Sfoglia il Catalogo ibs043
<<<- Torna al MenuCatalogo
Mostrati 3741-3760 di 10000 Articoli:
-
Vitelloni e giacobini. Voghera-Milano fra dopoguerra e «boom»
Una densa, autobiografia, anzi molto di più. Vittorio Emiliani racconta la stona di un gruppo di amici padani che, negli anni cinquanta, si impegnano m politica, creano un settimanale per rimuovere, da riformisti, a volte giacobini, le ingessature della società. Lo scenario è al centro del triangolo industriale: Voghera, ""capitalina"""" di frontiera dell'Oltrepò, in cui già emerge lo scrittore Alberto Arbasino, Pavia, nordica e universitaria, ricca di talenti e di baroni, e la Milano del primo boom economico, unica città """"europea"""" di quell'Italia semirurale in tumultuoso cambiamento, che si mette in scena fra il Piccolo Teatro e la Scala degli anni d'oro, le case editrici, la novità del """"Giorno"""", riviste come """"Comunità"""", i circoli culturali, Brera, il Giamaica. Una narrazione veloce, diretta, che però fa luce anche su squilibri ed esclusioni crudeli. I protagonisti sembrano a volte cugini dei vitelloni felliniani, impegnati tuttavia a battersi per città più moderne e avanzate, per atenei non più classisti, per un paese fuori dall'autarchia provinciale. In questa folgorante foto di gruppo compaiono anche sorelle e fratelli maggiori: Camilla e Antonio Cederna, Paolo Grassi, Italo Pietra, Elio Vittorini, Renzo Zorzi, Arrigo Benedetti, Eugenio Scalfari, Ugo Mulas, Nazareno Fabbretti e tanti altri, aperti e protettivi. Oltre mezzo secolo dopo cosa resta di quelle esperienze, soprattutto di quel contesto? Emiliani tira le somme di una generazione. Un bilancio a volte amaro, mai però sfiduciato."" -
Le due realtà. Fattuale e virtuale nell'era della globalizzazione
Sul finire degli anni cinquanta del secolo scorso, si avviò a Londra un acceso dibattito sollecitato dal libro di Charles Snow sulle cosiddette due culture, vale a dire sull'ostilità tra scienziati e letterati. Il dibattito è tuttora in corso e l'interrogativo sulla presunta ostilità resta aperto, ma nel frattempo ecco che è entrata sulla scena una nuova dicotomia, quella fra due realtà: la fattuale e la virtuale. Due realtà, dunque, in contrapposizione o forse in complementarità alle due culture? Una storia antica ma ancora oggi attuale, che si interseca con i problemi emergenti sulle due realtà: quella effettiva e quella che i mass media ci comunicano e alla quale siamo spinti a credere indipendentemente da quanto stia accadendo. Due realtà che tendono ad ampliare la distanza che sempre più le caratterizza, da quando la globalizzazione dei saperi e la rivoluzione delle alte tecnologie hanno portato alla diffusione senza più controlli della comunicazione di massa e del contesto virtuale che essa è in grado di costruire. Come restituire veridicità alla conoscenza minata dalle distorsioni indotte proprio dalle comunicazioni di massa, tipiche del mondo nel quale consumiamo la nostra esistenza? Forse ritornando al dubbio sistematico, quel dubbio che già Cartesio aveva introdotto come metodo di apprendimento. O andando alla riscoperta di esperienze consolidate che ancora oggi ci possono fornire esempi innovativi, in grado di illuminare i difficili sentieri del sapere. -
Governare Palermo. Storia e sociologia di un cambiamento mancato
Fra gli anni ottanta e novanta Palermo ha vissuto una stagione in cui sembrava avviato un profondo cambiamento sociale e politico. Dopo decenni di malgoverno e corruzione, segnati da un'economia debole e assistita e dai condizionamenti della criminalità, la società civile si era mobilitata. Il governo locale, anche per effetto della riforma, tentava di sperimentare un nuovo modello di sviluppo urbano e nuovi rapporti fra politica e società. Il decennio successivo ha visto però frustrate le aspettative di cambiamento: si ricostituiscono un sistema di governo e un rapporto con gli elettori di tipo tradizionale, mentre la città e la sua economia soffrono di vecchi e nuovi mali, in una involuzione che molti hanno letto come il ritorno a un ineluttabile destino. Si era dunque trattato di una fortuita commistione di contingenze, una temporanea deviazione da un sentiero di sviluppo da cui è troppo difficile uscire? O di un'occasione mancata, in cui le scelte della leadership politica si sono combinate alle situazioni del momento in modo da indebolire il consolidarsi dei risultati raggiunti? Il volume ripercorre la sequenza di eventi che hanno creato le condizioni per il rinnovamento e l'ascesa di Leoluca Orlando, rivisita la sua esperienza amministrativa e cerca di cogliere i passaggi critici che hanno finito per indebolirne gli esiti. -
L' Europa indispensabile. Tra spinte nazionalistiche e mondo globalizzato
La grave crisi finanziaria, economica e sociale che ha investito gli Stati Uniti e ha contagiato il resto del mondo dimostra l'indispensabilità dell'Europa. Dell'Unione europea, un'organizzazione istituzionale, economica e - non ancora abbastanza - politica, che oltre sessantenni fa grandi uomini avevano già immaginato. Anche per l'Europa non è un momento facile. I no al Trattato costituzionale e al Trattato di Lisbona sono la spia di un disagio, di un disamore verso l'idea stessa dell'Unione. Questo libro spiega perché, invece, l'Europa è necessaria, cosa ha già fatto per i cittadini e cosa ancora può e deve fare, purché ne abbia la possibilità. L'autore, Gianni Pittella, parlamentare europeo di lungo corso, racconta come, dalle grandi crisi internazionali ai problemi energetici, dai fondi per il Mezzogiorno agli stanziamenti per la ricerca, al mercato del lavoro, ai temi della giustizia e dei diritti civili, più Europa significhi più forza e opportunità per tutti e non, come qualcuno vorrebbe far credere, burocrazia e istituzioni senz'anima. Il volume, oltre a rivelare curiosi aneddoti su personaggi noti, costituisce uno strumento per entrare negli ingranaggi di un'Europa che stanzia risorse e dispensa multe, che offre formazione ai giovani e infrastrutture ai diversi paesi, che a volte sembra invadere, e altre invece sfiorare, le nostre vite. -
Giuristi del lavoro. Percorsi italiani di politica del diritto
Umberto Romagnoli ricostruisce in questo volume l'itinerario del diritto del lavoro nella storia dell'Italia post-unitaria, ripercorrendone le culture più significative, dall'età liberale al ventennio fascista alla Repubblica: da Ludovico Barassi a Francesco Carnelutti a Luigi Mengoni. Ne scaturisce un quadro fatto di transizioni interminate e precoci disincanti. Chiusa entro le cornici di un esasperato privatismo dapprima, e di una visione statalista-totalitaria dopo, la disciplina stenterà a farsi carico della dirompente progettualità di cui e espressione il diritto del lavoro nel Novecento. È sorprendente come un impianto di grande forza riformatrice, quale quello della nostra costituzione, abbia dovuto conoscere, proprio nel campo della tutela e dei diritti dei lavoratori, una lunga fase di contrasti, prima di potersi affermare. Per garantirsi la sopravvivenza, la Repubblica, ""fondata sul lavoro"""", ha dovuto accettare che, per un periodo non trascurabile, la costituzione fosse accantonata in attesa che maturassero le condizioni favorevoli al dispiegamento dei due capisaldi innovativi di importanza strategica: l'organizzazione sindacale è libera e lo sciopero e un diritto. Le pagine conclusive del volume aprono una finestra sul futuro, che consente di scorgere i lineamenti di un sistema normativo caratterizzato da un solido legame coi principi della nostra carta fondamentale."" -
Turista della neve. Alla ricerca delle nevi più belle del mondo
Bellezza, pericolo, infanzia, solitudine, morte. E poi ancora, sci, slittino, palle di neve, divertimento. Sono queste le prime parole a cui Charlie English pensa quando per la prima volta si siede davanti al computer con l'intento di scrivere un libro sulla neve. Ma la sfida è: quante altre libere associazioni affluirebbero nella sua mente dopo un viaggio nei luoghi della neve più autentici e puri? Ed eccolo partire: dall'Alaska al Vermont alle Alpi, cento paesaggi innevati tra affinità e differenze, languori e allegrie, retaggi ancestrali e tecnologie moderne, alla ricerca dell'essenza stessa della neve. Nasce così il suo libro, una vera e propria mappa della neve a cavallo delle longitudini, dei popoli, delle lingue, delle consuetudini, degli spazi fisici e mentali. Una messe di dati e stati d'animo da condividere con i lettori di ogni angolo del mondo, innevato e no. Il tutto colorito a tratti dalla malinconica sensazione di godere di un bene in via d'estinzione, a causa del surriscaldamento della terra. E la ricchezza delle esperienze accumulate è tale da spingere l'autore a inserire nel volume un vero e proprio manuale della neve ricco di notizie, record e curiosità - dal fiocco di neve più grande mai caduto alla prima incisione su pietra dello sci, ai trucchi e le leggende legate alla neve: esiste davvero l'abominevole uomo delle nevi? È vero che gli eschimesi hanno cento parole per definire la neve? -
Patagonia. Invenzione e conquista di una terra alla fine del mondo
Luogo di immagini e immagine di altri luoghi, la Patagonia mantiene inalterata nei secoli la forza del suo mito. Se fino al Settecento la curiosità dei viaggiatori ha cercato il paradiso terrestre in queste remote terre australi, nel Novecento la Patagonia è divenuta una scena dell'atemporalità, un fondale immobile e arcaico in cui il racconto postmoderno di Bruce Chatwin e dei suoi epigoni trascrive un'erranza all'estremità del mondo. In questa terra, ci dice dunque l'autore, si può compiere soltanto un viaggio a ritroso nel tempo. La Patagonia irrompe infatti nella cultura e nell'immaginario europei come uno spazio estremo, una frontiera assoluta. Dal periplo di Magellano fino al Settecento, sarà oggetto di una continua invenzione: qui convergono motivi letterari e repertori simbolici, gli spazi australi creano l'illusione ottica del gigantismo dei suoi abitanti. Su questa regione incognita si proiettano i sogni di una città fantastica, il mito dell'Eldorado, e si costruisce un utopico ""mondo alla rovescia"""". Nell'Ottocento i resoconti di naturalisti come Charles Darwin incorporano la Patagonia nella mappa del nuovo sapere scientifico. Più tardi, conquistato dalle campagne militari, diviene territorio dell'Argentina. Depurato dalla presenza dei """"selvaggi"""", il """"deserto"""" patagonico si trasforma in paesaggio di una nazione in marcia verso il progresso quando scienza e dominio della geografia declassano i popoli autoctoni a mero reperto museale condannato all'estinzione."" -
Rabbia
Buenos Aires. In una villa liberty avvolta nella patina del tempo, una coppia benestante e disillusa conduce la sua routine insieme con Rosa, l'ingenua e focosa domestica. Un giorno, all'insaputa di tutti, Rosa compresa, nei meandri della villa s'intrufola José Maria, il muratore fidanzato della domestica. Qual è il segreto che lo spinge a nascondersi? E perché proprio sotto quel tetto? E quanto a lungo deciderà di restarci? Parte da qui la storia di una rocambolesca clandestinità che, mistero dopo mistero, trascina con sé il lettore lungo un filo sempre teso tra la suspense e il surreale, il sorriso e l'incredulità, la commedia e il dramma. Pronto a sgusciare dietro una porta al primo fruscio, e attento a non lasciare traccia di sé, José Maria avvolge i suoi giorni in una spirale al batticuore, scandita dal rischio del disvelamento e da quell'unico legame con la realtà che è rappresentato da Rosa. Di lei José Maria spia ogni gesto, ogni spasimo, ogni sospetto, ogni tresca amorosa. Dal buco della serratura, dalla fessura di una finestra, dallo scorcio delle scale Bizzio fa scorrere davanti ai nostri occhi, con consumata sapienza cinematografica, passioni e indolenze, intrighi e nefandezze di una Buenos Aires distrattamente immersa nell'agiatezza borghese. -
Il muretto. Storie di ordinaria convivenza tra italiani e immigrati
Il muro di Padova, la scuola del Trullo e un centro antiviolenza a Roma, via Piave a Mestre, una coppia mista a Napoli, i bagni pubblici di Torino: sono questi i luoghi e le storie di ""comune"""" immigrazione e di riuscita integrazione che Livia Turco ci racconta in questo libro. Ambienti, contesti, relazioni di quotidiana convivenza tra italiani e immigrati, alle prese con una condivisa paura da spaesamento culturale che spesso degenera nel rancore sociale, laddove ci si ritrova gomito a gomito. Questa paura sarà con noi per tanto tempo, dice Livia Turco, che smette momentaneamente i panni della politica di professione per cimentarsi con un'indagine sul campo che consente di decifrare quel disagio e aiuta il lettore ad affrontarlo senza farsene irretire. La strada da seguire è riconoscersi reciprocamente e stabilire relazioni con gli altri, non necessariamente mossi da spirito caritatevole, ma più spesso dall'interesse. È proprio questa molla, infatti, a innescare reazioni a catena, anche inaspettate, in cui italiani vecchi e nuovi si sentono motivati a cercare una convivenza positiva per avere un quartiere più sicuro, più bello, più vivibile. E scoprono così che l'obiettivo di costruire giorno per giorno una vita dignitosa riguarda tutti e travalica i confini delle lingue e delle culture."" -
Enrico Minio
Enrico Minio, giovanissimo aderente al Partito comunista, dei vent’anni di dittatura fascista ne passò quindici in carcere. Dopo aver preso parte alla Resistenza, fu membro della Consulta nazionale e dell’Assemblea costituente e, dal 1948 al 1968, fu senatore e deputato. A caratterizzare l’attività politico-istituzionale di Minio fu l’impegno come sindaco di Civita Castellana, in provincia di Viterbo, dal 1949 al 1964. La scelta di presentarsi in Parlamento nella veste istituzionale di primo cittadino, infatti, dava grande efficacia ai suoi interventi. Mentre come deputato comunista avrebbe parlato a nome di un solo partito, come sindaco poteva ergersi a rappresentante di un’intera collettivitài cui bisogni e interessi potevano essere portati a modello di quelli di tutte le piccole e grandi collettività d’Italia. L’abbandono da parte di Minio del Comune e del Parlamento, avvenuto rispettivamente nel 1964 e nel 1968, fu dovuto alle profonde trasformazioni che si stavano compiendo nel Pci, impegnato sempre più nella ricerca di una via italiana al socialismo e nella presa di distanza dal mito sovietico. Insieme a lui, in quegli stessi anni, altri vecchi comunisti lasciarono la scena politica, sostituiti da una nuova generazione di giovani comunisti. Era ormai tramontato il tempo degli eroi e della rivoluzione, come ricordò l’amico Terracini nel 1973, quinto anniversario del suicidio di Minio provocato, probabilmente, dal convincimento del giudizio negativo dei compagni rispetto alle sue capacità di contribuire al nuovo Pci. Il fascino di Minio è tale che il suo ricordo – e questo costituisce un dato di cui è importante tener conto – non è estraneo all’odierna classe politica del viterbese che lo considera, senza alcuna distinzione di fede politica, come una figura esemplare. Non potrebbe essere diversamente, d’altra parte, oggi che, con la fine delle contrapposizioni ideologiche proprie del secolo scorso, l’identità locale costituisce un elemento fondante dell’identità dei cittadini della Repubblica. Insieme a Minio si propongono saggi su altre due figure di sindaci comunisti che hanno fatto dell’esperienza di amministratori l’elemento essenziale della propria attività politico-istituzionale: Giuseppe Dozza, sindaco di Bologna, e Gino Cesaroni, sindaco di Genzano, in provincia di Roma. Figure che come Minio hanno lasciato tracce importanti non solo nella storia ma anche nel ricordo delle comunità locali che li hanno espressi. -
Malata e denigrata. L'università italiana a confronto con l'Europa
Una buona diagnosi è il primo passo per ogni buona cura. Ecco da cosa nasce questa snella e al contempo dettagliata inchiesta sulle gravi carenze di funzionamento e di risultati del nostro sistema universitario rispetto ai più avanzati in Europa. L'analisi, infatti, riguarda le cinque grandi aree di criticità divenute leit-motiv delle polemiche recenti: la proliferazione dei corsi di laurea, l'insoddisfacente ""produttività"""" degli atenei, la disattenzione verso il mondo del lavoro, il predominio dei """"baroni"""", gli sprechi e le inefficienze nella spesa. Dal confronto, si scopre così che molte anomalie imputate al nostro sistema universitario non sono in realtà tali, mentre altre carenze dipendono indubbiamente da vizi antichi del ceto accademico italiano. Ma anche per queste, assai utile appare guardare a ciò che accade in altri paesi più simili al nostro: molti degli argomenti utilizzati nelle polemiche recenti non sono infatti assenti altrove. La differenza cruciale è nell'atteggiamento dell'opinione pubblica e dei media e nel comportamento dei governi. Dominati, nei paesi vicini, da una forte e diffusa preoccupazione per la perdita di competitivita e dalla determinazione a investire in modo selettivo ingenti risorse per porvi rimedio. Il contrario di quanto avvenuto in Italia, dove carenze e lacune diventano pretesto per un'ulteriore diminuzione dei già scarsi investimenti nella ricerca e nella produzione di capitale umano."" -
Agricoltura in transizione
L’agricoltura è in una fase di forte transizione, caratterizzata da un dinamismo che in alcuni momenti e in alcune aree raggiunge addirittura l’entità di una vera e propria tempesta dalla quale escono ridisegnate non solo le pratiche, ma il ruolo stesso dell’attività agricola all’interno della società, le dimensioni e le caratteristiche settoriali e la figura e le aspettative degli imprenditori. Un dinamismo mosso da innovatori che, attraverso combinazioni, localmente specifiche, di pratiche e conoscenze locali, stanno rappresentando sempre più promesse o risposte credibili a esigenze nuove di un’agricoltura capace di garantire reddito, occupazione e qualità dei prodotti e dell’ambiente. Sono queste le novelties descritte nel libro, vere e proprie testimonianze di modelli di sviluppo alternativi a quello consolidato della «modernizzazione» agricola. Le novelties fanno parte del dinamismo in atto nelle aree rurali, nascono e si sviluppano all’interno di movimenti di idee, di network locali e transnazionali che stanno cambiando la struttura e l’organizzazione delle filiere alimentari con una redistribuzione del potere negoziale, dell’informazione e della ricchezza prodotta. Tutti fenomeni, questi, multidimensionali, che richiedono strumenti di analisi innovativi basati su approcci sistemici e capaci di comprendere le diverse forme in cui si presenta una novelty e le relazioni che esistono tra le dimensioni che la compongono. Questo fenomeno apre la strada a una nuova agenda di indagine di tipo interdisciplinare con un ripensamento del ruolo della ricerca scientifica, della didattica e dei servizi di assistenza e divulgazione agricola e un ridisegno degli strumenti e dei metodi di intervento. I semi di tale cambiamento già esistono, anche se ancora troppo isolati. Vanno create le condizioni in cui tali semi possano crescere e svilupparsi dando origine a un sistema di costruzione delle conoscenze più vicino alle esigenze delle imprese e dei territori e che permetta di passare da soluzioni globali per problemi locali a soluzioni locali per problemi globali. -
L' invenzione della nostalgia. Il vintage nel cinema italiano e dintorni
La nostra è l'epoca del vintage: la televisione è ostaggio dei divi degli anni sessanta e settanta, interi canali satellitari si dedicano alle repliche di vecchie trasmissioni, la rete pullula di siti, forum, blog con i cartoni animati, le sigle, i telefilm di venti-trent'anni fa. Buona parte dei prodotti culturali che ci circondano trae la propria forza dal rimpianto, o dall'allusione ironica e dolceamara ad altre immagini e altri simboli di un passato recente. Ma perché tanta nostalgia? In un'analisi a tutto campo dei media contemporanei, Emiliano Morreale guarda con disincanto a quelle che crediamo essere le emozioni più intime, illuminando, a partire dalla storia del nostro cinema, aspetti fondamentali della vita quotidiana. Sono i mass media infatti i creatori, ancor prima che i propagatori su vasta scala, di questa emozione collettiva. La nostalgia viene dai media, esiste grazie ai media e per i media. Le generazioni nate dagli anni sessanta in poi hanno infatti cominciato a sperimentare forme nuove di auto-percezione e auto-definizione: non più politiche, geografiche, sociali, ma trasversali, e a partire dalle proprie memorie di consumatori di merci e di spettatori. Il primo germe è nel cinema italiano sulla belle epoque degli anni cinquanta, per poi passare ai grandi autori dei primi anni settanta alle canzonette dei film di Nanni Moretti, al filone dei ""Sapore di mare"""", fino alle saghe odierne sugli anni settanta"" -
Lo scettro senza il re. Partecipazione e rappresentanza nelle democrazie moderne
Il governo rappresentativo è davvero democratico? O invece non lo è perché non consente ai cittadini di votare direttamente le leggi che dovranno rispettare? Le opinioni dei teorici della politica su questo tema si dividono. C'è chi lo considera una forma di governo misto, per metà aristocratico o oligarchico e per metà democratico. Chi, svuotandolo di ogni valore normativo, lo accetta soltanto come un espediente necessario. Per gli uni la democrazia è semplicemente elettorale e la rappresentanza ne è l'esito istituzionale. Per gli altri la democrazia è partecipazione diretta e la rappresentanza ne è una violazione. Riflettendo su un tema tanto spinoso, Nadia Urbinati accoglie la sfida di mettere in discussione una tale polarizzazione. La democrazia rappresentativa è una forma unica di governo democratico peculiare delle società moderne: non costituisce un'alternativa alla partecipazione, né tuttavia limita la democrazia al momento elettorale o alla conta dei voti. La rappresentanza è, dunque, una forma complessa di partecipazione, un processo politico che genera e si sostiene su un continuo flusso di influenza, controllo e comunicazione tra cittadini e rappresentanti. -
Il guinzaglio elettronico. Il telefono cellulare tra genitori e figli
All'estero lo chiamano telemothering o teleparantage: è il ruolo assunto dal telefono cellulare nel rapporto fra genitori e figli. Vera e propria presenza fra loro, è per gli adulti uno strumento di controllo a distanza, un mezzo per tenere a bada le ansie per i pericoli che insidiano i figli quando si allontanano dalle mura domestiche. In sostanza una sorta di cordone ombelicale, un guinzaglio elettronico che crea negli adulti l'illusione di seguire e proteggere i ragazzi, anche se non consente di sapere dove essi realmente siano o cosa stiano davvero facendo. Ma un cordone ombelicale oltre la nascita è innaturale, e non solo non favorisce l'autonomia e la sicurezza, ma ostacola un armonioso sviluppo psicologico. Nato da due innovative ricerche complementari condotte su un campione di ragazzi delle scuole elementari, medie e superiori e commissionato dall'Osservatorio ""I Pinco Pallino"""" su minori e media, questo libro ha i pregi dell'indagine sul campo accanto a quelli dell'analisi rigorosa e aggiornata di un fenomeno che tocca la gran parte delle famiglie italiane. Sarà pure perennemente scarico, più usato per giocare che per comunicare, costoso da acquistare e da mantenere, ma qual è quel genitore davvero disposto a privare il proprio figlio del cellulare? La risposta è ben nota a tutti i gestori della telefonia, che si contendono la clientela a suon di offerte."" -
Uccidiamo la luna a Marechiaro. Il sud nella nuova narrativa italiana
Oggi che i problemi del Sud d'Italia sono temi di successo su cui puntano media ed editoria, viene da chiedersi: che ne è stato del riscatto sociale e culturale del Mezzogiorno che una quindicina d'anni fa pareva imminente? Questo volume è un ideale grido di battaglia ""futurista"""" dei giovani scrittori - Saviano, De Silva, Parrella, Cilento, Cappelli, Pascale - che, a partire dagli anni novanta, hanno deciso di raccontare un Sud svincolato dagli stereotipi del paradiso turistico o dell'inferno senza redenzione, svincolato dalla pizza, dal mandolino e dal vittimismo. Un sud diverso, aggiornato al presente: il sud della nuova criminalità e della nuova borghesia, degli extracomunitari integrati e dei lavoratori precari. A metà tra il saggio e il reportage, la ricostruzione e il pamphlet, il testo esamina il fenomeno della rinascita della narrativa meridionale tanto auspicata negli anni novanta, e nel frattempo raccoglie dichiarazioni inedite, ragiona su contestazioni e polemiche e finisce per toccare questioni che oltrepassano i confini del sud. Sempre nel tentativo di ricostruire, al di là delle più immediate letture, un fenomeno tuttora fonte di dibattiti e capire il ruolo che può avere la letteratura nella comprensione e nella rappresentazione del sud di oggi."" -
Il crepuscolo di Bisanzio
La fine dell'impero romano d'Oriente si è caricata, nei secoli, delle valenze evocative proprie delle date epocali. Non solo: attorno al declino di Bisanzio si concentrano gli stereotipi storiografici di un ""senso comune"""" che vede nel bizantinismo il male del più esasperato politicismo, la decadenza dello spirito pubblico e della lotta politica nelle spire della logica del tradimento. Una deformazione prospettica diffusasi lungo tutta l'età moderna, che ha proiettato all'indietro i caratteri dell'ultima Bisanzio: un mito a suo modo volgare che il libro di Ivan Djuric consente di tradurre nella ricchezza interpretativa e documentaria di uno studio storico di grande acume, che lucidamente conduce al cuore del mondo politico, religioso e diplomatico della Costantinopoli al suo tramonto: come scrive lo stesso Djuric, è la storia della fine di """"un impero che non c'è"""". Già infatti alla fine del XIV secolo Bisanzio non è più padrona del proprio destino, costretta a fare i conti con il declino del suo prestigio, con la miseria delle città, con l'indebitamento dello Stato e la dipendenza economica dalle potenze mediterranee, con i conflitti interni alla famiglia regnante, con le mutilazioni territoriali e l'inevitabile decentralizzazione. Infine con i turchi: tutto ciò scandisce il tramonto fino alla definitiva caduta nel 1453, e si erge prepotentemente a sfondo storico degli sforzi di Giovanni VIII Paleologo di contrastare un destino forse non del tutto scritto."" -
Perugia in giallo
L’odierno, inarrestabile trionfo arriso alla letteratura gialla è ancor più sorprendente se si pensa che fino a pochi anni fa tale produzione veniva considerata soltanto paraletteratura e dunque emarginata nel ghetto del romanzo di mero consumo. Al contrario oggi sono rimasti in decisa minoranza coloro i quali guardano ancora al detective novel con pregiudizio e altezzosità, ritenendolo banale littérature de gare o un anacronistico esercizio di deduzione. In verità il romanzo d’indagine, con sempre maggiori sfumature noir – quindi di inquietudine esistenziale e di denuncia sociale – si sta imponendo come uno dei territori letterari più vitali e attenti alle sollecitazioni del presente. Ed è proprio in questo effervescente clima di piena rivalutazione di tale genere narrativo, entrato ormai a pieno diritto nella nostra «repubblica delle lettere», che nel maggio 2007 si è voluto organizzare – a cura di Maurizio Pistelli e Norberto Cacciaglia – il primo convegno Perugia in giallo. Indagine sul poliziesco italiano, iniziativa promossa dal Dipartimento di Culture Comparate dell’Università per Stranieri di Perugia. Il presente volume raccoglie gli atti delle due giornate di studio, a cui hanno partecipato autorevoli protagonisti del giallo nazionale (critici e scrittori). La scelta di privilegiare il romanzo d’indagine «tricolore» si spiega con la necessità di dare il dovuto risalto a una narrativa che, a torto, fin dal suo primo apparire, venne nel nostro paese addirittura ritenuta estranea (si pensi alle polemiche affermazioni negli anni trenta di Flora, Savinio, Saba) alla cultura del popolo italiano. Un’indagine accurata – a cui vuole dare il suo importante contributo proprio la manifestazioneperugina – dimostra in realtà come l’Italia possa vantare una più che secolare tradizione gialla, alla quale si richiama a ben vedere anche l’ultima nostra agguerrita generazione di scrittori: da Lucarelli a Carlotto, da De Cataldo allo stesso Camilleri. -
L' arte della visione. Conversazioni con Goffredo Fofi e Gianni Volpi
Roma, aprile 1993: nel suo studio di corso d'Italia, Federico Fellini, il mostro sacro, riceve a più riprese Goffredo Fofi e Gianni Volpi per un'ampia intervista destinata a rimanere memorabile. Il tema delle conversazioni non è tanto il suo cinema, quanto il cinema, che, come sosteneva Fellini, si era preso tutta la sua vita. Alla presenza dei suoi insoliti intervistatori, il grande regista si lascia andare a una sequenza di ricordi, divagazioni, riflessioni su se stesso e la sua arte. Come scrive Volpi nelle sue considerazioni introduttive, ""passava con sovrana nonchalance da Kafka a Jung, da Rossellini a Calvino. In certe affascinanti, lunghe risposte legava sapientemente progetti, visioni, letture le più diverse"""". Un fascino con cui Fellini sapeva sedurre tutti i suoi interlocutori, ma dietro il quale, come sottolinea Fofi, era impossibile non scorgere """"una malinconia profonda, specie negli ultimi anni, e forse una disperazione. Il cinema era cambiato, la televisione aveva rimpicciolito e castrato il cinema. E per di più il suo cinema nascondeva sempre peggio il senso di morte che era di un'intera civiltà"""". Il volume è impreziosito da alcuni brevi commenti di Fellini ai suoi film, che su indicazione del regista stesso avrebbero dovuto corredare il testo, nonché dai brani di alcune interviste a registi americani, o europei ma attivi in America, e da otto fotografie di Paul Ronald, scattate sul set di """"8 1/2""""."" -
La sinistra possibile. Il partito democratico alle prese col futuro
"Esprimo un disagio - scrive Vannino Chiti - che credo non sia soltanto mio: nella politica italiana, da troppo tempo, c'è un di più di conflittualità, a volte di vera e propria contrapposizione, tra gli schieramenti, e al tempo stesso di scontri prevalentemente personalistici all'interno di essi"""". Si tende a ricondurre questo stato di cose alla caduta delle appartenenze, alla modernità della politica. È una spiegazione che non convince, specie se si guarda ad altre democrazie dell'Occidente (basti pensare agli Stati Uniti), nelle quali il confronto, anche duro, si lega in modo esplicito a proposte programmatiche e a sistemi di valori alternativi. Una simile, schietta, aperta battaglia delle idee non sembra oggi prevalere, nella politica italiana, che elude, più che affrontare, le questioni essenziali. È la debolezza delle proposte, la non chiarezza e coerenza dei comportamenti, a produrre quell'eccesso di conflittualità che allontana le persone dalla politica, rendendo sempre più esile la partecipazione alla vita delle istituzioni democratiche. È da qui che è necessario ripartire per una nuova, forte proposta del riformismo italiano."