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Il capolavoro di Einstein. Il 1915 e la teoria generale della relatività
Il racconto eccezionale della più grande teoria einstenianarnLa scoperta più preziosa della mia vita... È una teoria di incomparabile bellezza - Albert EinsteinrnNella scienza i capolavori sono rari come nelle arti. Per essere tali, in loro la perfezione deve uguagliare la dirompenza. Perché rivoluzionano il mondo, alla lettera. John Gribbin non esita a spendere la parola «capolavoro» per la teoria generale della relatività, che lo stesso Albert Einstein definì «la scoperta più preziosa della mia vita ... una teoria di incomparabile bellezza». Quando la elaborò nella forma che conosciamo era trascorso un decennio dal 1905, ritenuto concordemente dagli studiosi il suo annus mirabilis: pochi mesi leggendari durante i quali, in un impeto di creatività scientifica che non si era più registrato dai tempi di Newton, aveva concepito anche la teoria ristretta della relatività e scoperto la legge dell’effetto fotoelettrico, che gli avrebbe poi valso il premio Nobel nel 1921. Gribbin tuttavia rivede l’opinione comune, posticipando il vero miracolo dal 1905 al 1915, quindi alla generalizzazione della teoria, questa sì in sconvolgente anticipo sui tempi della ricerca. L’estensione della relatività dagli oggetti che si muovono a velocità costante in linea retta al moto accelerato e alla gravità compie il prodigio di descrivere il nostro Universo e tutto lo spaziotempo che contiene. Nel secolo trascorso da allora, ciò che suscitò sconcerto si è via via consolidato – soprattutto durante gli ultimi cinquant’anni – come una delle teorie più comprovate dell’intera storia della scienza. Gribbin ne racconta la gestazione e le vicissitudini con la competente semplicità del grande divulgatore che non ignora gli intrecci tra scienza e vita. -
Gli universali. Equivoci, derive e strategie dell'universalismo
Universale, universalità, universalismo. Tre parole che in Occidente hanno inaugurato la modernità e che oggi, entrate nel linguaggio corrente, suonano più che mai attuali perché appaiono in sintonia con il mondo globalizzato, accreditandosi addirittura come sue ambasciatrici nella sfera dei diritti. rnrnIn realtà, quel «valere per tutti» invocato a criterio supremo di equità e inclusione poggia su basi malferme, non accidentalmente, ma costitutivamente. Lo sanno bene, i filosofi, quanto «dire l'universale» equivalga a seminare scompiglio, ad attizzare dispute accanite. Uno dei maggiori tra loro, Étienne Balibar, lo ritiene tuttavia un compito a cui il pensiero non può sottrarsi, anzi la stessa ragion d'essere della filosofia, che così manifesta sino in fondo la propria intrinseca politicità. Concepito in opposizione ai particolarismi identitari e comunitari, alle chiusure, ai privilegi e alle disuguaglianze che vi sono connessi, il discorso dell'universale – l'universalismo – vive però delle contraddizioni, delle aporie, degli equivoci e delle ambivalenze che genera in permanenza. A cominciare dall'assolutezza a cui aspirano le sue formulazioni, subito relativizzate dal fatto di essere radicate in una lingua, in una storia, in una cultura, ed esposte al rischio di esercitare intolleranza, discriminazione e violenza nel momento del passaggio all'atto. Se dunque gli universalismi si danno, per ineliminabile paradosso, solo al plurale, l'universale non è una forma pura, un'idea svincolata da ogni determinazione spazio-temporale ed esprimibile in un inesistente metalinguaggio: secondo Balibar, non è neppure un concetto, bensì «il correlato di un’enunciazione che produce o meno, a seconda delle circostanze, un effetto di universalità». Ed è questo sorprendente dispositivo, innanzitutto antropologico, che qui viene decostruito nelle sue molteplici strategie conflittuali. -
Teorie del tutto
Un breve e compatto libro che ci guida attraverso le più note teorie del tutto.rn""Una spiegazione dell'universo conosciuto può regnare sovrana per decenni, addirittura per secoli. Poi, magari, viene compiuta una nuova scoperta che accresce il """"tutto"""" già noto e che la teoria accettata non può spiegare senza entrare in contraddizione con se stessa. A quel punto serve una nuova teoria del nuovo """"tutto"""". E il ciclo continua.""""rnAll’alba del secolo scorso, esattamente allo scoccare del 1900, Lord Kelvin proclamò che ormai non c’era più niente di nuovo da scoprire nel campo della fisica. «Non rimangono altro che misurazioni sempre più precise» affermò. Di lì a pochi anni – come sappiamo – Albert Einstein avrebbe ribaltato le conoscenze e l’immagine del mondo fino allora date per certe con la teoria della relatività e aprì una sorprendente nuova fruttuosa stagione nella comprensione delle leggi che regolano l’universo.rnAncora nel 1980 Stephen Hawking ipotizzò che la fine della fisica teorica fosse vicina, e che in cambio sarebbe presto comparsa una teoria del tutto che avrebbe finalmente trionfato nella definitiva comprensione della natura. E si sbagliava, ovviamente.rnMa cos’è una teoria del tutto? Frank Close è chiaro: «Una teoria che si basa sugli studi in ogni campo rilevante del sapere attuale – fisica, astronomia, matematica – per cercare di spiegare tutto ciò che sappiamo a oggi dell’universo».rnÈ così che in questo breve e compatto libro inizia il viaggio attraverso le più note teorie del tutto: dall’universo – meccanismo perfetto – di Isaac Newton, al Sistema del mondo di Pierre-Simon de Laplace, dall’unificazione delle leggi dell’elettricità e del magnetismo, ad opera di James Clerk Maxwell – che fece baluginare la quasi-fine dell’indagine sul mondo –, fino alla spiegazione meccanica alla base della termodinamica che sembrò, davvero, permetterci di spiegare ogni cosa – il calore, la luce, la materia. E ancora le più recenti strade battute dai fisici: dalle superstringhe (rese popolari da Brian Greene) alla quantum loop gravity (resa popolare da Carlo Rovelli), e il Multiverso (di Max Tegmark), la materia oscura e molte altre strane cose. Ogni volta che ci sembra di averlo compreso, il tutto si sposta, scarta di lato, spalanca alla vista intere regioni inesplorate di cui non si sospettava neppure l’esistenza. rnIl tutto è lì, sembra di toccarlo, ma sfugge sempre un po’ più oltre, mentre noi, nell’inseguirlo, avanziamo di un altro passo."" -
Rabbi Akiva. L'uomo saggio del Talmud
«Rabbi Akiva disse: ""Ama il prossimo tuo come te stesso (Levitico 19, 18). Questo è il più grande principio della Torah!"""".» - Bereshit Rabbah, 24,7rn«La sottile sensibilità di Holtz produce un libro allo stesso tempo istruttivo e godibile per lo studioso e per il curioso... Rabbi Akiva è un libro da leggere ancora e ancora.» - Burton L. Visotzky, The Forwardrn«Uno dei piaceri di leggere Rabbi Akiva è vedere come Holtz mette in scena la vita di Akiva a partire dalle storie scritte su di lui nei Midrashim e nel Talmud... Holtz scrive con garbo e invita i lettori ad avvicinarsi al mondo del Talmud e del suo studio.» - Maron L. Waxman, Jewish Book CouncilrnPur fra molte incertezze, la leggenda ci narra che Akiva ben Joseph nacque attorno all’anno 50 dell’era volgare, forse nella città di Lod, nell’odierna Israele, e morì martirizzato attorno al 135 per aver continuato a insegnare pubblicamente la Torah nonostante la proibizione delle autorità romane. Si dice che fece in modo di spirare prolungando la parola echad, «uno», che conclude la prima frase della preghiera ebraica Shemà: «Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è uno».rnRabbi Akiva, tuttavia, è una storia prima ancora che un uomo, e questo libro non può dunque essere una biografia nel senso comune del termine. È piuttosto un affresco, che attraverso la figura dell’uomo più saggio e ammirato del Talmud, fotografa la cultura ebraica palestinese del i secolo, nel drammatico momento della sua riconversione da antica religione centralizzata – fondata sul Tempio e sulla casta sacerdotale – a moderna religione diffusa di «maestri» (l’etimo di rabbini), fondata sullo studio e l’interpretazione della Torah. Tanto più che di Akiva abbiamo solo riferimenti interni a quel mondo e nulla di lui ci è invece pervenuto da fonti non ebraiche.rnNel Talmud – un’immensa opera letteraria, giuridica, filosofica e religiosa, composta tra il I e il V secolo – Akiva viene descritto come il «capo di tutti i saggi», l’uomo di umili origini che studiò la Legge in età già adulta, il commentatore arguto e inventivo, quasi sempre vincente nelle dispute tra saggi. È l’esempio da seguire, e come tale è considerato l’iniziatore del rabbinismo. rnA questo Akiva «canonico», Holtz aggiunge qui mille sfaccettature, in un testo denso e godibile, che ci restituisce il senso di un vero e proprio eroe della sapienza, una figura sulla quale si è costruito per diversi secoli l’esempio per eccellenza del buon maestro ebraico.rnQuesto libro può essere letto come un’introduzione al Talmud. Holtz, infatti, analizza la vita di Rabbi Akiva con una metodologia che riflette i procedimenti che si trovano in quell’opera. rnCosì, leggendo queste pagine potremo apprendere due cose: chi fosse Akiva e quanto importante sia ancora oggi la tradizione che ce ne ha tramandato le idee; e in che termini e con quale logica si affrontano i problemi nel Talmud."" -
Leggere Francesco. Teologia, etica e politica
«Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze ... Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione» - Papa Francesco, Evangelii gaudiumrnrn«Un papa fa notizia perché il papa è la notizia», e Francesco fa notizia più di chiunque altro. Su di lui, figura emblematica di una svolta interna alla Chiesa, i giudizi si sono polarizzati, e sono fiorite interpretazioni parziali o forzate della sua dottrina magisteriale, nel tentativo di decifrare chi come lui si è rivelato un formidabile decifratore dei segni dei tempi. Tuttavia non si può «leggere Francesco» – insieme teologo, pastore e profeta – senza coordinate categoriali appartenenti alla tradizione ecclesiale della sua terra d’origine, l’Argentina. Da laggiù, dalla stessa «fine del mondo», viene la teologa e filosofa della politica Emilce Cuda, che dedica al suo conterraneo un saggio finalmente illuminante. Nelle pagine di Cuda la genealogia prende corpo e indica lo stretto legame tra Bergoglio e Francesco, a partire dalla teologia del popolo e della cultura, variante argentina della teologia della liberazione latino-americana, dalla quale la distingue la rinuncia a una concezione classista. Se non si richiama né al marxismo né al liberalismo, la teologia del popolo ha forse radici peroniste, e quindi entra di diritto nel dibattito attuale sul populismo? Esiste un rapporto intrinseco tra il modello trinitario e il dogma dell’Incarnazione, da un lato, e la denuncia pontificia dell’ingiustizia, dall’altro? E che cosa evoca il papa quando parla di uguaglianza, libertà, lavoro, dignità, cultura e – nozione capitale – popolo? Intende l’insieme della gente o il popolo-povero-lavoratore? Domande formulate con la massima nitidezza, e risposte che mirano a disambiguare, convocando allo scopo anche le grandi teorie politiche del Novecento, da Antonio Gramsci a Ernesto Laclau. All’inverso della celebre formula di Carl Schmitt, secondo cui i concetti politici moderni sarebbero concetti teologici secolarizzati, nel discorso di Francesco sono ben vivi concetti culturali teologizzati, che riecheggiano l’idea di un logos inculturato, sapienza preriflessiva teologale incarnata nella cultura di un popolo. Alla loro formulazione hanno contribuito i maggiori teologi argentini dell’ultimo cinquantennio, tra cui Juan Carlos Scannone, che firma qui la prefazione. -
Orient
Orient, Long Island. Una comunità chiusa, l'arrivo di uno sconosciuto, una lunga catena di omicidi.rn«Personaggi vividi e atmosfera davvero avvolgente.» - The New York Timesrn«Segreti, pettegolezzi di provincia, xenofobia gretta, vicinanza a una grande fonte d'acqua e un buon numero di corpi senza vita. Cosa si può volere di più da un thriller? Ci sono tutti gli ingredienti per sfatare il mito del grande sogno americano.» - The Timesrn«Orient è al contempo thriller e alta letteratura. Ricco di digressioni, di analisi anche sociologiche e di momenti introspettivi dei protagonisti. Un equilibrio che trascende le convenzioni di genere.» - Los Angeles Timesrn«Un libro di rara finezza letteraria. Ti cattura con la prosa, ti inchioda con il mistero.» - USA TodayrnrnrnrnOrient, sulla punta del North Fork di Long Island, affacciata sul braccio di mare che separa l’isola dal Connecticut. Meno famosa del South Fork, quella degli Hamptons, con relativi magnati dello show business newyorchese, attori e scrittori famosi. In questo paradiso marittimo dei falchi di mare, dei pescatori e delle fi oriture selvagge, abitato dalle stesse famiglie da molte generazioni, arriva un giorno da New York Mills, un «drifter», un vagabondo, ex tossicodipendente, ex bambino abbandonato, passato da un affido all’altro. Ospite, in cambio di lavoro, di un signore che possiede una bella casa di famiglia da sgombrare e ristrutturare dopo la morte della madre, Mills viene accolto da subito con molta diffidenza nella comunità locale, tanto più che, dopo il suo arrivo, uno per volta, si cominciano a rinvenire numerosi corpi senza vita. Episodi di violenza mai visti prima nella tranquilla cittadina. Mills, con l’aiuto di Beth, ex artista e moglie in crisi di artista famoso, tornata a Orient dopo anni trascorsi a New York, decide di indagare su una pista parallela a quella della polizia, determinato a capire chi e che cosa c’è dietro il mistero, in una corsa contro il tempo prima che la piccola cittadina finisca per distruggerlo. Christopher Bollen costruisce una storia che, pagina dopo pagina, cattura il lettore e non lo lascia andare, descrivendo con estrema accuratezza paesaggio, personaggi e contesto, e dando spazio ai temi rilevanti della società americana oggi: ricchezza, gentrification, arte, omosessualità, matrimonio, divorzio, tutela ambientale, avidità. E giocando sulle numerose implicazioni della parola «Orient»: l’est americano, l’esotico, ma anche l’orientamento nello spazio e nel tempo, l’orientamento sessuale, il disorientamento delle percezioni mentali. Soffuso di tensione, Orient è insieme uno straordinario page turner, un thriller letterario e un ritratto provocatorio del lato oscuro del sogno americano: una comunità idilliaca dove nessuno è al sicuro. -
L'età della finzione. Arte e società tra realtà ed estasi. Ediz. ampliata
«Il grande merito del libro di Massimo Melotti è quello di fare un’analisi completa, rigorosa e ricca di sfumature di tutti gli effetti indotti dalla nuova porosità tra finzione e realtà» - Marc AugérnrnViviamo nell’«età della finzione». Espressione tutt’altro che neutra, che tuttavia non si accoda, qui, alle attuali querimonie contro lo strabordare di falsità, simulazione e dissimulazione, fake news e manipolabilità del vero, fuori e dentro la Rete. Piuttosto che vestire la toga dei grandi accusatori è indispensabile rendersi conto che nella società massmediale – in cui il consumo ha ormai dispiegato la sua massima potenza – realtà e finzione non costituiscono più una coppia di opposti in tensione agonistica, anzi sono scivolate in una indistinzione a dominanza finzionale che ha trasformato nel profondo gli assetti percettivi, le pratiche quotidiane, la logica dell’intrattenimento, lo statuto stesso dell’informazione. «Un evento che non sia mediatizzato semplicemente non esiste». L’osmosi è iniziata e Massimo Melotti ne scruta il processo con la sottigliezza del critico d’arte, al quale non sfuggono aspetti qualitativi in genere trascurati dalla sociologia dei media, primo fra tutti il prevalere della dimensione estatica, quella fredda e stupefatta fascinazione che non aspira a risolversi, bensì a protrarsi il più a lungo possibile, oltre lo spazio-tempo e i nessi causali.rnL’estasi si celebra ovunque la spettacolarizzazione abbia eroso il limite che circoscriveva il reale: sugli schermi televisivi, con l’intrusione della fiction nella cronaca e l’apoteosi del reality; nei non-luoghi plurifunzionali e multisensoriali, che mettono in scena innanzitutto i consumatori, o negli allestimenti artificiali di interi contesti naturali, deputati al divertimento di massa; nella comunicazione, con le notizie fagocitate dal «tempo reale»; nel virtuale opaco del Web, che crea effetti di ritorno ancora da decifrare. Fenomeni che continuano a sollecitare schiere di studiosi, ma che le arti visive contemporanee, da Maurizio Cattelan a Vanessa Beecroft, da Francesco Vezzoli a Damien Hirst, hanno saputo disvelare con penetrante anticipazione. -
La boutique
Il microcosmo di un negozio dell'usato diventa, per proprietarie e clienti, una meta, un obiettivo, una bussola.rnrnIl nuovo romanzo dell'autrice di Louise. Canzone senza pause. ""Una scrittura colta e insieme lieve"""" - Ermanno Paccagnini, Corriere della Sera rnrnDue magnifiche vetrate a mezzaluna illuminano il salone di un’affermata boutique dove abiti e oggetti vengono rimessi a nuovo. Nel labirinto di stoffe nascono e presto si complicano relazioni che portano il segno di un universo in trasformazione dove il nomadismo è di casa. Una donna in carriera, una solida casalinga, un musicista, un padre frustrato, un ex operaio, un omosessuale fedifrago e una fioraia pentita si scambiano affetti e gelosie, amori e tradimenti, aspettative e delusioni.rnPer ciascuno a suo modo la boutique rappresenta un punto fermo da cui ripartire per darsi ancora una chance. Le socie proprietarie hanno caratteri diversi: ferita e nevrotica l’una, Nina, il cui marito è morto suicida in seguito a un crack finanziario, equilibrata e cedevole l’altra, Teresa, sposata a un violoncellista spagnolo che le dà sostegno e sicurezza. Il muoversi frenetico di Nina mette a dura prova la tenuta dell’impresa che, tuttavia, regge agli urti grazie all’attaccamento al lavoro in cui ciascuno ha riversato progetti e passioni. C’è chi nega le proprie esigenze, chi, all’opposto, pretende dagli altri quel che non possono dare, finché qualche gioco si rompe e il fragile assortimento sembra sul punto di cedere. La capacità di adattamento, la tendenza a ripetere sempre gli stessi errori, la paura della solitudine, la volontà di costruire spingono le donne e gli uomini della boutique a non arrendersi.rnE quando Ibrahim, sarto afghano, proverà a dichiarare il suo amore improbabile alla capricciosa Nina, anche la coppia peggio assortita si troverà a dover fare una scelta."" -
Mio caro Neanderthal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli
Grand Prix du Livre d’Archéologie 2017rnrnL'uomo di Neandertal non è mai scomparso: vive in noi.rnrn«L'epopea dell'umanità preistorica raccontata in questo bel libro rappresenta un magnifico capitolo della storia di tutti gli uomini» – L'Humanitérnrn«Il libro è scritto molto bene e associa il rigore scientifico a un elegante stile narrativo. Libri così sono rari nel campo della paleoantropologia […] Qui una ben nota e competente scienziata si rivela anche un'ottima scrittrice, e il risultato è eccellente» – Eric Delson, direttore del NYCEP, American Museum of Natural HistoryrnrnI veri europei, gli autoctoni del nostro continente, sono i neandertaliani. Sono loro che si sono adattati al clima rigido della penisola europea durante le glaciazioni e che sono fioriti nel relativo tepore dei periodi interglaciali. I Sapiens – africani e tropicali – hanno a lungo evitato le nostre terre inospitali, dove sono approdati molto tardi. Eppure, Neandertal (Homo neanderthalensis) ha la fama del bruto; qualcuno ancora crede che fosse un «uomo delle caverne», un antenato ottuso e animalesco dal quale ci saremmo in seguito evoluti noi, raffinati e longilinei. Niente di più sbagliato. La paleoantropologa Silvana Condemi e il giornalista scientifico François Savatier hanno scritto questo libro proprio per raccontarci in modo chiaro e simplice la sua storia. Com'era fatto dunque l'uomo di Neandertal? Che aspetto aveva? Come viveva? A queste domande, grazie al gran numero di fossili rinvenuti in un secolo e mezzo di scavi e grazie alle nuove tecniche di studio, oggi sappiamo dare risposte più precise. Sappiamo che i primi Neandertal vivevano già in Europa 300.000 anni fa, discendenti da una specie umana africana a sua volta antenata di Homo sapiens. Noi Sapiens moderni e i neandertaliani siamo dunque fratelli. Neandertal parlava, di certo mangiava molta carne, cacciava, viveva in clan dispersi su un enorme territorio tra Europa, Asia settentrionale e Medio Oriente. Era cannibale ma seppelliva i morti, almeno nel periodo tardivo; si prendeva cura degli infermi, fabbricava grandi quantità di strumenti litici, si vestiva e aveva un pensiero simbolico. Gli studi di genetica confermano che nel DNA degli europei di oggi c'è ancora tra l'1 e il 4% di DNA neandertaliano. Dunque, ci siamo incrociati. In altre parole, noi europei siamo, almeno in parte, i diretti discendenti di Neandertal. La repentina scomparsa dei neandertaliani, circa 35.000 anni fa, non è pertanto imputabile a un massacro. Più probabilmente è stata una fusione tra due popolazioni umane. Mio caro Neandertal, bentornato in famiglia. -
La ragazza che brucia
Claire Messud riesce a trovare un perfetto equilibrio tra le fantasie dell'infanzia e i timori o terrori dell'adolescenza, tra la crescita di due amiche e una trama che si fa via via più cupa e misteriosa.rnrn«Messud è una maestra dell'introspezione psicologica. Un mystery ad alta tensione, in perfetto equilibrio tra detto e suggerito» – Chicago Tribunernrn«Claire Messud è la scrittrice contemporanea che meglio esplora l'impalpabile transizione dall'infanzia all'adolescenza» – The Wall Street Journalrnrn«Messud è una narratrice eccezionale. Con la sua prosa amplifica e illumina il sentimento che lega le due protagoniste del romanzo» – Los Angeles TimesrnrnLa storia è semplice, almeno in apparenza. Due bambine si frequentano e sono «migliori amiche» fin dall'asilo. A raccontare è una delle due, Julia, in prima persona. Julia appartiene a una buona famiglia della classe media, Cassie a un piccolo nucleo in difficoltà. E questo segnerà la loro amicizia nel passaggio dall'infanzia alla prima adolescenza. Dice Messud, «Crescere significa imparare ad avere paura». Per Julia, crescendo, la paura viene dal mondo esterno, dalle storie di cronaca nera, ragazzine rapite, violentate, nascoste nel seminterrato, uccise; e anche dai comportamenti ostili dei compagni di scuola, o degli insegnanti, o di conoscenti occasionali. Per Cassie invece la paura è dentro casa. Bev, sua madre, infermiera single che cura soprattutto malati cronici e terminali, accetta la corte di un medico, Anders, di aspetto e comportamento inquietanti. Soprattutto per Cassie. Appena adolescente e molto bella, la ragazzina sospetta che quell'uomo abbia deciso di convivere con Bev per stare in realtà vicino a lei, e molestarla. La vita delle due bambine, che negli anni dell'infanzia erano in simbiosi, e facevano giochi e spedizioni avventurose, immaginando e raccontando storie, dando prova di fantasia e coraggio, cambia radicalmente con l'arrivo delle due diverse «paure». E piano piano l'amicizia si sfalda. La vera crisi arriva quando Cassie scompare, e comincia la frenetica caccia della polizia a un'auto sulla quale è stata vista salire. Scrittrice di provata bravura, Claire Messud riesce a trovare un perfetto equilibrio tra una trama che si fa via via più cupa e misteriosa, e il coming of age delle due amiche; tra le fantasie dell'infanzia e i timori o terrori dell'adolescenza. Senza che la narrazione perda consistenza e direzione; e senza che diventi pura suspense o pura speculazione psicologica. Messud dosa, precisa, rivela, trattiene, e la sua scrittura risulta alla fine semplice, elegante, delicata, limpida, anche quando esprime concetti complessi, cita i classici americani, o racconta episodi sottilmente inquietanti. Romanzi come questo possono venir letti a livelli diversi: per chi ama la letteratura sono fonte di vero godimento, per chi semplicemente ama le buone storie anche. -
I figli dell'imperatore
Una sofisticata commedia di costume, raccontata con stile brillante, umorismo dark e sicura introspezione psicologica.rnrn«Una scrittura che brilla come un prato dopo una gelata mattutina: rinfrescante, incantevole e letale» – The Washington Postrn«I figli dell'imperatore è un romanzo sorprendente, magistrale, sulle vite intrecciate di tre amici alla ricerca del successo a New York City» - San Francisco Chroniclern«Una scrittrice di perfezione quasi miracolosa» - The New York Times Book ReiewrnL'imperatore della più famosa isola letteraria del mondo è Murray Thwaite, giornalista liberal di mezza età, protagonista della scena newyorchese nel 2001, prima del crollo delle Torri Gemelle. Intorno alla sua figura carismatica orbita una serie di giovani ambiziosi: Marina, la bellissima ed elegantissima figlia, che tenta di scrivere un libro sulla moda per bambini , senza riuscirci − forse perché a trent'anni abita ancora con i genitori e nutre un'adorazione ambigua, ricambiata, per il padre; Danielle, la migliore amica di Marina, produttrice televisiva, indipendente e intelligente, ma a sua volta succube del fascino di Murray, al punto da intessere con lui una relazione segreta; Julius, un critico gay in cerca dell'amore perfetto che cade nella trappola di un aspirante «padrone dell'universo» di Wall Street; e Annabel, la moglie di Murray, socialmente impegnata, ostentatamente distratta, e apparentemente ignara di quello che le succede intorno. A scompigliare la scena, arrivano due nuovi personaggi: Ludovic Seeley, il «serpente» venuto dall'Australia e intenzionato a far parte del cerchio magico di Thwaite per distruggerne la reputazione; e Ciccio, il giovanissimo, ingenuo e insicuro nipote di Murray, che aiuterà senza volerlo Ludovic nella poco nobile impresa. A riportare tutti a più sobrie considerazioni sulla realtà, sarà l'attacco dell'11 settembre al World Trade Center, ridimensionando, a dir poco, le ambizioni artistiche, letterarie e rivoluzionarie dei personaggi di questa sofisticata commedia di costume, raccontata con stile brillante, umorismo dark e sicura introspezione psicologica. -
L' ultima vita
L'ultima vita è un romanzo di sorprendente forza emotiva, dalla scrittura potente e impeccabile.rn«La scrittura di Claire Messud è piena, ricca, incantatoria… eleganti e precise, le sue parole traboccano di intelligenza e immaginazione». - The Independentrnrn«Un romanzo dall’intreccio raffinatissimo e dalla scrittura superba». - Sunday Timesrnrn«Commovente e compiuto… Messud non perde nulla della furiosa ambiguità dell’amore». - Financial TimesCosta Azzurra, estate 1989: Sagesse LaBasse ha quattordici anni quando suo nonno Jacques, una notte, spara alla cieca su un gruppo di giovani riuniti intorno alla piscina del suo stesso albergo. Fortunatamente il proiettile non fa vittime, ma da quel giorno la vita di Sagesse cambia: la bella estate della sua adolescenza è bruscamente interrotta dal primo di una serie di tragici eventi che spezzeranno i LaBasse. Lo sparo del nonno non è che un memento di una storia di emigrazione (da Algeri alla Francia), separazioni, sradicamento, che Sagesse, ormai venticinquenne cittadina americana, ripercorre in una continua alternanza tra passato e presente. Claire Messud, maestra nel gestire l'alternanza tra diversi piani narrativi e momenti temporali inestricabilmente legati, ci racconta una appassionante storia familiare che si sviluppa tra l'Algeria coloniale con il suo tempo perduto eppure così vicino, il Sud della Francia, giardino di un esilio dorato, e l'East Coast americana, con la sua decisa promessa di libertà. Ma questa è soprattutto la storia di Sagesse, che osserva se stessa e la sua famiglia con lo sguardo spietato della verità, in un romanzo di segreti e fantasmi, amore e onore, e di menzogne che finiscono per plasmare vite intere. -
Quando tutto era in ordine
Messud compone una storia bellissima e agrodolce sul prezzo della conoscenza di sé e l’imprevedibilità della vita.rn«L'autrice ha una gran dote nel creare personaggi femminili che sfuggono alle categorizzazioni, con una vita interiore molto sfaccettata e complessa» - The New York Time Magazinern«Una scrittrice dal talento impressionante» - The New York Time Book Reviewrn«Il ritratto tenero e ironico di un legame profondo e di due vite unite anche se distanti» - Joyes Carol Oates, The New York Review of BookPer Emmy e Virginia, due sorelle londinesi, la vita non è andata esattamente come avevano previsto. E quando il matrimonio della volitiva, coraggiosa Emmy con un ricco australiano finisce, lei deciderà di lasciare la sua casa di Sydney per «ritrovare se stessa» sull’isola di Bali, dove finirà coinvolta nelle esistenze di un gruppo di persone ciascuna, a modo suo, un po’ losca. Virginia, d’altro canto, estremamente introversa e riservata, non è mai uscita da Londra e così, nel tentativo di dare un senso alla sua vita, seguirà la madre in una vacanza all’Isola di Skye, alla ricerca delle tracce della sua famiglia. E su queste due isole, ai lati opposti del mondo, le sorelle, non più giovanissime, affrontano il costo di un percorso all’interno di se stesse e dei loro destini con impreviste conseguenze. -
Sulla vocazione politica della filosofia
In questo libro, dove traccia le linee del proprio pensiero, tra esistenzialismo radicale e nuovo anarchismo, Donatella Di Cesare riflette sul rientro della filosofia nella pólis, divenuta metropoli globale. rnrn«I filosofi sono i sublimi migranti del pensiero»rnrnÈ tempo che la filosofia torni alla città. Anzitutto per risvegliarla da quel sonnambulismo che la narcosi di luce del capitale ha provocato.rn Ma quale margine ha il pensiero nel mondo globalizzato, chiuso in se stesso, incapace di guardare fuori e oltre? Mentre viene richiamata alla sua vocazione politica, la filosofia è spinta a non dimenticare la sua eccentricità, la sua atopia. rnNata dalla morte di Socrate, figlia di quella condanna politica, sopravvissuta a salti coraggiosi e rovesci epocali, come nel Novecento, la filosofia rischia di essere ancella non solo della scienza, ma anche di una democrazia svuotata, che la confina a un ruolo normativo. rnIn questo libro, dove traccia le linee del proprio pensiero, tra esistenzialismo radicale e nuovo anarchismo, Donatella Di Cesare riflette sul rientro della filosofia nella pólis, divenuta metropoli globale. rnNon bastano la critica e il dissenso. Memori della sconfitta, dell’esilio, dell’emigrazione interna, i filosofi tornano per stringere un’alleanza con gli sconfitti, per risvegliarne i sogni. -
La realtà al tempo dei quanti. Einstein, Bohr e la nuova immagine del mondo
Un lavoro di ricerca unico, in grado di analizzare la più sorprendente delle teorie della fisica e la più fondamentale delle domande della filosofia con invidiabile competenza in entrambi i campi. Una sintesi mirabile tra le due culture.rnSchrödinger:«L'intera idea dei salti quantici è priva di senso, il salto è graduale o improvviso? Dobbiamo domandarci: come esattamente l'elettrone si comporta durante il salto? Quali leggi governano il suo moto durante il salto? Para fantasia».rnBohr: «Quanto dici è assolutamente corretto. Ma non dimostra che non esistano salti quantici, dimostra soltanto che non possiamo immaginarli».rnSchrödinger: «Lascia queste cose ai filosofi. Se tutti questi maledetti salti quantici sono qui per restare, mi dispiace di essermi fatto coinvolgere dalla meccanica quantistica».rnBohr: «Ma tutti noi siamo felicissimi che tu lo abbia fatto!»rnLa meccanica quantistica ha una posizione unica nella storia della scienza. Essendo parte della famiglia di teorie scientifiche che hanno arricchito la cultura occidentale dal XVII secolo in poi, dovrebbe porsi l'obiettivo di descrivere una realtà in qualche modo «oggettiva» e indipendente da chi la osserva; invece, la meccanica quantistica appare di fatto come la prima teoria scientifica che sembra mettere in dubbio l'esistenza stessa di questa realtà, almeno nelle forme in cui alcuni secoli di scienza ci avevano abituato a pensarla. Nessuna teoria scientifica, per quanto rivoluzionaria e capace di cambiare l'immagine del mondo che ci circonda, era arrivata a tanto. È per questo motivo che la meccanica quantistica ha avuto un effetto così dirompente anche in filosofia, dando vita – fin dai suoi albori, negli anni venti del Novecento – a un dibattito serrato sull'idea stessa di realtà fisica. A cento anni di distanza, la questione sembra tutt'altro che chiusa; ancora oggi le discussioni continuano, in forme rinnovate, nel mondo scientifico e filosofico internazionale ormai globalizzato, dal canadese Perimeter Institute for Theoretical Physics alla Templeton Foundation, fino agli istituti di fisica di Hong Kong o Bangalore. In questo libro, denso e accurato, Federico Laudisa ricostruisce il dibattito sull'immagine del mondo fisico nella fase di nascita e consolidamento della meccanica quantistica, delineando l'evoluzione delle ""idee"""" relative al nascente mondo quantistico e alle implicazioni filosofiche che ne sono derivate, con una particolare attenzione alle assunzioni epistemologiche presenti in modo esplicito o implicito, ma senza dimenticare l'ambiente storico nel quale le discussioni hanno preso forma. «La realtà al tempo dei quanti» è un lavoro di ricerca unico, in grado di analizzare la più sorprendente delle teorie della fisica e la più fondamentale delle domande della filosofia con invidiabile competenza in entrambi i campi. Una sintesi mirabile tra le due culture."" -
Questo corpo che mi abita
Parlare del corpo è smuovere un'«inquietudine».rn«Pagine sorprendenti per la coraggiosa esposizione di sé – il rapporto col suo corpo, l'invecchiamento, la morte.» - Lea MelandrirnrnrnrnAncor più per una donna che ha anteposto le ragioni del suo «io politico» al principio del «tutto è sessuato», in amichevole dissonanza nei confronti del pensiero femminista con cui non ha mai smesso di dialogare. Ma è quel sottile disagio - lo scarto che avverte tra sé e l'immediatezza biologica - a spingere felicemente Rossana Rossanda su un terreno inabituale. Lei che ha attraversato di furia, e contromano, il corso del mondo, non cede all'opacità indecifrabile del corpo, e mentre incombe l'età più fragile della vita lo interpella, lo scruta, gli dà del tu senza troppa confidenza e ne annota i cedimenti con moderata costernazione. «Da tutte le parti questo corpo che mi abita e che abito sfugge e mi torna, come se fosse l'anguilla della mia coscienza, un'anguilla attaccata a ""me""""». E sebbene l'oggetto del suo ragionare affilato le sembri provvisto di «tanta emotività quanto una grammatica», Rossanda riesce a infondervi, in modo quasi preterintenzionale, il battito di un incantamento, sia quando indugia sulle proprie splendide mani tradite dal declino, sia quando tocca questioni meno intime, gli inarrivabili canoni di bellezza delle dive o il travestitismo che permise ad alcune donne del passato di rimediare a uno stato di minorità. Nella sua messa a nudo, Rossanda rifugge però dall'idea che il sapere del corpo sia prerogativa femminile in virtù dei carichi simbolici assegnati ad esso da maternità e seduzione: è uno dei punti di maggiore sintonia con Lea Melandri, che anni fa ha ospitato sulla rivista «Lapis» gli articoli qui raccolti, e che oggi condivide con Rossanda la «malinconìa dei tempi lunghi della storia»."" -
L' educazione sentimentale di AK-47
Sospeso tra L'ultima favola russa di Francis Spufford, i libri di W.G. Sebald e Teju Cole, e l’umorismo di Peter Sellers in Hollywood Party, il lettore troverà in Kailash un personaggio in cui identificarsi nonostante le differenze, e con cui ridere di gusto.rnrn«Un romanzo che non vuole raccontare esattamente una storia, ma creare il ritratto di una mente che si muove tra una cultura nuova, di sua scelta, e quella che si è lasciato alle spalle» - The New Yorkerrnrn«Un divertimento solido e sicuro» - The New York Times Book Reviewrnrn«Una contro-narrazione audace e provocatoria… questo romanzo smaschera coraggiosamente una serie di uomini famosi, obbligando politici e rivoluzionari a scendere dal piedistallo» - The GuardianrnrnIl narratore di questo romanzo si chiama Kailash, è indiano e arriva dal Bihar a New York nel 1990, con una prestigiosa borsa di studio di dottorato. I primi amici che si fa storpiano subito il suo nome in Kalashnikov, e poi, per brevità, in AK-47. Kailash non sembra preoccupato da questa accoglienza, che pure contribuisce senza dubbio al senso di spaesamento di chi arriva da straniero in America. La sua preoccupazione, e il senso di straniamento, sono dovuti a un'altra scoperta. Nel Bihar, gli adolescenti e i giovani uomini possono parlare di sesso soltanto tra di loro, e gli amici di Kailash sono tutti vergini. Tranne uno, ovviamente tempestato di domande alle quali può rispondere soltanto a modo suo. La parola sesso è bandita dalla vita pubblica, non compare nelle strade, nei cartelli pubblicitari, nei giornali... Grande è dunque la sorpresa di Kailash quando si rende conto che a New York se ne può parlare, certo, e si possono anche sfiorare, accompagnare, interpellare, addirittura abbracciare le amiche. E che in TV compare regolarmente una signora di mezza età, piccolina, con un accento straniero «simile a quello di Henry Kissinger», la dottoressa Ruth, che parla di sesso, non solo liberamente, ma nei dettagli, dando a ciascuna «cosa» il suo nome scientifico. Da questa scoperta partono tutte le altre, tutte quelle necessarie per restare in un paese straniero senza sentirsi estraneo, cose difficili da individuare, studiare, capire. Non solo per star meglio, ma per evitare di sbagliare, di offendere la sensibilità altrui. AK-47 è uno studente, non ha grossi problemi di denaro o alloggio, di isolamento, deve soltanto imparare a interagire. Ma non rinnega la cultura di origine, e i suoi costumi. In parte romanzo, in parte memoir, la narrazione va avanti e indietro nel tempo e nello spazio alla ricerca di episodi, storici o privati o intimi, che aiutino a mettere in relazione l'India e l'America. Sospeso tra «L'ultima favola russa» di Francis Spufford, i libri di W. G. Sebald e Teju Cole, e l’umorismo di Peter Sellers in «Hollywood Party», il lettore troverà in Kailash un personaggio in cui identificarsi nonostante le differenze, e con cui ridere di gusto. -
A cena con Darwin. Cibo, bevande ed evoluzione
Un affresco sontuoso in cui cibo, scienza e società umana si mescolano inestricabilmente tra loro, imbandendo una mensa ricca e variegata.rn«Dalla prima portata di ostriche all’ultima stilla di vino, il racconto di Silvertown sull’evoluzione della nostra dieta è un’esperienza sontuosa. A cena con Darwin combina storia naturale, biografia, archeologia e biologia, mescolando il tutto in storie gastronomiche che renderanno luminoso il vostro pranzo.» -rn Richard Wranghamrn«Questo intricato banchetto è una lettura meravigliosa. Bon appetit» -rn Barbara Kiser, NaturernUova, latte e farina sono gli ingredienti fondamentali di una torta, ma sono anche il prodotto di milioni di anni di evoluzione e rappresentano in quel contesto una soluzione geniale al problema della riproduzione fuori dall’acqua. Per le uova, l’idea era circondare l’uovo fecondato con una piccola porzione di mare, arricchito di nutrienti, e chiudere il tutto in un guscio resistente alla disidratazione e alle infezioni. Lo inventarono i dinosauri e va ancora di moda. Se pensassimo a questo quando apriamo la dispensa, toccheremmo letteralmente con mano l’evoluzione darwiniana mentre prepariamo la cena.rnAnche il latte ha una storia analoga: è l’invenzione per eccellenza dei mammiferi, che avevano il problema di nutrire i loro piccoli senza poter deporre uova. La farina, infine – una polvere di semi triturati – è l’equivalente vegetale dell’uovo: il sistema che hanno escogitato le piante per colonizzare la terraferma. Questi tre ingredienti sono così nutrienti per un motivo molto chiaro: si sono evoluti nel corso di milioni di anni proprio per nutrire.rnOgni cibo che mangiamo ha un’affascinante storia evolutiva alle spalle: e gli uomini hanno sviluppato la capacità di mangiare ben 4000 specie vegetali. A partire da questo, Jonathan Silvertown si diverte a illustrarci, tra un’infinità di storie affascinanti, uno strano menù evoluzionistico, composto di più portate (o capitoli): una entrée, una contestualizzazione storica, e poi frutti di mare, zuppa, pesce, carne, verdura, spezie, dolce, formaggio, vino e molta convivialità.rnA cena con Darwin delinea un tour gastronomico del gusto del genere umano che ci aiuta a comprendere l’origine delle nostre diete e dei cibi che sono stati centrali per millenni nelle nostre culture. Nel viaggio incontriamo microbi, funghi, animali e vegetali, l’evoluzione del nostro senso del gusto e dell’olfatto, gli aromi che ci inebriano e quelli che ci repellono, sempre con la selezione naturale darwiniana a farci da bussola lungo il cammino. -
Il cervello non ha età. Istruzioni per rimanere attivi, brillanti e felici
10 semplici regole per vivere al meglio l'età che avanza e prenderci cura del nostro cervellornrn1. Siate dei buoni amici, e lasciate che gli altri lo siano per voirn2. Coltivate un atteggiamento di gratitudinern3. La mindfulness non solo rasserena, ma fa bene al cervellorn4. Ricordate che non è mai troppo tardi per imparare, né per insegnarern5. Allenate il cervello con i videogiochirn6. Individuate i dieci segnali prima di chiedervi se avete l’Alzheimerrn7. State attenti a cosa mangiate e fate movimentorn8. Per mantenere la mente lucida, dormite a sufficienza (ma non troppo)rn9. Non potete vivere per sempre, almeno non ancorarn10. Non ritiratevi mai dal lavoro, e rievocate spesso il passatornrnrnChi dice che non si possa invecchiare e mantenere intatte - e al meglio - tutte le funzioni del nostro cervello? È vero, con l'età che avanza la memoria inizia a perdere qualche colpo e abbiamo l'impressione che il nostro cervello sia più «lento» rispetto a quando avevamo qualche anno in meno. Ma è possibile evitare - e in qualche modo prevenire - i piccoli e grandi inciampi dell'invecchiamento? John Medina - che ci ha mostrato in ""Il cervello. Istruzioni per l'uso"""" il vero funzionamento del nostro cervello, e in """"Naturalmente intelligenti"""" ha spiegato ai genitori la ricetta scientifica per crescere bambini intelligenti sani e felici - ora condivide con noi le istruzioni per sfruttare al meglio i lunghi anni della nostra vecchiaia. Con il suo stile chiaro, scanzonato, ricco di aneddoti e sempre ben informato, Medina pone problemi familiari a tutti noi e, soprattutto, mette in campo soluzioni sorprendenti frutto delle più aggiornate ricerche nelle neuroscienze: impareremo come migliorare la nostra memoria, capiremo perché dovremmo valorizzare l'amicizia e le relazioni sociali (anche online), scopriremo perché leggere un libro per parecchie ore al giorno può realmente aggiungere anni alla nostra vita e come migliorare l'umore con i videogiochi e la mindfulness, e a riconoscere i primi segnali di malattie degenerative. Scopriremo poi che l'invecchiamento porta con sé anche dei vantaggi, con ricadute positive non soltanto per la mente ma anche per lo spirito. Con il passare degli anni, infatti, la capacità di vedere il bicchiere mezzo pieno aumenta e i livelli di stress si riducono. È per questo motivo che non bisogna assolutamente dare retta a chi dice che la vecchiaia è un'età nella quale sono tutti scontrosi e immusoniti: seguendo queste semplici regole, potrà essere una delle fasi più felici della vita. Ogni età ha i suoi problemi e John Medina, con le sue storie affascinanti e il suo contagioso senso dell'umorismo, è la nostra guida d'eccezione per la soluzione degli inconvenienti del tempo che avanza."" -
Il colore dell'inferno. La pena tra vendetta e giustizia
Per un nuovo umanesimo della giustizia.rn«Dove mai avrà termine, dove mai placata cesserà la furia di Ate?» L’interrogativo angoscioso di Eschilo non smette di risuonare dopo migliaia di anni. Abbiamo forse dimenticato il nome della funesta divinità greca che prima induceva gli uomini in errore e poi ne esigeva inclemente la punizione, ma della sua vendicatività rimane un’impronta nell’idea di giustizia a cui è ispirata l’attuale civiltà giuridica. La rassicurante contrapposizione tra vendetta e barbarie da un lato – la violenza sommaria del «sangue chiama sangue» – e giustizia e civiltà dall’altro tradisce infatti una infondatezza che sgomenta. Scrutando nel cono d’ombra dell’azione penale con lo sguardo penetrante di chi coglie ambivalenze e fratture nella presunta rotondità dei concetti, Umberto Curi vi rintraccia l’aspetto arcaico e irrisolto che tinge ancora il dispositivo della pena del «colore dell’inferno», secondo l’espressione di Simone Weil. Lungo il tragitto a lui familiare, che dalla grecità dei filosofi e dei tragici arriva a Nietzsche e al pensiero contemporaneo, Curi testa la resistenza, e la fragilità, del principio di giusta «retribuzione» del reato attraverso un castigo adeguato. L’equità che intende garantire era invocata anche dall’ingiunzione biblica «frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente» e dalla legge del taglione fissata dalle XII Tavole romane, ossia dai meccanismi che prevedevano la reciprocità del danno. Infliggere sofferenza al colpevole, sia per ristabilire l’ordine cosmico infranto sia, più modernamente, a scopo rieducativo o preventivo, oscilla tra una concezione sacrale della pena come espiazione e una visione compensativa che rimanda all’antica relazione tra debitore e creditore. Impostazioni che, tuttavia, sortiscono l’effetto-paradosso di assolvere la colpa, una volta estinto il debito con la pena, senza alleviare il dolore della vittima. Proprio alla fuoriuscita dalla logica del paradigma retributivo e di quello pedagogico lavora oggi la giustizia riparativa, che mette invece al centro il rapporto tra offensore e offeso. Perché si possa, infine, sottrarre alla crudele Ate l’insidioso terreno in cui prospera.