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Storia della mia vita. Ediz. integrale. Vol. 6: uomo in fuga 1760-1762, Un.
Giacomo Casanova (Venezia, 2 aprile 1725 - Dux, 4 giugno 1798) fu scrittore, poeta, diplomatico, filosofo, agente segreto, massone, alchimista, avventuriero, cittadino della Repubblica di Venezia. Le sue gesta sono state da lui stesso descritte con grande dovizia di dettagli nella Storia della mia vita e le quasi 5.000 pagine hanno una freschezza e una piacevolezza di lettura tale da farci amare profondamente il millesettecento e considerarlo come l'ultimo dei grandi secoli nei quali aveva ancora, forse, un senso, vivere una vita ""spericolata"""". Fu autore di decine di libri, libretti, repliche e discussioni, tra i quali uno è considerato il primo bestseller della storia: La storia della mia fuga dai piombi."" -
Storia della mia vita. Ediz. integrale. Vol. 7: Carnevale a Milano 1762-1763.
Storia della mia vita. Verso la fine del ballo, una graziosa mascherina con bautta veneziana abborda un tizio mascherato da gondoliere: Se siete veneziano, fate vedere: balliamo la furlana. Il tizio accetta, l'orchestra suona la furlana. Ma chèl lì è un gondoliere della Martesana, si vede subito. Bùù! La mascherina con bautta, quella sì che danza da sogno. Io sono un patito della furlana, mi faccio avanti. Ne balliamo una, poi un'altra, la gente applaude; a me basterebbe, alla mia età. Ma si fa avanti un cuoricino di bimba vestita da pastorella, non ha maschera sul volto. Dice: Adesso ballate con me! Guarda il Pierrot, dice Carcano, quanto gli piacciono le mendicanti. La comitiva se ne va. Triulzi dice a Carcano: - Secondo me l'accattone lungo vestito di giallo è Casanova. - Pare anche a me. Ma le donne chi sono? - Le scopriremo. - Diavolo, è la mascherata più spendacciona e stimolante che si possa inventare: sono fior di abiti nuovi fatti a pezzi con malizia diabolica. -
Storia della mia vita. Vol. 8: Anni difficili. 1763 - 1766.
Ebbi l'ultimo incontro vero con l'Imperatrice [Caterina II di Russia]. Ero nel Giardino, ma cominciava a piovere; lei mi fece chiamare in una sala in cui passeggiava con la solita scorta. In stile modesto, diceva la sua opinione con precisione, con il sorriso sulle labbra. Si era abituata così, non le costava fatica, ma certo non diminuiva il merito: anzi suggeriva forza d'animo. Il sorriso le assicurava un guadagno. Caterina, con l'aria di pretendere meno, otteneva di più. Ebbe il gusto di sorprendermi, mi lasciò spiazzato. Parlò dei costumi veneziani, della passione per il gioco d'azzardo; chiese se avevamo il gioco del lotto. Commentò: - Lo hanno proposto anche a me. Magari avrei potuto acconsentire; però con giocata minima di un rublo, niente copechi. O si sarebbe drenato un oceano di copechi a danno del popolo, che non sa contare e immagina che il terno sia una puntata come un'altra. Saggia; chinai umilmente il capo. Ecco: fu il mio ultimo incontro con la grande signora, che regnò trentacinque anni senza commettere errori essenziali, né rinunciare alla modestia -
Amori e cortigiane del mondo fluttuante
"Nessuno riesce a passare una sola giornata in una casa di appuntamenti dicendo la verità. È il mestiere delle cortigiane dire ciò che non è... Gli intrattenitori fanno i buffoni. La sorvegliante si esercita ad apparire terribile. Le apprendiste fanno finta di non stare dormendo. La tenutaria si costringe a ridere... Per quanto riguarda il padrone, l'unica cosa a cui pensa è la situazione finanziaria del cliente"""". Fin dalle prime pagine non c'è da farsi illusioni, frequentare il mondo delle cortigiane di lusso vuol dire essere circondati dalla finzione: ognuno deve recitare una parte per sopravvivere in quel microcosmo della società giapponese antica, così mitizzato, fastoso, ma anche intriso di squallore e di nascosta violenza. Ognuno è allo stesso tempo sfruttatore e sfruttato, carnefice e vittima - le cortigiane, vere e proprie schiave del tenutario, che devono tenere legato a sé il cliente raccontandogli bugie e facendosi pagare a peso d'oro; i clienti, che devono continuamente dimostrare la loro ricchezza, spendono esibizionisticamente cifre da capogiro e si illudono perfino di essere veramente amati dalla loro cortigiana preferita; le sorveglianti, ex cortigiane sfruttate e vessate, che finalmente possono rifarsi maltrattando le ragazze più giovani che le hanno rimpiazzate nella professione. I quartieri di piacere sono un teatro dove tutti portano una maschera e lo sanno, ma non possono sfuggire alla propria condizione. Saikaku racconta le loro vicende con realismo e ironia, tenendosi sempre in equilibrio tra una visione disincantata degli esseri umani e la comprensione per le loro debolezze, le loro difficoltà, i loro fallimenti, senza giudicarli. È lucido, però, non vuole nascondere nulla rivelando i retroscena per niente glamour di una società che rincorre il lusso e la fama, basata sull'edonismo, l'ostentazione del denaro, il privilegio e l'ossessione per bellezza e la giovinezza... Il Giappone del 1600 in questi racconti ha lo strano gusto della contemporaneità." -
Viaggiatori arabi medievali
Che cos'è il viaggio se non scoperta e incontro? Anche quando si adempie a un obbligo religioso come il pellegrinaggio alla Mecca, che comporta spostarsi, percorrere lunghe distanze, vedere luoghi sconosciuti, incontrare genti di fedi diverse, si può voler lasciare una traccia delle proprie esperienze e dunque informare e condividere. Questo è quanto hanno fatto molti viaggiatori arabi medievali che dal IX al XIII secolo, attraverso le loro testimonianze scritte, ci hanno fornito una straordinaria documentazione storica, geografica, artistica e culturale. Itinerari marittimi solcano l'Oceano indiano fino alla Cina, quelli terrestri, attraverso l'Asia centrale, salgono fino alla Russia, percorrono il nord Europa e la congiungono, in un arco, con l'Andalusia. Poi c'è il Mediterraneo: Roma, la Sicilia e Costantinopoli. I nostri autori raccontano popoli e città, usi e costumi, meraviglie, in qualche caso svelandoci qualcosa di un passato che non potremmo conoscere se non avessero fissato su pagine i loro percorsi, incontri e avventure di viaggio. I nomi di questi viaggiatori sono entrati a pieno diritto nelle nostre cronache. Tra di loro ricordiamo: Ibn Fadlàn, che si recò nel Nord Europa, Al-Muqaddasì che frequentò la Palestina e Gerusalemme, Ibn Giubayr che descrisse la Sicilia e Ibn Battùta, forse il più famoso di tutti, del quale qui seguiamo il suo viaggio in Russia. Ma molti altri sono ricordati in questo libro. Al tempo dei nostri viaggiatori, le loro gesta, che venivano cantate e riportate in documenti scritti, hanno permesso a intere generazioni di sognare, conoscere e contribuire alla crescita del nostro mondo. -
Desideravo diventare un'oca
Konrad Lorenz è considerato il fondatore dell'etologia, la scienza del comportamento comparato, studio cui si dedicò instancabilmente per tutta la vita. In questi due brevi testi scritti in occasione del ricevimento del Premio Nobel per la medicina nel 1973, Lorenz ripercorre la sua storia personale e quella delle sue osservazioni iniziate fin da bambino e che lo portarono, intorno ai vent'anni, giovanissimo appassionato di biologia, a porre le basi di quella che sarebbe in seguito diventata l'analisi comportamentale comparata degli animali e dell'uomo. Lo studio del comportamento animale ebbe sempre per Lorenz significativi punti di contatto con la filosofia, la psicologia e la sociologia, portandolo a chiarire non soltanto molti aspetti di quello umano ma progressivamente a definire una nuova interpretazione del rapporto tra l'uomo e la natura, una visione organica che lo rese uno dei pionieri della moderna ecologia. L'aspirazione a diffondere un'idea più armonica e rispettosa della convivenza tra gli esseri umani e il mondo naturale sono alla base della sua opera scientifica che è divenuta un vero e proprio messaggio di moderno umanesimo. Questi scritti autobiografici sono un'occasione per scoprire, o riscoprire, lo scienziato che ha cambiato per sempre il nostro sguardo sul mondo animale. -
Il mondo segreto dei warli. I dipinti senza tempo di un popolo dell'India
Scoperte dal mondo dell'arte solo negli Anni Settanta del Novecento, le pitture monocrome della cultura warli sono basate su motivi geometrici e figure di forma triangolare e si distinguono dalle pitture popolari policrome della tradizione indiana. Il bianco che si staglia sulla superficie delle pareti di fango rosso-bruno, all'interno delle abitazioni, sembra abbagliare come per magia l'ambiente durante la stagione dei matrimoni. L'interno del chavuk, il quadrato magico, si anima di paesaggi dove si intersecano e moltiplicano figure umane e animali in continuo movimento sincronico, sciamani e streghe, alberi fantastici ed elaborati motivi decorativi: al centro, la figura della Dea Madre che attribuisce alle donne warli poteri particolari, perché generatrici di vita. La pittura warli con la sua esuberanza e vitalità è un flusso ininterrotto, le cui origini sono rintracciabili nel tempo remoto della storia dell'Uomo: sono infatti singolari le continuità culturali e iconografiche con le pitture rupestri mesolitiche dell'India centrale; ma è al tempo stesso un'arte inesauribile e in grado di reinventarsi, proiettata nel futuro e fonte di ispirazione per l'arte contemporanea. Roberta Ceolin, studiosa e collezionista, ha visitato per i suoi interessi storico-artistici, archeologici e antropologici molti Paesi dell'Asia, compiendo ricerche sul campo sulle popolazioni indigene del subcontinente indiano. Ha pubblicato svariati articoli su riviste specialistiche e organizzato mostre sull'argomento in Italia e all'estero; ha collaborato con enti culturali e tenuto lezioni e conferenze in diversi atenei, tra cui Università Ca' Foscari di Venezia, Università La Sapienza di Roma e Università degli Studi di Milano. Le sue collezioni del mondo tribale indiano sono state ospitate anche in prestigiose sedi museali; ultima, in ordine di tempo, al Museo del Gioiello di Vicenza. -
Le arti marziali tradizionali cinesi in epoca moderna. Ignoranza e decadimento
«Questo tipo di ignoranza culturale-marziale, ormai tramandata e consolidata da oltre un secolo, è la causa dell'inefficacia di tali tecniche, e quindi il decadimento di quelli che oggi sono definiti erroneamente stili tradizionali, i quali, assurti ormai a verità assiomatiche, rendono estremamente difficile invertire questa tendenza alla mediocrità». Così questo libro annuncia l'oggetto delle sue pagine: la diffusione dell'ignoranza e della mediocrità all'interno delle scuole di arti marziali tradizionali cinesi e non solo. La trattazione che ne segue è una sorta di genealogia di questa involuzione che, nella prosa spesso scanzonata di De Angelis, tocca campi differenti, dalla politica, all'educazione, dalla filosofia e religione, alla stessa vita sociale, offrendo paragoni e differenti riflessi da Oriente a Occidente, dal passato al presente e viceversa. Tuttavia, per l'autore, questa involuzione è iniziata diversi secoli fa, quando l'arte marziale ha avviato un processo di alienazione dalle tecniche militari, quando l'abilità ha ceduto il posto all'esteriorità, la pratica reale all'idealizzazione del movimento, la competenza alla mediocrità. De Angelis, ripercorrendo delle tappe importanti della cultura cinese, analizza e spiega nel dettaglio i concetti e le teorie marziali più rilevanti, dandone la giusta connotazione in un mare di credenze impeccabilmente false. -
La vera storia di Turandot e del principe Calà
Epiche battaglie e atti di eroismo, vili tradimenti e vendette spietate, fughe e peregrinazioni attraverso le steppe dell'Asia centrale, ospitalità misericordiosa e colpi di fortuna, gesti di lealtà, sacrifici e ricompense, accompagnano il principe Calaf verso l'incontro fatidico con Turandot. Inizia così una storia ormai nota a tutti, quella di Turandot, la bella principessa della Cina, gelida e spietata, vinta solo dalla forza dell'amore e del coraggio di un principe temerario e innamorato che, sostenuto dalla sua cultura e dalla sua passione, risolve i famosi inestricabili enigmi. Una storia resa indimenticabile dalla versione che il genio musicale di Giacomo Puccini ha portato alla ribalta in tutti i teatri del mondo. Ma Puccini non ne racconta che una parte, il cuore. -
L' inizio della retta guida
"L'inizio della Retta Guida"""" tratta le cose più importanti che un musulmano aspirante alla perfezione deve apprendere e praticare, e precisamente, nella prima parte gli atti di culto da eseguire; nella seconda parte, i peccati da evitare, sia quelli del cuore sia quelli delle membra; nella terza e ultima parte, le norme da osservare nelle relazioni sociali. Ma il lettore non si lasci ingannare: non si tratta di una sequela di precetti da seguire, ma è bensì una raccolta di istruzioni spirituali. L'autore raccomanda la Bidayah al-Hidayah in quanto la hidayah - direzione - frutto della scienza e corrispondente alla pietà, ha un principio - bidayah - che è l'aspetto esteriore della pietà, e un punto d'arrivo - nihayah, - che invece è l'aspetto in-teriore della stessa pietà. Il libro, dunque, è d'introduzione alla nihayah, la quale comprende «segreti, profondi misteri, conoscenze e rivelazioni», segno evidente che l'autore intende parlare a persone elette, dedite allo studio, desiderose di perfezione e dedite a un determinato metodo di vita." -
Yukio Mishima. Enigma in cinque atti
«Spero di trovare una morte conforme al mio sogno di sempre, una morte degna del rivoluzionario e del reazionario che sono», così ha lasciato scritto il francese Pierre Drieu La Rochelle, suicida nel marzo del 1945, sul finire della seconda guerra mondiale. In quello stesso anno, in estremo Oriente, agli antipodi dell'Europa, sopravvissuto ai bombardamenti americani, il ventenne Kimitake Hiraoka diventava definitivamente Yukio Mishima, il quale venticinque anni dopo avrebbe saputo darsi una morte spettacolare e scandalosa, in perfetta aderenza alla figura di rivoluzionario reazionario con cui aveva nel frattempo inteso costruirsi anima e corpo. Secondo l'antico rituale samurai del seppuku, il 25 novembre del 1970 si uccideva uno dei più grandi scrittori del Novecento. Ponte culturale tra Oriente ed Occidente, Mishima è stato l'artefice e il carnefice della propria gloria letteraria. Poche altre scritture scuotono e percuotono, affascinano e respingono, inquietano ed esaltano in misura così intensa, offrendo il proprio contenuto composto da una carica esplosiva, urticante, dentro la forma cristallina di una prosa elegante e sempre controllata. Il pensiero poetante e letterario di Yukio Mishima è un corto circuito tra il medioevo più feudale, gerarchico e guerriero, ed una modernità talmente avanzata da anticipare il postmoderno. Fuori da ogni stereotipo, la ricerca di Danilo Breschi propone una completa analisi della vita e dell'opera dello scrittore giapponese. Il suo enigma è circumnavigato ed interrogato attraverso autori affini per gusto e destino, da Kierkegaard a Dostoevskij, da Burke a Rilke, da Pirandello a Camus, da Baudelaire a D'Annunzio, da Nietzsche a Kundera, da Proust a Cioran, da Wilde a Miller. Questo libro intende restituire Mishima alla sua grandezza, originalità e insanabile contraddizione di artista. -
Gobetti. Un'idea dell'Italia
«Nella mia vita Gobetti è stato l'inalterabile punto di riferimento, il costante termine di paragone, nelle convergenze, nelle discussioni, negli approfondimenti, anche nelle revisioni». Così scrive Giovanni Spadolini nella prefazione al volume. Il libro raccoglie tutti gli scritti su Gobetti e il gobettismo sparsi nel corso di mezzo secolo di immutabile fedeltà gobettiana dell'autore. Nessun italiano di questo secolo ha avuto una così alta idea dell'Italia e nessuno ha insieme scrutato quanto fossero profonde le crepe, gli squilibri, le eredità negative della vita e del costume italiano fino a giudicare, con spietatezza rivelatrice, lo stesso fascismo come «l'autobiografia della nazione». Ricordare Gobetti vuol dire guardare a un'altra Italia, quella in cui egli credette e per la quale si sacrificò intero, «perché dalla nostra sofferenza nascesse uno spirito, perché nel sacrificio dei suoi sacerdoti questo popolo riconoscesse se stesso». Contro tutti i compromessi tradizionali della storia italiana, Gobetti richiamò al coraggio dei propri ideali, all'assunzione delle proprie responsabilità, all'eroismo del proprio impegno: vero esempio di eroe borghese - come lo definì Eugenio Montale, che disse di lui: «il compagno di strada, eguale a noi, migliore di noi, l'uomo che fu cercato invano da una generazione perduta, l'uomo che noi ci ostiniamo a cercare ancora nella parte più profonda di noi stessi». In Gobetti dominava un fondo di idealismo tragico. La pugnace laicità liberale di Gobetti si riassume per noi in queste parole: «La sicurezza di essere condannati - la crudeltà inesorabile del peccato originale per usare forme mitiche di espressione - è la sola che possa dare l'entusiasmo dell'azione, con la responsabilità, con il disinteresse». Quasi un Ecclesiaste laico. -
Breviario dei politici. Testo latino a fronte
Queste massime, dedicate alla caccia al potere politico nell'Europa del Seicento, ignorano le astrazioni che sorreggono la politica e il potere, e sono dedicate al singolo individuo che vuol prevalere sugli altri. È un breviario sui generis di massime morali (o immorali, ma intelligenti), scritte da uno che parla di sé e le ha collaudate, non nella riflessione libresca, ma nella vita attiva e tumultuosa. Un breviario del politico che si dedica agli affari altrui, con lo scopo finale di provvedere nel modo più efficace agli affari propri. I connotati specifici sono quelli del cardinale Giulio Mazzarino, per quanto la fonte di questo piccolo scritto non sia documentata. Ma non si può escludere che egli sia proprio l'autore, e non solo il personaggio rappresentato: anzi, è l'ipotesi più plausibile. Il testo, in latino di cancelleria un po' stentato, fu pubblicato più volte fra il 1684 e il 1723, in edizioni arricchite via via di alcune aggiunte. Di solito si presenta al lettore italiano la traduzione del 1698, mentre la presente è una traduzione d'oggi. Essa è ricavata dalla più recente fra le edizioni antiche (più ampia di quella utilizzata dal traduttore seicentesco). L'ultima edizione con la traduzione italiana seicentesca, ripubblicata da Giovanni Macchia, seguiva il testo del 1684. Al momento, la presente edizione, con testo latino a fronte e traduzione in italiano, è semplicemente la più completa in assoluto. -
Scritti danteschi
Questi scritti raccolti e presentati a distanza di cento anni dalla loro prima pubblicazione e praticamente inediti, ci mostrano un Pirandello attentissimo studioso dell'opera di Dante: dimostrano come il Maestro siciliano conoscesse alla perfezione le terzine dell'Alighieri. L'ultimo scritto, ""La commedia dei diavoli"""" e """"La tragedia di Dante"""", è il testo, riveduto e ridotto in forma di saggio, di una lettura tenuta da Pirandello in Orsanmichele il 3 febbraio 1916, pubblicato nella Rivista d'Italia (settembre 1918) e mai raccolto in volume. A mero titolo di esempio della profondità con la quale Pirandello affronta le Cantiche dantesche, e della meravigliosa """"penna"""" con la quale riusciva a dare ai suoi pensieri forma esatta, compiuta e magistrale, egli scrive: «Vediamo per effetto del suo passaggio in mezzo all'eterno di questo mondo, a mano a mano destarsi una vita momentanea che la potenza dell'arte fissa in atteggiamenti eterni, e non pensiamo più che questo transitorio nell'eterno, divenuto per potenza d'arte a sua volta eterno, non è certamente per il poeta com'è per noi. Noi vediamo il fatto - così eternamente fissato - dov'egli vedeva e sentiva ancor nuova e calda la sua fattura; cioè, noi vediamo il sentimento del poeta - divenuto quasi realtà fuori di lui - consistere nella rappresentazione ch'egli ne ha fatto; ma questa consistenza con un carattere d'eternità che il sentimento oggettivato del poeta ha per noi, non poteva averla per lui che vedeva ancora invece l'atto del crearla a mano a mano che la materia gli consisteva dentro, quand'era ancora caldo quel sentimento momentaneo per cui, ad esempio, Farinata - proprio ora - in quel gesto gli si levava dall'arca «dalla cintola in su», o Francesca e Paolo gli s'appressavano al grido affettuoso per narrargli i loro dolci sospiri»."" -
Vita di Napoleone raccontata da lui medesimo
La figura di Napoleone Bonaparte è di tale complessità che la sterminata letteratura e ricerca storica fiorita su di lui e la sua epoca non si è ancora esaurita dopo più di duecento anni. Eppure, questo breve libro sotto forma di autobiografia, da solo potrebbe bastare per capire la parabola straordinaria di quest'uomo. Nel 1817 a Londra l'editore Murray pubblica il testo con un titolo intrigante, Manoscritto giunto da Sant'Elena in maniera sconosciuta e senza precisare l'autore... Tutti o quasi credettero che fosse stato scritto da Napoleone, che dal 1815 viveva relegato su quell'isola inaccessibile dell'Atlantico, immaginando che fosse riuscito a far giungere in Europa clandestinamente la storia delle sue imprese. Il successo fu clamoroso e nello stesso anno il libro fu ristampato da Murray ben quattro volte. Fu tradotto in inglese, pubblicato a Bruxelles e a Francoforte, mentre in Francia fu proibito. Come sempre avviene, la proibizione rese l'opera ancora più interessante e presto cominciò a circolare clandestinamente, mentre i lettori continuavano a chiedersi se Napoleone ne fosse veramente l'autore oppure no. Con il suo stile sobrio e vigoroso, ripercorre tutte le tappe della sua ascesa, dalle folgoranti vittorie della giovinezza, alla presa del potere con il Consolato, fino ai trionfi imperiali e alla partenza per l'esilio definitivo dopo i Cento Giorni. Una sintesi magistrale che restituisce al lettore tutta la passione e il genio di un grande della storia dell'umanità. -
Il furente Giovannino. Vita e vitaccia di Guareschi
Scrive l'autore nella premessa: «E c'è questo mio libro. Libro? L'ho scritto perché anche le mie radici sono affondate nella Bassa, sulla stessa riva del grande fiume, dove abbiamo tutti quest'animaccia comune che ci spinge avanti, annodando un fiato all'altro. Perché Guareschi ha lasciato su questa riva tante e poi tante di quelle cose sue, che è quasi come se ci fosse ancora, in carne, ossa e baffi. Ora, non mi si chieda di dare definizioni su quanto ho scritto: ho raccontato di Guareschi, ma anche di me, anche di noi, la gente qualunque, la gente amica. Non mi si dica che è una biografia: mi metterei a ridere. Questa è una pedalata sull'argine quando si fa sera. Respiri forte l'aria del tramonto, non ce l'hai alfine con nessuno e, se una campana rintocca lontana, ti pare di ascoltare i preludi della Traviata. I ricordi sono carezze. So già che quanto ho scritto non piacerà a certa cultura e ancora meno sarà gradito a certa politica. Non m'importa, perché anche Guareschi, prima di me, rifiutò sempre, ovunque e con chiunque, i guinzagli di certa cultura e di certa politica. E quando il gran pettine che, da quarant'anni a oggi, pretende di dividere i pidocchi buoni da quelli cattivi lo spiaccicò proprio tra quelli cattivi, lui, lo stesso, mantenne liberi cervello e anima. Restò umile con gli umili e arrogante con i potenti e pagò di persona la sua libertà fino all'ultimo fiato. Morì di malinconia, di delusione, di rabbia, non di cinismo. Che poi non è ai politicanti che debbo rendere conto con queste pagine, né ai bacchettoni della cultura postbellica, né solo al giornalista Guareschi o solo allo scrittore, disegnatore, contadino Guareschi. Io devo unicamente rendere conto all'Uomo Guareschi, ai suoi ventitré lettori e al ventiquattresimo, che sono io. Questo ho fatto. E l'ho fatto usando anch'io un vocabolario che conta, sì e no, duecento parole, le stesse che adopera ogni giorno la gente comune per comprendersi e sopravvivere in questa Torre di Babele dove sono stati inventati milioni di parole per cancellare i fatti». -
Vita di G.B. Bodoni. Con uno scritto di Giovanni Mardersteig
Come si può entrare nella storia dell'umanità esercitando il semplice mestiere di tipografo? Quanti ce ne sono stati prima di Bodoni e quanti dopo? Incalcolabile il numero. Ma del par suo, la storia della tipografia e dell'editoria degli ultimi secoli ne conta pochissimi. E di questi, ancora meno hanno raggiunto fama eterna e sono diventati degli esempi da imitare: per estensione del lavoro e creatività generale, possiamo accostare a Bodoni solo un altro genio della stampa, Aldo Manuzio. Bodoni si è occupato di libri straordinari, ha inventato e disegnato un carattere tipografico che ha preso il suo nome, si è occupato di alfabeti ""lontani"""" e ha compilato il più interessante e perfetto dei """"campionari"""", il Manuale tipografico, pubblicato postumo dalla """"vedova"""" nel 1818 in quella Parma che gli aveva dato i secondi natali e nella quale potè costruire il suo genio. Per apprezzare appieno la maestria di Bodoni bisogna avere avuto la fortuna di sfogliare i suoi libri, averne toccato la carta che """"crocchia"""", bianchissima, in contrasto furibondo con il nero timbrato del carattere """"bodoni"""", che nella pagina di ampie dimensioni trova la sua naturale spettacolarità visiva. Colpisce dei libri stampati da questo maestro della tipografia, la marginatura perfetta della pagina, il timbro del carattere assolutamente inconfondibile e un rapporto tra la gabbia del testo e il margine bianco della pagina così meravigliosamente esatto da lasciare storditi. Questo libro racconta la vita di Bodoni negli aspetti più sconosciuti e in quelli che hanno costellato di successi il suo lavoro, facendoci entrare timidamente nella sua tipografia per uscirne a braccetto insieme a lui, affascinati e innamorati."" -
Il garbuglio diplomatico. L'Italia tra Francia e Prussia nella guerra del 1866
L'autore analizza un periodo storico estremamente complesso, che ha gettato le basi per quella che è l'attuale struttura politica e territoriale dell'Europa. La guerra del 1866 dell'Italia alleata della Prussia contro l'Austria è ricordata per le sconfitte di terra a Custoza (24 giugno) e di mare a Lissa (20 luglio). Alla loro origine stava il modo con cui il governo presieduto fino alla vigilia della guerra dal generale La Marmora, a capo anche del Ministero degli Esteri, aveva condotto le trattative diplomatiche con la Francia. La Marmora e ancor più il ministro italiano a Parigi, Nigra, furono irretiti da Napoleone III. Questi aveva spinto l'Italia ad allearsi con la Prussia e nello stesso tempo sostenuto l'Austria contro la sua rivale tedesca, ingiungendo surrettiziamente all'Italia stessa di non combattere con determinazione. Dopo Custoza l'esercito italiano, che aveva subito perdite inferiori a quelle austriache, ripassò il Mincio e fu per oltre due settimane come paralizzato; mentre il generale Cialdini, che aveva condiviso con La Marmora, capo di Stato Maggiore, dimessosi alla vigilia della guerra dalle cariche governative, la responsabilità delle operazioni militari, tardò ad attraversare come nelle attese il Po e dar battaglia all'esercito austriaco. La pace di Praga del 24 agosto tra Austria e Prussia consentì a quest'ultima, vincitrice il 3 luglio a Sadowa, di raggiungere i suoi obiettivi territoriali ed egemonici sulla Germania, frustrando Napoleone III, che intendeva lucrare territori lungo il Reno in seguito al suo intervento di mediazione del 4 luglio. La pace di Vienna del 3 ottobre dell'Italia con l'Austria, se consentì alla prima di ottenere il Veneto, amareggiò l'opinione pubblica nazionale per il modo con cui avvenne la cessione di Venezia: non direttamente dall'Austria, ma dalla Francia, che l'aveva ricevuta in pegno della sua mediazione. A ciò si doveva aggiungere la delusione per la mancata unione all'Italia del Trentino e delle terre giuliane. Un quadro esaustivo e approfondito che permette al lettore di avere una visione precisa e completa dell'Italia che si stava costruendo un posto tra le grandi potenze europee. -
Cesare Merzagora. Un liberale europeista tra difesa dello Stato e anti-partitocrazia
Nel panorama politico-istituzionale dell'Italia repubblicana, Cesare Merzagora simboleggia l'immagine di uno statista senza dubbio atipico poiché, pur tra i padri della rinascita del paese dopo il secondo conflitto mondiale, fu certamente tra coloro che denunciarono con veemenza la corruzione governativa. Personalità libera, non esitò mai a biasimare le gravi manchevolezze del sistema; antifascista, criticò sempre un certo tipo di antifascismo viscerale e di maniera. Il suo complesso percorso istituzionale di uomo liberale, liberista, europeista e anticomunista, fu contraddistinto dall'intransigente difesa dello Stato e dalla perentoria condanna del sistema partitocratico. Queste furono, accanto all'impegno per la costruzione di un'Europa politicamente unita, le direttrici perseguite da Merzagora nel corso di tutta l'esistenza, con tenacia e continuità, nelle quali confluirono le sue esperienze di economista, di industriale, di politico, di diplomatico, di giornalista, di musicista, di scrittore, di scultore, in una sintesi armonica ed equilibrata. Fedele agli insegnamenti di Alcide De Gasperi e dunque contrario a ogni forma di nazionalismo, ritenne essenziale, per il paese, un ruolo da protagonista nel processo di integrazione europea. Nel ridimensionamento dell'assemblea parlamentare, Merzagora scorgeva un grave pericolo per la democrazia del paese e si rammaricava che buona parte delle stesse forze antifasciste non sembrassero avvertire tale rischiosa situazione. Le sue preferenze furono sempre espresse per la costituzione di un governo centrista ed europeista, direttamente appoggiato dai partiti laici, in grado di dimostrarsi sensibile alle richieste del mondo produttivo e della borghesia, capace di accogliere al suo interno un elevato numero di tecnici. -
Canone buddhista. Discorsi brevi
La coincidenza di «essere» e di «pensare» forma uno dei caratteri più evidenti della filosofia buddhista e giustifica la sua disciplina ascetica, fondata sull'approfondimento dell'elemento cosciente e sull'ampliamento della sua sfera di azione. Ciò conferisce al Buddhismo un tono continuo di distacco, di freddo realismo, di chiarezza astratta, e in certo modo lo rende comprensibile all'uomo moderno, portato alla critica spietata di se stesso e dell'obiettiva valutazione del mondo dei fatti. L'uomo è quindi di per sé, senza saperlo, un Buddha, cioè la perenne attuazione della bodhi: il fatto di «svegliarsi» alla conoscenza di ciò, rappresenta la sua liberazione. I Sutta (propriamente ""fili"""") sono libri o testi autonomi che contengono i discorsi del Buddha; la caratteristica fondamentale dei sutta è quella di formare, ognuno di loro, un'unità indipendente sì che pur potendosi raggruppare per analogia di contenuto, restano l'un l'altro a sé stanti. Redatti in una prosa familiare, che rende la loro lettura piana e gradevole, intercalata di strofe che sono le formule mnemoniche per poterle trasmettere, permettono la comprensione di profondi significati della dottrina buddhista. Tra i vari testi qui tradotti spicca il Dhammapada (I versi della Legge) con il quale inizia questa raccolta, uno dei più fedeli specchi della morale buddhista, così chiamato perché nei suoi 26 capitoli sono enunciati i molteplici aspetti dell'insegnamento del Buddha, basato sul costante assoggettamento di se stessi alle sottili discipline dell'attenzione, della concentrazione mentale, della meditazione; il Dhammapada è una delle opere più venerate del mondo buddhista, di notevole valore letterario e artistico, tale da arrivare a """"toccare"""" anche il lettore meno esperto e preparato sull'argomento.""