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Piccola scuola del pensiero filosofico
“Quando la radio bavarese mi invitò a tenere nella sua «università televisiva» un corso settimanale di lezioni di filosofia della durata di tre mesi, rimasi, devo dirlo, sorpreso. Quale rischio infatti per l’ente radiofonico e quale compito per chi riceveva l’incarico! Ma non ebbi esitazioni. La filosofia esiste per l’uomo in quanto uomo, per il singolo uomo. Come titolo proposi: Piccola scuola del pensiero filosofico. «Piccola» scuola: il che non vuol dire discorrere filosoficamente di piccoli temi, né offrire semplici nozioni di propedeutica del filosofare. Non esiste né l’una né l’altra cosa. Chi filosofa, immediatamente deve affrontare i grandi temi, e la filosofia stessa. Se così non è, non si filosofa affatto. «Piccola» allude soltanto alla brevità, alla stringatezza con la quale si dovrà destar l’attenzione per mezzo di concetti già in sé filosofici. Piccola «scuola»: il che non vuol dire insegnare qualcosa che poi diverrà sapere. Non dispenseremo mere lezioni. Cercheremo piuttosto di percorrere particolari vie di pensiero nella speranza di suscitare in tal modo nell’ascoltatore, anche se solo inconsapevolmente egli avesse in precedenza fatto le sue esperienze filosofiche, quella scintilla grazie alla quale d’improvviso ci si accorge di che propriamente si tratti in filosofia. Scuola del pensiero «filosofico», infine: il che vuol dire battere la strada del pensiero empirico e razionale sino a che non si palesino le scaturigini. Scuola qui non è addestramento ad operazioni di logica formale, di logistica o di analisi del linguaggio, tutte cose, codeste, che possiedono un loro legittimo senso, ma non ancora un senso filosofico. Scuola del pensiero filosofico vuol piuttosto indicare un pensiero che pone in una luce più intensa il fondamento in noi e al di là di noi onde scaturiscano e i significati e gli orientamenti. […] Nel corso delle lezioni toccheremo i limiti sia della sfera empirica che di quella logica. Udiremo in primo luogo risposte. Ma nessuna risposta sarà l’ultima; ognuna condurrà a nuovi problemi, finché l’ultimo problema resterà invero senza risposta, ma non per questo sarà un problema vano. Esso renderà possibile, piuttosto, l’adempiuto silenzio nel quale non già il nulla si manifesta, ma l’autentico può parlare per l’uomo attualmente attraverso la sua intima disposizione, l’esigenza, la ragione, l’amore.” (Dalla Prefazione di Karl Jaspers) -
I problemi fondamentali della filosofia
«A questo disegno di promuovere, al di fuori della cerchia specialistica, quella forma tutta interiore di comprendere che rivive e intuisce le condizioni dell’atto stesso della produzione filosofica, io intendo qui contribuire con l’esposizione e la discussione di alcuni fondamentali problemi e dei tentativi di soluzione che offre la storia della filosofia, e intendo farlo da questo caratteristico punto di vista: io vorrei cioè offrire l’immagine di questi grandi filosofemi, così come essi si presentano a un filosofo che cerca una propria soluzione di quei problemi e che a questo fine richiama e discute le loro soluzioni anteriori. Il suo scopo non è allora affatto di carattere storico, ma è concretamente speculativo; vale a dire che il problema non ha per lui valore solo perché Platone o Hegel lo abbiano discusso, ma, al contrario, Platone o Hegel hanno valore per lui solo in quanto hanno discusso quel problema. Nella corrente del suo pensiero le loro dottrine affioreranno dunque solo come onde di forma particolare, senza infrangerne la continuità con il porsi come fine a se stesse. E poiché tali dottrine sono solamente le stazioni del cammino del suo proprio pensiero, perdono in esso il carattere sistematico la cui chiusa rigidità impedisce spesso di penetrare nella loro vita interiore, e che, come loro forma esterna e caduca, viene via via sconfessata dall’evoluzione storica dello spirito. In tal modo il proprio movimento spirituale segnerà i contorni del pensiero tradizionale e potrà infondersi in esso, che senza tale trasfusione e consentimento rimarrebbe, nel suo fondo, inaccessibile. Io non intendo oltrepassare nell’esposizione quei limiti che corrispondono a questo punto di vista, né offrire per i problemi alcuna personale soluzione, la cui inevitabile unilateralità contrasterebbe con l’obiettività del mio compito attuale». Introduzione e traduzione di Antonio Banfi.. Con uno scritto di Fulvio Papi. -
Salomé
“Oscar Wilde fu essenzialmente un abile, elegante e perfino geniale divulgatore. E tale si dimostra anche nel caso del suo unico scritto in francese, lo strano testo teatrale intitolato Salomé, dove in certo senso si dice una parola definitiva su questo personaggio tanto centrale per la sensibilità della cosiddetta decadenza. Centrale perché? Perché Salomè […] è l’ultima incarnazione del mito romantico della donna fatale, corrotta e innocente al tempo stesso, irresistibile e distruttrice; un mito che si incarna di volta in volta nella Belle Dame Sans Merci di Keats, nella Carmen di Mérimée, nella Monna Lisa di Leonardo descritta da Walter Pater. In Salomè questa femme fatale assume i connotati estremi nel segno della decadenza: estrema è la crudeltà (e allo stesso tempo, l’innocenza); estrema è la giovinezza (già nel Medioevo Salomè viene rappresentata come poco più di una bambina); estrema è la carica sacrilega del mito; ed estrema è la componente erotica (la danza discinta, il sangue). Questi sono i dati comuni a tutte le versioni tardoromantiche e decadenti, delle quali a Wilde sarebbe toccato di offrire la sintesi definitiva.” (Dallo scritto di Masolino d’Amico) -
Il libro della virtù e della via
La versione che qui presentiamo del più noto testo taoista, ""Il libro della virtù e della via"""" (Te-tao-ching), attribuito al mitico Lao-tzu, è la prima, in Occidente, a esser compiuta sul manoscritto più antico, per molti aspetti diverso da quello tradizionale, ritrovato vent'anni or sono nel corso degli scavi archeologici di Ma-wang-tui. Siamo dunque di fronte a una scoperta, più che a una rilettura, di quest'opera fondamentale che proietta intense suggestioni anche sul nostro mondo, e il cui significato può intuirsi solo nei percorsi del paradosso. Perché il Tao, il primo principio creatore dei diecimila esseri, tra cui l'uomo, che compongono l'universo, non può essere definito. In esso si armonizzano, come in una summa oppositorum, tutte le antinomie: principio maschile e femminile, luce e tenebre, forza e debolezza. Non lo si può raggiungere né con lo studio né con il ragionamento, tanto meno con l'azione. L'individuo dovrà non agire, appartarsi dalla società, rifiutarsi di collaborare con chi governa, distaccarsi dal contingente, rinunziare a ogni ambizione. Solo così potrà comprendere cos'è il Tao e raggiungere l'autentica immortalità."" -
Realtà e mistero. Le radici universali dell'idealismo e la filosofia del nome
«Non esiste uomo che, seppur per un attimo, non sia stato seguace di Platone. Chi può dire di non essersi sentito spuntare le ali dell’anima? Chi non l’ha sentita levarsi verso la contemplazione diretta, immediata di ciò che la grigia coltre di nuvole del quotidiano nasconde alla vista? Chi, grazie all’eros, non ha toccato profondità della conoscenza alle quali la ragione non ha accesso? Chi non ha visto svelarsi la realtà altra e luminosa dove colui che ha conosciuto l’ispirazione incontra de visu gli archetipi eterni delle cose? Chi non ha assistito al crollo, alla caduta del muro invalicabile tra soggetto e oggetto, chi non ha visto l’Io abbandonare i limiti della propria introversione egoistica per respirare a pieni polmoni l’aria rarefatta della conoscenza e fondersi con tutto il creato? E quei “sogni d’amore meravigliosi, puri, senza nulla di terreno, intessuti di profumo di fiori e luce lunare, con i quali oggi si ottenebrano i giorni della giovinezza e che sono sulle labbra di tutti i poeti di tutte le nazioni colte” non sono forse figli del platonismo?». -
Il cappotto
“Il cappotto” (1842) di Gogol’ viene qui presentato nella versione di un traduttore d’eccezione, il poeta Clemente Rebora. Tuttavia l’importanza di questa edizione è dovuta soprattutto al testo che affianca il capolavoro gogoliano, scritto da Rebora in occasione della prima edizione del libro, nel 1920. Nel lungo saggio dedicato al racconto, un’indagine minuziosa e mirabile che non ha forse eguali nell’Italia di quell’epoca, Rebora ci offre un’interpretazione che oltrepassa le letture canonizzate e i luoghi comuni che allora come oggi eludono le interrogazioni fondamentali della «parabola» gogoliana. -
Lo spleen di Parigi
«A Arsène Houssaye Mio caro amico, vi invio un piccolo lavoro del quale sarebbe ingiusto dire che non ha né capo né coda, poiché, al contrario, in esso tutto è, alternativamente e reciprocamente, a un tempo capo e coda. Considerate, vi prego, quali mirabili vantaggi questa combinazione offra a noi tutti, a voi, a me e al lettore. Possiamo interrompere dove vogliamo, io le mie fantasie, voi il manoscritto, il lettore la sua lettura; non tengo infatti la volontà restia del lettore sospesa al filo interminabile di un intreccio superfluo. Togliete una vertebra, e i due pezzi di questa tortuosa fantasia si ricongiungeranno senza sforzo. Spezzettatela in mille frammenti, e vedrete che ciascuno potrà vivere separatamente. Con la speranza che qualcuno di questi tronconi saprà essere abbastanza vivace da piacervi e divertirvi, oso dedicarvi l’intero serpente». -
La mia fanciullezza con Gurdjieff
"Ecco un libro assolutamente delizioso. Non solo rievoca aneddoti pieni di spirito, ma è anche colmo di saggezza, la saggezza della vita. Il libro è egualmente ammirabile per la singolarità dell’incontro fra un ragazzino, Fritz Peters, e un essere straordinario. Si deve infatti tener sempre presente che, quando la madre lo affidò a Gurdjieff, che dirigeva allora l’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo, a Fontainebleau, il bambino ignorava tutto della personalità del suo interlocutore e di quello che egli poteva rappresentare. Ma se ne rese conto ben presto. Ad apertura di libro, si viene immediatamente sedotti da queste due nature così profondamente diverse, e si avverte come tutto, qui, sia molto lontano dalla banalità dei ricordi d’infanzia. Fritz Peters, il monello, fu abbastanza perspicace da rendersi conto che si trovava in presenza d’un uomo assolutamente fuori del comune, d’un essere che era stato definito come un maestro, un guru, un profeta. Il libro affascinerà certamente anche chi di Gurdjieff non ha mai sentito parlare. E in ogni caso distrugge tutte le assurde leggende del «maestro e diavolo» che sono circolate a suo riguardo, delineando il ritratto di una delle figure più enigmatiche e controverse del nostro tempo. L’ho letto a più riprese, e ogni volta con interesse rinnovato. In un certo senso, lo considero come qualcosa di eguale ad Alice nel paese delle meraviglie, un autentico gioiello della nostra letteratura."""" (Dallo scritto di Henry Miller)" -
Oppio
Nel 1928, cinque anni dopo la morte dell’amico Raymond Radiguet, durante una cura disintossicante in clinica, Jean Cocteau, oppiomane, scrive e disegna. Per lui le due attività appartengono a un medesimo atto creativo: «Scrivere, per me, è disegnare, unire le linee in modo che diventino scrittura, o disunirle in modo che la scrittura diventi disegno». Così, nel corso delle giornate, dei singoli istanti, sotto i nostri occhi nasce un libro fatto di annotazioni, di giochi di parole, di giudizi da poeta («Il mio sogno, in musica, sarebbe di ascoltare la musica dei mandolini di Picasso»). Ai commenti sulla letteratura e sugli scrittori (si vedano le pagine ammirevoli su Proust, su Raymond Roussel) si aggiungono le osservazioni sul cinema (Buster Keaton, Chaplin, Buñuel), sulla poesia, sull’arte. Ma il tema lancinante, che ritorna a ogni pagina, è quello dell’oppio: «Mi sono reintossicato perché i medici che disintossicano non cercano di guarire i disturbi originari che causano l’intossicazione...». Ma il disturbo originario può essere guarito? «Tutto ciò che si fa nella vita, anche l’amore, lo si fa nel treno espresso che corre verso la morte. Fumare l’oppio è abbandonare il treno in marcia, è occuparsi d’altro che della vita, della morte». In questo libro Jean Cocteau ritrova la grande tradizione dei poeti visionari, quella di De Quincey, di Baudelaire, e soprattutto di Rimbaud. -
La metamorfosi degli animali
C’è una forza che segna lo sviluppo delle cose, ne regola il ritmo della crescita, controlla la decadenza e la fine. Goethe ha chiamato questa forza natura e ha usato il tempo della sua vita per inseguirne i segreti, per cercare di svelarli, per mostrare che noi – la nostra scienza, la nostra letteratura – non siamo che una piccola scheggia che ha origine dalla sua infinita potenza creativa. La natura è madre, è fondamento di tutto ciò che risplende nella diversità e nell’ordine. Allora, le differenze tra presunti saperi storici, scientifici, letterari sono solo un arbitrio che la cultura moderna ha voluto introdurre per sterilizzare l’energia vitale della natura, per controllarla e, in fine, per dominarla. Ma il dominio della natura è stato pagato con la perdita del significato dell’origine e del fondamento dell’esistenza. Gli scritti di Goethe sulla morfologia animale rappresentano un momento essenziale di questa riflessione sul fenomeno naturale. Essi ripercorrono tutta l’attività di ricerca goethiana sull’anatomia, sulla fisiognomica, sull’osteologia: «Ho scoperto non oro né argento» scrive Goethe a Herder «ma ciò che mi procura una gioia inesprimibile: l’osso intermascellare nell’uomo». Questa scoperta gli doveva confermare l’esistenza, almeno per quanto riguarda gli animali superiori, di un modello, di un tipo generale e costante le cui parti possono variare pur mantenendo una stessa unità formale. Era la dimostrazione dell’organicità vivente della natura, nell’infinita e affascinante varietà delle sue metamorfosi. -
Lo zen e le arti marziali
“Quando lo Zen giunse in Giappone, il paese era dilaniato da guerre civili, violenze, massacri, deportazioni di massa. Fu lo spirito Zen a trasformare le tecniche brutali della guerra in arti che avevano come fine non l’efficacia bellica, ma la ricerca di sé, il perfezionamento interiore di chi le praticava. La spada, l’arco e le frecce si trasformarono da strumenti di morte in supporti della meditazione. Il combattimento divenne puramente spirituale, il nemico fu individuato in se stessi, nelle illusioni dell’ego che impediscono all’uomo di vedere la sua reale natura, e che si devono implacabilmente distruggere. In virtù di questa meravigliosa influenza nacque il Bushido, insieme di princìpi morali, codice d’onore, disciplina cavalleresca che ha come fine il perfezionamento delle qualità fisiche e morali dell’uomo: il coraggio, la semplicità e la frugalità, la lealtà e la giustizia, la generosità e il disprezzo della morte. Fu per questo che lo Zen venne denominato «la religione dei samurai».” (Dallo scritto di Claude Durix) -
Nuovo Cinema Adriatico. Ediz. italiana e inglese
Roberto Pari e Sergio Tani sono andati in pescheria ad acquistare i loro personaggi, li hanno maneggiati, si sono sporcati le mani. Intanto avevano ricreato i set di alcuni capolavori della cinematografia mondiale. Questa loro operazione può rimandare a migliaia di altri mondi fatti di cose da nulla, di tutte quelle cose che sembrano non contare niente, piccoli oggetti insignificanti, erbe selvatiche, scatole vuote, insetti o larve, che il nostro vivere, attento solo alle necessarie banalità, non ci permette di vedere. Se volessimo, cioè, partire dal cinema, dai capisaldi della sua storia, scelti dai Paritani, sarebbe altrettanto interessante l’operazione di ridimensionamento d’ogni “mostro sacro” al livello del nostro vivere quotidiano, del nostro nuotare in un mare dai bassi fondali, del nostro venire pescati e venduti sui banchi del mercato. Il portare sullo stesso piano il sacro e il profano è sempre stata prerogativa indiscussa di una certa espressione artistica di matrice popolare. Questa operazione passa attraverso la capacità dell’artista di vedere attraverso lo sguardo dell’ironia, quando non addirittura di rendere comica la materia da lui trattata... -
Viaggi straordinari
«La curiosità di Aldo Mondino verso l'universo delle culture differenti, la sua capacità di entrare in sintonia empatica con mondi esotici ha sempre caratterizzato il suo lavoro. I suoi ""Viaggi straordinari"""" hanno riguardano la propensione alla ricerca di qualcosa di sempre nuovo da scoprire, sia in senso culturale che in senso propriamente geografico. I suoi sono viaggi metaforici oltre che fisici. I luoghi dell'arte e dei linguaggi in cui si è """"recato"""" sono stati davvero tanti fin dagli inizi negli ani Sessanta dalle enciclopedie e gli erbari, al nume tutelare della pittura torinese (ed europea) Felice Casorati. Viaggi nella cultura e nella pittura: ha infatti rivisitato l'arte astratta con garbo e ironia, la pop art, la xilografia mitteleuropea, Orientalismo, Alberto Giacometti, Umberto Boccioni senza tralasciare l'enigmistica, i King, il codice stradale e molti altri linguaggi. La sua curiosità e il suo istinto verso l'ironia, il mot d'esprit, la parodia, lo hanno spinto a cercare sempre nuovi confronti, a rendere """"mondiniano"""" quella parte di universo con cui è entrato in contatto. Aldo Mondino è stato un artista straordinario, non a caso è stato grande amico di Alighiero Boetti, altro genio italiano assimilato all'Arte povera. Mondino è sempre stato un anarchico, un personaggio riottoso all'inquadramento in caselle storico artistiche né tantomeno a gruppi o scuderie. Oggi a distanza di 15 anni dalla sua morte, si capisce ancora di più il suo valore e la sua unicità nel panorama dell'arte contemporanea.» (Valerio Dehò)"" -
Così... gira il mondo! Ediz. italiana e spagnola
In questo libro scritto in italiano e spagnolo, ancora si evidenzia la preoccupazione per una società in degrado. Tematiche umanitarie, della vita sociale, della sanità, del commercio, dell'amicizia, dello spirito, dello sport, sono qui presenti ed espresse in varie immagini. -
Quello che doveva accadere
AQTB é il Quaderno Tecnico di Bordo, un registro in cui vengono annotati eventi tecnici relativi ad un aeromobile. In origine di alluminio, come quello a bordo del Douglas - DC9 della compagnia aerea ITAVIA. Giovanni Gaggia trasforma questo oggetto in uno scrigno metallico con la funzione non solo di raccogliere, ma anche di trasmettere la memoria di una delle pagine più dolorose della storia recente del nostro paese: la Strage di Ustica. Un archivio vivo, in continua evoluzione e concepito come parte di un dittico: un arazzo e un libro d'artista. L'installazione, realizzata in occasione del quarantennale dall'accaduto, per il Museo Tattile Statale Omero di Ancona, vede il grande arazzo a caratteri Braille ""Quello che doveva accadere"""" accompagnato da oltre cinquanta voci riprodotte in acustica e su carta. Artisti, critici, curatori, poeti, giornalisti, scrittori, intellettuali hanno condiviso la loro personale riflessione in risposta ad una domanda dell'autore: «Analizziamo i termini Tempo e Giustizia in relazione a questa tragica vicenda, inoltre, se lo è stato, che valore ha l'aver affidato la memoria all'arte?» Introduzione di Aldo Grassini. Prefazioni di Cristiana Colli e Roberto Mastroianni. Postfazione Stefano Verri."" -
Il nemico invisibile
In questo colorato volume illustrato completamente con uno stile gestuale, Luigi Ramaccioni ci mostra la sua grande passione per l'ecologia, avvenuta recentemente e ""... in un certo senso l'ho sempre avuta..."""". Analizza in modo maniacale, elenca e ipotizza soluzioni per salvaguardare il nostro pianeta. Ringraziando il geologo Mario Tozzi e l'Ex Vice Presidente degli Stati Uniti All Gore, sogna con l'aiuto di tutti un mondo nuovo, pulito, per evitare che le persone possano ripetere gli stessi errori del passato."" -
Bartolomeo Mendozzi da Leonessa. Un maestro del Seicento tra l'Incredulità, il caso Ducamps e i nuovi documenti. Ediz. illustrata
Dimenticato e mai apparso nei libri di storia il nome di un pittore si rivela come protagonista in un crocevia artistico esaltante, la Roma della prima metà del Seicento. Bartolomeo Mendozzi oggi è considerato uno dei massimi pittori caravaggeschi, ma solo tre anni fa nemmeno gli studiosi di quell'epoca, tra le più dense e indagate della storia, lo avrebbero mai potuto immaginare. Intorno al recupero di questa personalità si sono intrecciate ricerche generose e depistaggi, equivoci e repentini cambi di identità. Questo libro racconta le vicende di un gruppo di dipinti, sempre più numeroso, che per lungo tempo non ha avuto padre. Unito nello stile e sotto il titolo di ""Maestro dell'Incredulità di San Tommaso"""" quell'orfanatrofio di opere per alcuni decenni ha viaggiato con un passaporto falso, col nome del francese Jean Ducamps, fino a che, per un perfetto incastro e come in un racconto poliziesco, certe tessere del mosaico non hanno mostrato la soluzione dell'enigma. Le prime pale d'altare aggregate nel gruppo di dipinti hanno permesso di ritrovare, nei documenti d'archivio, il vero nome del pittore: Bartolomeo Mendozzi da Leonessa."" -
Taccuini d'arte. Collana di Arte e Storia del territorio di Modena e Reggio Emilia. Ediz. illustrata. Vol. 14
Collana di Arte e Storia del territorio di Modena e Reggio Emilia a cura di Alessandra Bigi Iotti, Elisabetta Farioli, Francesca Piccinini e Giulio Zavatta. -
Il mondo alla rovescia di Fabrizio Berti
Le opere di Fabrizio Berti possono essere considerate il corrispettivo contemporaneo delle rappresentazioni del mondo alla rovescia e le sue interpretazioni diventano la metafora di un auspicato o immaginato processo di rinnovamento. Il nesso non si trova solo nello sviluppo narrativo di scene assurde che portano con sé il sorriso provocato dalla gioia di vedere infranto un mondo che si pensava non potesse cambiare mai, ma è presente anche e soprattutto nella percezione positiva dell'alterità. Il tema di un mondo contro-natura che celebra la gioia di fronte al trionfo delle differenze è la chiave per cogliere il senso profondo del ciclo di lavori di Fabrizio Berti: la sua rivoluzione sta, infatti, nel rendere concreto e manifesto, data la semplicità del linguaggio estetico, il cambiamento codificando fatti storici, leggende, fumetti, scene di film e famose opere d'arte, divenute icone del nostro tempo, con lo stesso rapporto satirico con cui le stampe del mondo alla rovescia di epoca moderna si servivano dei modelli della pittura mitologica per criticare i costumi del tempo. -
Corri e lascia correre. Monologo sulle contraddizioni dell'essere. Nuova ediz.
«Ma chi me lo fa fare?» si chiede l'autrice tutte le volte che l'autrice inizia a correre. Eppure continua a farlo, sebbene nessuno la obblighi. Se mi osservo - scrive l'autrice - è evidente che dentro di me c'è qualcuno che comanda e qualcuno che obbedisce, qualcuno che starebbe sul divano e qualcuno che, invece, scatta. Nel momento dell'interrogatorio, siamo almeno in due. Quanti altri Io abitano l'essere? Come recita il sottotitolo, Alice Zannoni individua la pluralità interiore e narra le contraddizioni emotive che abitano l'individuo. In ""Corri e lascia correre"""", corre e racconta lo scorrazzare dei pensieri, ma questo non è un libro sulla corsa, è un libro nella corsa.""