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Lo stato sociale in Italia 1998. Rapporto annuale Iridiss-Cnr
Dopo gli accordi di Maastricht e di Amsterdam, l'Europa dell'Euro e del Mercato unico ha acquistato sempre maggiore concretezza, e nel contempo gli scenari nazionali hanno cominciato a perdere, almeno in parte, la loro solidità. La maggiore visibilità del contesto europeo ha contribuito a sottolineare problemi forse non inediti, ma fin qui trascurati, come quelli legati alle diverse traiettorie di sviluppo economico e sociale che caratterizzano i paesi aderenti, o in procinto di aderire, all'Unione; o come quelli relativi al processo di integrazione sociale.I sistemi nazionali di welfare, che potrebbero forse giocare un ruolo essenziale per la soluzione di tali problemi, si trovano oggi di fronte al dilemma che scaturisce da due esigenze: quella di garantire un punto di equilibrio in rapporto alla situazione interna di ciascun paese, e quella di trovare forme di mediazione e di compatibilità in rapporto all'obiettivo di una dimensione sociale comunitaria.Tutto ciò suggerisce una duplice linea di lettura. Una di taglio comparativo (qui dedicata soprattutto alle questioni connesse al mercato del lavoro e alle politiche per l'occupazione) e una concentrata sull'analisi del singolo caso nazionale (italiano), interpretato però non unicamente in termini tecnici, ma secondo un'impostazione che tenta di rilevare la percezione sociale delle trasformazioni in atto e le alternative che tali trasformazioni sottendono. -
Bernini e il Salvatore. La «Buona morte» nella Roma del Seicento
La «buona morte» raccontata da Irving Lavin è quella che Gian Lorenzo Bernini si andò preparando negli ultimi anni di vita e che volle esprimere concettualmente in alcune opere tarde. I saggi contenuti nel volume affrontano un percorso inconsueto e ricco di spunti. La condotta del grande e vecchio artista del Barocco, nell'imminenza della sua fine terrena, appare come un vero programma di salvezza, tanto rappresentato quanto vissuto.Ma per lo studioso americano si può andare oltre e connettere l'idea di «buona morte» con un senso più universale di carità cristiana, concretizzato allora in un'iniziativa che prelude a un moderno e istituzionalizzato stato sociale.Si intrecciano così vari piani: il racconto della morte di Bernini secondo i suoi biografi, la descrizione attenta e coinvolgente di opere meno note, a volte, di attribuzione discussa, l'incursione nel mondo dei senza tetto in una città di tremendi contrasti. Un tema, come dice lo stesso Lavin, che gli ha permesso di passare dagli archivi e dai musei alle strade della Roma barocca. -
Il Reno. Storia, miti, realtà
Quando, tra il 1931 e il 1935, Lucien Febvre scrive questa storia del Reno, sulle sponde del grande fiume soffiano minacciosi venti di guerra. Dopo il primo conflitto mondiale, i francesi si sono insediati in Renania. Dalla convulsa Germania di Weimar sta emergendo il frutto bellicoso del nazismo. Sul ""padre Reno"""", cuore d'Europa, si addensano i miti più radicali e contrapposti. Il fiume è in quegli anni un oggetto conteso, una ferita, nel migliore dei casi una «frontiera naturale».Ci vuole del coraggio, e insieme un profondo rispetto per la storia, a sostenere in quel momento l'idea di un Reno come punto di unione, come luogo di scambio e di raccordo europeo. Per comprendere la storia vera di questo spazio umano, fatto di contatti e di scambi tra popoli e culture diverse, bisogna innanzitutto abbattere una quantità di idoli che sono stati costruiti, nei precedenti decenni, da entrambe le sponde. A questa critica serrata - «la storia non è un ballo in maschera» - il grande studioso si accinge in queste pagine: ne scaturisce quello che Jacques Le Goff ha definito «un capolavoro della geografia storica».Nel discorso di Febvre il fiume si personalizza, acquista l'autonoma fisionomia di un individuo. L'«umanità» del fiume viene seguita e accompagnata nella sua crescita, dalla prima infanzia, nei lunghi millenni di una preistoria che ne definisce il solco, agli sviluppi antichi, medievali e moderni. Castelli, paesi, città vi si affacciano per un'irresistibile attrazione. Strade e sentieri vi confluiscono per raccordarsi con esso.Dal Reno romano, limite mobile e incerto di una grande opera di conquista, a quello delle successive ondate barbariche; dal Reno delle grandi cattedrali romaniche e gotiche alla straordinaria stagione di rigoglio delle città; dal Reno dei piccoli Stati regionali e della inguaribile frammentazione a quello dell'ultimo secolo, schiacciato dal conflitto. La vicenda del fiume conosce dunque le più diverse vocazioni, senza che sia dato allo storico di poter definire una identità destinata a prevalere. Ciò che è certo è che nel corso della sua lunga storia il Reno è stato soprattutto sede di incivilimento, luogo di scambio e di apertura."" -
Partire, tornare. Viaggiatori e pellegrini alla fine del millennio
Mai come in questo nostro tempo, si parte. Il viaggio, pratica e metafora plurimillenaria, luogo cruciale del nostro immaginario, in questa nostra fine di millennio si fa concitato, frenetico, continuo. Si parte da soli o più di frequente in gruppi, per vacanze o pellegrinaggi di massa, governati dai tour operators che scelgono tutto: dalla destinazione all'itinerario, al menu, ai souvenir da portare a casa.Si parte per tornare, recita un vecchio adagio. Ma una società come la nostra, «ad alto tasso di nomadismo», sembra aver smarrito proprio la dimensione del «ritorno», insieme con quella della memoria. A ben vedere, oggi è la memoria ad essere in pericolo. E senza memoria non si può tornare.Nel mondo in cui tutti viaggiano, il viaggio allora si eclissa. Nella cultura del presente assoluto ci si muove sempre e non si arriva mai. Si viaggia con una fretta esponenziale, con la golosità di una bulimia indifferente ai contenuti, sorda alle situazioni, cieca di fronte alle differenze. I linguaggi si sono stemperati in un solo linguaggio: un linguaggio basic, semplificato, privo di risonanze. Tutto è preciso, ma nello stesso tempo sciapo come la cucina di un vagone ristorante.Pamphlet, saggio, itinerario - le pagine di Ferrarotti disegnano la radicale, ironica presa di distanza da questo «non viaggio». E il viaggio mentale di Ferrarotti risale all'indietro, da Chatwin a Freud, a Rilke, fino alla laica riscoperta dei luoghi deputati del viaggio biblico. Allo sconcluso viaggio del turista, si affianca e si contrappone infatti, più tragico e disperato, quello dei boat-people, dei diseredati in cerca di speranza, l'altra faccia, meno standardizzata e rassicurante, di un nomadismo che ci riconnette alla dimensione del tempo storico, del passato e del futuro.Lo straniero di Emmaus, la moglie straniera del Libro di Ruth evocano così il senso contraddittorio, inquieto, aperto del viaggio: l'incontro e lo scontro, la fecondazione reciproca - o l'odio micidiale - tra diverse culture. -
L' oro di Europa. Monete, economia e politica nei nuovi scenari mondiali
Qual è il vero significato strategico dell'Unione monetaria europea? Quali i suoi obiettivi, nell'evoluzione del sistema economico e politico mondiale dei prossimi decenni? Quali le conseguenze su scala nazionale? E quali le convenienze?Uno dei nostri più brillanti e autorevoli economisti si cimenta qui con il compito di rendere facili e piani concetti apparentemente difficili. E in questa nuova edizione accresciuta, che esce a distanza di sei mesi dalla prima, e quando ormai l'Euro è divenuto una concreta realtà, molte delle sua lungimiranti analisi mostrano una tenuta che non è esagerato definire ""profetica"""". Il problema è di restituire con razionalità il senso della scelta dell'Euro nel quadro del più generale scenario dell'economia e della finanza mondiale: un senso che istintivamente sembra essere già stato colto dalla maggioranza dei cittadini, ma che stenta ancora a manifestarsi in tutte le sue implicazioni.La moneta unica europea si avvia a coprire un'area che comprende più abitanti degli Stati Uniti e del Giappone. Il peso economico e commerciale dell'Europa degli undici sarà confrontabile con quello degli Usa e maggiore di quello giapponese. Anche l'apertura al commercio estero dei paesi dell'Euro è in media eguale a quella degli altri due grandi interlocutori.«Siamo dunque - osserva de Cecco - di fronte a una grande svolta dell'economia mondiale. Tre blocchi si sono formati. Ma non sono ancora tra loro veramente confrontabili». Il colosso americano trae dalla propria forza interna e dall'egemonia politica di cui può disporre una posizione di primato, che gli consente di ammortizzare con grande facilità gli effetti destabilizzanti che le sue stesse politiche vanno producendo sui mercati finanziari dell'Est asiatico. D'altro canto il Giappone, che pure sconta una certa recente debolezza, può contare su una solida struttura statale. Mentre dunque, con tutte le loro diversità, Usa e Giappone sono due Stati tradizionali in piena regola, con una politica estera e una politica economica centralizzata, per l'Europa si tratta di avviare un processo che la porti ad acquisire, attraverso profonde trasformazioni, le caratteristiche di una vera e propria «economia continentale».È questo, d'altro canto, l'unico modo per impedire che si assista nei prossimi anni a una «globalizzazione selvaggia», con una sola super-potenza, gli Stati Uniti, soggetta alla tentazione di «praticare il mercantilismo, travestendolo da libero scambio».Ma chi terrà, in Europa, le file di questo disegno? Sarà inevitabile il trionfo di quel modello «mitteleuropeo» che sembra oggi prepotentemente imporsi, con relativa «balcanizzazione» del resto del vecchio continente? O ci saranno possibili alternative? E quali conseguenze si avranno per il nostro paese, da sempre sbilanciato da uno squilibrio territoriale che rischia di lasciare il Sud fuori dall'Europa?"" -
Della natura degli uomini e delle cose. Vol. 3
"Non abbiamo ancora esempio nelle passate età, dei progressi di un incivilimento smisurato, e di uno snaturamento senza limiti. Ma se non torneremo indietro, i nostri discendenti lasceranno questo esempio ai loro posteri, se avranno posteri"""". (Giacomo Leopardi). Con questo terzo volume prosegue la pubblicazione dell'edizione tematica dello """"Zibaldone"""" leopardiano, che ha già visto l'uscita dei volumi """"Trattato delle passioni"""" e """"Manuale di filosofia pratica"""". Si entra così nel pieno dell'argomentazione filosofica di Leopardi. Non a caso, nei """"Disegni letterari"""" il poeta ebbe modo di definire il """"Della natura degli uomini e delle cose"""" come l'opera che avrebbe contenuto la sua metafisica, aggiungendo che sarebbe stata l'opera della sua vita. E infatti in questo libro si tratta dei più arditi problemi filosofici: l'essere e il nulla, l'infinito dei mondi, spazio e tempo, Dio, ma anche degli effetti che la """"Civiltà"""", portata alle sua estreme conseguenze, determina sull'uomo e sulla natura: la morte delle illusioni è allora parallela alla distruzione della «salvatichezza» in natura. E' poi affrontato tutto il problema della natura nei suoi vari significati: caso e necessità, ma anche luogo primitivo e originario da difendere contro ogni alterazione. In questo libro si tocca l'acme della modernità del messaggio leopardiano: proprio nelle pagine che riguardano il rapporto tra uomo e natura, e tra uomo e uomo la parola del poeta diviene salvaguardia della diversità. Leopardi si manifesta così, ante litteram, filosofo della differenza. PIANO DELL'OPERA. I. Trattato delle passioni.II. Manuale di filosofia pratica.III. Della natura degli uomini e delle cose.IV. Teorica delle arti, lettere. Parte speculativa.V. Teorica delle arti, lettere. Parte pratica.VI. Memorie della mia vita." -
Romanticismo e tempo dell'industria. Letteratura, libertà e macchine nell'Italia dell'Ottocento
Alla ricerca di un tempo perduto della Nazione. Da alcuni anni si discute e si scrive con rinnovato accanimento attorno all'identità dell'Italia, al suo essere o non essere nazione, ai suoi usi civili, alla sua unità ""occasionale"""". Rivivono in questa fine secolo giudizi, metafore e sentimenti che avevano caratterizzato parte significativa dell'intellettualità italiana all'inizio del Novecento: le due Italie, l'inadeguatezza delle classi dirigenti, i pericoli e le asfissie dell'industrialismo nostrano. Si ripropone l'oscuro risentimento di cui sembra ancora preda una parte rilevante degli italiani rispetto alle origini unitarie del nostro paese.Ma se si guarda con occhio attento e disincantato non solo all'Italia, ma all'Europa intera, è facile scoprire che l'incontro tra cultura romantica e industrialismo fu, fin da subito, un incontro contrastato. Stendhal, Heine e Tocqueville, così come Foscolo, Leopardi e Manzoni si presentano come spettatori disarmati e critici delle magnifiche macchine dell'industrialismo; esprimono - ciascuno a suo modo - il proprio dissenso nei confronti dei tempi nuovi, scanditi dai ritmi della incalzante rivoluzione industriale. E dietro di essi, larghe schiere di scrittori, storici e poeti danno voce al loro dissenso culturale dal tempo dell'industria.In Italia, in particolare, la letteratura finisce con il separarsi irrimediabilmente dall'economia. L'ideale intellettuale della Nazione si dissocia dai temi della crescita, del mercato, dello sviluppo. E i governanti dell'Italia liberale si trovano per conseguenza a dover affrontare da soli la via impervia dello sviluppo economico, senza il sostegno di una cultura autenticamente borghese. E' proprio questa discontinuità a rappresentare il punto di origine di inefficienze e furbizie che caratterizzano l'evoluzione storica della società italiana, fin nei suoi esiti più recenti.Costruito intorno a un'indagine su temi apparentemente non coincidenti, e anzi ritenuti talvolta storiograficamente incompatibili, questo volume di Lucio Villari ripropone le idee e le ideologie degli italiani che cercano se stessi, in una Italia da costruire, nel clima febbrile del Romanticismo europeo."" -
La nuova programmazione e il Mezzogiorno. Orientamenti per l'azione di governo
Il testo che qui si propone è nato come un documento ministeriale, destinato ai tecnici, agli esperti, agli interlocutori politici. La sua lettura ha suggerito però all'editore qualcosa di più e di diverso.Si può leggere in queste pagine uno sforzo nuovo di riconsiderazione complessiva delle politiche e degli orientamenti dell'azione di governo verso il Mezzogiorno, che da molto tempo era assente dal panorama politico italiano. Dopo la fine, decretata senza troppi rimpianti, dell'""intervento straordinario"""" le politiche pubbliche per il Mezzogiorno hanno sofferto dell'assenza di un quadro di coordinamento unitario.L'iniziativa dello Stato nazionale è così rimasta confinata per qualche tempo in una sorta di limbo, per di più contrastata dal crescere di una comune opinione diffidente, quando non apertamente ostile, verso ogni forma di intervento pubblico al Sud. Si è aperta, insomma, una stagione nuova e difficile per le politiche pubbliche a favore del Mezzogiorno. Una stagione che ha richiesto e richiede uno sforzo - intellettuale, prima ancora che politico - di riorientamento e ridefinizione dei compiti dell'iniziativa statale. Che cosa può e deve fare ancora lo Stato verso il Mezzogiorno, nel contesto di una economia ormai rapidamente avviata verso una definitiva integrazione europea? E che cosa invece non deve più fare? Quali sono gli ambiti da cui è opportuno che si ritragga, e quali invece quelli su cui esercitare una rinnovata ed energica azione di orientamento? E che cosa intanto è successo e sta succedendo nell'economia meridionale? Quali sono i settori, gli ambiti, i contesti su cui è possibile intervenire per rafforzare la rete di uno sviluppo che cessi di essere subalterno e dipendente?Le pagine di questo volume delineano un insieme di percorsi possibili. Ma soprattutto vi si manifesta la costruzione di un nuovo """"sapere pubblico"""" sul Mezzogiorno, antiretorico, aggiornato e fattivo."" -
Teorica delle arti, lettere. Parte speculativa. Vol. 4
"L'uomo potrebb'esser poeta caldissimo in prosa, senza veruna sconvenienza assoluta: e quella prosa, che sarebbe poesia, potrebbe senza nessuna sconvenienza assumere interissimamente il linguaggio, il modo, e tutti i possibili caratteri del poeta"""". (Giacomo Leopardi). """"Disseminati nello Zibaldone, e raccolti nel mobile recinto di un altro """"libro possibile"""", i frammenti che meditano sulle arti - sui loro fondamenti e principi, sui loro effetti - mettono in scena una sola, insistente, passione, o preoccupazione: mostrare il sensibile e il corporeo e il soggettivo che anima ogni rappresentazione, mostrare il relativo, il variabile, il provvisorio che guida ogni sguardo. Questa tessitura, attenta a restare al di qua di ogni dichiarazione di assoluto, esposta al vento della transitorietà - di gusto, di giudizio, di opinione, di percezione - sfugge all'ordine espositivo del trattato di estetica, per abbandonarsi al tempo aperto di una scrittura fatta di riprese, illuminazioni, ostinati ritorni, frammentarie acquisizioni. In questo movimento del dire, in cui il sapere è anzitutto quotidiana formazione del gusto, non solo è messa in questione una metafisica dell'arte, ma sono anche disgregate le settecentesche classificazioni, ed è rifiutato ogni ordine che sia fondato su una filosofia del linguaggio scorporata dalla variabilità e singolarità e fisicità dell'esperienza.È, difatti, una teoria fisica delle arti, dei loro rapporti, delle loro forme, che qui si disegna. E non nasconde, questa teoria, proprio nella sua trama provvisoria e leggera, la fantastica curiosità e la passione accesissima di un poeta e filologo che ha fatto della biblioteca il mare dove spiegare le vele della conoscenza: della conoscenza di sé e del mondo"""". (dalla prefazione di Antonio Prete). PIANO DELL'OPERA. I. Trattato delle passioni.II. Manuale di filosofia pratica.III. Della natura degli uomini e delle cose.IV. Teorica delle arti, lettere. Parte speculativa.V. Teorica delle arti, lettere. Parte pratica.VI. Memorie della mia vita." -
Istituzioni intermedie e sviluppo locale
L'emergere di sistemi produttivi locali nello sviluppo economico italiano è stato posto in relazione agli effetti dell'azione delle istituzioni centrali (politiche macroeconomiche, fiscali, infrastrutturali) e al ruolo delle ""istituzioni di base"""" (la famiglia, la comunità locale, il senso civico).Il presente volume propone una prospettiva di analisi parzialmente diversa che pone al centro della riflessione l'esame delle istituzioni intermedie, e cioè quei soggetti che possono essere definiti come organizzazioni e sistemi di regole finalizzati all'offerta localmente differenziata di beni pubblici destinati a specifiche categorie di soggetti economici, con l'effetto di condizionare la scarsità relativa di risorse locali specifiche. Tra le istituzioni intermedie assumono rilievo le organizzazioni locali degli interessi, le amministrazioni pubbliche locali, le strutture educative, le organizzazioni consortili non temporanee e le norme esplicite o consuetudinarie che regolano i loro rapporti.E' vero che la visibilità delle istituzioni intermedie è stata spesso offuscata: vi sono tuttavia motivi per ritenere che ciò non sia stato vero nel passato e sarà sempre meno vero in prospettiva. Gli autori del volume ritengono infatti che il futuro sarà segnato da un visibile e progressivo emergere proprio di questa sfera meso-istituzionale. Il suo studio perciò, oltre a permettere una lettura più ricca della storia passata offre l'opportunità di comprendere meglio anche le tendenze che stanno costruendo l'avvenire. In tale contesto è indispensabile decifrare i rapporti tra istituzioni locali formali e informali, tra istituzioni centrali e locali e identificare il ruolo delle istituzioni nello sviluppo economico. Questo libro offre alcuni contributi multidisciplinari in tali direzioni."" -
Uno spazio tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto
Valerio Valeri ha rappresentato uno dei punti più alti e significativi del pensiero antropologico contemporaneo. Italiano, affetto da «una profonda attrazione e repulsione per l'esotico», situato per nascita e cultura «ai confini tra quanti creano l'antropologia e quanti ne sono creati», aveva scelto la sua disciplina sulla base di un profondo bisogno filosofico. La carriera dell'antropologo gli era sembrata anzi «la logica conseguenza della filosofia moderna». Se l'unità e il senso del mondo, secondo l'insegnamento di Kant, poggiano sull'uomo, se è l'uomo a costituirne il fondamento e il soggetto, si trattava di rendere più chiara la natura collettiva e condivisa di questa soggettività trascendentale, applicando il principio dell'identità non a un Io universale, ma all'Io di una cultura, di un gruppo particolare. La «morte della filosofia speculativa» aveva insomma comportato per la generazione di Valeri - quella del Sessantotto e dintorni - un bisogno pressante di contatto con la realtà: «volevamo fare ancora i filosofi, ma solo nella nostra lotta metodologica con la concretezza dell'attività umana». In controtendenza rispetto alla gran parte della sua generazione, però, Valeri non si concentrò sullo studio delle moderne società capitalistiche. Come racconta nel saggio di apertura di questo volume, che è anche uno straordinario esempio di autobiografia intellettuale, la sua vocazione lo portava a dare più importanza alla periferia che al centro, «agli attori marginali più che a quelli centrali». Fu così che Valeri si trasferì in America e da lì si mise al lavoro. Ne nacque una pratica di ricerca sul campo che si applicò soprattutto agli studi sulla popolazione Huaulu, in un'isola del Pacifico, e che gli consentì di ripercorrere con risultati profondamente innovativi i temi classici del pensiero antropologico: il tabù, il sacrificio, la sacralità, la regalità, il rito.In bilico tra esperienza e teoria, stimolata da un continuo confronto critico con i grandi modelli di Lévi-Strauss e di Dumont, la ricerca di Valeri si muove tra l'analisi delle interconnessioni che tengono insieme una società e il senso profondo delle lacerazioni e dei conflitti che la attraversano. E sono lacerazioni e conflitti che trovano la loro prima espressione problematica proprio nel soggetto chiamato a rappresentarli. -
Santa Maria del Fiore. Il Duomo di Firenze e la Vergine incinta
Quali sono le intenzioni celebrative, i significati progettuali, le valenze simboliche che si nascondono dietro la fabbrica del Duomo di Firenze? Che cosa portò i fiorentini, nel corso di un secolo e mezzo, dalla fine del Duecento a metà del Quattrocento, a porre mano a quella che fu a quel tempo la più grande chiesa della cristianità? Perché se ne cambiò la dedica originaria a Santa Reparata, scegliendo di porre al centro la figura della Vergine nell'atto di apprendere la notizia della sua futura, divina maternità?Se da un lato è evidente il parallelo con l'altro grande edificio dedicato a Maria dalla vicina e rivale Siena, altrettanto chiaro è l'intento di differenziare il progetto fiorentino dai modelli già esistenti, facendone una summa dei luoghi simbolici cruciali dell'universo cristiano.E' un progetto che si manifesta innanzitutto nella forma architettonica. Il Duomo di Firenze si propone di realizzare la fusione tra i due modelli della tradizione cristiana: la pianta a croce latina e quella a forma ottagonale. Nel progetto di Arnolfo di Cambio, il rapporto tra il preesistente Battistero ottagonale, situato sulla piazza di fronte alla facciata, e il corpo rettangolare della navata trova il suo corrispettivo speculare e simmetrico nella pianta ottagonale del coro. Battistero, navata e coro vengono tutti disposti su un unico asse. Proprio a risolvere il problema della copertura della vastissima superficie ottagonale del coro così sarà chiamato il genio di Brunelleschi, con l'arditissima progettazione della cupola.Ma un secondo elemento balza agli occhi; ed è la voluta nudità dell'interno della basilica, a fronte della ricchezza policroma dell'esterno; ancor più, l'assenza o la marginalità di richiami alla Vergine nella iconografia interna. Perché così poche immagini della Madonna, nella più grande chiesa a lei dedicata? Il fatto è che l'intero edificio, nella sua globale monumentalità, è chiamato a evocare il luogo centrale di tutta la dottrina cristiana: il matrimonio mistico tra Dio Padre e la Chiesa, di cui la Madonna è figura e metafora. La compenetrazione tra il rettangolo e l'ottagono, ventre e corona della Vergine incinta, è la geniale soluzione che il Duomo di Firenze si incarica di incarnare.La penna magistrale di Irving Lavin disvela così la chiave di un programma architettonico e simbolico che fa del Duomo di Firenze uno dei documenti emblematici dell'intera cultura dell'Occidente cristiano. -
Lo stato sociale in Italia 1999. Rapporto annuale Iridiss-Cnr
Due sono le linee di lettura, tra loro strettamente connesse, lungo le quali si muove l'analisi del welfare condotta come ogni anno dall'Istituto di ricerca sulle dinamiche della sicurezza sociale (Iridiss) nel suo Rapporto annuale, e sinteticamente riconducibili a due coppie di termini: equità/iniquità e inclusione/esclusione. In questo quadro, il Rapporto sviluppa temi come quelli dell'equità redistributiva, delle forme di esclusione rilevabili nel sistema formativo, delle ambiguità connesse all'alternativa tra razionalizzazione e razionamento nell'ambito dei servizi sanitari, delle prospettive del settore assistenziale.Particolare attenzione viene dedicata ad alcune delle più recenti prospettive di sviluppo del sistema italiano di welfare, come nel caso della previdenza complementare regionale (il Trentino Alto Adige è la prima regione a muoversi in questa direzione) o in quello della ridefinizione delle strutture regionali che si occupano di mercato e politiche del lavoro (a partire dal caso della Campania, visto peraltro in termini comparativi rispetto alle altre regioni italiane). -
La verità? È altrove. All'insegna del New Age
Il XX secolo si chiude in un crescendo di incertezza: i termini pratici e teorici delle prospettive future sembrano essere sempre più labili, mentre si fa più accentuata la rinuncia a ogni controllo razionale di sé e del mondo. All'insegna del new age è cresciuta, nel giro di pochi anni, una letteratura importante che invariabilmente proclama: La verità? è altrove. Dove sia, nessuno sa dirlo, ma a nessuno sembra importare molto stabilirlo. Altrove, cioè dovunque, in nessun luogo.Si assiste così a una rinuncia, tanto più serena in quanto né polemica né programmatica, alla nozione certa di verità. Preceduta da confusi e indecifrabili tremori, la galassia del pensiero new age irride a tutta la tradizione del razionalismo occidentale. Certo, la classica contrapposizione tra razionale e irrazionale non riesce a rendere conto di quell'ampia fascia delle esperienze umane che si situano nella zona dell'abitudinario, dell'a-razionale, in quella grigia radura in cui si svolge il vissuto quotidiano. Ma proprio a partire da questa impossibilità di un dominio razionale su tutto e su tutti, il pensiero new age lancia la sua sfida antirazionalistica. E' una sfida di cui Ferrarotti individua i cattivi maestri in alcuni pensatori post-razionalisti del secolo che si chiude, che l'hanno preparata e preceduta, primo fra tutti Gregory Bateson. Il mondo è potuto apparire, ai loro occhi, come un indecifrabile groviglio di eventi diversi che si assommano e si combinano fuori da ogni principio unitario. Posta in crisi non solo la comprensibilità, ma la stessa unificabilità dell'esperienza umana, ne consegue la caduta di ogni obbligo di coerenza interiore. E così il new age diventa un paravento dietro al quale nascondere una irresponsabile fiera dei comportamenti. Il programmatico ricorso alla emotività come unica chiave per le proprie scelte può scadere nella gratuità. I confini tra realtà e irrealtà possono farsi sempre più sbiaditi, e l'irrealtà diventare la ricetta a buon mercato per ogni fuga da sé.Il terzo millennio rischia così di aprirsi sotto il segno di un neo-misticismo che peraltro non riguarda tutta l'umanità, ma solo il suo segmento più prospero, pronto a farsi plasmare da quei venditori di irrealtà che sono fra gli imperatori dell'etere, i nuovi padroni del mondo. -
L' antipolitica. Viaggio nell'Italia del disincanto
In questi ultimi anni si è molto equivocato sul termine «antipolitica». Una categoria che per lo più viene utilizzata per designare un generico e «qualunquistico» rifiuto della politica. In realtà, le cose non stanno così. Da questa ricognizione dell'Italia del disincanto - immersa, come le altre democrazie occidentali, nei convulsi processi di secolarizzazione - emerge, piuttosto, una tendenza sorprendente. L'antipolitica, quel diffuso atteggiamento di indifferenza se non di esplicita ostilità verso la politica, è piuttosto l'altra faccia della politica. Di quella assoluta, onnicomprensiva e autoreferenziale, che ostinandosi a declinare impropriamente il linguaggio teologico - Fini Ultimi, Grandi Valori - non fa altro che produrre un'inesorabile spoliticizzazione. In realtà, nella presunta contrapposizione polemica, l'antipolitica non fa altro che riprodurre la vocazione spoliticizzante della politica assoluta, intensificandone l'esito nichilistico. Politica e antipolitica, pertanto, paradossalmente convergono, in quanto l'antipolitica è l'esito dell'esasperata politicizzazione della società. E una volta che la società è stata per intero politicizzata, la politica si socializza. Si diluisce a tal punto, cioè, che ormai ciascun soggetto sociale è legittimato a fare direttamente politica, senza più la liturgica mediazione dei partiti e della politica. È un male, è un bene? Staremo a vedere. -
Norberto Bobbio. Un itinerario intellettuale tra filosofia e politica
Se Norberto Bobbio è divenuto assai presto uno degli intellettuali più prestigiosi dell'Italia repubblicana è perché si è segnalato sia come interlocutore critico della classe politica, sia come interprete originale delle più vivaci correnti filosofiche e giuridiche. Intervenendo nel dibattito pubblico, ha portato chiarimenti decisivi sul modo di intendere parole fondamentali del lessico politico, quali libertà, democrazia, pluralismo. Nel suo impegno accademico, invece, si è espresso nei più diversi campi del sapere, dalla filosofia alla teoria generale del diritto, dalla filosofia politica alla storia del pensiero. Le sue posizioni - formulate in scritti di una chiarezza esemplare - hanno suscitato polemiche famose, che hanno contribuito alla crescita della coscienza civile degli italiani.In Italia come in altri paesi, il pensiero di Bobbio è stato spesso studiato e ricostruito con riguardo a tematiche e ad ambiti disciplinari specifici: il filosofo del diritto separato dal filosofo della politica. L'opera di Bobbio però rappresenta un tutto unitario, e non si può comprendere il pensiero politico del filosofo torinese senza un'adeguata comprensione del suo pensiero giuridico. Lo stesso Bobbio si è sempre presentato come uno studioso che ha assunto «due punti di vista che si integrano a vicenda». Il punto essenziale sta dunque nella capacità di individuare, nell'itinerario bobbiano, una struttura di pensiero coerente, che si sviluppa in forme differenti lungo tre temi fondamentali: personalismo, liberalismo, democrazia. Ne risulta un percorso suggestivo che permette di riconnettere il personalismo filosofico-giuridico, la riscoperta della teoria delle élites e la difesa del pluralismo democratico. Un itinerario complesso dal quale emerge sempre un interrogativo pressante: quale rapporto c'è tra diritto e potere? In che senso devono essere considerati come «due facce della stessa medaglia»? -
Il popolo del 10 per cento. Il boom del lavoro atipico
I contratti di collaborazione coordinata e continuativa rappresentano la più importante novità che il nostro paese abbia conosciuto in questi anni nella regolamentazione delle prestazioni di lavoro. Da quando è stato istituito nel 1995 il prelievo contributivo del 10% (poi portato al 12) i lavoratori che si avvalgono di questa formula contrattuale sono cresciuti enormemente in numero: oggi superano il milione e mezzo di persone.La ricerca condotta dall'Ires (l'Istituto di ricerca economica e sociale della Cgil) che qui si pubblica consente per la prima volta di delineare un identikit, nazionale e in profondità, di questi lavoratori. Il ritratto che emerge dall'indagine smonta alcuni stereotipi correnti. Il primo è quello che in Italia vi sia una crescita costante del lavoro autonomo: in effetti la quota di lavoro autonomo rimane da mezzo secolo più alta rispetto ad altri paesi per il semplice fatto che quella del lavoro dipendente è da mezzo secolo più bassa.Il secondo è che i collaboratori sarebbero tutti lavoratori innovativi e futuribili. In realtà nella loro composizione pesano più i mestieri tradizionali che non la pur significativa presenza di figure e di mestieri nuovi.D'altra parte, non regge neanche l'idea che si tratti dei nuovi sfruttati del lavoro contemporaneo: accanto a lavoratori esecutivi troviamo una larga schiera di lavoratori della conoscenza, di professionisti e consulenti.Anche le domande e le aspettative di questi lavoratori rivelano una realtà plurale.La cosa che piace di più è l'autonomia nel lavoro. Apprezzata, anche se meno, è la flessibilità nella prestazione lavorativa.Le cose che invece piacciono di meno, come è naturale, sono da un lato l'insicurezza e la precarietà, dall'altro lato la scarsità di garanzie e di tutele.Un ritratto movimentato, che conferma il passaggio - peraltro ancora allo stato fluido - dalla società del lavoro alla società dei lavori. INDICE Il boom del lavoro atipico 1. Immagine e realtà del lavoro parasubordinato2. Parasubordinatri e lavoro autonomo3. Parasubordinati e lavori atipici4. Parasubordinati, oppure parautonomi?5. Fra subordinazione e autonomia: chi tutelare? I. Le nuove forme di lavoro post-fordista: il caso italiano di Giovanna Altieri 1. Le collaborazioni coordinate e continuative: una nuova forma di lavoro?2. Lavoro e tutele: una coppia in crisi3. Il mercato del lavoro: un'istituzione sociale4. Processi di atipizzazione del lavoro in Italia: dimensioni e tendenze in atto II. Atipici, ma quanto? di Giovanna Altieri e Cristina Oteri 1. Introduzione2. Foto di gruppo3. Le condizioni di lavoro: tra prescrizione e autonomia4. Il legame con il committente5. La durata e le condizioni previste dai contratti6. Il tempo di lavoro7. I redditi8. I luoghi di lavoro9. Libertà di scelta e condizionamenti del mercato10. Profili di parasubordinazione: tra omogeneità e differenze III. I problemi della regolazione socialedi Mimmo Carrieri e Salvo Leonardi 1. Fra autonomia e subordinazione: la parasubordinazione nel nostro sistema giuridico e previdenziale 2. Gli attuali fondamenti normativi della parasubordinazione3. Il progetto di legge Smuraglia4. Ci sono spazi per la rappresentanza collettiva?5. L'offerta di rappresentanza del sindacalismo confederale6. Primi passi della nuova offerta sindacale7. La necessità di nuove... -
Il ritorno di don Chisciotte. Clarin e il romanzo
Il compito che attende il romanziere nella Spagna della Restaurazione è per molti aspetti simile a quello che nel Chisciotte si è assunto il baccelliere Sansón Carrasco: riportare a casa l'hidalgo sfidandolo sul suo stesso terreno, quello dell'illusione. Nella lucida diagnosi che della decadenza nazionale elaborano sia Clarín che Galdós un'unica condanna accomuna la prosaica nazione canovista e il suo antagonista: il soggetto romantico, irrimediabilmente ammalato di lealismo.Riportare a casa don Chisciotte è innanzitutto un progetto di modernizzazione culturale: si tratta in primo luogo di riambientare in Spagna quella forma romanzesca che proprio dalla Spagna secentesca aveva preso le mosse. Riappropriarsi del romanzo negli anni ottanta dell'Ottocento significa concretamente ispanizzare l'esperienza realista-naturalista europea, cosa che avviene attraverso la lezione viva di Cervantes. Il romanzo è lo strumento terapeutico della sindrome nazionale che vede l'idealismo sconfitto dall'arretratezza, dal fanatismo, dall'intolleranza, e il romanziere come terapeuta che cura il chisciottismo del personaggio con l'ironia cervantina.In un primo momento si tratta per Clarín di battere la cecità romantica attraverso la lucida visione del romanzo come «maison de verre», strumento ottico capace di mettere a nudo, di offrire alla visione del lettore il male nazionale e insieme la cura per lui approntata: il romanzo.Ma Clarín (come del resto Galdós) viene giocato da Carrasco. Proprio dall'impietosa disamina del reale emerge un altro territorio, che si sottrae alla visione e si offre invece all'ascolto, la sorgente singolare dell'etica come immaginazione: l'anima. Dando forma al suo personaggio nel crogiolo etico-estetico della decadence, Clarín redime l'orfano romantico, lo rende padre e finalmente generatore della sua esperienza. -
In un mondo imperfetto. Mercato e democrazia nell'era della globalizzazione
J. E. Stiglitz, economista, affronta i nodi irrisolti dell'economia globale. La condizione prevalente è oggi quella di una grande incertezza, determinata da un'imperfetta distribuzione delle informazioni, e dalla connessa difficoltà di porre in atto adeguate politiche di stabilizzazione. La globalizzazione porta infatti con sé il paradosso di porre domande nuove agli Stati-nazione, ma di ridurre al tempo stesso drasticamente la loro capacità di affrontare simili domande. Oggi, la globalizzazione è priva di istituzioni in grado di affrontare le conseguenze. Abbiamo un sistema di governance globale, ma ci manca un governo globale. -
Progetto per la Sinistra del Duemila
Vi sono tempi in cui la politica e la cultura sembrano, se non proprio contrapporsi, quanto meno fronteggiarsi. Tempi in cui la politica stenta a riconoscere i propri orientamenti di valore, e la cultura si ritrae da quella tensione civile senza la quale rischia l'astrattezza e il narcisismo. Questa difficoltà di interscambio si esprime oggi nella ritrosia ad adoperare una parola che in altri tempi ha conosciuto ben diverso smalto: la parola «progetto». Pure, la sinistra non può fare a meno di un progetto, di una qualche piattaforma ideale in grado di orientare il governo delle nostre società, sottraendolo alla pura logica «spontanea» dell'economia e del mercato. Il Progetto per la sinistra del duemila è un documento politico, elaborato in vista dell'assise congressuale dei Democratici di Sinistra, e in quell'ambito, propriamente, sta svolgendo il suo compito di orientamento per la discussione politica. Esso viene qui proposto, in assoluta autonomia da ogni appartenenza di partito, quale elemento di riflessione e di analisi da sottoporre a un serrato vaglio critico, per provare a fare il punto sulle ragioni storiche di una possibile appartenenza intellettuale. La domanda cui anche questo documento rinvia -domanda aperta e priva di risposte certe - è se esista, oggi, in Italia, in Europa, un qualche massimo comune denominatore in grado di accompagnare il percorso post-ideologico di una sinistra alla ricerca del suo ubi consistam. E poiché una simile ricerca non può più - se mai ha potuto - essere condotta nel cielo astratto delle pure enunciazioni di principio, si tratta di verificare la congruenza tra orientamenti generali e concrete politiche, tra tendenze e compatibilità, tra valori e parametri.Preceduto da una presentazione di Walter Veltroni, e seguito da un insieme di commenti critici di Norberto Bobbio, Marcello de Cecco, Jacques Delors, Ilvo Diamanti e Bruno Trentin, il volume si chiude con una replica di Giorgio Ruffolo, coordinatore della commissione che ha elaborato il Progetto.