere significativi rapporti con l'ordine domenicano della città. Scolpì, nell'arco di un ventennio, due busti ritraenti San Domenico: quello a cui è dedicato il presente volume, appartenente alla Fondazione Cavallini Sgarbi di Ro Ferrarese, e quello conservato nel museo della basilica di San Domenico a Bologna. Il Maestro Spina dona ai lettori la possibilità di osservare l'opera scultorea a tutto tondo, individuarne i dettagli, valutarne la profondità dello sguardo e la maestria tecnica. -
Saint Dominic by Niccolò dell'Arca. Ediz. illustrata
Una monografia visuale su un'opera scultorea di grande eccezionalità: il busto di San Domenico realizzato da Niccolò dell'Arca nel 1474. La scultura, realizzata in terracotta, ritrae il padre fondatore dell'ordine con un'attitudine severa, una rigida frontalità, un espressionismo che dona forza all'insieme. San Domenico si presenta ieratico, immobile, le mani ne rivelano la forza, soprattutto quella dello spirito. Le pieghe della sua veste sono geometriche, lo sguardo ha una forza intrinseca e la tunica lo protegge quasi fosse una corazza. La scultura venne compiuta durante il periodo bolognese di Niccolò dell'Arca quando l'artista, dopo essersi occupato del completamento dell'Arca di San Domenico - scolpita circa due secoli prima da Nicola Pisano con l'ausilio del giovane Arnolfo di Cambio - iniziò ad intessere significativi rapporti con l'ordine domenicano della città. Scolpì, nell'arco di un ventennio, due busti ritraenti San Domenico: quello a cui è dedicato il presente volume, appartenente alla Fondazione Cavallini Sgarbi di Ro Ferrarese, e quello conservato nel museo della basilica di San Domenico a Bologna. Il Maestro Spina dona ai lettori la possibilità di osservare l'opera scultorea a tutto tondo, individuarne i dettagli, valutarne la profondità dello sguardo e la maestria tecnica. -
San Domenico di Niccolò dell'Arca. Ediz. illustrata
Il volume, terzo della serie Tesori Nascosti, è illustrato da fotografie di Luigi Spina e accompagnato da un testo critico di Vittorio Sgarbi. Per la prima volta si presenta agli appassionati di storia dell'arte, di fotografia e di collezionismo, una monografia visuale su un'opera scultorea di grande eccezionalità: il busto di San Domenico realizzato da Niccolò dell'Arca nel 1474. La scultura, realizzata in terracotta, ritrae il padre fondatore dell'ordine con un'attitudine severa, una rigida frontalità, un espressionismo che dona forza all'insieme. San Domenico si presenta ieratico, immobile, le mani ne rivelano la forza, soprattutto quella dello spirito. Le pieghe della sua veste sono geometriche, lo sguardo ha una forza intrinseca e la tunica lo protegge quasi fosse una corazza. La scultura venne compiuta durante il periodo bolognese di Niccolò dell'Arca quando l'artista, dopo essersi occupato del completamento dell'Arca di San Domenico - scolpita circa due secoli prima da Nicola Pisano con l'ausilio del giovane Arnolfo di Cambio - iniziò ad intessere significativi rapporti con l'ordine domenicano della città. Scolpì, nell'arco di un ventennio, due busti ritraenti San Domenico: quello a cui è dedicato il presente volume, appartenente alla Fondazione Cavallini Sgarbi di Ro Ferrarese, e quello conservato nel museo della basilica di San Domenico a Bologna. Il Maestro Spina dona ai lettori la possibilità di osservare l'opera scultorea a tutto tondo, individuarne i dettagli, valutarne la profondità dello sguardo e la maestria tecnica. -
The decorative arts. Ediz. illustrata. Vol. 1: Scultures, enamels, maiolic as and tapestries.
Seduzione estetica, realizzazione eccellente e interesse storico sono le tre direttrici fondanti della collezione della Fondation Gandur pour l'Art (Ginevra), creata nel 2010 e tutt'oggi in espansione. Questo primo volume ha l'obiettivo di catalogare le opere della collezione nelle quali la funzione ornamentale è strettamente connessa a quella narrativa. Si tratta nella maggior parte dei casi di opere scultoree - statuette e rilievi ornamentali - ma non meno rilevanti sono decorazioni bidimensionali che ospitano scene figurative legate alla classicità o al cristianesimo. La periodizzazione degli elementi scultorei pubblicati nel presente volume rispecchia quella dell'intera collezione ossia una cronologia compresa tra il XII e il XVIII secolo. E poiché la collezione ha quale fine l'attestazione degli scambi culturali tra la Francia e i Paesi circostanti, queste ultime sono anche le geografie nelle quali le diverse opere hanno avuto origine. Strettamente connesse sono quindi le ibridazioni stilistiche che costituiscono un elemento non di poca rilevanza così come l'originalità di alcuni pezzi e, non da ultimo, la qualità estetica. L'organizzazione dei contenuti del volume è tematica, aspetto che consente di mettere in luce l'originalità assoluta, la ricchezza della collezione, ma anche un panorama estremamente variegato di soggetti, episodi narrativi e personaggi rappresentati. Nello specifico, la suddivisione tematica verterà nelle seguenti cinque sezioni: dei ed eroi antichi, figure bibliche e allegoriche, scene di vita della Vergine, episodi della vita di Cristo, santi e intercessori. Ogni opera avrà una scheda dedicata nella quale verranno dettagliati il contesto storico e geografico, l'iconografia rappresentata nonché la bibliografia di riferimento e le mostre dove l'opera è stata esposta.