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Come la borghesia ha inventato il moderno
«I protagonisti del nuovo rapporto con le arti sono dunque i borghesi. Ma questo imborghesimento dell'arte trasforma la sua relazione con l'esistenza, modifica la vita stessa. L'arte diventa, per così dire, un elemento della domenica, del giorno festivo della vita». Dove si narra come la Borghesia si congiunse con l'Arte, generò il Moderno e fu da questi ripudiata.Thomas Nipperddey, tra i massimi storici dell'Ottocento tedesco, attraverso le forme sociali dell'arte, della musica e della cultura europee dipana le contraddittorie radici delle nostre sensibilità «moderne».Il culto del genio e la professionalizzazione dell'artista; il gusto come autorappresentazione di una classe in ascesa, il mecenatismo e il business; il «furore monumentale» che lega all'arte «politica, patria e storia»; l'invenzione della divinità dell'arte, il suo farsi ora esoterica, ora eroica, ora educatrice; l'irrompere - inconcepibile per le sensibilità d'antico regime - degli stili nella produzione artistica; i paradossi dell'originalità, vero feticcio originale dell'arte moderna che ne scandisce la fruizione e lo smercio; infine, la sedimentazione di una concezione enfatica dell'arte e dell'artista che condurrà, alle soglie del nuovo secolo, alla ribellione dell'arte contro il pavido e filisteo borghese, che prima l'aveva allevata con interessato amore. -
L' Islam nel pensiero europeo
«Separati dal conflitto ma uniti da legami di varia natura, cristiani e musulmani lanciavano gli uni agli altri sfide religiose e intellettuali. Cosa era in grado di comprendere l'una religione delle affermazioni dell'altra?» Una complessa e delicata rete di relazioni e conflitti economici, diplomatici, commerciali e culturali lega il mondo cristiano occidentale alla «enigmatica e maestosa» civiltà islamica. Ma i rapporti si fissano in «visioni», ora banali ora sofisticate, e quasi sempre ideologiche. Quale fu allora in Europa la percezione dell'islam nel corso dei secoli? Quali immagini della religione e della società islamiche elaborarono nei secoli mercanti, viaggiatori, filosofi, teologi e missionari, fino ai moderni professionisti universitari «di area»? In questo breve saggio uno dei massimi specialisti della cultura araba ridisegna i confini del confronto e dello scontro, a partire dalla distorsione del pensiero religioso musulmano e della figura di Maometto nelle diatribe spirituali e nelle confutazioni teologiche d'epoca medievale. All'inizio dell'età moderna, la fine della sfida militare e l'avvio dell'espansionismo commerciale europeo indussero un aumento delle conoscenze e dell'interesse; nel 1587 un regolare insegnamento di arabo venne istituito al Collège de France, e cattedre di arabo sorsero a Leida, Cambridge e Oxford nella prima metà del XVII secolo, divenendo presto fulcri di un dibattito sullo «spirito del mondo» che aveva nell'islam il proprio interlocutore: un confronto che appassionerà filosofi e studiosi, da Kant a Maurice, da Carlyle a Stuart Mill, da Herder a Hegel e a Renan.La Rivoluzione francese accese una discussione - a tutt'oggi più rimossa che conclusa - sull'essenza stessa della religione e delle sue ricadute sociali. Si apriva un'epoca fervida di studi in cui proliferarono anche le immagini degli arabi quali «individui solitari e romantici», mentre Hegel accostava il successo delle origini dell'islam - il «trionfo dell'entusiasmo» - al suo coevo, presunto ritiro dalla scena della storia «nell'inerzia e nella tranquillità orientale».Se Ernest Renan fu forse la figura centrale nella formazione delle idee europee sull'islam, toccò ai linguisti e ai cultori di filologia comparata, nel corso del XIX secolo, il compito di contrastare le indistinte mitologie orientaleggianti, congiungendosi alla critica biblica e discutendo la dimensione «profetica» delle religioni monoteiste. Al contempo, l'atteggiamento di studiosi spiritualisti come Massignon, critici verso l'europeo «secolare furore di penetrare, conquistare, possedere», aprirà le porte allo studio della società islamica nel complesso delle sue articolazioni e differenze, alle più sofisticate e rispettose «visioni» dei mondi musulmani care agli antropologi sociali del XX secolo come Geertz e Gilsenan. -
Economia e sociologia. Conversazioni con Becker, Coleman, Akerlof, White, Granovetter, Williamson, Arrow, Hirschman, Olson, Schelling e Smelser
Come si può comprendere l'economia contemporanea? E come è possibile per gli economisti analizzarne i problemi senza valutarne la ricaduta sul piano sociale, o per gli studiosi dei problemi sociali prescindere dalla dimensione economica? Intorno a questi grandi interrogativi si sta vivendo oggi un appassionante duello tra economisti e sociologi per cercare di superare le vecchie categorie interpretative e arrivare a una nuova definizione dei confini tra le due discipline. Nelle conversazioni raccolte in questo volume, in cui si confrontano alcuni dei principali economisti e sociologi della scena internazionale, Swedberg riesce a toccare i nuclei principali del problema con un linguaggio adatto anche per i non specialisti. Nel tentativo di chiarire le diverse risposte e i termini del dibattito, l'autore spinge i suoi interlocutori a ripercorrere il loro itinerario intellettuale: ne emerge un quadro, spesso inedito, di informazioni e curiosità sui percorsi di formazione e sulla biografia intellettuale dei personaggi intervistati.Il cuore del volume è costituito dal confronto-scontro tra gli esponenti delle due discipline. Da un lato, vi è chi ritiene che occorre andare in direzione di un'analisi economica delle strutture sociali (della famiglia come dello stato). Dall'altro c'è invece chi reagisce al diffondersi di questo «imperialismo economico» contrattaccando sullo stesso terreno tradizionale dell'economia e proponendo un'analisi sociologica delle strutture economiche. Un ultimo gruppo di interventi raccoglie i pareri di autori particolarmente noti e autorevoli, accomunati dall'aver praticato nel loro lavoro l'arte di combinare l’economia con le altre scienze sociali. Anticipatori, in un certo senso, delle questioni oggi in discussione, Arrow e Hirschman, Olson, Schelling e Smelser, hanno dimostrato nei loro studi le grandi possibilità che si offrono quando si ha il coraggio di oltrepassare i confini disciplinari tradizionali. -
Atene e Gerusalemme. Contrapposizione e incontro di due principi creativi
Gli studi, le scoperte e le decifrazioni più recenti non hanno solamente arricchito le nostre conoscenze sulle letterature greca e del Vicino Oriente antico: più radicalmente, essi hanno fatto giustizia d'ogni presuntuoso etnocentrismo, che a cuor leggero amava dividere i popoli in ""creativi"""" e """"non creativi"""". Non basta: essi hanno anche manomesso ogni visione """"stadiale"""" che leggeva il percorso culturale ellenico come un """"andare oltre"""" nel cammino, a suo modo universale e progressivo, di un unico concetto di letteratura. Averincev dimostra invece che Atene e Gerusalemme furono il risultato di due processi culturali differenti, che da un unico punto iniziale si sono separati prendendo due diverse direzioni. Lontano da qualunque valutazione qualitativa dell'elaborazione teorica, attraverso una rigorosa ricostruzione delle tipologie espressive e umane - il saggio e il profeta, il filosofo e il letterato consapevoli della propria autonomia - Averincev svolge un percorso lucido tra Atene e Gerusalemme, tra l'invenzione della letteratura e la costruzione della tradizione, tra le personalità straordinarie del mondo ebraico e le individualità altrettanto eccezionali del mondo ellenico."" -
Milano a Roma. Guida all'Italia elettorale del 1994
"Rivoluzione"""", terremoto, svolta epocale: sono le definizioni più ricorrenti per spiegare il senso delle elezioni del 27 e 28 marzo 1994. Ma sono davvero aderenti a quel che è avvenuto? Certo, il quadro emerso risulta diverso dal passato, più aperto e combattivo, meno vincolato da appartenenze ideologiche o religiose e attraversato, per contro, da inediti processi, a cominciare dalla personalizzazione dello scontro politico e dall'accentuata importanza dei mass media. Ma la vera novità risiede proprio nella particolare connotazione """"competitiva"""" assunta dal confronto politico ed elettorale, piuttosto che negli specifici esiti che esso ha conosciuto in questa occasione.I contributi qui presentati, stilati da un ampio gruppo di esperti, mirano a chiarire e sviluppare gli aspetti principali di ciò che è avvenuto e sta avvenendo nell'Italia elettorale degli anni novanta: sondaggi e radiografie che disegnano un ritratto prospettico di tutti noi, elettori stanchi o appassionati, timorosi o entusiasti. Saggi brevi e mirati, dove cifre e carte restituiscono i volti dei partiti e degli schieramenti, compresi gli assenti: i destini e le trasformazioni sia delle aree tradizionali che dei soggetti, vecchi, nuovi e nuovissimi. Un'attenzione particolare è dedicata, da un lato, alle regole della competizione, a come abbiamo vissuto e interpretato le sfide e i duelli, e alle logiche che li hanno sottesi; dall'altro, alle nuove forme massmadiologiche e - come suol dirsi e sempre più si dirà - di """"marketing""""." -
Play-back
«Le scrissi una di quelle storie che voleva ascoltare la sera, quella di una farfalla bianca a cui piacevano talmente tanto i colori che aveva deciso di andare ad abitare su un arcobaleno. Quando ebbi finito mi alzai in piedi e andai a rileggere la lettera vicino alla finestra. Sotto, nello stadio Sidelor violentemente illuminato da quattro proiettori di grande potenza, una ventina di calciatori in tuta si disputava un pallone davanti alle tribune vuote. I loro calci sollevavano zolle di terra spugnosa che facevano avanti e indietro insieme al pallone.Mi restava da scoprire come era morta Prima Piovani e soprattutto se io c'entravo qualcosa». A Patrick Farrel, scrittore in pectore con i cassetti colmi di dattiloscritti rifiutati e pubblicitario per sbarcare il lunario, hanno proposto un affare: scrivere l'«autobiografia» di una cantante di successo, Bianca B., in cambio di un gruzzolo e della pubblicazione di un suo romanzo. Andata: ma presto Patrick scopre che Bianca B., malgrado il successo strepitoso, vive a Longrupt, sobborgo di sconsolata bruttezza, periferia post-industriale arrugginita e incattivita da cui tutti fuggono.L'incontro con un'amica della cantante lo lascia senza fiato: obesa, alcolista terminale, la donna scrive in incognito i testi per l'altra: una sorte da «negra» in cui Patrick si riconosce appieno.Il giorno successivo all'intervista la donna viene trovata morta. Sull'ipotesi ovvia del suicidio pesano molte incongruenze, qualcosa non torna. Invece di dedicarsi a costruire il libro per i fans, l'uomo comincia a condurre un'inchiesta che nessuno gli ha commissionato. Vuole capire, smantellare i meccanismi perversi dell'industria-spettacolo, comprendere la regia che lega il gigante editoriale spacciatore di ottimismo all'universo degli sbandati, dei disoccupati, dei politici trasformatisi in banditi. Sullo sfondo grottesco della Cité radieuse di Le Corbusier, oramai ridotta a rifugio abusivo di vagabondi e assunta a metafora dello sfascio, si snoda un giallo le cui implicazioni vanno ben oltre la scoperta del «colpevole». -
Imparare ad esistere. Nuovi fondamenti della solidarietà sociale
Lo sviluppo delle tendenze globalizzanti legate al diffondersi, su scala mondiale, dell'economia di mercato e della tecnologia, ha radicalmente ridotto le funzioni delle istituzioni politiche tradizionali e, nello stesso tempo, ha consentito più ampi spazi per l'affermarsi di forme di particolarismo. Da questo processo di trasformazione è emerso un profondo disorientamento circa le radici della solidarietà sociale: da un lato, sono venute accentuandosi le differenziazioni legate al sesso, all'età, alla provenienza etnica; dall'altro, stiamo assistendo al risorgere di nuove forme di integralismo religioso e nazionalistico.Tanto il fondamentalismo quanto il relativismo, derivanti entrambi dalla priorità tradizionalmente attribuita nella cultura occidentale alla dimensione cognitiva, danno risposte inadeguate al problema di ritrovare nuove basi della convivenza civile: da qui la proposta di ripensare tali basi a partire dal riconoscimento della priorità dell'esistenza, in quanto situazione comune caratterizzata da esperienze universalmente condivise (angoscia, gioia, desiderio, morte) e dai limiti radicali del nostro sapere. L'attenzione all'esistenza, analizzata da Crespi nelle sue dimensioni essenziali, apre nuove possibilità per il riconoscimento sia delle differenze individuali, sia dei vincoli che, a livello mondiale, ci uniscono ai nostri simili. Imparare ad esistere vuol dire quindi liberarsi dalle proiezioni illusorie, per impegnarsi concretamente in una autorealizzazione personale che è anche intimamente connessa con la responsabilità sociale. -
Democrazia referendaria. L'Italia dal primato dei partiti al trionfo dell'opinione pubblica
Al di là dei tratti più spettacolari, il mutamento del sistema politico-elettorale italiano nasconde un passaggio decisivo: sulla crisi del vecchio sistema rappresentativo pare oggi emergere il profilo di una inedita democrazia referendaria. Come era già accaduto nel dopoguerra, il paese si trova ora di fronte a un bivio. Tra il 1945 e il 1948 partiti anche molto distanti tra loro seppero unirsi per dare vita a una democrazia rappresentativa: nella crisi odierna invece sembra prevalere in tutte le forze politiche una vocazione a forme di legittimazione diretta. Non basta: perlomeno dagli anni ottanta, le scelte referendarie hanno esteso i loro effetti ben oltre l'orizzonte abrogativo originariamente previsto dai costituenti, per diventare strumento di un cambiamento il cui baricentro istituzionale si è ormai spostato verso gli umori della gente.Condotto in una prospettiva storica, il libro dipana il filo di questa interpretazione originale del «caso» italiano, che vede la «democrazia dei partiti» sciogliersi nel «trionfo dell'opinione pubblica». Marcello Fedele esplora i nuovi confini della comunicazione politica, i meccanismi delle riforme elettorali e le fragilità nascoste delle nuove coalizioni politiche, mettendo a fuoco le dinamiche di un diffuso e poco riconosciuto risentimento che nelle vicende di Tangentopoli ha trovato la propria ribalta. -
Demoni e streghe
«Quanto all'usanza di rapire i bambini, una delle caratteristiche riconosciute alla genìa delle fate si diceva originata dalla necessità di pagare ai regni infernali un tributo annuo di individui della loro razza, necessità dalla quale si liberavano volentieri offrendo al principe di quelle tenebrose regioni, in cambio dei propri, i figli degli uomini». (Walter Scott). Composte da Walter Scott attorno agli anni trenta del secolo scorso, le lettere su Demonology and Witchcraft scrutano con partecipe disincanto la «veemente passione» che trascina gli uomini e le donne a desiderare - e temere - le apparizioni e le manifestazioni soprannaturali, e li spinge bizzarramente a credere più spesso agli occhi altrui che ai propri. «In questo libro - annota Emilio Tadini nella sua introduzione - Walter Scott ci dà prova del fascino che ha esercitato su di lui e sulla sua scrittura il mondo fantastico. E, in sostanza, è come se stabilisse un confronto tra sé e se stesso. Fra la propria attitudine a una scrittura analitica e la propria attitudine a una scrittura narrativa. Anche Walter Scott, come tanti romantici, è figlio dell'illuminismo. Ma tanta luce ha finito per abbagliare una generazione. Perché questa è una generazione che ha dovuto conoscere e sperimentare la spietatezza della ragione - e letteralmente: proprio quella assenza di pietas che si dà nella sostanza stessa della pura e semplice ragione strumentale. Forse è per questo che i romantici cercano scampo in quella specie di metafisica paradossalmente incarnata che per loro è l'arte. Prima di tutto, una immaginazione di vita oltre la morte. Comunque e dovunque. Dalla luce smagliante delle metafore filosofiche al buio di qualche salotto con le tende abbassate e spenti tutti i lumi - veri o immaginari che fossero. Dallo Spirito Assoluto, insomma, giù giù fino allo spiritismo...».Le lettere coprono un arco tematico e temporale assai vasto, spaziando dagli indovini e indemoniati del mondo biblico alle profetesse delle leggende nordiche, dalle potenti divinità rurali alle testimonianze dell'instancabile apparire delle fate, fino agli incroci «moderni» della scienza con il misticismo, della religione con la superstizione. Vediamo così scorrere di fronte a noi quel repertorio di miti, favole e leggende di rara suggestione, che aveva alimentato fin dagli esordi la vena creativa del grande narratore scozzese. -
Karol Wojtila. Vittoria e tramonto
Non si danno nell'età contemporanea pontificati intensi e carichi di simbologie come quello di Giovanni Paolo II. Se è vero che ha combattuto il comunismo nella sua Polonia e ha contribuito a sconfiggerlo nel mondo, Karol Wojtyla è anche il papa che si è contrapposto come nessun altro all'Occidente opulento ed egoista, condannandone il relativismo etico e le ideologie secolarizzanti. È il papa del terzo mondo, che ha dato voce ai poveri della terra, non senza rischiare l'innaturale abbraccio con l'Islam. Ancora, è il papa della pace e della guerra, che condanna l'intervento in Kuwait, ma insorge a difesa delle vittime dei massacri in Bosnia contro l'indifferenza del mondo. Su una sola cosa il suo pontificato è stato silenzioso: sulla Chiesa e i suoi problemi interni. Da oltre sedici anni la Chiesa è afflitta da una sorta di immobilismo senza riforme, mentre per essa ha continuato a parlare sempre e solo il papa. È così che Giovanni Paolo II ha potuto suscitare i sentimenti e i giudizi più disparati: profeta e restauratore, capo del risveglio spirituale e sostenitore di un neotemporalismo; teorico dei diritti dell'uomo e nostalgico del ruolo subalterno della donna. Il libro di Carlo Cardia esamina, per la prima volta sistematicamente, in modo rigoroso, i grandi temi affrontati da Giovanni Paolo II, offrendo il quadro ragionato di un pontificato che è stato considerato spesso con passione ma senza obiettività. Dalla riflessione di Cardia emergono anche i problemi che Karol Wojtyla lascia in eredità alla Chiesa, la quale dopo un lungo periodo di «esposizione sul mondo» dovrà tornare a riflettere su se stessa e sulla propria essenza più profonda. -
Essere fuori luogo. Il dilemma ebraico tra diaspora e ritorno
«Perduto lo statuto di nazione autonoma su una propria terra, gli ebrei dispersi sono diventati una nazione in potenza; perduto lo statuto sacerdotale del culto, la religione ebraica è diventata un sacerdozio in potenza. Questo impasto di potenzialità è peculiare di ciò che chiamiamo ebraismo: è come una gestazione perenne che non giunge mai al parto». La vicenda ebraica incarna mondi storici, simbolici e dottrinari di straordinario spessore, che i saggi di Stefano Levi Della Torre attraversano, si è tentati di dire, con lo stesso poetico «acume» che aleggia nella luce dei suoi quadri. E la vicenda ebraica diviene una lente attraverso cui scrutare questioni cruciali per tutti gli esseri umani. Al cuore vi è il formarsi di una «mentalità collettiva» che si mostra ora in tutta la sua fertile relatività: come scrive Levi Della Torre nel primo dei saggi di questa raccolta, essa «prende forma non solo dai fatti vissuti obiettivamente ma ancor più da come li si racconta: da come si trasformano gli eventi in memoria, la memoria in narrazione, la narrazione in tradizione, la tradizione in identità».Vibrando tra universalità e particolarità, si è condotti allora a ragionare su altri temi fondanti, dall'idea scandalosa di «popolo eletto» - presunzione imputata al popolo ebraico ma in realtà affiorante e vitale in ogni cultura - alla tensione e al conflitto tra la spinta all'insediamento territoriale e le vie della dispersione e dell'esilio.In Essere fuori luogo, il saggio che dà il titolo al libro, protagoniste sono invece quelle tesi del sionismo che vedono nella «diaspora» ebraica un vizio e una colpa, e in Israele la sua cura: ma l'ebraismo, nella sua realtà e nei suoi testi - controbatte Levi Della Torre rispondendo agli argomenti dello scrittore israeliano Yehoshua - non incarna l'elaborazione di un pensiero e di un sentimento dello «stabilirsi», bensì evoca l'esperienza dell'oscillazione tra territorialità e a-territorialità, tra radicamento e sradicamento: una oscillazione in cui sembrano affollarsi quelle più diverse esperienze umane che la stessa Bibbia racconta, contiene, preserva. -
Parole con parole. Poteri e limiti del linguaggio
L'importanza cruciale attribuita dalla metafisica ai nomi propri, i termini votati a designare un oggetto salvaguardandone la singolarità; la prova ontologica dell'esistenza di Dio, modello insigne della presunta corrispondenza tra parole e cose; il paradosso del mentitore, crocevia dei problemi impliciti in ogni denotazione e di quelli tipici dell'autoriferimento; splendori e miserie della soggettività identificata con l'autoriflessione pura; la stretta parentela tra una specifica forma di afasia e la modalità del possibile; lo statuto logico di quel simultaneo poter-essere e poter-non-essere che chiamiamo contingenza: questi alcuni dei temi che lo studio di Paolo Virno attraversa, spinto dalla convinzione che nella società della «comunicazione generalizzata» la discussione su denotazione e significato, autoriferimento e metalinguaggio, nomi propri e afasia, si carica di implicazioni etiche. Al tempo stesso, il libro si propone un obiettivo «feuerbachiano». Come Feuerbach identificò nella teologia la proiezione transfigurata della realtà mondana, così bisogna ora sforzarsi di rintracciare nelle rarefatte costruzioni della filosofia del linguaggio il profilo dell'esistenza sensibile e caduca. Se già Hegel parlò diffusamente della «divina natura» del linguaggio, «divino» esso è rimasto sia nell'ascetismo tecnocratico delle teorie neopositiviste che nella conviviale bonomia dell'ermeneutica. Lungo tutto il Novecento, la critica della metafisica tradizionale si è fatta merito di leggere «linguaggio» dovunque trovasse scritto «Dio», ritenendo di corroborare così un giudizioso umanesimo: il punto d'onore del pensiero critico - senza perifrasi, del materialismo - sta invece nel mostrare il carattere radicalmente finito della parola umana, restituendo autonomia e rilevanza a ciò che elude e sopravanza ogni enunciazione. -
Il ritorno di Europa. La nuova Germania e il vecchio continente
«L'Europa diventa veicolo di identificazione politica in presenza di un nemico; l'opposizione fondamentale è sempre libertà europea/dispotismo barbaro; il concetto di Europa scompare con l'allontanarsi della minaccia.Perché l'Europa prenda corpo dobbiamo imparare a pensarla, a riconoscere trame che attraversano secoli, forse millenni. A quel punto sarà più facile rispondere alla domanda: cos'è l'Europa, cosa può essere, cosa dovrebbe essere?» Se è vero che «il tramonto dell'Occidente è rinviato», cos'è oggi l'Europa? Sopravvissuta a due guerre mondiali, pasciutasi di miracoli economici all'ombra della cortina di ferro, spettatrice del collasso del comunismo e del tramonto del bipolarismo, arrossata senza arrossire dagli scannatoi balcanici, l'Europa scopre di essere assai più una «realtà del pensiero» che una chiara entità politica o geografica. Non sorprende che politici e cittadini del vecchio continente si scoprano oggi del tutto impreparati ad alimentare una vera unificazione europea, persi nelle nebbie di mitologie concettuali che evocano «case comuni» e «Mitteleurope» dai confini liquidi. Di questo luogo immaginato e imprecisato, vagante tra l'Atlantico e gli Urali, Schulze narra con pungente maestria gli inganni, le metafore, le vocazioni, i meccanismi: ecco il ritratto di un mondo millenario che si definisce sempre in negativo, contro un nemico che ne minaccia gli «equilibri»; le luci e le ombre dei suoi figli prediletti, il razionalismo, la democrazia, la rivoluzione; gli equivoci anche tragici del nazionalismo. Perché non è la divisione in nazioni a minacciare l'Europa, bensì la pressione centrifuga e terroristica di stati nazionali che aspirano all'impossibile coincidenza di nazione, lingua e territorio. Oggi, ricorda Schulze, non esiste alcun barbaro, né Napoleone, né Hitler a spingere all'unità, ma solo una necessità economica e politica, che si pone a partire dal nuovo assetto tedesco. Solo così, forse, si potrà archiviare la guerra civile europea. L'analisi dello storico si fa proposta politica, lì dove Schulze invita a ripensare e a riscrivere la storia d'Europa a partire dai valori comuni e dagli esempi storici di governo globale. Solo dando voce a regioni e nazioni all'interno di una federazione elastica sarà possibile ricomporre i conflitti. Una sfida che non a caso parte dalla nuova Berlino: la Germania, e la sua storia di costruzioni e distruzioni, rimangono un monito doloroso contro i pericoli di un'organizzazione sganciata dalla democrazia; ma con la sua tradizione secolare di patti federativi tra stati, regni e Länder, la realtà tedesca può contribuire alla definizione di un governo continentale alternativo all'attuale avvilente centralismo tecnocratico di Bruxelles. -
L' idea di un re patriota
«Dalla confusione è possibile che sorga l'ordine: ma può trattarsi dell'ordine di una tirannia perversa, anziché dell'ordine di una monarchia giusta. Entrambe le cose possono accadere e una tale alternativa è sufficiente a far tremare uno Stoico! In realtà è possibile che ci salviamo con mezzi di ben altra natura, ma questi mezzi non saranno a nostra disposizione, questa via di salvezza non si dischiuderà davanti a noi, senza il concorso e l'nfluenza di un Re Patriota, il più insolito di tutti i fenomeni che sia dato di vedere nel mondo fisico o in quello morale». (Bolingbroke). Da dove trae la fonte di legittimazione del proprio potere l'istituto monarchico? Certo, da un pricipio di ordine dinastico; ma solo nel senso che l'ereditarietà del trono è molto meno pericolosa, meno apportatrice di tensioni, tutto sommato meno esposta all'aleatorietà, di quanto non sarebbe una elezione del sovrano da parte del popolo. Sta di fatto però che è dal popolo che deriva la fonte vera del potere del re. Soltanto un monarca organicamente connesso alle aspirazioni e ai bisogni della sua gente, solo un «re patriota» potrà rappresentare il punto più alto di governo delle relazioni politiche di una nazione. E se simile monarca è «il più insolito di tutti i fenomeni che sia dato di vedere nel mondo fisico o in quello morale», ciò dipende appunto dal carattere stesso della sua legittimazione, che non può avvenire per elezione, ma non può nemmeno ignorare una qualche maniera di investitura e di controllo popolare.Sotto la classica forma machiavelliana del trattato sull'educazione del principe si nasconde, in queste pagine, uno dei testi più densi e drammatici dello scontro politico tra Whigs e Tories nell'Inghilterra del Settecento. Il contesto inglese è già segnato, a quell'epoca, da forme assai complesse di dialettica politica. Già da tempo il monarca non ne è più il protagonista esclusivo. Attorno a lui si sviluppa una lotta forte ed esplicita fra i soggetti politici, entro la quale, se mai, sono da ridefinire e calibrare le prerogative di garanzia della funzione del sovrano. Sono proprio queste funzioni di garanzia che, agli occhi del conservatore Bolingbroke, sono state ampiamente disattese dalla pratica della nuova dinastia degli Hannover, successa a quella degli esiliati Stuart. Sono queste funzioni che un re patriota dovrebbe incaricarsi di ripristinare.Elegante e finissimo nell'argomentazione, colto e raffinato nello stile quanto acido e graffiante nell'intenzione polemica, il testo di Bolingbroke - che viene qui presentato per la prima volta al lettore italiano - rappresenta un punto di svolta nella storia delle teorie politiche dell'Europa moderna. Da quel momento in avanti, anche la più conseguente impostazione conservatrice non potrà più far ricorso all'idea di una legittimazione assoluta del potere, ma dovrà scendere, per sostenere le proprie ragioni, sul terreno controverso della contrapposizione e della polemica politica. -
Braudel e noi. Riflessioni sulla cultura storica del nostro tempo
Protagonista e testimone della storiografia europea del secondo dopoguerra, Ruggiero Romano raccoglie qui i saggi dedicati, nell'arco di un quarantennio, ad uno dei più appassionanti e fertili crocevia della cultura storica del nostro tempo: l'opera di Fernand Braudel e il grande cantiere delle «Annales». Con sguardo ammirato e critico, e con l'entusiasmo polemico che ne ha sempre accompagnato la consapevolezza del valore «civile» dell'indagine storica, Romano ricostruisce la personalità culturale del grande storico francese guidandoci tra le sue opere principali, dalla Civilisation matérielle fino al grande affresco sulla Méditerranée tardo-cinquecentesca. Se i primi saggi - talora discussi con lo stesso Braudel - hanno anche il sapore della testimonianza di una fervida temperie culturale, gli ultimi, inediti in Italia e composti tra il 1991 e il 1994, con rigore di metodo ripercorrono la lunga esperienza delle «Annales» dalla fondazione al «mutamento di rotta» degli anni settanta e allo «sfiorire» della rivista, che si accompagna a quello di altre istituzioni tipicamente braudeliane, quali l'école des Hautes études. La vita della rivista e dei suoi fondatori e protagonisti, da Marc Bloch a Lucien Febvre allo stesso Fernand Braudel, la loro attività scientifica ed editoriale, la ricca influenza delle scelte di metodo - sfociata però in qualche caso anche in una sorta di conformismo degli epigoni, nella riduzione a formula dell'originario spirito storiografico - scorrono sotto lo sguardo severo e partecipe di Ruggiero Romano, che si volge infine ad un'analisi delle vie intraprese dalla storiografia francese d'oggi, e in particolare agli scenari d'indagine che si vanno aprendo alla storia quantitativa e alla storia economica. -
In bilico
«Quando Christina aveva sei anni, andò con suo padre in un museo. Restarono per parecchi minuti davanti a un fregio raffigurante una battaglia tra greci e amazzoni: tutti uomini i primi, tutte donne le seconde. Ma Christina fraintese... ». Christina e Pam, Peter e Jago; un equilibrio, anzi un bilanciamento, o piuttosto un bilico, scandito da una perfetta simmetria. Due femmine e due maschi. Due scuri e due chiari. Due bassi e due alti. Due estroversi e due chiusi. Christina e Pam sono sorelle, e hanno pochi mesi di differenza. Pam è slanciata, ha capelli neri, sopracciglia folte, pelle olivastra; Christina è piccola, bionda, ostinata. Le due crescono in un ricco appartamento newyorkese fino all'età in cui approdano ad un collegio inglese. Lì incontrano Peter e Jago, l'uno senza padre, l'altro, non c'è da sbagliarsi, senza madre. È fatale che le passioni dell'adolescenza vengano a sconvolgere la vita dei quattro: Christina, testa rapata, trucco pesante, brillantino al naso, si agita per catturare l’attenzione di Jago, che invece è sempre più attratto da Pam... È l'inizio di una vita convulsa, di volta in volta felice e luttuosa. Col passare degli anni i loro cammini si separano e si riuniscono nei modi più strani e inaspettati. Si inseguono, si combinano e si articolano come le palle di un giocoliere, che formano nell'aria figure sempre mobili e diverse.Barbara Trapido esplora i rapporti umani con una finezza e un'introspezione perfettamente in linea con la tradizione comica shakespeariana, fatta di leggerezza e di equilibrio, di coincidenze e di azzardi, di crudeltà e di brillanti colpi di scena. Ne risulta un romanzo di grande eleganza e sicurezza di tocco, pieno di echi e di emozioni. Perché, dice la Trapido, si può scrivere con ironia delle cose più serie e più terribili... in fondo la commedia è solo una forma superiore di tragedia. -
USA con cautela. Il sistema politico italiano e il modello americano
Aspri scontri di fazione, urti d'uomini e di «personaggi», colpi di scena, lacerazioni di gruppi e partiti, battaglie giudiziarie e assordanti megafoni mediologici: sembrano essere questi gli ingredienti dell'attuale momento politico italiano. Ma dietro le quinte del quotidiano palcoscenico che magnetizza l'attenzione dei cittadini e dei perplessi osservatori stranieri, l'Italia ha intrapreso la via di un mutamento profondo anche se poco visibile. Su questi cambiamenti in corso, e sui loro possibili esiti, punta la propria attenzione Giovanna Zincone, il cui studio ci aiuta ad orientarci tra il panorama delle scelte obbligate per qualunque maggioranza di governo - si pensi ai vincoli internazionali imposti dalla delicatissima situazione finanziaria del paese - e le strade percorribili dai diversi schieramenti politici. Sullo sfondo, l'America e il suo sistema politico: ad essi infatti rimandano le continue evocazioni di strutture istituzionali e strategie politico-economiche quali «sistema maggioritario», «federalismo», «liberismo». In realtà, al fondo vi è un pericoloso equivoco. In Italia gli inediti processi di mobilità elettorale e di alleggerimento degli apparati dei partiti, di cui è parte integrante la corsa alla spettacolarizzazione delle campagne elettorali, si sono manifestati con particolare violenza, facendo apparire del tutto plausibile il «falso movimento» verso gli Stati Uniti. Giovanna Zincone dimostra invece che, per quanto riguarda il destino delle istituzioni e la trasformazione dello stato sociale, è assai improbabile che la deriva italiana ci spinga sulle sponde americane. Resteremo in Europa, e sarà piuttosto il vecchio continente nel suo complesso a venire sempre più spinto dalla competizione internazionale a fare i conti col modello americano. -
Il trono di fuoco. Arte e martirio di un pittore eretico del '500
Riccardo Perucolo, pittore ed eretico, visse, dipinse e morì a Conegliano. Qui, nella soavità fulgida e misurata delle colline trevigiane, con clamore si consumò tra le fiamme la sua tragedia, per subito fuggire dalla memoria della sua terra. Della sua arte rimangono tracce esilissime, qualche fregio a decorazione di palazzi patrizi; della sua vita parlano le poche carte dei suoi carnefici. Ora Lionello Puppi ha ricostruito, in un libro di originale forza narrativa, la vicenda del dimenticato artista eretico, la sua robusta e ferma passione religiosa, i contorni della sua arte perduta. Rivivono così i suoi libri, fonte di letture ispiratrici insieme d'arte ed eresia, condivise con i suoi pavidi compari di scandalo; la famiglia e i committenti, la cui stima gli aveva concesso una modesta agiatezza; infine, il lungo travaglio dei processi che lo porteranno al rogo con l'accusa di essere l'autore di «obbrobriose» raffigurazioni del Cristo. Pur serrata e ricchissima, la storia di Perucolo è affrontata da Lionello Puppi come qualcosa di più di un mero episodio meritevole di ricostruzione: essa diviene il luogo di riflessioni e ragionamenti d'ordine critico e storico sui meccanismi dell'ispirazione artistica, sul confine tra il mestiere, l'«orgoglio espressivo» e la visione del mondo di un artista cinquecentesco, potremmo dire, eccentricamente tipico. Ma non solo: attraverso la dolorosa sorte di Riccardo, lo sguardo dello storico riesce a penetrare a fondo nella vita di quelle rocche e città e ville che punteggiavano la «terraferma» della Serenissima Repubblica, restituendo un ritratto vivissimo della loro vita fervida, indolente e appassionata. -
Europa 1937. Guerre esterne e guerre civili
È il 1937. Karl Polanyi, testimone e interprete tra i più acuti del suo tempo, accetta l'invito a collaborare ai programmi educativi delle Trade Unions inglesi, ricostruendo con vivido senso profetico la trama delle vicende europee dalla fine della prima guerra mondiale. Polanyi non semplifica nulla e nulla concede alla divulgazione, se non adottando uno stile avvincente e serrato. L'esame dei problemi spazia sull'Europa intera, a partire dalle incongruità e dalle contraddizioni del «sistema di Versailles»: la precaria reinvenzione di un'Europa centrale e balcanica; i conflitti innescati dalle nuove realtà statuali; i circoli viziosi delle diplomazie europee; la progressiva, umiliante sconfitta delle prospettive di governo internazionale della crisi.Si dipana così, in nuce, la trama geniale di quella Grande trasformazione che Polanyi darà alle stampe nel 1944. Già nel 1937 egli ne individua il punto di fondo: la frattura storica legata alla grande crisi e al diffondersi del totalitarismo. E nell'Europa degli anni trenta si ridisegnano schieramenti e alleanze: la polarità fondamentale della politica internazionale - mentre si afferma l'imperialismo giapponese e si palesano le incertezze della leadership americana - tende ora a stabilirsi non più tra Francia e Germania ma tra Germania e Urss. Il gioco che un tempo era tutto europeo si allarga a dimensioni mondiali; e lo scontro si sposta: dal conflitto tra «revisionisti» della pace ingiusta e sostenitori della «sicurezza collettiva» presto si giunge allo scontro mortale tra fascismo e democrazia. Mentre la politica di potenza torna a imperversare, ad essa si sovrappone il conflitto sociale. Guerra esterna e guerra civile si intrecciano, e si affermano forme di conflitto da cui nessun trattato può mettere al sicuro... A fine secolo, quant'è lontana l'Europa del 1937? -
Vergine, madre, regina. I volti di Maria nell'universo cristiano
La straordinaria varietà delle «presenze» di Maria nell'arte, nella società e nella cultura a cavallo tra Medioevo e Rinascimento non aveva finora trovato uno studio complessivo che ne sottraesse l'interpretazione all'agiografia, alla teologia o tutt'al più a circoscritte indagini storico-artistiche. Storico del medioevo di raffinata formazione critico-artistica, Klaus Schreiner ricompone invece un affascinante «ritratto» di Maria - vergine, madre, regina - che assume con piena consapevolezza scientifica la dimensione antropologica e storica della multiforme rappresentazione dei ruoli di Maria nella mentalità e nell'esperienza spirituale e quotidiana del Medioevo. È in questo periodo, infatti, che Maria raccoglie e supera l'eredità di Iside e Astarte, Atena e Afrodite: eccola Grande Madre e donna di splendente bellezza «dai seni più dolci del miele», il cui latte zampilla e redime come il sangue del costato di Cristo; eccola «ancella del Signore» e vittoriosa regina, patrona di città e di battaglie, grande dama di rango principesco; eccola nelle più misteriose fogge delle «madonne nere», nei cui occhi brilla ancora la luce della regina di Saba. In ognuna delle sue numerosissime vesti e pose, essa si offre alle donne e agli uomini del tempo come inesausta fonte di identificazione e «lettura» di mitologie sempre profonde e vive, talvolta inquietanti.Illuminata dai capolavori dell'iconografia medioevale e rinascimentale, quest'opera apre uno squarcio di grande originalità interpretativa sulla «tradizione» di un mondo che si avvia al moderno: un affascinante viaggio sul filo del mito e della mistica, ma con lo sguardo sempre rivolto alla vita reale.