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Elvira
Bergamo una fredda mattina d'autunno del 1969, Elvira e Sebastiano si incontrano. È l'alba di quell'Italia sessantottina in cui era forte il desiderio di cambiare, ma anche quello di conservare. Tra loro si instaura, da subito, un profondo sentimento. Lei è una ragazza impegnata politicamente, contrastata dalla sua ricca famiglia borghese. Lui approva le sue idee, ama la musica, ma non quanto ami Elvira. E proprio mentre decidono di vivere insieme lei scompare misteriosamente. -
Una fiaba bergamasca. Ediz. illustrata. Vol. 4: Grappa.
«A volte il mondo decide cosa fare e noi restiamo a guardare. Non possiamo che stare a guardare, ad assistere, agli avvenimenti del mondo. E così, quelle volte, noi esseri viventi ci rendiamo conto che non siamo padroni del mondo, ma che siamo solo suoi ospiti.» Inizia così il quarto, e forse ultimo, volume di ""Una fiaba bergamasca"""", le vicende di Boculina, cucciolo di pastore bergamasco, e delle sua simpatica famiglia, scritto in terra di Sardegna mentre Bergamo combatteva un feroce nemico. Una fiaba bergamasca è una fiaba per bambini, scritta da Rumi Nicola Crippa e illustrata da Giulia Diani, i cui disegni sono tutti da colorare. Età di lettura: da 4 anni."" -
Fiabe al dritto e al rovescio. Le storie che mi è capitato di vivere, le fiabe che avrei voluto ascoltare
Collages di Mariella Bettineschi. Le bellissime fiabe che Caterina Zanotti ha scritto in questo libro sono l'esito di un'elaborata tessitura di pensieri e d'immaginazione in cui sono messe a confronto storie vissute e fiabe cariche di pathos, fiabe che l'autrice avrebbe desiderato ascoltare nell'infanzia. Credo che l'autrice non abbia usufruito di questo ascolto che spetterebbe a qualunque bambino, ma, nonostante la mancanza di narrazioni sospirate, Caterina Zanotti è stata capace, grazie a un talento innato, di creare in modo originale, nuove storie che coinvolgono emotivamente il lettore dall'inizio alla fine. Si tratta di sei fiabe accompagnate da ricordi di vicende centrali nella vita dell'autrice. Consiglio a ogni lettore di dare particolare attenzione al titolo di ogni fiaba poiché, nel profondo, non sono staccate l'una dall'altra ma sono legate da un fil rouge che parte da elementi dolorosi e talora traumatici per raggiungere, attraverso percorsi travagliati e incrociati, la speranza e da qui la possibilità di amare ed essere amati. Ogni fiaba è caratterizzata da una svolta che cambia il destino degli sventurati protagonisti e ciò rispecchia i cambiamenti che l'autrice ha attraversato non solo per destino ma anche per tenacia e desiderio di essere. Non entro nei contenuti delle fiabe per lasciare al lettore la curiosità della scoperta ma credo che gli elementi che maggiormente caratterizzano i protagonisti sono la capacità di attendere, quindi la pazienza, e un desiderio di operare un passaggio dal rischio di una gelida chiusura alla spinta verso un caldo e affettivo accoppiamento. Mirta, (Clo)tilde, Celeste, Carlotta, Costanza sono figure emblematiche di prigioniere rinchiuse in gabbie solitamente dorate impregnate di una sofferenza mortifera, ma sono anche eroine tenaci nella ricerca di ""cambiare vita, o meglio, di avere una vita"""" (p. 100) come dice Carlotta nella fiaba il Mago Alarì. Cinque protagoniste alle prese con il proprio corpo, con i propri sensi, con la propria femminilità, con un materno impietoso, ma dove la presenza di una funzione edipica consente loro di accogliere un maschile favorendo la possibilità di creare una relazione vitale e amorosa. Il sesto protagonista è invece Sisifo, espressione della ripetizione infaticabile ed estenuante, travagliato dalla persecuzione della morte, costretto a """"un viaggio sempre uguale che gli serviva per riempire il vuoto che, a volte, saliva dalle viscere e dal cuore"""" (p. 141). Caterina Zanotti rivisita e rielabora un mito tragico ma, anche in questo caso, si sofferma su una visione creativa e personale in cui """"dalla roccia informe compare la testa di un bimbo"""" (p. 148). Il destino di Sisifo è quello della morte ma, dove l'approdo alla morte si fa dolce, tollerabile, accettabile, come ben si evidenzia alla fine del racconto, a fronte dell'angoscia e del terrore della fine. Mi sono chiesto più volte perché l'autrice abbia introdotto quest'ultimo racconto sull'inevitabile caducità dell'esistenza, che sembra apparentemente molto dissonante rispetto alle altre fiabe. Credo che la ragione sia questa: nelle prime cinque fiabe l'autrice ha potuto trasmettere quanto sia meraviglioso e stupefacente poter approdare alla pienezza della vita, dopo aver attraversato perigliosi e dolorosi... -
Il papà non è un cretino... è solo molto sfortunato
In questa divertente raccolta Alberto Mazzoleni narra con sincerità e autoironia il suo personale punto di vista su tanti episodi che lo hanno visto protagonista alla guida di mezzi di trasporto ""su gomma"""". A partire dai primi anni di età, a cavallo di biciclette, fino a giorni più recenti, al volante di automobili, i suoi racconti esprimono tutta la """"rombante"""" passione e talvolta la """"calcolata"""" incoscienza nell'affrontare situazioni che fortunatamente non hanno causato alcun danno a persone terze. La simpatia va subito ai genitori dell'autore, che spesso hanno raccolto i """"rottami"""" ma che non hanno mai smesso di credere in lui, consegnandoci ora """"un utente della strada attento, prudente e, finalmente, fortunato""""."" -
Il trombetta. Il mezzopoeta. L'aspirante secretario. Tra Bergamo e l'Europa del XVI secolo
Quando anni fa mi sono imbattuta nel manoscritto MAB6 (già Delta 2.3), conservato nella Biblioteca Civica A. Mai di Bergamo, schedato come Libro/viaggio, non immaginavo che mi sarei trovata di fronte a una sorta di giallo letterario del XVI secolo, né che mi sarei dovuta destreggiare tra episodi della storia dell'Europa del Cinquecento e vicende minori in cui furono coinvolti tre bergamaschi. Sin dall'inizio la lettura del manoscritto mi ha coinvolto facendomi sentire dentro un gioco di scatole cinesi, ricco di fughe in avanti e di ripiegamenti. Dalle carte di quel piccolo codice affiorano i grandi protagonisti del secolo, ma non emerge alcun legame tra loro e un autore, perché il manoscritto di Bergamo è anonimo. Il lungo titolo alla carta 1 che apre il testo, quasi fosse un indice, recita tutti gli argomenti narrati. Stupisce, e sembra impossibile, che un 'libretto' di modeste dimensioni riesca a contenere una storia intensa, drammatica, violenta e nello stesso tempo frivola e festosa, attraversata dai suoi interpreti in soli quindici anni (1548-1563). Tanta ricchezza di contenuti, tante narrazioni mi affascinano, inevitabilmente mi incuriosiscono e spingono a cercare informazioni, innanzitutto sul manoscritto: come e quando è arrivato in Biblioteca? A chi apparteneva? Queste domande a tutt'oggi non trovano risposta. Significa che nessuno si è mai imbattuto in esso? Da una parte questo silenzio può scoraggiare, dall'altra aumenta il desiderio di saperne di più. Se non conosco chi l'abbia scritto, posso cercare di sapere chi faccia parte della storia in esso narrata. Per prima cosa (e ci metto molto tempo) trascrivo il codice. Quando, infine, leggo di fila la trascrizione è come se iniziasse un mio personale viaggio per conoscere quei grandi nominati nel Libro, quelle vicende che hanno arroventato gli anni in questione, quelle storie minute, ma non marginali, di gente comune, quella visione delle città europee, quei paesaggi attraversati, le montagne, i mari, i fiumi... Sin dalle prime carte compare un personaggio che nel titolo del manoscritto non è nominato, ma che nella storia narrata riveste un ruolo straordinario, il Principe Vescovo di Trento. Per caso, cercando la bibliografia su di lui, mi imbatto nello studio ""Il viaggio in Spagna del Cardinale Cristoforo Madruzzo (1548) nella Cronaca di Cerbonio Besozzi"""", studio pubblicato a Trento nel 1962. Quale viaggio? Indago presso la Biblioteca trentina, mi dicono esserci altri studi, pubblicati alla fine del XIX secolo e durante il Novecento, tutti basati su un manoscritto che è conservato nella Hof und Staatsbibliothek di Monaco di Baviera. Quale manoscritto? La mia ricerca incontra le """"Fontes Rerum Austriacarum, Österreichische Geschichts-Quellen"""" e lo studio pubblicato nel 1904 su un manoscritto conservato in Germania e conosciuto come Die Chronik des Cerbonio Besozzi. Cosa è, cosa racconta quella """"cronaca""""? Chi è l'autore? Riesco a farmi inviare la copia digitale del manoscritto di Monaco, il 330 it, schedato come codice cartaceo del XVI secolo. Dal confronto mi rendo conto che l'esemplare (più elegante dal punto di vista formale) è identico nel contenuto a quello di Bergamo, ma con una differenza sostanziale:... -
Sulle tracce di Gianmaria Scotti, nobile patriota del Risorgimento. Inchiesta storica sulla gioventù del Quarantotto: luoghi e ideali
Partendo dall'osservazione dei ritratti di Gianmaria Scotti e della sua famiglia, Mimma Forlani ha ricostruito, grazie a interviste e ricerche in archivio e sul campo, la vita del nobile patriota, colto nei luoghi in cui ha vissuto (Ponte San Pietro, Bergamo, Pavia, Milano, La val di Non, Mozzo) negli incontri che lo hanno segnato, nella cultura letteraria e musicale ricevuta e fatta propria. Le idee, frutto dello spirito dei tempi e dei luoghi, si sono trasformate in ideali per i quali mettere in gioco la propria vita, come avvenne nel marzo-aprile del 1848 durante la sua spedizione in Trentino nel ruolo di capitano della terza compagnia della legione civica di Bergamo e nel novembre 1853 allorché venne incarcerato e condotto nella prigione di San Giorgio a Mantova. La storia di Gianmaria Scotti è raccontata non come un assolo solitario ma come una voce nel coro della generazione del Quarantotto che con baldanza ed entusiasmo giovanile ha impugnato le armi, combattuto, gioito e cantato per le vittorie e sofferto per le sconfitte fino a giungere alla realizzazione del proprio sogno: la liberazione e l'unità d'Italia. Conclusa la fase eroica lo Scotti, con alcuni altri, operò con entusiasmo e sagacia come amministratore nelle istituzioni comunali e provinciali dello stato nascente. Prefazione Carlo Salvioni. Introduzione Duccio Balestracci. -
Dentro il teatro. I palchisti tra teatro Riccardi e teatro Donizetti
In principio si chiamava Teatro Riccardi, come il carismatico impresario che lo aveva costruito, e dal 1897 è per tutti il Teatro Donizetti. Da oltre due secoli non è solo un contenitore di spettacoli oppure un edificio che segna il volto della Bergamo Bassa, è piuttosto parte dell'identità stessa della città, spazio di una storia collettiva. Le complesse vicende che nel tempo hanno animato la vita del Teatro Donizetti hanno preso forma grazie all'impegno, ai contrasti, alle idee dei cittadini più illustri che si sono sempre sentiti chiamati in causa rispetto alle decisioni per esso più significative, segno dell'importanza che al Teatro ininterrottamente è stata assegnata. Non va nascosto il perenne contrasto tra i proprietari di palco e le diverse proprietà, così come tra i palchisti e gli impresari fino al 1938 quando il Teatro passò definitivamente sotto la gestione del Comune di Bergamo. A documentazione di tutto questo resta il lavoro di Ermanno Comuzio che nel 1989 ha dato alle stampe Il Teatro Donizetti. Due secoli di storia: un volume costruito sulla verifica delle fonti, la conoscenza diretta degli ambienti, la dedizione di una vita al teatro. Questa pubblicazione dedicata all'Associazione Corpo Palchisti Teatro ""Gaetano Donizetti"""" si è proposta di mettere a fuoco soprattutto gli accadimenti più recenti e raccontare gli aspetti legati al costume, alla beneficenza, alla vita della città e dei suoi protagonisti. Fonti inedite e indispensabili sono state le testimonianze dirette di alcuni membri della stessa Associazione che hanno aiutato nella selezione degli eventi più importanti portando in luce il racconto diretto e accattivante di episodi, profili, relazioni cittadine che nel tempo avrebbero rischiato di perdersi. Ecco allora irrinunciabili la documentazione sui Balli della Croce Rossa che si tenevano nella sala del Donizetti a Carnevale e la correlata festa in costume organizzata per i bambini, i ricordi della grande inaugurazione del 1964 con il Teatro rinnovato, il cambiamento dei costumi e dell'offerta avvenuti nel tempo e la grande rivoluzione portata dal Festival Jazz. Tra i ricordi si ritagliano spazio figure originali del tempo quali, certamente, il maestro Gianandrea Gavazzeni, ma anche l'immancabile maestro Aldo Sala, i personaggi carismatici delle grandi famiglie proprietarie di palco e - più nascoste - figure testimoni della loro raffinata vita quotidiana dalle sarte, ai maestri, al personale di casa. Emerge il ruolo delle grandi signore tutte, sempre, elegantissime. Davanti ai nostri occhi sfilano donna Letizia Saviane Venier, donna Ninì Scotti Guffanti, donna Marina D'Amico Finardi, donna Wanda Bertelli Guadalupi, Lilian Tadini Pandini e ancora Maria Teresa Monzini insieme a tante altre. Sicure nel tessere relazioni, animare feste, perfettamente a loro agio tra le regole e i codici della società, animatrici attive di numerosi avvenimenti benefici, guide per i figli. L'intero lavoro ha voluto dunque dedicare uno spazio organico, come mai era avvenuto, a una realtà associativa legata all'identità della città: un atto dovuto a chi nel tempo ha vissuto """"Dentro il Teatro """"come protagonista della vita bergamasca."" -
In viaggio a Bergamo, la città delle porte-Discovering Bergamo, the city of doors
Quante volte siamo salite fin da piccole in Città Alta, a passeggiare lungo la Corsarola la domenica, a mangiare un gelato, a camminare con le amiche lungo gli spalti delle Mura. E quante volte ci torneremo ancora! Siamo da sempre legate affettuosamente alla nostra città, alla sua bellezza e alla sua storia, ma dal 2020 che ricorderemo per sempre, se possibile lo siamo ancora di più. Bergamo ormai è nota in tutto il mondo. Si è presa il suo spazio, seppur triste e amaro: ma è proprio per questo che pensiamo sia giunto il momento di spalancare le sue porte, di mostrare la sua anima più profonda, le sue stradine strette, i suoi affascinanti portoni, le sue piazze nascoste, il suo cuore più grande. Per questo abbiamo unito le nostre idee, le nostre conoscenze e le nostre professioni e abbiamo creato un racconto che, ne siamo certe, aiuterà i viaggiatori a sentirsi ""a casa"""" nella nostra città. Abbiamo girato la chiave nella serratura di sette porte di Città Alta ed eccolo lì lo splendore: curiosità, segreti, storie appassionanti che siamo convinte potranno incuriosire anche i Bergamaschi, sempre più innamorati della loro meravigliosa città."" -
Il museo di Vivì
Un giorno, un piccolo uccellino di nome Vivì iniziò a volare alla ricerca delle parole più preziose al mondo, e volando qua e là le trovò negli animali che parlano senza aprir bocca... Età di lettura: da 3 anni. -
Restiamo umani. Diventare umanità
Il progetto di Public Engagement dell'Università di Bergamo dal titolo 'Restiamo umani': riflessioni, pratiche e suggestioni per una comunità che accoglie è stato pensato e finanziato in un tempo che oggi - nel 2021 - sembra un'altra era: quella del pre-Covid. Era il 2019, poco più di un anno fa, non tantissimo tempo, eppure... quel mondo ci sembra lontanissimo, un mondo altro, un mondo perduto che in troppi e troppe rimpiangono senza forse rendersi conto che le radici della tragedia sanitaria (e non solo), che stiamo vivendo ora, affondano anche negli stili di vita che caratterizzavano profondamente quel tempo agognato. Il virus ha reso esplicita, evidente, inequivocabile la vulnerabilità come condizione umana che tutti e tutte connota. Non che prima non lo sapessimo, ma ora appare più difficile far finta di non saperlo o negarlo e comportarsi come se l'esistenza di ciascuno/a di noi non fosse interdipendente e connessa a quella altrui. La nostra vulnerabilità e le nostre comunità ritrovate nella prima ondata dell'emergenza, tuttavia, hanno rischiato di farci dimenticare chi era già più fragile di altre/i e che lo è diventato ancora di più; un po' paradossalmente, inoltre, quell'esperienza ha rischiato di creare un ripiegamento sull''io', sul 'noi' escludente, di farci distogliere lo sguardo dalle diseguaglianze intersezionali preesistenti e dalle situazioni di estrema difficoltà che, al momento, paiono aver perso rilevanza, come messe in secondo piano o, addirittura, dimenticate: il riscaldamento globale, i conflitti nel mondo, le migrazioni, le morti nel Mediterraneo... per citarne alcune tra quelle che più 'scaldavano' i post progressisti nei social. La plurima chiusura che ha agito su diversi versanti - dal ripiegamento interno familiare alla sospensione del lavoro per molti e molte - ha invece acuito disparità già esistenti, alimentando il rischio di vere e proprie 'espulsioni'. Sul fronte globale ma anche nei nostri piccoli contesti. -
L' ala perduta
La ricerca dell'ala perduta condurrà la protagonista in un viaggio di formazione in cui incontrerà altri viaggiatori che l'aiuteranno a riconoscere le sue potenzialità e a liberare i suoi desideri. Un'ala. È come se ci mancasse un'ala. Alla nascita abbiamo due ali ma presto ne perdiamo una. Dovendoci adattare a un modo di vivere basato sulla mente logica, molti di noi perdono la capacità intuitiva, quella funzione che viene dalla parte più personale e profonda, che ci rende esseri unici e completi. E così, entro i tre anni l'ala della ragione è ben sviluppata ma abbiamo perso l'ala dell'intuito e non riusciamo più a muoverci agevolmente. Abbiamo imparato a camminare ma non riusciamo più a volare, siamo diventati esseri mancanti. Per decollare nella vita dobbiamo cercare l'ala mancante, bisogna presto trovarla altrimenti faremo solo piccoli voli sgraziati. Se si è fortunati può succedere di trovare dei partner che siano effettivamente speculari e abbastanza ben assortiti. Lui ha un'ala di mosca destra, lei un'ala di moscone sinistra. I due si tengono stretti e si accordano per ripiegare le due ali in modo sincrono per poter volare insieme. Capirete che due ali fanno comunque una certa fatica a sorreggere due corpi, e così il volo diventa faticoso e dopo un po' finisce... -
Dalle insurrezioni alle istituzioni. Giovanni Battista Camozzi Vertova a Bergamo tra 1848 e 1871
Impegno civico è il Leitmotiv intorno al quale ruota il volume di Fabrizio Costantini. Da un lato esso ricostruisce le vicende personali e politiche di un uomo del Risorgimento che dedica la propria vita al bene pubblico, dall'altro il libro è il frutto concreto di una rete virtuosa di collaborazione tra il Comune di Bergamo e le principali realtà culturali cittadine per la promozione della ricerca storica sull'operato del primo sindaco della città. Impegno civico del fare memoria, dunque, a partire dalla sollecitazione della professoressa Mariella Tosoni dell'Associazione Storica Dalminese, che, in una lettera del 1° marzo 2017, richiamava l'attenzione sulla necessità di dedicare alla figura di Giovanni Battista Camozzi Vertova uno studio approfondito in previsione del bicentenario della sua nascita. La memoria di Giovanni Battista da sempre è un po' offuscata dalla fama del fratello Gabriele, ricordato anche nella toponomastica cittadina e a questo bisognava porre rimedio. L'invito è accolto dal Comune e dalle istituzioni di cultura locale che danno vita a un tavolo di confronto con un duplice intento: la ricognizione delle fonti conservate nei diversi archivi legate all'operato di Giovanni Battista e la promozione di uno studio in merito. Al tavolo partecipano, oltre al Comune di Bergamo, al Museo delle storie e all'Associazione Storica Dalminese, la Fondazione Accademia Carrara, l'Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti, l'Archivio di Stato, la Biblioteca Civica Angelo Mai, il Comitato locale della Croce Rossa, il Museo Civico di Scienze Naturali Enrico Caffi, l'Università degli Studi di Bergamo e le Associazioni degli Amici della Biblioteca Civica Angelo Mai e del Museo storico. In ciascuna di queste realtà istituzionali Giovanni Battista Camozzi Vertova ha dato il suo contributo e lasciato traccia di un variegato impegno: oltre a quello di combattente e sostenitore del Risorgimento e al suo ruolo di senatore del Regno, quello di attento amministratore locale, di uomo di cultura nelle principali realtà cittadine e anche quello in ambito sociale, come presidente della sede locale della Croce Rossa. La sua concezione politica, da intendersi nel senso più ampio e completo del termine di ""uomo attento alla polis"""", è racchiusa in un suo testo autografo, conservato tra le carte dell'archivio documentario del Museo delle storie di Bergamo, per un discorso tenuto in occasione della permanenza di Garibaldi a Trescore nel maggio 1862: """"Non sono i soli fasti guerreschi che costituiscono le grandezze di un popolo, ma lo stabilirsi di quelle libere istituzioni che valgono a sviluppare tutti quegli elementi d'intelligenza, di moralità, di ricchezza, e di forza, di cui un paese può essere suscettibile. Ora fra i mezzi che più sensibilmente servono a questo scopo, s'offre potentissimo quello dell'associazione. L'uomo isolato non sente, né pensa come l'uomo riunito a altri uomini, e quel pensjero collettivo necessario all'ordine, al progresso della società [...], non avrebbe vita, laddove il principio d'associazione fosse proscritto. Né le idee avrebbero il loro pieno sviluppo se l'uomo non potesse liberamente ad altri manifestarle [...] Pertanto invece a vivere di vita collettiva, associata, l'uomo non può più vedere il suo vantaggio... -
Maurizio Mazzoleni. Toccare il cielo con un mito. Oratorio di San Lupo. Ediz. illustrata
In quindici anni di attività espositiva (dal 31 ottobre 2007) l'architettura anomala e vagamente sinistra di San Lupo ha visto passare una ventina di artisti. Qualcuno di essi anche particolarmente celebrato. Altri di prestigio più circoscritto. Ma tutti seriamente impegnati sul piano di una ricerca dai valori indiscutibili. Nessuno, nemmeno i più grandi, ha preso alla leggera uno spazio che può divorare chiunque lo affronti con sufficienza. Ciascuno tuttavia gli ha fatto fronte con energie proprie e armi creative ogni volta encomiabili. L'umiltà non inibisce, socchiude le porte del possibile. Maurizio Mazzoleni immaginava da anni questa sfida, circospetto e silenzioso frequentatore degli agonismi andati in scena in questo luogo, mettendo pazientemente a punto i dettagli di una intuizione subitanea, tenuta in serbo nel tempo e divenuta volontà esplicita al momento giusto. Solo visto questo prisma finalmente innalzato si sono potute comprendere le parole, indefinite e quasi oracolari, che cercavano di farlo presagire nei prodromi della sua realizzazione. La sua impressione di saldezza e insieme di slancio danno ragione della caparbietà con cui è stato concepito fin dal principio. Il suo artefice giura di avervi immesso i suoi ricordi di infanzia, quando da bambino si arrampicava sugli alberi o su qualche colonna di chiesa, pieno di soggezione per certe altezze che fanno venire voglia di essere scalate. Spunta così questa torre di babele per San Lupo, da vecchi giochi trasformati in invenzione, sbocciata dal pavimento come un gigantesco vegetale che cerca la luce e porta con sé tracce di terra divenute segni. Del famoso mito biblico che la ispira, non sembra conservare granché, se non questa impressione di molteplicità raccolta nell'unità di una spinta ascendente, una congerie di figure che solo nel loro insieme possono apparire indiscernibili, mentre uno sguardo attento le può notare tutte uniche, nuove, irripetibili. Dalla prefazione di Giuliano Zanchi. -
Uomini immaginati. Maschilità in metamorfosi
Un testo è fatto di quello che dice e anche di quello che non dice, delle cose che mostra evidentemente scelte rispetto a quelle che scarta. Qui non si resta soltanto ai (mis)fatti degli uomini tristemente conosciuti ma si alza il tiro sull'immaginario. Cristiana e Sophie raccontano e disegnano e fanno poesia di ""uomini immaginati"""", che non vuol dire fantasticati o irreali, anzi: """"Uomini amici, amanti, colleghi, padri, sconosciuti della porta accanto, volti noti dell'universo mediale. Uomini molto diversi tra loro..."""". Piuttosto sono uomini raccontati attraverso un immaginario ampio ed è questa la scelta che allarga le maglie di questo libro. Quindi si parla di """"maschilità plurali"""" che raramente trovano una rappresentazione: perché fino a ieri eravamo noi maschi a vedere non visti, a parlare del mondo, di tutto tranne che di noi stessi; e perché anche adesso, quando si parla del maschile, spesso lo si inquadra nel canone della maschilità egemone, dominante, tossica... sicuramente con tutta la sua ragione di essere, che ci riporta all'ordine del dominio maschile e al suo strumento della violenza, ma che rischia di far fuori ogni altra narrazione. E ancora, qui non si polarizza tra uomini buoni e cattivi a tutto tondo: accanto alla discussione delle categorie come """"la crisi del maschile"""" c'è spazio per metterle in tensione con il racconto della cura, della discontinuità generazionale dai padri, dei nuovi inizi e delle trasformazioni in atto. """"Un uomo... / Forte e debole ma insieme / Un uomo umano"""", di questo raccontano Cristiana e Sophie. Ora, se questo libro riesce a vedere cose nuove nella maschilità senza rimuoverne l'ombra, l'aggancio più forte per me sta proprio nel come è fatto questo sguardo per vederle. Mi torna in mente Le parole per dirlo di Marie Cardinal e la sensazione di sentire nascere quelle parole nel suo racconto, parole nuove con cui quella donna riusciva a contattarsi, ad afferrare qualcosa di sé e portarlo fuori, ad ascoltarsi e a dirsi. In un altro registro, anche le parole di Cristiana e le """"parole piccole e grandi immagini"""" di Sophie ci restituiscono qualcosa di nuovo e profondo, dallo scambio con uomini che hanno raccontato le proprie storie in laboratori, focus group, esperienze sociali e artistiche. Qui non sono riportate direttamente le storie di quegli uomini ma ci ritorna il senso, il segno che quelle hanno impresso, assieme a tante altre, nel linguaggio di queste due donne che ce lo raccontano (le chiamano """"le nostre contro-narrazioni""""). Cristiana, che ho conosciuto come una donna di confine tra l'insegnamento universitario a Bergamo e l'associazione Alilò di cui è un'anima, cerca le parole della sociologia, quella che si muove """"ai margini"""", quella che ci appassiona quando ha il coraggio di smettere di mimare le scienze dure e ritorna scienza sociale, quando decide di uscire dalla cittadella universitaria e dal pre-concetto dei questionari per ascoltare a fondo e contaminarsi con le storie delle persone. Le storie che si raccontano in modo nuovo possono generare o si possono accordare a nuove categorie per nominare la... -
Contaminazioni. Un approccio interdisciplinare
Per dovere di cronaca, questa iniziativa editoriale non nasce da una riflessione sul contesto storico: era già prevista mesi prima dell'ondata pandemica di inizio 2020, come ""atti"""" di un convegno rinviato e convertito, tempo dopo, in webinar. Una strana coincidenza, per usare eufemismo, che però ha reso ancora più stringente l'argomento del dibattito originario, almeno in senso lato. Se nell'immediata quotidianità la contaminazione rimanda, per l'appunto, al pericolo di contagio, alle mascherine, all'isolamento, su un piano più astratto può articolarsi come modalità di pensiero, come strumento ermeneutico per leggere una miriade di relazioni culturali e di forme espressive. Va da sé che le due declinazioni del paradigma non si escludono a vicenda, anzi. Dunque, oltre a quella del virus che ancora oggi minaccia il mondo intero, quali altre contaminazioni, negative o positive, permeano la filosofia, l'arte, la scienza e la società del presente? Quali, nel passato, offrono degli spunti di indagine ancora validi e attuali? A inaugurare la miscellanea, ricalcando la keynote lecture della conferenza, rimane il saggio sull'Antropocene, che in qualche maniera anticipa e include molti degli spunti a venire (Elena Bougleux). Segue la sezione Nuove metamorfosi: l'uomo e l'animale (Mike Belingheri, Chiara Stefanoni), in cui la trasformazione, intesa in chiave metaforica e/o ideologica, diventa protagonista. L'essere molteplice e le identità plurali alterna letteratura, arte visuale e filosofia all'insegna dell'indagine sul corpo e sull'io, sull'uomo e sulla natura, sul senso dell'essere e del nulla (Beatrice Melodia Festa, Benedetta Milani, Nazareno Pastorino, Danilo Serra). Hard e soft science: scienze a confronto adotta uno sguardo incrociato su etnografia e cultura economica, musicologia e fisica, storia della scienza e biografia (Barbara Aiolfi, Luigi Finarelli, Francesca Lo Vetere). A sua volta di respiro molto ampio Prospettive transnazionali fra letteratura e linguistica, incentrato sul contatto di lingue e narrazioni appartenenti a contesti diversi (Matteo Gallo Stampino, Albana Muco, Elena Ravera, Alessandro Secomandi). Generi contaminati nel teatro e nel romanzo si concentra più prettamente sulla fusione di stili, forme e regimi letterari in una circoscritta serie di casi (Andrea Grassi, Martina Elisabetta Misia). Infine, Culture a contatto conclude il volume analizzando l'incontro/scontro tra culture colonizzate e colonizzatrici, o più genericamente distanti nel tempo e nello spazio (Fernanda Haydeé Pavié Santana, Valentina Romanzi). Fra campi lontanissimi tra loro e curiose convergenze, approcci macro e microscopici, fili diretti e analogie, un possibile consiglio per i lettori è di """"affrontare"""" Contaminazioni in modo erratico, nomade, spostandosi da una sezione all'altra, senza limitarsi ad attraversarla linearmente. In effetti, questa ricchezza magmatica di idee, di strumenti e di interpretazioni è forse il maggior motivo di fascino per una raccolta che proprio nell'eterogeneità trova il suo punto di forza: al pubblico l'""""onere"""" di perdersi nel suo caleidoscopio, di tracciare nuove linee fra le sue aree di ricerca, di proporre risposte ulteriori ai suoi numerosi interrogativi."" -
Santiago-Bergamo. Lettere dal Cile 1962-1963-1964
Mi chiedo, a quasi sessant'anni di distanza, per quali motivi ho accettato la proposta di andare in Cile nell'autunno del 1962, un'esperienza che avrebbe potuto cambiare la mia vita ma che io ho voluto provare come una parentesi, pur rivelatasi bella e preziosa. La proposta mi arrivò in estate con una telefonata di Pippo Pandolfi a nome di Giovanni Battista Scaglia, parlamentare bergamasco, vicesegretario di Aldo Moro alla Segreteria nazionale della Democrazia Cristiana. In Italia erano gli anni del Centrosinistra e del miracolo economico, gli anni del pontificato di Giovanni XXIII (Angelo Roncalli) e del Concilio, della Guerra Fredda e del Terzo Mondo, della rivoluzione cubana che sembrava l'unica alternativa ai governi liberali e conservatori o ai regimi militari dell'America Latina. Infine, l'era del presidente John Fitzgerald Kennedy e della sua ""Alianza para el Progreso"""". Avevo ventisette anni, una laurea in Giurisprudenza, lavoravo con mio fratello Dimitri nell'agenzia di assicurazione lasciataci da nostro padre Dante, morto nel 1956, ed ero da poco fidanzato con Anna Bianconi, diciottenne, cui le lettere sono destinate. Ero anche stato esonerato dal servizio militare e ciò mi lasciava lo spazio necessario per svolgere un eventuale servizio civile. Avevo militato da studente nel movimento giovanile DC e ora facevo parte della Direzione Provinciale della Democrazia Cristiana bergamasca (30.000 iscritti, Scaglia e Pandolfi non stavano in maggioranza) e, se ne avessi avuto l'ambizione, avrei potuto anche candidarmi alle elezioni politiche dell'anno successivo, nel 1963. Nonostante tutto questo (o forse proprio per questo?) ho detto sì all'idea di lasciare Bergamo, le mie occupazioni e i miei impegni e ho accettato la proposta di andare in Cile (formalmente come inviato del quotidiano «Il Popolo») per collaborare con il Partito Democratico Cristiano cileno e con il suo leader, il senatore Eduardo Frei Montalva, in vista delle elezioni presidenziali del 1964. Nell'intervista che nel 2009 mi ha fatto il professor Raffaele Nocera, dell'Università di Napoli, nell'ambito del saggio dal titolo Dove non osò la diplomazia, è spiegato il contesto politico generale in cui si inseriva la mia trasferta cilena. Da parte mia contarono l'interesse e la passione politica (dare una mano ai DC dell'America Latina) e la curiosità di conoscere Paesi nuovi e nuove relazioni umane e politiche e di affrontare una prova da solo in condizioni diverse, un'esperienza allora insolita che mi avrebbe portato oltre alle certezze e alle opportunità già acquisite nella mia terra. Oggi, a posteriori, riconosco che fu anche un atto di coraggio, nel senso politico del termine di cui parla Hannah Arendt. Non mi sentivo un'eccezione. Tanti giovani della mia generazione attivi nelle associazioni, partiti, sindacati, enti locali, movimenti per la pace, nel vuoto politico creato da vent'anni di dittatura, senza modelli di riferimento, si sono trovati a dover gestire la cosa pubblica in prima persona. Lo richiedeva la nascita della Repubblica e la Costituzione. Senza retorica o presunzioni giovanilistiche, con serietà e fatica. Ecco perché sono finito in un Paese del Terzo Mondo come il Cile («el último rincón del mundo»), che allora era una... -
Album con figure
"Capita nella vita di non intrattenersi più con una persona e per questo giudicare che il rapporto con essa sia esaurito, chiarito. È invece alla sua morte che la relazione riappare sconfinata, indistruttibile, anche gioiosa. Mentre sei alla cassa di un supermercato e sorridi ricevendo il resto, mentre compri il biglietto alla stazione, tutto visto da fuori è normale, ma gli occhi possono spingersi sotto la superficie di un dettaglio, le pulsazioni premere il tempo e i sensi riprendere in mano il filo di un discorso addirittura, volendo, in evoluzione. Capita anche di incontrare qualcuno che si è stati, in una piazza, una biblioteca, e lasciare che dal sangue affluiscano emozioni che non avevamo compreso. Così la realtà e il suo contrario si parlano, dialogando in noi. È d'altra parte nell'aula di Estetica e Filosofia dell'Arte, docente Francesco Leonetti, che ho appreso in piena coscienza che il linguaggio è subliminale, non ha bisogno che ci occupiamo di lui, il linguaggio parla se stesso attraverso di noi. Inconsapevolmente ne avevo fatto esperienza già da tempo, come tutti in fondo, ma l'apparire alla coscienza del fenomeno mi ha fornita di strumenti capaci di indagare, comprendere, creare. Concetto immenso, ricco di implicazioni filosofiche, misteriche, antropologiche. Prima avevo ascoltato la musica di John Cage. Più tardi avrei letto alcune cose sulla nuova fisica. Nel frattempo approfondivo le voci molteplici dei personaggi, avendo incontrato sulla mia strada Kaya Anderson, attrice, cantante e, se la cosa le facesse piacere, aggiungerei maga della psiche. Sono i luoghi dove ci si ritrova soli nella folla i migliori ingressi per la contemplazione della vita e del suo doppio. Come su un palcoscenico, senza bisogno di pensiero, il corpo sa compiere perfettamente precisi rituali di fronte al pubblico, e lo spirito è libero di vivere lì e altrove. Tutto è un velo, reale e fluttuante a un tempo."""" M.S." -
La mobilità della matrice-The mobility of the matrix
"Questo testo presenta un'analisi femminista della riproduzione come forza strutturante che definisce il femminile in relazione alla biopolitica, alla sfera sociale e allo stato nazionale. Ripercorre la genealogia storica della costruzione del femminile attraverso un'esplorazione della divisione mitica dei ruoli maschile e femminile nella procreazione: quelli della forma e della materia. Negli antichi libri di scienza scritti in latino, il termine """"matrice"""" è sinonimo di utero. Per questo motivo ho deciso di mantenerlo nella mia scrittura, anche se qui il termine non si riferisce solo all'organo. Piuttosto si collega alla riproduzione fisica della logica dell'""""equivalente generale"""" delineata dal filosofo Jean-Joseph Goux. La matrice è stata storicamente separata dal corpo della donna, ridotta a contenitore biologico e posta sotto la responsabilità della storia delle scienze della vita, in particolare dell'embriologia. La riduzione del corpo della donna a un'intelligente incubatrice e la concezione della madre come una macchina hanno comportato prima una svalutazione del corpo materno, e poi la cancellazione del soggetto nella madre. Questa è, inoltre, l'archeologia sessuale che riflette la battaglia tra idealismo e materialismo. La separazione tra l'utero e la donna, come descritto nel primo capitolo, è stata operata dai medici. La medicina ha giocato un ruolo fondamentale nella repressione delle donne e nel sostenere una precisa ideologia del loro ruolo: in anatomia la matrice è stata a lungo considerata un """"animale dentro un animale"""" - cioè un organo di natura mobile. L'utero è diventato una sorta di terreno di competizione tra gli scienziati per il controllo del corpo femminile e del suo potere riproduttivo. Nel secondo capitolo, analizzo questo passaggio esaminando il modo in cui la civiltà impone un costume disciplinare al corpo femminile. La monopolizzazione della violenza fisica da parte dello Stato esclude le donne dall'esercizio di tale potere delegato, e rimodella l'habitus sociale in cui esse operano. Il corpo femminile viene confinato nei vestiti che lo stringono e lo immobilizzano, mentre il corpo maschile viene ridisegnato come motore umano. Questa disciplina limita la capacità delle donne strutturando per loro una incapacità fisica. Il terzo capitolo è dedicato alla costruzione della """"differenza"""" nella """"transizione al capitalismo"""", che ha trasformato profondamente la riproduzione della forza lavoro. La persecuzione delle donne durante la caccia alle streghe del XVI e XVII secolo è una forma di terrorismo attuata con l'obiettivo finale di naturalizzare il """"lavoro femminile"""" e di rinforzare economicamente la trasformazione delle donne in proprietà privata. Infine, nell'ultimo capitolo, la maternità surrogata e lo sfruttamento dell'utero sono introdotti attraverso un immaginario """"futurista"""" e un femminismo che muove i primi passi dal miraggio dell'ectogenesi. Questa spinta anglosassone, da Shulamith Firestone in poi, ha visto nella tecnologia una forma di liberazione dalla naturalità. L'utero è stato investito di un'essenza """"macchinica"""" all'interno di un movimento progressista che non ha scosso le colonne su cui si fonda l'inferiorizzazione delle donne, ma che ha tutt'al più abbracciato la loro forma patriarcale, sfruttando geografie considerate """"inferiori"""" e sconfiggendo le stesse lotte femministe attraverso posizioni reazionarie e conservatrici, ben rappresentate dal femminismo neoliberale. Lo scopo di... -
Essere umani. Diario di sopravvivenza poetica ai tempi del coronavirus
"Esseri Umani è la testimonianza in presa diretta dei primi quindici mesi di pandemia. Una resa poetica dell'essere umano illuminato dalla luce del coronavirus filtrata con le lenti dell'arte e della ricerca interiore. Filo conduttore del libro l'arte, appunto, e l'amore. Non l'amore in senso romantico o relazionale, ma l'amore come vibrazione vitale, che accomuna ogni essere vivente. E quindi nella fattispecie l'amore vissuto dagli esseri umani del biennio 2020-2021, gli esseri umani della pandemia. Un libro sotto forma di diario, dunque, e un diario sotto forma di terapia. Terapia umana. Era il primo marzo 2020 quando ho iniziato a scrivere questo libro. Già nell'intento il volume voleva essere una riflessione poetica sul mondo, e intendevo dargli una connotazione molto personale proprio per fare fluire al meglio ciò che pensavo senza che sapessi di pensarlo. Per questo motivo ho scelto la forma del diario, o meglio, del diario poetico. Il presente libro è quindi da intendersi come un tentativo di resa poetica dell'essere umano immerso in un mondo in trasformazione da covid. L'essere umano qui messo in luce è l'essere umano che accomuna me alle altre persone, convinto come sono che la profondità umana sia più assimilabile a un oceano silenzioso e immoto nelle sue costanti onde che a un qualcosa di unico e diverso dagli altri umani. Questo libro è quindi una testimonianza di come io come essere umano abbia vissuto il periodo della pandemia. Argomento comune dell'opera è la poesia, o meglio, la riflessione sulla poesia da parte di un libero professionista della scrittura creativa che cerca di inquadrare meglio il suo - amato - mestiere. Inizialmente, credevo di scrivere solamente la prima delle quattro parti di cui è composto il libro. La prima parte può essere letta come un commentario creativo dei quadri esposti a una mostra tenuta a Bergamo nel mese di dicembre 2019. Nei capitoli della seconda parte passo dal diario alla raccolta a posteriori di racconti, poesie e riflessioni composte nei mesi successivi all'avvento della pandemia. Qui l'attenzione converge sul tema dell'amore, carattere fondante dell'essere umani, chiedendosi """"Come l'amore ha subito gli effetti delle quarantene?"""" La terza è invece la parte centrale del libro, quella più appassionata, a tratti arrabbiata e a tratti compassionevole. È la parte centrale non dal punto di vista numerologico ma da quello tematico: rappresenta una sorta di sintesi hegeliana delle prime due parti, una sintesi che mi restituisce un riflesso di persona più matura in seguito agli shock che ho vissuto nel periodo marzo-dicembre 2020. Infine, la quarta e ultima parte del volume è dedicata al ruolo giocato dalla scrittura creativa nella messa in luce dell'essere umano. A seguito di una mia riflessione si trovano alcuni dei componimenti degli studenti dei miei corsi, e i loro scritti sono tesi a illuminare ancora di più l'umano del periodo pandemia"""". (N. Crippa)" -
La vita movimentata di Nicola Pezzoli Garibaldino della Val Seriana
Queste pagine nascono dallo studio di un epistolario messo in salvo e conservato per diverse generazioni nella casa della famiglia Pezzoli a Songavazzo; la fitta corrispondenza tra padre e figli, sommata a quella tra fratelli, ha permesso di ricostruire in modo abbastanza approfondito la storia vissuta da un componente della famiglia, Nicola Pezzoli, che è stato lontano da casa per diversi periodi e per svariati motivi tra il 1855 e il 1866, nel pieno delle battaglie risorgimentali. L'ho seguito a Bergamo al collegio Valsecchi, poi a Padova, Pavia e Parma durante gli studi alla facoltà politico - legale, negli anni in cui si radicalizzano i suoi ideali; infine in Camicia Rossa sulle Alpi, al tempo della terza guerra d'indipendenza, che combatte come volontario al seguito di Garibaldi e del colonnello Cadolini in Lombardia e Trentino. È una storia ricca di riferimenti storici con la Padova controllata dall'Austria negli anni '50, la Pavia dei fratelli Cairoli nella primavera del 1860, l'Italia alle prese con la terza guerra d'indipendenza del 1866; allo stesso tempo le conversazioni e le divergenze col padre e col fratello ci mettono a contatto diretto con le dinamiche interne di una famiglia borghese della metà dell'800. Prefazione di Chiara Frugoni.