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I momenti del giorno. Haiku e immagini
"Frammenti di alta tensione, fili di grande intensità sono gli haiku di Silvana Ceruti. Trentatré, per ogni momento del giorno - alba, giorno, tramonto, notte. Quattro brevi cantiche dove la narrazione poetica fluttua tra le immagini, cogliendo colori e suoni, attimi che diventano versi, parole in danza che si fermano in mosaico: ogni haiku è una tessera pienamente autonoma, ma si dilata in emozioni più grandi accanto agli altri. [...]"""" (dalla prefazione di Lucia Castelli)." -
Lezione frontale
Nella poesia di Antonio Laneve, estremamente raffinata e ombrosa, il suo ex luogo di lavoro, un ipermercato, non appare se non, talvolta e ben mimetizzato, come metafora di fondo. Non appare nemmeno la condizione operaia, se non in ciò che ha di comune a tutte le situazioni esistenziali della vita odierna. Il tema di fondo del suo itinerario letterario è la ricerca di se stesso, dell'autenticità del vivere, che sfugge sempre ed è comunque sottoposta a mille condizionamenti che ne rendono difficile la realizzazione. Le ottanta poesie di questa raccolta sono piene di ironia, ma spesso si tratta di ironia amara e tragica che riflette sulla condizione di fragilità della vita. L'autore parla per sé e per gli altri e le espressioni connotate negativamente sono parecchie [...] Non sono però espressione di un chiuso pessimismo, ma di una lucida considerazione che si rovescia nello scatto dell'ironia e si fa critica sarcastica. Non mancano alcuni brevi componimenti che si possono definire epigrammi in senso classico, sebbene il registro più e meglio adottato sia quello dell'ironia che ribalta ciò che a molti appare scontato e ovvio. [...] se è vero che nessuno è innocente perché il mondo è come un Ipermercato nel quale dobbiamo per forza andare a rifornirci, e nessuno riesce a sottrarsi del tutto alla sua logica, è però vero che lo si può percorrere con stupore e ironia e senza piangere più del necessario sulle illusioni cadute e continuamente cadenti. Antonio Laneve ci aiuta a farlo."" (dalla prefazione di Luciano Aguzzi)"" -
L' arbulu nostru. Il nostro albero
Questo libro, in dialetto siciliano con traduzione a fronte, si pone nel solco di un ineludibile ricorso alle origini, un nòstos che prende corpo sulle tracce dell'ulivo, albero e principio fondativo come pochi altri della patria mediterranea. Sul filo di una sommaria genealogia dell'Àrbulu nostru e della sua persistenza nel formarsi della civiltà intorno al Mare nostrum, le poesie si compongono in un mosaico di appunti, fatti e personaggi che richiamano alcune delle tante voci secondo cui l'ulivo ci ha parlato e ancora ci parla. A questa coralità di fondo fa riscontro un nucleo di poesie dal registro lirico, dove echeggia l'intenso rapporto che lega l'uomo e l'ulivo dall'alba dei tempi e il suo esaurirsi nel mondo globalizzato. «Giuseppe Cinà, che sa 'legger di greco e di latino'», scrive nella prefazione Velio Abati, «ha scoperto che lu jardinu e ancor più la cura di l'alivu fanno letteralmente, inscindibilmente tutt'uno con la materia viva del dialetto.» Le dolcezze e le ruvidità dell'ulivo trovano infatti perfetto riscontro nel dialetto e nelle sue inesauribili scorte lessicali, semantiche ed espressioniste. -
Quegli occhi di bambino
"Un bambino pieno di abbandono e di dolore desidera morire. Si salva e rinasce per l'improvviso emergere in lui di una nuova, abbagliante visione della realtà. I suoi occhi di bambino solitario guardano attenti e vedono d'improvviso la bellezza nella natura che, luminosa, appare e gli rivela la stupefacente presenza degli altri e il palpitare della vita. Chi scrive cerca di scoprire cosa sia successo, in realtà, nella vita di quel bimbo. Quale cambio di prospettiva è accaduto in questa così particolare infanzia, rivissuta poi nell'esperienza dello stesso adulto, fino a determinarne la vita futura?"""" (dalla prefazione dell'autore)" -
Tu non c'era ancora
"Se c'è una poesia che si insinua segreta e labirintica e si fa profondo incrocio di enigmi e di vasti pensieri, non c'è dubbio sia quella di Jean Portante. Il suo corpo a corpo con la parola è uno scavo turbinoso, è una tensione continua verso l'origine. Un percorso, quello di Portante, che si inoltra sui grandi temi dell'esserci e del vivere, delle radici e dello sradicamento, delle piaghe del mondo e della memoria. Negli infiniti intrecci arteriosi di questo libro, vi sono i lati più intimi della sua esistenza, con la voce della madre che diviene uno struggente inno d'amore e si affacciano le sostanze di un giusto tempo, con l'immagine della fatica atavica dei propri avi, alcuni dei quali addirittura spentisi nei bui tunnel invasi dalla morte. Una scrittura che pare incunearsi, pur nell'inerpicarsi in rupi e botri, ansie e scalate, in sentimenti, amori, memorie, fiato familiare, strutturata in una lingua che brilla di metafore e di analogie, di punti sospesi e di aforismi, di anafore e di inversione dei soggetti, di piraterie linguistiche e neologismi arrischiati dall'orecchio del poeta in un territorio spinato. Una poesia mai diretta, nel senso di un tratto che graffia per via del suo colpire, ma indiretta per via dell'uso linguistico più sospeso che si possa immaginare, ma che si fa spigoloso anfratto che salta agli occhi. Infine dolce litania aggrovigliata, musicale adagio, che diviene fondante pensiero, perché in linea con la vita del poeta, che ha nel rispetto dei popoli e delle etnie, della difesa della libertà, e della tutela del diverso, un tratto peculiare della sua esistenza."""" (dalla prefazione di Loretto Rafanelli)" -
Autobiografia del silenzio. L'orco e la bambina
"Ho portato dentro di me questo segreto per tutta la vita. Ho iniziato a scriverne otto anni fa, dopo la morte di mia madre. Ma non ho mai pensato di far leggere a qualcuno questi scritti. Nessuno, neanche le persone a me più vicine hanno mai saputo. Ho fatto un lunghissimo lavoro di elaborazione interiore, che mi ha portato ad accettare la cicatrice che la violenza subita mi ha lasciato e che, ovviamente, ha condizionato molti aspetti della mia vita. Autobiografia del silenzio vuole dare voce a tutti quei bambini che, come la me di allora, non hanno la forza né il coraggio di parlare. Sì, coraggio, perché quello che si prova è una vergogna incommensurabile, ci si sente sporchi, talmente sporchi da ritenersi immeritevoli di essere amati veramente. La violenza, quella vera, è nell'anima, ed è quella che segna per tutta la vita condizionandone le relazioni e le scelte. [...] Ora so che bisogna parlarne senza remore, senza giri di parole. [...] Raccontare ciò che si è subito è il passo più importante verso la guarigione. È un gesto d'amore verso se stessi. Per questo vi affido la mia """"autobiografia del silenzio"""" che, finalmente, si è aperta alla parola, passando attraverso la conoscenza del male fino allo splendere del bene."""" (L'autrice)" -
Il Bergamino
"Il conte Ludovico Carminati di Brembilla, detto il Bergamino, distoglie gli occhi dallo specchio. È questo l'incipit del racconto storico con il quale Giorgio Cesati Cassin, attraversando la linea del tempo, catapulta il lettore nella corte ducale degli Sforza. [...] Una concatenazione di eventi - quella impressa in queste pagine - articolata nella sua apparente necessità, ma con un elemento spurio e casuale: il clinamen, che devia imprevedibilmente la caduta degli atomi nella portentosa macchina dell'universo. Ed è proprio questo elemento, identificato da questo scrittore medico nella libertà dell'invenzione, il mezzo per sottrarsi alla contingenza ineludibile dei fatti e poter accedere agli universi partoriti dalla fantasia. Un'invenzione narrativa, dunque, quella di Giorgio Cesati Cassin, che poggia però su eventi e personaggi veri ed è maneggiata dall'autore attraverso lo sguardo sornione e disincantato del protagonista. Un doppio, a cui è affidato con raffinata ironia l'incarico di perlustrare uno dei periodi più foschi e luminosi del nostro passato. Un periodo a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento, in cui si manifestavano le prime avvisaglie delle guerre che renderanno l'Italia preda delle mire espansionistiche di Carlo V. Il racconto, agli antipodi della scrittura filologica usata da Olmi nel Mestiere delle armi, si propone di estrarre dai fatti narrati il succo di una filosofia del """"vivere nonostante tutto"""", ben impersonata dal suo protagonista."""" (dalla prefazione di Azalen Tomaselli)" -
Un cielo per le cose (Un cielo para las cosas)
"Con una perplessità contenuta e alcune schegge d'inquietudine, Calabrese allestisce una mise-en-scène poetica angosciante, su un avvenimento che si dibatte nel nonsenso. Di modo che il perturbante si affaccia in maniera naturale, messo negli interstizi del quotidiano, in una specie di spiazzo sul bordo di una strada vista a volte come speranza e sempre come l'alveo di un fiume torrenziale che trascina sogni, una madre con i suoi occhi già sepolti, una bottiglia con un messaggio vuoto, biciclette, cavalli o il freddo di alcune isole nel Sud. [...] Sul tessuto di una riflessione che oscilla tra l'indagine poetica e il pensiero filosofico si impone la ricerca di se stessi con interrogativi che scavano nell'essere quale creatura elementare, primigenia e moderna allo stesso tempo, che si dibatte in un buco della notte spazzata da un «vento metallico», e insegue il suo destino nella cartografia della luce, dell'acqua e delle pietre come simboli ricorrenti di quest'opera."""" (Dalla presentazione di Jorge Boccanera)" -
Elle
"Nei cinquanta componimenti di Elle, un titolo che profuma di donna, c'è qualcosa di più e di diverso. Forse c'è la nostalgia di un Eden perduto, ma anche la gioia di un Paradiso terrestre ritrovato. Errico ha ridestato nella mia memoria ricordi universitari di quando, indagando la lingua romanza, studiavo il trobar clus dei trovatori occitani, le loro liriche che velavano amori spesso proibiti o clandestini, dietro un parlare oscuro, impervio da decifrare. A esclusione degli iniziati, i predestinati, e naturalmente della donna amata che, sola, possedeva le chiavi per aprire lo scrigno inviolabile. Al contrario del trobar leu o plan, cioè dello stile soave, limpido e intelligibile a tutti, il trobar clus consisteva in una poesia aspra, dura, tagliente, che prediligeva l'allegoria, l'immagine """"petrosa"""". È solo una fantasia, la mia, un'associazione bizzarra, stravagante, dettata chissà da quali consonanze di onde mentali o musicali; eppure Errico mi sembra un alunno di quell'antica scuola, ermetico a dispetto della pelle di superficie, così amabilmente levigata, da sfiorare, alla prima occhiata."""" (dalla prefazione di Gianfranco Angelucci)" -
Risvolti
«Sono i poeti come Paul Celan e Rainer Maria Rilke, ma anche le filosofe come María Zambrano e Luce Irigaray a puntellare questa prima raccolta di poesie di Giuseppa Vincenti. Maestre e maestri questi, che hanno saputo fornire all'autrice un impianto architettonico e immaginativo, capace di condurre il suo dettato poetico nelle tracce di una riflessione che, alla parola ha chiesto il gesto della trivellazione nella profondità. Non è un caso che la poesia sia qui intesa come una vera e propria via d'interpretazione del vissuto e dell'esistere, lasciando ai margini il tentativo sempre in agguato della confessione. Giuseppa Vincenti condivide il ""fare"""" delle parole con il trasformarle da una lingua all'altra. Traduttrice dal tedesco e dall'inglese, ha sempre avuto a che fare con la postura delle parole. L'azione da """"traslocatrice"""" di senso e suoni, dunque, è sempre stata la sua matrice scritturale, il suo sguardo sulle frasi, nei versi posti al centro di un ascolto immersivo nella loro epifania. La parola qui diventa evidenza di una segnatura chiara, capace di farsi portatrice di scene, di immagini, di realia, in grado di sostenerla in questo viaggio di conoscenza, non solo di sé, ma del suo tempo nel tempo.» (dalla prefazione di Stefano Raimondi)"" -
Incontro
«Con ""Incontro"""", libro dedicato a sua madre, Margherita Parrelli compie un ulteriore passo all'interno del proprio percorso di scrittura, giungendo a un'interessante maturità sia nella versificazione che nella costruzione complessiva dell'opera. [...] A tratti, l'esigenza e l'urgenza di comunicare con chiarezza porta la poeta a intrecciare al verso libero, spesso dotato di un ampio respiro, segmenti in prosa che consentano una diegesi efficace. Complessivamente, questo approccio del dire diversificato produce una sinergia in grado di ottenere un effetto pulsante capace di contenere luci e ombre. [...] Proprio per suggerire l'abbraccio, la possibile vicinanza tra vite che si muovono sparse nelle pagine, l'Autrice struttura singole poesie in stanze destinate, con una sequenza basata sull'alternanza con il corsivo, a raccontarci momenti appartenenti a due vite spesso dai profili estremamente diversi. In questo modo il lettore viene accompagnato all'interno di un movimento oscillante, cadenzato, in cui le due esperienze sembrano dialogare, seppure all'interno di una spiccata contrapposizione. Margherita Parrelli, come un rabdomante inesausto, rileva presenze smarrite, emarginate, portatrici di dolore silenzioso per suggerirne l'accoglienza, sapendo come a oggi troppi sono gli esseri umani di cui potremmo dire: «non ricorda il sorriso/ lo dicono i suoi occhi/ neri e senza fondo».» (dalla prefazione di Marco Bellini)"" -
Calendiluna
«Anna Vercesi non ha bisogno dell'ispirazione, ce l'ha, ha bisogno di un avvio: può provenire dall'esterno o dall'interno, ma serve un avvio, poi i versi fluiscono come cavalli selvaggi, difficili da contenere e da gestire, da ordinare, da tenere insieme. In più, tante volte, le parole si contorcono, tentano vicinanze ardite, cercano parentele improbabili e stranianti, talvolta prendono il sopravvento e vogliono esse stesse farsi poesia. Calendiluna: luna nascente, inizio, dall'invisibile al visibile, dall'ombra alla luce (riflessa). In questa raccolta la luna, rispettosa della sua mutevole natura, si fa di volta in volta materia poetica, accenno, citazione, storia, introspezione, rimembranza. Tuttavia non è mai l'ossatura della silloge, semmai soltanto il filo rosso, quasi il pretesto per l'espressione di un'energia poetica che la travalica e che si muove sempre libera. Nelle poesie di Anna, il linguaggio si muove con molta autonomia, senza troppi legami strutturali, ma con una particolare attenzione alle assonanze e dissonanze, talvolta obbligando il senso delle parole a torsioni che diventano però illuminanti riguardo al senso, lo ""compiono"""".» (dalla prefazione di Luciano Rossella)"" -
Nella cenere dei giochi
«[Qui] si procede nei luoghi dell'interiorità dove le coordinate spazio-temporali si annullano e tutto si svolge in una contemporaneità che vede coesistere memoria e realtà. È qui che avviene la restituzione, nello svelamento - che è togliere il velo, cogliere la visione - e nel ri-velare (rimettere il velo), prima di riconsegnare il tutto alla memoria. Un atto alla luce della ragione che permette una lucida rappresentazione del rinvenimento. Per la poesia, un processo che avviene in modo istantaneo. Lo sa bene Irene, che mostra in questo libro una frequentazione disinvolta dei non-luoghi della poesia, con un'ulteriore consapevolezza: la poesia è soprattutto una questione linguistica. Saper conciliare espressione e comunicazione, dire l'indicibile, nominare, che significa dare un nome, dire per la prima volta, dire soprattutto l'ossimoro, la contraddizione, decifrare il segno. Il tutto come un immenso nodo che finalmente si scioglie, trova la sua lingua, l'unica in grado di descrivere un parto dell'anima: il monologo. Un teatro, una scena disadorna, un'ombra in disparte che tenta un discorso delirante, una presenza viva che rovescia tutti i suoi cassetti, con impeto. Le parole partoriscono immagini incalzanti, plastiche.» (dalla prefazione di Maria Benedetta Cerro) -
L'arca russa. Il mito della «grande Asia» dall’impero degli zar alle guerre di Vladimir Putin
La Russia accarezza da più di due secoli il sogno di chiudere le porte all’Occidente, ricominciando a indossare con orgoglio i calzari asiatici una volta scrollata via la polvere romano-germanica. Una tendenza che scorre sotto traccia e incrocia la grande letteratura (Dostoevskij, Lermontov, Turgenev, Tolstoj, Solženicyn), la filosofia (Il’in, Gumilëv, Dugin), la scienza militare, fino a lambire le porte del Cremlino e a resuscitare il sogno di una Grande Madre Russia, dal Baltico a Samarcanda, riannodando i fili con i perduti Paesi-satellite dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Urss. Con le drammatiche conseguenze (si vedano l’Ossezia, la Georgia, la Crimea, il Donbass, l’invasione dell’Ucraina) che si verificano sotto i nostri occhi. L’arca russa è l’immenso vascello solitario sul quale ci si imbarca per dimenticare il grande abbaglio iniziato con la fondazione di San Pietroburgo. Un viaggio che, dopo aver sconfessato le sirene della modernità (liberismo, globalizzazione, società aperte), approda nel mito di una nuova Russkij Mir, un mondo russo in cui il nazionalismo di Vladimir Putin si coniuga con la Chiesa ortodossa nella comune avversione nei confronti delle democrazie occidentali. -
Milano. Storia dell'editoria dalle origini al 1860
Con questo saggio l'autore completa la ricostruzione storica dedicata all'editoria milanese, partendo dalle origini nel Quattrocento per arrivare fino agli anni Sessanta dell'Ottocento. La nascita e gli sviluppi dell'editoria a Milano sono un capitolo di grande rilevanza, non solo per l'evoluzione culturale e letteraria di una città, ma per la storia dell'intero Paese. Pur non mancando contributi fondamentali su singoli aspetti, periodi e protagonisti, si tenta qui per la prima volta di offrire un quadro unitario, in una visione di sintesi complessiva. Un viaggio documentato, suggestivo e ricco di sorprese, che consentirà di scoprire una città editoriale dai mille volti. Dall'attività di Antonio Zarotto e dai primi decenni della tipografia milanese, l'analisi prosegue con la produzione e il ruolo avuto a Milano dalle grandi famiglie di tipografi nel Cinquecento e nel Seicento, per esaminare i fenomeni di continuità e transizione nel Settecento e infine entrare nel vivo dell'industria editoriale ottocentesca (il romanzo, i libri per la scuola e i ragazzi, i libri religiosi, ecc.). -
Diventare veramente cristiani. Pensieri di Søren Kierkegaard
Kierkegaard si considerava essenzialmente «uno scrittore religioso». Alla radice della sua attività letteraria c'è sempre stato il compito di «diventare veramente cristiani» e di tornare al cristianesimo delle origini in quanto forma più alta di verità e autenticità dell'esistenza umana. A un cristianesimo ""di massa"""", convenzionale e anonimo, ha sempre contrapposto, nei suoi scritti e sperimentandolo con impegno e abnegazione nella propria vita, un cristianesimo che è messaggio di salvezza, con al centro Cristo in quanto modello da seguire."" -
Il borgo di Gorla. Guida turistica per bambini
Età di lettura: da 8 anni. -
Pagine postume pubblicate in vita. Testo tedesco a fronte
Pubblicato a Zurigo nel 1936, il libro è una raccolta di non-racconti metaforici. È inutile cercarvi delle trame: la preoccupazione principale dell'autore è cogliere, attraverso una micro-osservazione del mondo, la simbologia e il significato di certi meccanismi della mente umana, talvolta misconosciuti o dimenticati. La rilettura di questi racconti dimostra come essi fossero allora graffianti e carichi di attualità e, oggi, ancora ben vivi e vitali. Quella di Musil è una scrittura raffinata e scorrevolissima, a tratti ipnotica; accomuna riflessioni che raggiungono significati che si liberano del fatto contingente, a cui sono legati e per cui sono stati espressi, e diventano solo il pretesto per andare oltre verso l'universalizzazione. È questo a far sì che l'opera mantenga una particolare freschezza e attualità. -
La società degli agricoltori filosofi
"[...] proprio la rivoluzione è il cuore dell'opera, un asse intorno al quale si muovono le idee de La società degli agricoltori filosofi. Essa è intesa quale «rigeneratrice delle virtù umane», in grado di fondare «un radicalmente nuovo ordine sociale». Occorre ammettere che sono idee che vanno oltre la tradizione dell'utopismo e si collocano in un mondo che nel giro di qualche anno vedrà diffondersi i primi programmi socialisti e avrà fatto tesoro di quanto è successo in Francia dopo la presa della Bastiglia. Per Russo e per il socialismo che verrà anche dopo la fase utopistica, la rivoluzione divide il nuovo dal vecchio, con essa il passato smette di esistere. Tra i progetti che emergono nell'opera, c'è l'istituzione di due scuole, per la morale repubblicana e per l'agricoltura, per formare «una generazione di contadini filosofi, felici elementi di democrazia»."""" (dalla Prefazione)" -
Federico Nietzsche il gran ciarlatano
Nel 1921, a Bergamo, compariva per i tipi della casa A. Savoldi ""stabilimento cartotecnico-editoriale"""" un saggio singolare scritto dal critico armeno Raphaël Bazardjian. Medico chirurgo e studioso di filosofia, Bazardjian si trasferì in Italia dopo aver lavorato come assistente al Policlinico di Berlino. Il breve e denso saggio demoliva in ogni sua parte la figura di Friedrich Nietzsche. Forse per questo, da oltre un secolo, il volume risulta introvabile e una sola copia è conservata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Dario Agazzi, discendente da parte materna dell'editore Savoldi, ha recuperato il testo riproponendolo al lettore odierno: perché una voce critica tagliente e ironica contraria a Nietzsche - celebrato senza se e senza ma - non andasse sepolta e dimenticata.""