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Uno spazio tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto
Valerio Valeri ha rappresentato uno dei punti più alti e significativi del pensiero antropologico contemporaneo. Italiano, affetto da «una profonda attrazione e repulsione per l'esotico», situato per nascita e cultura «ai confini tra quanti creano l'antropologia e quanti ne sono creati», aveva scelto la sua disciplina sulla base di un profondo bisogno filosofico. La carriera dell'antropologo gli era sembrata anzi «la logica conseguenza della filosofia moderna». Se l'unità e il senso del mondo, secondo l'insegnamento di Kant, poggiano sull'uomo, se è l'uomo a costituirne il fondamento e il soggetto, si trattava di rendere più chiara la natura collettiva e condivisa di questa soggettività trascendentale, applicando il principio dell'identità non a un Io universale, ma all'Io di una cultura, di un gruppo particolare. La «morte della filosofia speculativa» aveva insomma comportato per la generazione di Valeri - quella del Sessantotto e dintorni - un bisogno pressante di contatto con la realtà: «volevamo fare ancora i filosofi, ma solo nella nostra lotta metodologica con la concretezza dell'attività umana». In controtendenza rispetto alla gran parte della sua generazione, però, Valeri non si concentrò sullo studio delle moderne società capitalistiche. Come racconta nel saggio di apertura di questo volume, che è anche uno straordinario esempio di autobiografia intellettuale, la sua vocazione lo portava a dare più importanza alla periferia che al centro, «agli attori marginali più che a quelli centrali». Fu così che Valeri si trasferì in America e da lì si mise al lavoro. Ne nacque una pratica di ricerca sul campo che si applicò soprattutto agli studi sulla popolazione Huaulu, in un'isola del Pacifico, e che gli consentì di ripercorrere con risultati profondamente innovativi i temi classici del pensiero antropologico: il tabù, il sacrificio, la sacralità, la regalità, il rito.In bilico tra esperienza e teoria, stimolata da un continuo confronto critico con i grandi modelli di Lévi-Strauss e di Dumont, la ricerca di Valeri si muove tra l'analisi delle interconnessioni che tengono insieme una società e il senso profondo delle lacerazioni e dei conflitti che la attraversano. E sono lacerazioni e conflitti che trovano la loro prima espressione problematica proprio nel soggetto chiamato a rappresentarli. -
Santa Maria del Fiore. Il Duomo di Firenze e la Vergine incinta
Quali sono le intenzioni celebrative, i significati progettuali, le valenze simboliche che si nascondono dietro la fabbrica del Duomo di Firenze? Che cosa portò i fiorentini, nel corso di un secolo e mezzo, dalla fine del Duecento a metà del Quattrocento, a porre mano a quella che fu a quel tempo la più grande chiesa della cristianità? Perché se ne cambiò la dedica originaria a Santa Reparata, scegliendo di porre al centro la figura della Vergine nell'atto di apprendere la notizia della sua futura, divina maternità?Se da un lato è evidente il parallelo con l'altro grande edificio dedicato a Maria dalla vicina e rivale Siena, altrettanto chiaro è l'intento di differenziare il progetto fiorentino dai modelli già esistenti, facendone una summa dei luoghi simbolici cruciali dell'universo cristiano.E' un progetto che si manifesta innanzitutto nella forma architettonica. Il Duomo di Firenze si propone di realizzare la fusione tra i due modelli della tradizione cristiana: la pianta a croce latina e quella a forma ottagonale. Nel progetto di Arnolfo di Cambio, il rapporto tra il preesistente Battistero ottagonale, situato sulla piazza di fronte alla facciata, e il corpo rettangolare della navata trova il suo corrispettivo speculare e simmetrico nella pianta ottagonale del coro. Battistero, navata e coro vengono tutti disposti su un unico asse. Proprio a risolvere il problema della copertura della vastissima superficie ottagonale del coro così sarà chiamato il genio di Brunelleschi, con l'arditissima progettazione della cupola.Ma un secondo elemento balza agli occhi; ed è la voluta nudità dell'interno della basilica, a fronte della ricchezza policroma dell'esterno; ancor più, l'assenza o la marginalità di richiami alla Vergine nella iconografia interna. Perché così poche immagini della Madonna, nella più grande chiesa a lei dedicata? Il fatto è che l'intero edificio, nella sua globale monumentalità, è chiamato a evocare il luogo centrale di tutta la dottrina cristiana: il matrimonio mistico tra Dio Padre e la Chiesa, di cui la Madonna è figura e metafora. La compenetrazione tra il rettangolo e l'ottagono, ventre e corona della Vergine incinta, è la geniale soluzione che il Duomo di Firenze si incarica di incarnare.La penna magistrale di Irving Lavin disvela così la chiave di un programma architettonico e simbolico che fa del Duomo di Firenze uno dei documenti emblematici dell'intera cultura dell'Occidente cristiano. -
Rosa. La letteratura del divertimento amoroso
Il romanzo rosa è un genere letterario di straordinaria diffusione. Ha come argomento il contatto tra donna e uomo, e viene letto come un manuale del comportamento amoroso. È venduto in milioni di copie in tutto il mondo. Rosa è il colore dell'eros; di un eros tenero, ansioso, triviale. I romanzi e le illustrazioni di questo colore sono agganciati al mutamento sociale e si trasformano rapidamente tenendo d'occhio le condizioni collettive. Parlano la lingua di tutti. Rosa è il colore di una serie di generi - il fotoromanzo, il teleromanzo, il romanzo, il fumetto, l'articolo di cronaca. È una nuova classe del discorso della cultura mediale.Il romanzo rosa è un genere non innocuo, che sta trasformando il modo di leggere e scrivere la letteratura. Il lettore femmina, la diffusione planetaria, la visione dal buco della serratura sono gli sconcertanti termini di una mutazione che riguarda un antico pilastro della letteratura: le storie d'amore.In questo libro Michele Rak ricostruisce la filosofia del rosa nella cultura mediale, la sua posizione nei processi di trasformazione della lettura dei paesi europei, la sua funzione di regolatore del costume amoroso. Da questo punto di vista si possono osservare le mutazioni della letteratura e dei linguaggi della comunicazione. È possibile così scoprire alcune componenti del mutamento culturale: la penetrazione della letteratura seriale, la scrittura alla plastilina e al silicone, l'importanza del divertimento amoroso.Ne scaturisce un'analisi tagliente, rigorosa, sofisticata: un libro sul mutamento culturale e sulle trasformazioni della letteratura e delle altre arti che scopre le motivazioni di un costume, di un linguaggio e di un nuovo modello letterario. -
Lo stato sociale in Italia 1999. Rapporto annuale Iridiss-Cnr
Due sono le linee di lettura, tra loro strettamente connesse, lungo le quali si muove l'analisi del welfare condotta come ogni anno dall'Istituto di ricerca sulle dinamiche della sicurezza sociale (Iridiss) nel suo Rapporto annuale, e sinteticamente riconducibili a due coppie di termini: equità/iniquità e inclusione/esclusione. In questo quadro, il Rapporto sviluppa temi come quelli dell'equità redistributiva, delle forme di esclusione rilevabili nel sistema formativo, delle ambiguità connesse all'alternativa tra razionalizzazione e razionamento nell'ambito dei servizi sanitari, delle prospettive del settore assistenziale.Particolare attenzione viene dedicata ad alcune delle più recenti prospettive di sviluppo del sistema italiano di welfare, come nel caso della previdenza complementare regionale (il Trentino Alto Adige è la prima regione a muoversi in questa direzione) o in quello della ridefinizione delle strutture regionali che si occupano di mercato e politiche del lavoro (a partire dal caso della Campania, visto peraltro in termini comparativi rispetto alle altre regioni italiane). -
Goethe. L'insidia della modernità
L'esperienza umana e letteraria di Goethe è stata davvero straordinaria. Non è esagerato dire che nella sua vicenda biografica si condensa uno dei nodi cruciali di tutta la nostra cultura. In questo libro, in assoluto equilibrio tra rigore e racconto, Marino Freschi istituisce un rapporto diretto con l'autore del ""Faust"""", ricostruendo anzitutto il clima storico-culturale di quell'epoca che è stata chiamata l'«età di Goethe». La storia della vita di Goethe si dipana così dagli anni dell'infanzia e dell'adolescenza a Francoforte, ancora «goticamente» medievale, all'esperienza con la cultura illuministica e rococò a Lipsia, passando poi all'illuminazione della propria vocazione poetica a Strasburgo. E' qui che sorge lo """"Sturm und Drang"""", culminato nella epocale intuizione dell'insidia nichilistica che pervade la modernità. Una tale crisi, cruciale per la storia spirituale della cultura tedesca ed europea, ha sollecitato l'attenta e insieme travolgente raffigurazione del """"Werther"""". La sofferta riflessione sull'inquietudine stürmeriana si risolve nella geniale accettazione di collaborare al governo del ducato di Weimar, proponendo un audace esperimento di cooperazione tra aristocrazia illuminata e borghesia intellettuale, confortata dagli ideali di fratellanza mediati dalla concezione massonica della """"Humanität"""". La presa di coscienza dei cospicui limiti del tentativo weimariano, nonché la profonda crisi con l'amata, la gelida signora von Stein, cospirano per la straordinaria svolta determinata dalla fuga in Italia del 1786. Il lungo soggiorno romano, decisivo per la scoperta della classicità, significa per Goethe l'incontro con la fisicità del vissuto, nella ritrovata fiducia dell'attività poetica. Il ritorno a Weimar negli anni della Rivoluzione francese è connotato da un orgoglioso rifiuto di aderire alle mode francesizzanti, nonché di cedere a quella disgregazione spirituale che per Goethe affonda le proprie radici nel mondo sotterraneo dell'occultismo e della magia.La biografia critica di Marino Freschi propone dunque un'immagine di Goethe quale interprete e protagonista della cultura della modernità, che ha sollevato interrogazioni ancora oggi essenziali, al livello artistico, filosofico, scientifico e politico."" -
L' angelo del millennio. Gli ultimi giorni del Novecento
Un puntiglioso diario quotidiano di fatti che accadono in Europa e nel mondo in questo ultimo anno del secolo e del millennio. Storie minori e minime. Ma ogni storia si tinge di una carica emblematica; la sua ""morale"""", incerta e inquieta, come si conviene a ogni morale di fine millennio, si proietta nel futuro.Il 1° gennaio si apre con una telefonata a Eric J. Hobsbawm, il grande storico del Novecento e delle sue crisi: """"addio, secolo breve"""". Il 2 gennaio registra la goffa euforia di un funzionario sull'avvio dell'Euro; ma dopo la poesia, arriverà la prosa: al plurale si dirà """"euri"""" o """"euro"""", come al singolare? Il 7 gennaio, una notizia clamorosa: la MacDonald ha finito i Big Mac; avevano sbagliato le previsioni, avevano sottostimato il fabbisogno per il weekend. Mega-fusioni societarie, grandi scalate borsistiche più o meno """"ostili"""", società virtuali - in tutti i sensi possibili - che sbancano la borsa. E ancora: milioni e milioni di messaggi via posta elettronica; quando li potremo mai aprire tutti? E chi, invece, li aprirà al posto nostro, cacciando il naso nei nostri personalissimi affari? E alla fine, dopo cinquant'anni rispunta la guerra, ultimo suggello alle nostre inquietudini. Anch'essa si infila nel nostro quotidiano, ci pervade, entra nei nostri grandi discorsi così come nelle nostre piccole abitudini. Annuncia anch'essa il futuro? Compone anch'essa, con il rumore delle sue bombe, e forse ancor più con i suoi insinuanti tremori, le tessere del nuovo mosaico?L'angelo del nuovo millennio non ha suoni acuti e brillanti da cavare dalla sua tromba. Ha gli occhi piccoli e aguzzi. Deve averli."" -
Patrizi in un mondo plebeo. La nobiltà piemontese nell'Italia liberale
Come si comportarono le nobiltà europee nella fase della loro decadenza? Come vissero, cosa pensarono, in quali nuove classi sociali confluirono i «patrizi», in un mondo che si faceva «plebeo»? Questo libro affronta il problema attraverso uno studio analitico del caso italiano tra la metà dell'Ottocento e la prima guerra mondiale. Tutte le ricerche sul ruolo dei gruppi nobiliari nella società italiana si sono fin qui inscritte nel vivace dibattito sulla supposta debolezza della borghesia di questo paese. I vecchi approcci marxisti hanno sottolineato l'arretratezza delle classi medie e la loro predisposizione al compromesso con gli elementi dell'aristocrazia «semifeudale». Una nuova leva di studi revisionistici ha messo in dubbio questa immagine di una subordinazione borghese, a favore di una visione che sottolinea la vitalità delle classi medie e la corrispettiva marginalità e impotenza dei vecchi gruppi aristocratici.Gli storici revisionistici, nonostante gli indubbi meriti, hanno però avuto il difetto di sottovalutare la funzione dei valori culturali, delle pratiche simboliche, e più specificamente dei meccanismi informali di prestigio e di influenza che servono a perpetuare l'identità di gruppo aristocratica. Cardoza si concentra sulla più significativa tra le nobiltà regionali dell'Italia unita, quella di diretta ascendenza sabauda, per studiarne, nel cinquantennio successivo all'unificazione, cambiamenti e continuità nei ruoli politici, nella ricchezza, nel comportamento economico, nelle preferenze pedagogiche e professionali. Condotta su una esplorazione completa dei documenti rintracciabili a Torino, la ricerca fornisce una quantità di informazioni non solo sulla struttura e la distribuzione delle fortune aristocratiche e alto-borghesi, ma anche sui circuiti familiari, sulle strategie successorie, sul rapporto tra proprietà terriera e investimento mobiliare. L'esame di carteggi e memorie private illumina ulteriormente gli aspetti più intimi della vita e dei valori aristocratici. Il ritratto che ne emerge contraddice il quadro di una rapida fusione delle vecchie e delle nuove élites e la conseguente marginalità delle nobiltà in età liberale. Nel caso del Piemonte, il ritmo del declino aristocratico fu più lento. Al dominio non si sostituì la decadenza, ma piuttosto lo sviluppo di forme più indirette di influsso. E la persistente importanza di una nobiltà di lignaggio e di patente nella vita pubblica risultò dall'appropriazione di nuove centralità economiche. -
L' eredità di Weimar
Quello della Repubblica di Weimar rappresenta uno dei più discussi e problematici capitoli della vicenda storico-politica del Novecento europeo: un avvenimento sul quale sempre di nuovo si riflette e si polemizza. Pionieristico tentativo di risposta antitotalitaria alla crisi dell'età liberale, ma anche clamoroso esempio di autodissoluzione di una democrazia. Luogo di sperimentazione del Moderno ma, al tempo stesso, manifestazione della sua più brutale e irrazionale negazione. Per questo, come giustamente osserva Gian Enrico Rusconi, «le lezioni di Weimar» non finiscono mai. E la vicenda di quella che è stata la prima repubblica tedesca continua ad accendere e a dividere gli animi. Tanto più oggi, quando la Germania, tornata nuovamente ad essere con la riunificazione uno Stato pienamente sovrano con Berlino capitale, si appresta ad affrontare il futuro del prossimo millennio, riannodando i fili spezzati della sua memoria storica. A causa del terribile shock del nazismo la storia della Repubblica di Weimar, la cui Costituzione venne promulgata ottant'anni or sono, nell'agosto del 1919, è stata troppo a lungo semplicisticamente ridotta a prologo, a preludio di una catastrofe: l'avvento al potere di Hitler. Oggi sappiamo che le cose stanno in modo assai differente: che quella di Weimar non fu una repubblica senza qualità. I due testi qui raccolti, introdotti e commentati da Angelo Bolaffi, costituiscono un autorevole tentativo di dare voce a questa nuova consapevolezza storiografica, nel contesto della mutata condizione geopolitica dell'Europa alla fine del «secolo breve». -
L'Europa. Storia di una civiltà
Che cos'è l'Europa, per Lucien Febvre? Che cosa rappresenta questo «continente» agli occhi del grande storico francese, nei mesi in cui si chiude il sipario dell'ultima e più distruttiva guerra europea (e perciò stesso mondiale)? Nelle pagine che vedono qui per la prima volta la luce (il testo inedito di un corso al Collège de France nel 1944-45), l'eco degli accadimenti nutre la rivisitazione dello storico. Il fatto è che l'idea di Europa sembra accamparsi sotto la bandiera di una inafferrabile vaghezza: «Un ideale, un sogno. Una estensione di territori estensibili a non finire». Fuori dalla storia, l'Europa, semplicemente non esiste.Ma allora, quando nasce l'Europa? Essa è figlia della disgregazione dell'unità mediterranea, ellenica e romana. Solo quando l'Impero romano crolla si danno le condizioni perché si possa cominciare ad aggregare una civiltà europea. Ma questa nuova realtà nasce da una grande mutilazione. L'Islam irrompe nel vecchio mondo greco-romano disgregandolo. Ed è contro l'Islam che nasce la costruzione carolingia, atto costitutivo dell'Europa in idea. Parte integrante di quest'idea fu, all'inizio, l'espansione di una cristianità concepita come il vero elemento unificante.Quel passaggio da un mondo mediterraneo a un mondo in cui il centro di gravità si sposta a nord ha determinato poi uno ""slancio europeo"""" che è stato soprattutto uno slancio economico. Scorrono così sotto gli occhi dello storico le successive incarnazioni europee. Europa, equilibrio di potenze. Europa, patria delle élites intellettuali del XVIII secolo. E, dopo la Rivoluzione, Europa nemica delle nazioni. Europa, infine, rimedio disperato dopo la catastrofe della grande guerra. L'Europa, insomma, non è una cosa semplice, non si incide bell'e pronta, sopra una tabula rasa. «Ciascuna parte d'Europa ha dietro di sé una terribile storia """"contro"""". Perciò l'idea di un dominatore che sottometta tutto l'Universo, è una idea vana. E, bisogna aggiungere, sanguinaria». Lo spettro del dittatore appena sconfitto domina le ultime pagine del libro. Febvre recalcitra all'idea di una unificazione europea. Non sono ancora maturi gli anni del rinnovato progetto europeista.A distanza di cinquant'anni è oggi possibile misurare l'enorme tratto di strada che l'Europa storica ha compiuto. Ma il testo di Febvre rimane un monito contro i facili entusiasmi europeisti. L'Europa può espandersi solo a patto di non prevaricare le altre civiltà: quelle che la compongono e quelle che ha di fronte."" -
La verità? È altrove. All'insegna del New Age
Il XX secolo si chiude in un crescendo di incertezza: i termini pratici e teorici delle prospettive future sembrano essere sempre più labili, mentre si fa più accentuata la rinuncia a ogni controllo razionale di sé e del mondo. All'insegna del new age è cresciuta, nel giro di pochi anni, una letteratura importante che invariabilmente proclama: La verità? è altrove. Dove sia, nessuno sa dirlo, ma a nessuno sembra importare molto stabilirlo. Altrove, cioè dovunque, in nessun luogo.Si assiste così a una rinuncia, tanto più serena in quanto né polemica né programmatica, alla nozione certa di verità. Preceduta da confusi e indecifrabili tremori, la galassia del pensiero new age irride a tutta la tradizione del razionalismo occidentale. Certo, la classica contrapposizione tra razionale e irrazionale non riesce a rendere conto di quell'ampia fascia delle esperienze umane che si situano nella zona dell'abitudinario, dell'a-razionale, in quella grigia radura in cui si svolge il vissuto quotidiano. Ma proprio a partire da questa impossibilità di un dominio razionale su tutto e su tutti, il pensiero new age lancia la sua sfida antirazionalistica. E' una sfida di cui Ferrarotti individua i cattivi maestri in alcuni pensatori post-razionalisti del secolo che si chiude, che l'hanno preparata e preceduta, primo fra tutti Gregory Bateson. Il mondo è potuto apparire, ai loro occhi, come un indecifrabile groviglio di eventi diversi che si assommano e si combinano fuori da ogni principio unitario. Posta in crisi non solo la comprensibilità, ma la stessa unificabilità dell'esperienza umana, ne consegue la caduta di ogni obbligo di coerenza interiore. E così il new age diventa un paravento dietro al quale nascondere una irresponsabile fiera dei comportamenti. Il programmatico ricorso alla emotività come unica chiave per le proprie scelte può scadere nella gratuità. I confini tra realtà e irrealtà possono farsi sempre più sbiaditi, e l'irrealtà diventare la ricetta a buon mercato per ogni fuga da sé.Il terzo millennio rischia così di aprirsi sotto il segno di un neo-misticismo che peraltro non riguarda tutta l'umanità, ma solo il suo segmento più prospero, pronto a farsi plasmare da quei venditori di irrealtà che sono fra gli imperatori dell'etere, i nuovi padroni del mondo. -
Spontaneamente. Testo inglese a fronte
"Adesso siamo come quel cono piatto di sabbianel giardino del Padiglione d'Argento a Kyotocongegnato perché appaia solo alla luce della luna. Vuoi che pianga?Vuoi che vesta a lutto? O che come la luce della luna sulla sabbia candidausi la tua oscurità per brillare, baluginare? Ecco, brillo. Ecco, piango"""" All'intersezione tra narrativa e trance estatica, la poesia di Tess Gallagher sorprende il lettore per il potere di coinvolgimento che si sprigiona dalla memoria e dai riflessi obliqui che il linguaggio stesso trae dalla propria ombra.Sia che parli della propria infanzia, elabori in maniera originale e intensa il lutto per la perdita del suo compagno, o crei personaggi fantastici dai suoi desideri più riposti, la Gallagher evoca alla mente del lettore una serie di immagini cariche di energia emotiva. Ci si ritrova dunque nel mezzo di una sorta di campo magnetico dove s'incrociano simultaneità e sequenzialità, dove il tempo subisce un'increspatura nel suo fluire, provocata dalla tracimazione di una vitalità che esige d'essere condivisa perché non può più essere costretta nei pur elastici confini della coscienza individuale.Scelte dall'intero arco della produzione poetica della Gallagher, queste poesie incarnano le qualità vibranti che la rendono una delle voci più originali nel panorama poetico americano dell'ultimo trentennio." -
L' inizio di una sedia. Testo inglese a fronte
"È vero, come ha detto qualcuno, chein un mondo senza paradiso tutto è addio.Sia che tu saluti con la mano o no, è addio, e se non ti salgono lacrime agli occhiè addio lo stesso, e se fingi di non accorgerti,odiando ciò che passa, è addio lo stesso."""" Chiunque sia in grado di pensare non può essere felice, dice Mark Strand, Ma io sono felice di esser vivo. Pensa all'alternativa !. La capacità concreta, e vitale, di riconoscere e vivere con i tragici paradossi del nostro mondo è una costante dell'arte di Strand. L'atmosfera pacata, rarefatta, raffinata in cui esistono e si sviluppano lacerazioni insanabili è in qualche modo descrivibile con una serie di ossimori, che nella sua poesia non agiscono tanto come forma retorica, quanto come figura dello spirito.Nei versi che l'autore ha espressamente scelto per questa raccolta, in cui si privilegiano i componimenti più recenti, si avrà esperienza della gamma di partecipato abbandono, doloroso piacere, ingenuo disincanto, indifferente amore, tragedia buffa, appassionata distanza, serena disperazione che pervade tutta l'opera di Strand." -
L' antipolitica. Viaggio nell'Italia del disincanto
In questi ultimi anni si è molto equivocato sul termine «antipolitica». Una categoria che per lo più viene utilizzata per designare un generico e «qualunquistico» rifiuto della politica. In realtà, le cose non stanno così. Da questa ricognizione dell'Italia del disincanto - immersa, come le altre democrazie occidentali, nei convulsi processi di secolarizzazione - emerge, piuttosto, una tendenza sorprendente. L'antipolitica, quel diffuso atteggiamento di indifferenza se non di esplicita ostilità verso la politica, è piuttosto l'altra faccia della politica. Di quella assoluta, onnicomprensiva e autoreferenziale, che ostinandosi a declinare impropriamente il linguaggio teologico - Fini Ultimi, Grandi Valori - non fa altro che produrre un'inesorabile spoliticizzazione. In realtà, nella presunta contrapposizione polemica, l'antipolitica non fa altro che riprodurre la vocazione spoliticizzante della politica assoluta, intensificandone l'esito nichilistico. Politica e antipolitica, pertanto, paradossalmente convergono, in quanto l'antipolitica è l'esito dell'esasperata politicizzazione della società. E una volta che la società è stata per intero politicizzata, la politica si socializza. Si diluisce a tal punto, cioè, che ormai ciascun soggetto sociale è legittimato a fare direttamente politica, senza più la liturgica mediazione dei partiti e della politica. È un male, è un bene? Staremo a vedere. -
Ad limina Petri. Spazio e memoria della Roma cristiana
Alle origini della Roma cristiana si situa una straordinaria rivoluzione degli assetti urbani, che è insieme fisica e simbolica, e che trasformerà la capitale dell'impero nel centro riconosciuto della cristianità, nel luogo da cui si irradierà il magistero del soglio di Pietro.Tra il Vaticano e le ultime falde del Gianicolo, nel circo di Nerone e negli horti che lo contenevano, si consuma, dopo il famoso incendio del 64, il martirio dei primi fedeli della nascente Chiesa di Roma. Negli stessi luoghi, più tardi, sarà crocifisso Pietro. E sempre in quello stesso sito, dove ora è l'altare maggiore della basilica Vaticana, le spoglie dell'apostolo troveranno sepoltura.La presenza di Pietro sabilsce il fulcro topografico della zona, meta, da allora e per due interi millenni, del più significativo tra i pellegrinaggi cristiani:. molti fedeli cristiani, spinti dal desiderio di mantenere una vicinanza a san Pietro, cercheranno accanto ad esso la propria sepoltura. E saranno per primi i pellegrini dell'Europa del nord a fissare ""ad limina Petri"""", almeno dal VII secolo, le loro strutture di ospitalità e i loro cimiteri. Qui ancora, insieme alle milizie romane, i pellegrini stessi moriranno per difendere la tomba dell'apostolo dai saraceni invasori. E proprio a presidio della memoria di Pietro, Leone IV costrurà, qualche anno più tardi, le prime mura della civitas che da lui prenderà il nome di Leoniana.Il volume di Lorenzo Bianchi ricostruisce le vicende dei luoghi e dei pellegrini nel corso dei secoli, ponendo via via in risalto testi ed epigrafi, tradizioni toponomastiche tardo-antiche e medievali, resti monumentali poco noti e dimenticati,che a fatica si riconoscono nel devastato tessuto urbano moderno.L'effetto, per il lettore, è sorprendente; mai come in questo caso la storia del sito coincide con la storia della sensibilità, della religiosità e del costume; diventa storia complessiva di una identità, che si materializza nella delimitazione e nella costruzione di uno """"spazio cristiano''."" -
La banda dei quattro. Cronache del più lungo e difficile negoziato agricolo europeo
Il libro racconta come l'Italia è riuscita a vincere il più difficile negoziato sulla politica agricola europea che mai ci sia stato, inserito nell'altrettanto difficile trattativa su Agenda 2000, il documento che indica le linee politiche guida per l'Unione Europea nei prossimi anni. E' la storia delle trattative intavolate dai quindici ministri europei sul nodo principale del futuro agricolo comunitario: conciliare pochi soldi con la necessità di far crescere l'agricoltura armonicamente. Il percorso del negoziato - e in particolare il ruolo giocato dall'Italia - vengono raccontati da dietro le quinte, spiegati sulla base delle testimonianze dei protagonisti principali e su documenti inediti.Attraverso l'analisi dei successivi documenti tecnici, affiancata dagli approfondimenti di chi ha partecipato al negoziato, viene anche illustrata la politica che il settore agricolo ha davanti e come è stata costruita. Ma soprattutto la Banda dei Quattro alza il velo sui retroscena - umani, politici e diplomatici - che hanno portato un paese, da sempre quasi assente dalla scena delle trattative europee, a dare vita a un modo di fare politica diverso e ad avere un ruolo di primo piano proprio nella fase di passaggio dell'Europa, e della sua agricoltura, dal vecchio al nuovo millennio. Ne emerge un insieme curioso e inaspettato di azzardo e calcolo, di diplomazia e capacità tecnica, di rapporti umani e politici: una commedia all'italiana - questa volta vincente - su un palcoscenico europeo. -
Norberto Bobbio. Un itinerario intellettuale tra filosofia e politica
Se Norberto Bobbio è divenuto assai presto uno degli intellettuali più prestigiosi dell'Italia repubblicana è perché si è segnalato sia come interlocutore critico della classe politica, sia come interprete originale delle più vivaci correnti filosofiche e giuridiche. Intervenendo nel dibattito pubblico, ha portato chiarimenti decisivi sul modo di intendere parole fondamentali del lessico politico, quali libertà, democrazia, pluralismo. Nel suo impegno accademico, invece, si è espresso nei più diversi campi del sapere, dalla filosofia alla teoria generale del diritto, dalla filosofia politica alla storia del pensiero. Le sue posizioni - formulate in scritti di una chiarezza esemplare - hanno suscitato polemiche famose, che hanno contribuito alla crescita della coscienza civile degli italiani.In Italia come in altri paesi, il pensiero di Bobbio è stato spesso studiato e ricostruito con riguardo a tematiche e ad ambiti disciplinari specifici: il filosofo del diritto separato dal filosofo della politica. L'opera di Bobbio però rappresenta un tutto unitario, e non si può comprendere il pensiero politico del filosofo torinese senza un'adeguata comprensione del suo pensiero giuridico. Lo stesso Bobbio si è sempre presentato come uno studioso che ha assunto «due punti di vista che si integrano a vicenda». Il punto essenziale sta dunque nella capacità di individuare, nell'itinerario bobbiano, una struttura di pensiero coerente, che si sviluppa in forme differenti lungo tre temi fondamentali: personalismo, liberalismo, democrazia. Ne risulta un percorso suggestivo che permette di riconnettere il personalismo filosofico-giuridico, la riscoperta della teoria delle élites e la difesa del pluralismo democratico. Un itinerario complesso dal quale emerge sempre un interrogativo pressante: quale rapporto c'è tra diritto e potere? In che senso devono essere considerati come «due facce della stessa medaglia»? -
Il popolo del 10 per cento. Il boom del lavoro atipico
I contratti di collaborazione coordinata e continuativa rappresentano la più importante novità che il nostro paese abbia conosciuto in questi anni nella regolamentazione delle prestazioni di lavoro. Da quando è stato istituito nel 1995 il prelievo contributivo del 10% (poi portato al 12) i lavoratori che si avvalgono di questa formula contrattuale sono cresciuti enormemente in numero: oggi superano il milione e mezzo di persone.La ricerca condotta dall'Ires (l'Istituto di ricerca economica e sociale della Cgil) che qui si pubblica consente per la prima volta di delineare un identikit, nazionale e in profondità, di questi lavoratori. Il ritratto che emerge dall'indagine smonta alcuni stereotipi correnti. Il primo è quello che in Italia vi sia una crescita costante del lavoro autonomo: in effetti la quota di lavoro autonomo rimane da mezzo secolo più alta rispetto ad altri paesi per il semplice fatto che quella del lavoro dipendente è da mezzo secolo più bassa.Il secondo è che i collaboratori sarebbero tutti lavoratori innovativi e futuribili. In realtà nella loro composizione pesano più i mestieri tradizionali che non la pur significativa presenza di figure e di mestieri nuovi.D'altra parte, non regge neanche l'idea che si tratti dei nuovi sfruttati del lavoro contemporaneo: accanto a lavoratori esecutivi troviamo una larga schiera di lavoratori della conoscenza, di professionisti e consulenti.Anche le domande e le aspettative di questi lavoratori rivelano una realtà plurale.La cosa che piace di più è l'autonomia nel lavoro. Apprezzata, anche se meno, è la flessibilità nella prestazione lavorativa.Le cose che invece piacciono di meno, come è naturale, sono da un lato l'insicurezza e la precarietà, dall'altro lato la scarsità di garanzie e di tutele.Un ritratto movimentato, che conferma il passaggio - peraltro ancora allo stato fluido - dalla società del lavoro alla società dei lavori. INDICE Il boom del lavoro atipico 1. Immagine e realtà del lavoro parasubordinato2. Parasubordinatri e lavoro autonomo3. Parasubordinati e lavori atipici4. Parasubordinati, oppure parautonomi?5. Fra subordinazione e autonomia: chi tutelare? I. Le nuove forme di lavoro post-fordista: il caso italiano di Giovanna Altieri 1. Le collaborazioni coordinate e continuative: una nuova forma di lavoro?2. Lavoro e tutele: una coppia in crisi3. Il mercato del lavoro: un'istituzione sociale4. Processi di atipizzazione del lavoro in Italia: dimensioni e tendenze in atto II. Atipici, ma quanto? di Giovanna Altieri e Cristina Oteri 1. Introduzione2. Foto di gruppo3. Le condizioni di lavoro: tra prescrizione e autonomia4. Il legame con il committente5. La durata e le condizioni previste dai contratti6. Il tempo di lavoro7. I redditi8. I luoghi di lavoro9. Libertà di scelta e condizionamenti del mercato10. Profili di parasubordinazione: tra omogeneità e differenze III. I problemi della regolazione socialedi Mimmo Carrieri e Salvo Leonardi 1. Fra autonomia e subordinazione: la parasubordinazione nel nostro sistema giuridico e previdenziale 2. Gli attuali fondamenti normativi della parasubordinazione3. Il progetto di legge Smuraglia4. Ci sono spazi per la rappresentanza collettiva?5. L'offerta di rappresentanza del sindacalismo confederale6. Primi passi della nuova offerta sindacale7. La necessità di nuove... -
Il ritorno di don Chisciotte. Clarin e il romanzo
Il compito che attende il romanziere nella Spagna della Restaurazione è per molti aspetti simile a quello che nel Chisciotte si è assunto il baccelliere Sansón Carrasco: riportare a casa l'hidalgo sfidandolo sul suo stesso terreno, quello dell'illusione. Nella lucida diagnosi che della decadenza nazionale elaborano sia Clarín che Galdós un'unica condanna accomuna la prosaica nazione canovista e il suo antagonista: il soggetto romantico, irrimediabilmente ammalato di lealismo.Riportare a casa don Chisciotte è innanzitutto un progetto di modernizzazione culturale: si tratta in primo luogo di riambientare in Spagna quella forma romanzesca che proprio dalla Spagna secentesca aveva preso le mosse. Riappropriarsi del romanzo negli anni ottanta dell'Ottocento significa concretamente ispanizzare l'esperienza realista-naturalista europea, cosa che avviene attraverso la lezione viva di Cervantes. Il romanzo è lo strumento terapeutico della sindrome nazionale che vede l'idealismo sconfitto dall'arretratezza, dal fanatismo, dall'intolleranza, e il romanziere come terapeuta che cura il chisciottismo del personaggio con l'ironia cervantina.In un primo momento si tratta per Clarín di battere la cecità romantica attraverso la lucida visione del romanzo come «maison de verre», strumento ottico capace di mettere a nudo, di offrire alla visione del lettore il male nazionale e insieme la cura per lui approntata: il romanzo.Ma Clarín (come del resto Galdós) viene giocato da Carrasco. Proprio dall'impietosa disamina del reale emerge un altro territorio, che si sottrae alla visione e si offre invece all'ascolto, la sorgente singolare dell'etica come immaginazione: l'anima. Dando forma al suo personaggio nel crogiolo etico-estetico della decadence, Clarín redime l'orfano romantico, lo rende padre e finalmente generatore della sua esperienza. -
Hölderlin e l'idealismo tedesco
Il saggio di Ernst Cassirer Hölderlin e l'idealismo tedesco, apparso nella rivista «Logos» tra il 1917 e il 1920 - e di cui questa è la prima traduzione italiana -, rappresenta uno dei capitoli fondamentali della fortuna critica di Hölderlin. Per la prima volta infatti Cassirer pone il problema di sondare analiticamente la reale valenza filosofica della sua opera attraverso il complesso intreccio di amicizie e conoscenze che il poeta aveva intessuto negli anni: Schiller, Fichte, Hegel, Schelling. Su questo sfondo si innesta una riflessione sul complesso rapporto di Hölderlin con il mondo greco, in particolar modo con il pensiero di Eraclito e Platone e con la tragedia di Sofocle.La tesi di Cassirer è orientata a sottolineare la valenza antidialettica del pensiero di Hölderlin, una confutazione ante litteram del modello speculativo hegeliano e, al contrario, a individuare come tratto caratteristico del poeta l'unione inscindibile tra pensiero e dimensione poetica, che per Cassirer si esplicita attraverso una fantasia mitica, in contraddizione e inconciliabile con la realtà del mondo: «al posto della dialettica del concetto subentra, in modo sempre più chiaro e definito, la dialettica del sentimento». Da qui la parabola tragica di Hölderlin e il suo definire la poesia «forma vivente», una sorta di cesura che alimenta il mito oltre le impalcature dei grandi sistemi speculativi. Nella sua stringata chiarezza, il testo di Cassirer non è semplicemente un contributo significativo per la critica hölderliniana, ma anche un luogo centrale nel percorso filosofico dello stesso Cassirer. In questo saggio si profila infatti quella riflessione sulla dimensione mitica, considerata dal filosofo come una delle forme della comprensione della realtà, che occuperà l'intero secondo volume della Filosofia delle forme simboliche. -
In un mondo imperfetto. Mercato e democrazia nell'era della globalizzazione
J. E. Stiglitz, economista, affronta i nodi irrisolti dell'economia globale. La condizione prevalente è oggi quella di una grande incertezza, determinata da un'imperfetta distribuzione delle informazioni, e dalla connessa difficoltà di porre in atto adeguate politiche di stabilizzazione. La globalizzazione porta infatti con sé il paradosso di porre domande nuove agli Stati-nazione, ma di ridurre al tempo stesso drasticamente la loro capacità di affrontare simili domande. Oggi, la globalizzazione è priva di istituzioni in grado di affrontare le conseguenze. Abbiamo un sistema di governance globale, ma ci manca un governo globale.