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Strade maestre. Ritratti di scrittori italiani
Lettore sregolato, critico senza scuola, Goffredo Fofi ha intrattenuto con la letteratura un rapporto ancora più intenso che con il cinema, più segreto e anche meno indulgente. «La letteratura è un valore aggiunto» dice nella prefazione a questi saggi e interventi, una sorta di «autobiografia di lettore»; di un lettore che si sente in dovere di giustificare un tipo di rapporto che non ha più molto corso, tra i nostri critici e letterati di professione. Un rapporto di amore, dunque molto esigente: «da sola» la letteratura non gli basta, ed è solo quando si aggiunge ad altre cose (la storia di una società o di una classe, l'apertura a una morale, la trasformazione di una cultura, la psicologia e l'antropologia di personaggi rappresentativi per difetto o per eccesso, la liberazione di una fantasia non gratuita, un'utopia positiva o un'utopia negativa, l'indicibile con mezzi diversi da quelli dell'arte...), essa gli sembra degna di attenzione. Con molta libertà egli può dunque amare autori apparentemente contraddittori; con molta libertà - la libertà del lettore e non del critico - può ripercorrere itinerari, esplorare collegamenti, esprimere pareri; con molta libertà può ricostruire, attraverso questi testi, una mappa storico-geografico-sociale della letteratura italiana che gli è sembrata, tra l'altro, più utile a capire un paese come il nostro, le sue viltà, le sue speranze, le sue trasformazioni, i suoi cedimenti. -
Repubblica delle città
«Se si vuole andare verso un nuovo assetto autonomista e federale dello Stato italiano, bisogna far perno sulle città e sui Comuni che sono le istituzioni più vicine ai cittadini. È il lungo filo della storia italiana, inciso nel codice genetico di ogni cittadino. Noi siamo le nostre città.A patto, però, di tornare a crederci. Di rendere nuovamente visibile, prima di tutto a noi stessi, la più profonda identità della storia italiana, la Repubblica delle città. Una risorsa straordinaria che negli ultimi decenni abbiamo trascurato, in parte anche dilapidato. Ma che ritorna subito a vivere non appena ci rimbocchiamo le maniche e cerchiamo la nuova Italia ricominciando dalle radici democratiche che dobbiamo rivendicare con orgoglio.Nel nuovo principe batte un cuore antico». La conversazione con Antonio Bassolino che è all'origine di questo libro è stata condotta su iniziativa della rivista «Meridiana». -
Meno grazia più giustizia. Conversazione con Marco Travaglio
Uscire da Tangentopoli? «Per molti il problema sembra essere piuttosto quello di uscire da Mani pulite». Troppe inchieste? «Troppi reati». Eccessi della carcerazione preventiva? «E gli eccessi della scarcerazione?».Uno degli uomini-simbolo della magistratura intransigente difende a spada tratta l'operato dei giudici. Anzi, attacca. Con piglio radicale, racconta esperienze, cita dati di fatto, raccorda e connette episodi sparsi nella nostra memoria. Ne esce uno spaccato del mestiere del giudice, e in particolare del «pm», in questo difficile passaggio italiano. Un mestiere di cui tutti ormai si sentono autorizzati a discutere, ma la cui percezione viene distorta da una enorme quantità di luoghi comuni.Visti da chi la toga la indossa, i problemi della giustizia italiana - le garanzie per la difesa, la separazione delle carriere dei magistrati, la legislazione premiale per i pentiti, la tutela dei diritti di libertà, l'autonomia dell'ordine giudiziario - si presentano come una battaglia aperta e difficile, il cui scopo finale è la riconquista della efficienza della sanzione, pur nel rispetto più assoluto della correttezza e del garantismo. Il garantismo vero, non quello «all'italiana, che assolve i colpevoli e condanna gli innocenti». -
Al di qua e al di là dell'umano. Studi ed esperienze di letteratura
L'autrice di questo libro cominciò la sua attività nel mondo editoriale e letterario traducendo alcune saghe poetiche del medioevo nordico o anglosassone cui seguirono altre traduzioni di scrittori moderni norvegesi, svedesi, tedeschi inglesi e americani. Per la Koch, la traduzione è un processo che ""porta ad affermare verità non sapute prima, e difendibili solo con la voce dell'altro"""". L'insieme dei saggi qui raccolti rappresenta la tensione verso la riconquista di quella inafferabile distanza che è l'essenza vera di ogni letteratura. Si giustifica, in questa chiave, la predilezione per le culture nordiche."" -
Conformisti
Si aggira attorno a noi; lo sfioriamo per la strada; ci sta davanti nella coda dal tabaccaio. Ma chi è il conformista? Come e quando si diventa tali? E quali sono i tratti specifici del ""nostro"""" conformismo di quasta Italia di fine secolo? La critica """"estetica"""" del conformismo trascolora, in questo libro, in un giudizio più profondo e sottostante, di natura etica. Secondo l'autore il conformismo è la morte dell'autenticità; in qualche modo è peggio del fanatismo, dell'esibizionismo, del populismo, del laicismo e del misticismo... o forse, in un certo senso, li comprende tutti."" -
Carta mediterranea
Chi salpa e si perde/vaga nel verde/istante che l'aspetta/senza prima né fretta -
La dentiera di Washington. Considerazioni critiche a proposito di illuminismo e modernità
«...l'illuminismo russo e quello rumeno, l'illuminismo pietista e quello ebraico, l'illuminismo musicale e quello religioso: questo illuminismo comincia ad essere tutto, e dunque nulla.Propongo la deflazione». Secondo la vulgata, gli illuministi erano honnêtes hommes, «figli della luce contro i demoni delle tenebre». Eppure i molti illuminismi cui la storia degli ultimi secoli ha dato voce per condurre le proprie battaglie «progressiste» sembrano in verità non aver sortito alcun illuminismo che possa realmente dirsi tale.Con questo breve, brillante intervento, Robert Darnton - uno dei massimi esperti mondiali del secolo dei philosophes - si oppone all'interpretazione comune che legge l'illuminismo come massima espressione del pensiero occidentale moderno, fino a identificare addirittura il primo termine con il secondo. È proprio questa identificazione ad aver fatto sì che lo stesso razionalismo illuministico sia divenuto sinonimo di modernità - e dunque, nel dibattito critico e storiografico contemporaneo, principale bersaglio dell'antioccidentalismo dei postmoderni. In realtà l'età dei Lumi ha coinciso con un periodo di crisi profonda della Francia di antico regime: in seguito, l'aspirazione all'universalismo che aveva contraddistinto il pensiero dei philosophes ha mascherato spesso l'egemonia occidentale, e il suo impatto distruttivo sulle altre culture. E sono proprio, paradossalmente, alcuni esiti dell'illuminismo ad aver fatto da punto di riferimento delle successive ideologie totalitarie. Si tratta, allora, di riformulare una definizione di illuminismo più circostanziata ed accorta, e soprattutto di accogliere, accanto al vecchio nucleo di pensiero razionalistico, nuove istanze di eguaglianza razziale, di effettiva modernità ideologica, di autentica avversione a ogni fanatismo. -
Trenta tesi per la Sinistra
Trenta tesi che cercano di rispondere ad altrettanti quesiti fondamentali; che pongono altrettanti, e forse più, argomenti di discussione. Ma che ruotano - tutte - intorno ad una questione decisiva: è possibile riconoscersi ancora nel nome e nel punto di vista della sinistra? E se è possibile, può la sinistra opporsi all'ultraliberismo dilagante che in nome di un libero mercato sta cercando di prendere la guida dei processi di globalizzazione? Non solo è possibile, ma appare sempre più necessario - sostiene Alain Caillé, fondatore e animatore in Francia del movimento antiutilitarista nelle scienze sociali - a patto che la sinistra sia in grado di rinnovare il proprio patrimonio simbolico, teorico e critico.Circolate fino ad ora allo stato di bozza nei circuiti intellettuali francesi e italiani, queste Trenta tesi per la sinistra costituiscono un vero e proprio manifesto: un appello a quanti ancora non si rassegnano all'idea di un'espansione indefinita della deregulation economica e del corporativismo burocratico, o ad un sistema sociale che vede un'esplosione scandalosa delle diseguaglianze.Attorno alle Trenta tesi si è subito sviluppato un acceso dibattito. Tra le voci più autorevoli, quelle di Franco Cassano, Roberto Esposito, Serge Latouche ed Eligio Resta, che vengono qui proposte come commento alle posizioni dell'autore. Un'introduzione di Carlo Grassi presenta la discussione e confronta i differenti punti di vista. -
Storia contemporanea
UN NUOVO MANUALE DI STORIA PER L'UNIVERSITÀ. STORIA CONTEMPORANEA. Presentazione dell'editore. A dispetto delle periodiche dichiarazioni di crisi, nelle società contemporanee la storia rimane una delle discipline essenziali per la formazione civile. Si modificano i suoi statuti, si trasformano gli ambiti della sua applicazione, mutano i confini e i punti di contatto con altri saperi, cambiano le gerarchie dei fatti e le sensibilità con cui essi vengono rilevati: ma la storia resta al centro dei percorsi intellettuali e delle strategie formative della nostra cultura. Negli ultimi tempi, però, la storia sembra aver perso molte delle sue certezze esplicative, e soprattutto la capacità, se non di divinare il futuro, di prefigurarne almeno la direzione, indicando il senso del movimento che dal passato porta al presente. Caduta l'idea di uno sviluppo lineare delle società umane, spezzatosi il filo di un percorso evolutivo che legasse irrevocabilmente le conquiste e i progressi della conoscenza a un «avanzamento» generale e condiviso, messa in forse la tensione verso un obiettivo ultimo, verso un fine da raggiungere, la storia può sembrare - e a molti così oggi appare - una fatica inutile, un esercizio erudito fine a se stesso.Dove trovare dunque, oggi, il senso della storia? Non più, come è accaduto nel passato, nella presunta univocità della sua direzione; ma forse esattamente nel suo contrario. Nessuna disciplina come la storia sa mostrare la pluralità delle opzioni possibili, il carattere non preordinato degli eventi, la molteplicità dei percorsi che portano in ciascun ambito al prevalere di questa o quella configurazione. La storia mostra, in una parola, il carattere aperto delle vicende umane, e testimonia per questa via come non vi sia un solo mondo possibile.Ma la storia mostra anche, oggi più che mai, quanto i fatti stessi siano poco oggettivi, quanto essi siano opachi, fuori da una accorta selezione e discussione, quanto poco dotati di una evidenza esplicativa. È lo storico a prelevarli dal passato e a organizzarli in sequenza, in racconto, a farne oggetto di storia. Ed è precisamente nel carattere soggettivo di tale selezione e organizzazione dei fatti che la storia si rivela come un atto di conoscenza creativa.A ben vedere, ogni conoscenza storica si è strutturata e si struttura attorno a questioni, a interrogativi che hanno posto e pongono altrettante biforcazioni, a domande che hanno postulato e postulano diverse possibili risposte. La storia, in questo senso, non può mai essere scissa dalla storiografia, giacché essa diviene tale, si fa racconto, interpreta dati e documenti, solo a partire dalle domande che ad essa si pongono. E le domande storiche non hanno mai, per definizione, una risposta univoca, ma corrispondono appunto a diverse possibili ricostruzioni, a differenti possibili percorsi.Da qui nasce l'intreccio tra il passato della storia raccontata e il presente dello storico che la racconta. Si può dire che ogni questione storica ha avuto e ha un proprio tempo: nel doppio senso che ha un tempo rispetto al quale viene posta, e un tempo in cui si pone, un tempo nel passato che... -
Che metà basta
Diciassette è braccato dalla vita e dalla morte e dall'amore. A tirarlo fuori da quel pozzo ci pensa la speranza di un ""oltremare"""" dove le maledizioni della solitudine e del malamore gli daranno tregua, aprendo uno spiraglio di azzurro nel blu di prussia del cielo. Come in ogni avventura umana che si rispetti, anche Diciassette ha una donna (anzi due) da cercare e da maledire, un imbarco e tanti porti che perpetuano la speranza del dopo e dell'altrove. Di vite perse nei fossi, di andate all'inferno e ritorno. Diciassette ne ha abbastanza. Almeno ci vuole provare, tirare fuori la testa dal sacco, guardare dall'altra parte del mare. E così s'imbarca davvero..."" -
Giocare la vita. Storia del lotto a Napoli tra Sette e Ottocento
«Napoli» e «lotto» sono due parole strettamente connesse nella nostra immaginazione. Il più classico tra i giochi d'azzardo - il gioco dei novanta numeri, ciascuno dei quali è associato, per il tramite della Smorfia-Morfeo, a un qualche significato onirico e simbolico - lega indissolubilmente cifre e sogni, calcoli e divinazione dei propri destini. E tutto questo ha in Napoli, nei suoi botteghini, nei palazzi, nei vicoli, la sede deputata, il luogo imprescindibile.Questo libro di Paolo Macry da una parte ricostruisce la storia di fenomeni sociali, culturali e istituzionali che hanno avuto indubbia rilevanza in gran parte dell'Europa sette-ottocentesca. Dall'altra, analizza il concreto intrecciarsi, nella pratica delle scommesse, di alcune categorie sulle quali le scienze sociali lavorano da tempo: la casualità e il calcolo, le aspettative «razionali» e i comportamenti «irrazionali», il rischio e l'utile economico, il materiale e l'immateriale. Sottesa a questo lavoro, colto e curioso, rigoroso e insieme partecipe, sta una convinzione: che nel dibattito così attuale tra strutture e culture, tra moderno e postmoderno, i temi della divinazione, del caso, del gioco, abbiano qualcosa da dire. Molto di più di quanto spesso non appaia.A Napoli il lotto costituisce un fenomeno capace di veicolare cultura e diventare idioma collettivo. Al tempo stesso, produce un circuito di ridistribuzione di risorse materiali, che è gigantesco, capillare e polverizzato. L'attenta considerazione di giocate e vincite mostra che alla fine i napoletani vincono poco ma vincono tutti e spesso, mescolando sapientemente la passione per i novanta numeri, l'esperienza personale, i limiti imposti da magri bilanci familiari e, se del caso, trucchi e sotterfugi. Lo Stato, quello borbonico, gestisce il tutto con grande accortezza, creando un clima fiduciario, assecondando la cultura del suo pubblico, cercando di limitare i propri rischi. Il lotto napoletano sarà fonte di grossi guadagni per l'erario e durerà nel tempo come nessun'altra lotteria che si conosca. -
Lo stato sociale in Italia 1997. Rapporto annuale Iridiss-CNR
I risultati del compromesso siglato ad Amsterdam tra il 17 e il 18 giugno 1997, in quella che è stata chiamata la notte dei veti incrociati, ci danno la misura delle difficoltà da superare per trovare linee europee di convergenza sul piano delle politiche sociali, in un momento in cui l'emergenza occupazione colpisce la quasi totalità dei paesi membri dell'Unione Europea. Non meno complessi i nodi da sciogliere in Italia, tenendo conto, da un lato, dei vincoli posti e confermati dal trattato di Maastricht e, dall'altro, della nuova domanda sociale proveniente dalle giovani generazioni.Salvaguardare, rimodellandolo, un sistema di protezione sociale vuol dire assicurare a tutti eguaglianza effettiva di opportunità, assumendo quali priorità la piena occupazione e i processi formativi ad essa funzionali.Occorre partire da questi presupposti per ridisegnare i contenuti e le stesse forme istituzionali del welfare state, per adeguarlo alla nuova configurazione assunta dalla questione sociale all'alba del XXI secolo. È necessario contenere, e in alcuni casi ridurre, il sostegno ai gruppi sociali già tutelati, a partire dal settore pensionistico; abbassare il tasso di universalismo e la protezione nei confronti dei ceti abbienti; spostare le risorse verso la nuova domanda sociale a tutela dei settori più svantaggiati. -
L' imperatore Giuliano e l'arte della scrittura
«Associando curiosamente allo starnuto e alla tosse l'invenzione umana dei miti, Giuliano ci lascia intendere che ci sono sempre stati e sempre ci saranno dei miti sulla terra. Ma perché gli uomini sempre e ovunque inventano delle storie false, prendendole talvolta per storie vere?». Prendendo spunto da una serie di osservazioni di Leo Strauss sulla retorica classica, Kojève si concentra in questo breve ma folgorante saggio sulle implicazioni etiche della cosiddetta «arte di scrivere». La dissimulazione letteraria, la capacità di mascherare i pensieri dietro un discorso che sia in grado di celarne - lasciandolo però intendere - il vero messaggio, è un artifizio retorico che trova le sue radici nell'età classica.Attraverso una parafrasi serrata e puntuale degli scritti filosofici dell'imperatore Giuliano l'Apostata (vissuto nel IV secolo dopo Cristo), Kojève giunge a delineare le principali componenti etiche e dialogiche del parlare «mascherato». L'analisi degli insegnamenti di Giuliano (il primo dei quali è che «non si deve dire tutto, ed anche di quel che si può dire si devono nascondere alcune cose alla grande massa») mostra la polemica che l'imperatore intrattenne nel corso dei suoi scritti con il mito (il mito teologico in particolare), da lui giudicato come parte del discorso inevitabilmente autocontraddittoria perché «racconto di storie false sotto una forma credibile». Ma Kojève mostra come questa avversione alla forma mitica del discorso non impedì tuttavia che lo stesso Giuliano, per convincere sotterraneamente il popolo dell'assurdità del cristianesimo, facesse uso dei miti teologici pagani, dando altresì a questo genere di dissimulazione un sottointeso valore pedagogico ed etico. Da qui si evince la controversa natura del mito, e in genere la complessità e plurivocità del parlare indiretto e cifrato.Modello esemplare di limpidezza teorica e stilistica, questo saggio del grande studioso di Hegel si inscrive nella riflessione sull'etica della retorica e sul mito, mettendo in luce una parte importante e poco conosciuta del suo pensiero. -
L' Italia dei municipi. Il movimento comunale in età liberale (1879-1906)
Il movimento comunale italiano si sviluppa tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento contemporaneamente alla grande crescita economica e alla rivoluzione demografica che investe le città e i paesi di tutta Italia. La costituzione nel 1901 di una struttura permanente del movimento, L'Associazione dei comuni italiani, non avrebbe cambiato di molto l'atteggiamento totalmente negativo che fin dal secolo precedente il governo aveva manifestato verso le richieste degli enti locali.Le novità venivano piuttosto dai comuni, dalle loro proteste organizzate, dalle pressioni che questi, attraverso parlamentari amici - liberali come della sinistra - facevano su un governo che caricava di spese i municipi e sottraeva loro risorse per ripianare il deficit dello Stato, un governo che scioglieva i consigli comunali spesso calpestando le leggi. La novità soprattutto era nell'originalità delle iniziative dei comuni. La più importante era quella - del 1906 - per la costituzione di un Consiglio superiore dei comuni che avrebbe dovuto regolare i rapporti tra governo e il complesso dei municipi, ma che sarebbe stata realizzata solo nel 1996, con la nascita della Conferenza Stato-Città e Autonomie locali.L'atmosfera di collaborazione tra comuni instaurata nelle assemblee dei sindaci avrebbe favorito la nascita, nel 1905, vent'anni prima dell'Istat, dell'Unione statistica delle città italiane, un'organizzazione che elaborava dati statistici sulla realtà urbana, indispensabili per programmare l'attività comunale. Lo stesso spirito di cooperazione avrebbe poi permesso l'avvio, nel 1909, della Federazione nazionale delle aziende municipalizzate.Lo studio di Oscar Gaspari narra di questa vicenda che ha visto tra i protagonisti, insieme ad amministratori e politici di tutti i partiti, e di tutta l'Italia, personalità di grande rilievo come Salvemini, Bonomi, Sturzo. Una vicenda della quale non si aveva quasi nessuna memoria, come se la storia del movimento comunale non fosse stata degna di passare dalla prime pagine dei giornali e delle riviste dell'epoca a quelle dei libri di storia di oggi. -
Lettera di una professoressa. Trent'anni dopo Barbiana
Quanto è lontana e inattuale, oggi, la Lettera a una professoressa? Merita ancora una risposta, il ragazzo a cui don Lorenzo Milani affidò trent'anni fa la sua caustica denuncia dei mali della scuola italiana? In realtà, in questa scrittura autobiografica di una professoressa «inguaribile», il confronto con i sensi di colpa e le speranze che quel libro evocava costituiscono un filo che si dipana, fino a contenere l'esperienza vissuta di trent'anni di scuola. L'interlocutore continuamente si sdoppia: al ragazzo di Barbiana si sovrappongono con forza le immagini di alunni reali, che si sono avvicendati nel corso degli anni, mentre si chiama in causa con rabbia chi ha contribuito a mettere la scuola in ginocchio. Lo scenario è mutevole e descrive un mondo attraversato da una crisi radicale, ma in cui la vita non si rassegna a morire. E la lettera non è una risposta, non ha certezze da brandire: si traduce piuttosto in un racconto di motivazioni profonde, di affetti forti ed essenziali, i soli argini alla distruzione incombente, che minaccia sempre più da vicino la scuola.Così, Barbiana è lontana e vicina a un tempo. Non è solo un luogo di radici e di inizio. Certamente ci rimanda l'immagine di un mondo diverso, in cui l'ingiustizia sembrava semplice e univoca, e che però già conteneva il presentimento di molti dei mali presenti. Quella tensione morale, intanto, non è più una ricetta: ma costituisce ancora una forza. -
Storie dell'arte. Toesca, Longhi, Wittkower, Previtali
Quello dello storico dell'arte è un mestiere difficile, per certi versi atipico, che ancor oggi trova ostacoli «nel difendere la propria parità di diritti tra le discipline storiche». Una volta vagliata, nella maniera più rigorosa, la quantità delle testimonianze e dei referti, una volta ricostruita la gamma dei temi iconografici, rimane infatti, sottesa ad ogni operazione di lettura critica di un'opera d'arte, la questione della «qualità figurativa», dello «stile» (tanto di maestri singoli, quanto di scuola e di epoca). È una questione che non può essere né aggirata né rimossa, e che rinvia al vero carattere della storia dell'arte, situata all'intersezione tra tradizione e innovazione individuale, tra tecniche, culture e creatività.Giovanni Romano sceglie di affrontare - in questo libro che suona quasi come un'autobiografia - i nodi del suo mestiere di storico d'arte attraverso un dialogo fitto e serrato con i protagonisti della storia dell'arte di questo secolo. Il portato della grande tradizione idealistica, così come si esprime in Toesca e Longhi, con la necessità però di riconoscere al lavoro critico anche uno spessore di riferimenti concreti; il caso - anomalo per l'Italia - di Wittkower, che costeggia l'introduzione nel nostro contesto della storia culturale per immagini proposta da Aby Warburg; il difficile tentativo di Giovanni Previtali di ritrovare un equilibrio tra interpretazione e contesto storico.Momenti diversi - «storie dell'arte», appunto - non riconducibili all'unitarietà di una ricostruzione univoca. Luoghi di una riflessione aperta su un mestiere che trova nella difficoltà della propria definizione parte essenziale del suo fascino. -
Ti ricordi, Baggio, quel rigore? Memoria e sogno dei mondiali di calcio
Pasadena, '94. Italia e Brasile sono in finale e Baggio deve calciare il suo rigore. Cosa gli passa per la testa, in quell'attimo? E che cosa passa per la testa a tutti noi, a ciascuno di noi che lo guardiamo? Ora, tutti sappiamo come è andata a finire. Ma per quale fattura, per quale magia Baggio, di fronte al portiere brasiliano Taffarel, ha combinato quello che ha combinato? L'autore di questo libro - un brasiliano che vive in Italia e che racconta il pallone con la stessa abilità con cui Garrincha lo toccava - dilata il senso di quel rigore, di quella partita, di quel mondiale. E, affidandosi alla propria storia e alle mille storie altrui, «convoca», in un match che somiglia maledettamente alla vita, Bearzot e Paolo Rossi, Tabucchi e Camus, Arpino e Soriano, Zico e Maradona. In palio ci sono i sentimenti, le passioni, le memorie. Un ragazzo che desiderava diventare un grande centravanti come Pietro Anastasi, e che si ritrova a inseguire - del pallone - i segni, le metafore, i sogni. Tutti i mondiali, a memoria. Tutte le partite. Tutti i risultati. Tutte le formazioni. Una mole mostruosa di dati condivisi, su cui ci si interroga a vicenda, per vedere chi è più bravo. Ma alla fine, nel fondo del cuore, ognuno ha il «suo» mondiale: guai a chi glielo tocca. -
La chiesa post-moderna. Verità e consolazione
Dopo un lungo tempo di emarginazione, la Chiesa cattolica è tornata nuovamente e prepotentemente in prima pagina. Un protagonismo stimolato dalle folle che accolgono il papa nei suoi viaggi, dai media che ne amplificano continuamente le immagini, i gesti, le parole. A questa nuova attenzione si accompagna una rinnovata capacità: la Chiesa sembra oggi in grado di rispondere, meglio e più acutamente di tante altre istituzioni del nostro tempo, a una generale richiesta di senso, di serenità, di benessere interiore. Solidamente collocata al centro di questo nostro mondo post-moderno, l'istituzione cattolica conosce così, forse come non mai, la soddisfazione del successo; molti la esaltano, tutti la rispettano, nessuno o quasi più la combatte.Ma - sostiene Filippo Gentiloni in questo intenso pamphlet, un sasso scagliato dall'interno dello stesso mondo cattolico - si tratta di un successo che la Chiesa rischia di pagare al prezzo di un notevole appiattimento della sua cruciale missione. Non più e non tanto la verità sembra infatti essere l'oggetto della sua predicazione, quanto piuttosto la ricerca della consolazione; non tanto l'al di là, quanto piuttosto l'al di qua. Il prete stesso, un tempo figura centrale dell'annuncio della verità, finisce con l'essere spesso un succedaneo dell'operatore sociale o dello psicologo. Una supplenza che rischia di non giovare né alla nostra società pluralista e multiculturale, né all'autenticità del messaggio cristiano. -
Manuale di filosofia pratica. Vol. 2
"Io vivo, dunque io spero. Noi speriamo sempre e in ciascun momento della nostra vita. Ogni momento è un pensiero, e così ogni momento è in certo modo un atto di desiderio, e altresì un atto di speranza"""". (Giacomo Leopardi). La felicità è il tema di questo secondo percorso, tracciato da Leopardi sul retro della stessa scheda che contiene anche gli Indici del Trattato delle passioni, quasi a segnarne così la specularità e la necessità reciproche. Di fronte alla passione, che vince sempre sulla ragione, e quindi di fronte all'analisi delle pulsioni che muovono il comportamento individuale, si delinea il discorso del Manuale di filosofia pratica, definito dall'autore «un Epitteto a modo mio»: questa definizione dà il significato del discorso leopardiano, volto in prima istanza a tracciare sull'esempio di Epitteto un manuale, cioè un insieme di regole per cercare di essere felici.La ricetta per la felicità risiede, secondo le norme dell'insegnamento stoico epittetiano, nel controllo delle passioni, nel limite al desiderio, nella scelta di una regola fondamentale cui attenersi per vivere moralmente. A questa scelta filosofica, che comunque sente come sua per elevatezza e senso elitario, Leopardi si oppone, non riuscendo ad arginare nell'incalzare del suo discorso la violenza del desiderio che caratterizza di per sé la vita dell'uomo. L'uomo in quanto tale si ama, e amandosi, naturalmente, non può fare a meno di desiderare. Così ogni momento della vita è un atto di desiderio che invano le regole delle antiche filosofie morali tenteranno di ricondurre nei limiti consentiti per raggiungere la quiete, il non turbamento, l'apatia: di fronte alla quiete dopo la tempesta delle passioni, si erge l'inquietudine da’ desiderii che connota ogni forma del sentire umano. La disperazione della felicità, allora, risiede nell'impossibilità di porre un limite al desiderio, infinito e illimitato come l'amore, e come l'amore fonte essenziale di vita e di piacere. PIANO DELL'OPERA. I. Trattato delle passioni.II. Manuale di filosofia pratica.III. Della natura degli uomini e delle cose.IV. Teorica delle arti, lettere. Parte speculativa.V. Teorica delle arti, lettere. Parte pratica.VI. Memorie della mia vita." -
Storia medievale
UN NUOVO MANUALE DI STORIA PER L'UNIVERSITÀ. STORIA MEDIEVALE. Presentazione dell'editore. A dispetto delle periodiche dichiarazioni di crisi, nelle società contemporanee la storia rimane una delle discipline essenziali per la formazione civile. Si modificano i suoi statuti, si trasformano gli ambiti della sua applicazione, mutano i confini e i punti di contatto con altri saperi, cambiano le gerarchie dei fatti e le sensibilità con cui essi vengono rilevati: ma la storia resta al centro dei percorsi intellettuali e delle strategie formative della nostra cultura. Negli ultimi tempi, però, la storia sembra aver perso molte delle sue certezze esplicative, e soprattutto la capacità, se non di divinare il futuro, di prefigurarne almeno la direzione, indicando il senso del movimento che dal passato porta al presente. Caduta l'idea di uno sviluppo lineare delle società umane, spezzatosi il filo di un percorso evolutivo che legasse irrevocabilmente le conquiste e i progressi della conoscenza a un «avanzamento» generale e condiviso, messa in forse la tensione verso un obiettivo ultimo, verso un fine da raggiungere, la storia può sembrare - e a molti così oggi appare - una fatica inutile, un esercizio erudito fine a se stesso.Dove trovare dunque, oggi, il senso della storia? Non più, come è accaduto nel passato, nella presunta univocità della sua direzione; ma forse esattamente nel suo contrario. Nessuna disciplina come la storia sa mostrare la pluralità delle opzioni possibili, il carattere non preordinato degli eventi, la molteplicità dei percorsi che portano in ciascun ambito al prevalere di questa o quella configurazione. La storia mostra, in una parola, il carattere aperto delle vicende umane, e testimonia per questa via come non vi sia un solo mondo possibile.Ma la storia mostra anche, oggi più che mai, quanto i fatti stessi siano poco oggettivi, quanto essi siano opachi, fuori da una accorta selezione e discussione, quanto poco dotati di una evidenza esplicativa. È lo storico a prelevarli dal passato e a organizzarli in sequenza, in racconto, a farne oggetto di storia. Ed è precisamente nel carattere soggettivo di tale selezione e organizzazione dei fatti che la storia si rivela come un atto di conoscenza creativa.A ben vedere, ogni conoscenza storica si è strutturata e si struttura attorno a questioni, a interrogativi che hanno posto e pongono altrettante biforcazioni, a domande che hanno postulato e postulano diverse possibili risposte. La storia, in questo senso, non può mai essere scissa dalla storiografia, giacché essa diviene tale, si fa racconto, interpreta dati e documenti, solo a partire dalle domande che ad essa si pongono. E le domande storiche non hanno mai, per definizione, una risposta univoca, ma corrispondono appunto a diverse possibili ricostruzioni, a differenti possibili percorsi.Da qui nasce l'intreccio tra il passato della storia raccontata e il presente dello storico che la racconta. Si può dire che ogni questione storica ha avuto e ha un proprio tempo: nel doppio senso che ha un tempo rispetto al quale viene posta, e un tempo in cui si pone, un tempo nel passato che...